Till Death Do Us Part

Roselyn Charlotte Applegarth & Evelyn Tiffany Applegarth, @Haneda international airport | 14/07/2018 | Dalle 15:20

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    ATTENZIONE: la prima parte di questo post contiene descrizioni che potrebbero urtare la sensibilità del lettore. Leggere solo se difficilmente impressionabili. Altrimenti, saltare il primo paragrafo e leggere da dopo il primo separatore. Gli altri post difficilmente conterranno materiale simile.

    Roselyn Charlotte Applegarth
    Studentessa/Vocalist
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    QomOIgC
    Il tutto si era consumato di nuovo, nella solita stanza da letto della solita casetta al riparo dagli occhi indiscreti di Londra. Era passato esattamente un anno da quando era entrata lì dentro per la prima volta e ogni volta successiva aveva saputo dimostrarsi migliore della precedente. Roselyn era ancora sdraiata accanto a ciò che restava di una sua coetanea. La pelle della prima, visibile in tutto e per tutto, era coperta solo da un sottile strato di liquido rosso dal profumo invitante. La faccia della seconda aveva un’espressione contorta e gli occhi spalancati. La giovane Applegarth non la degnava di uno sguardo, concentrandosi invece su una macchia scarlatta sul soffitto. Guardandola, Roselyn rivedeva quanto accaduto poco prima. Suo padre e sua madre avevano trovato proprio il giocattolo perfetto per il suo compleanno ed erano rimasti con lei e coi loro giocattoli finché ne avevano avuto voglia, poi ognuno aveva rotto il proprio col suo metodo preferito. Quella notte, la ragazza aveva avuto voglia di lasciarsi andare e, stando attenta a colpire per ultimi gli organi vitali, aveva usato i suoi denti per fare a pezzi la povera ragazza, incurante delle urla di costei, che si sarebbero perse nelle pareti fonoassorbenti della casa e nel nulla circostante. Fu proprio ripensando a quelle urla che sul viso della ragazza si dipinse un sorriso compiaciuto, anch’esso sporco di rosso.
    Per quanto era rimasta in quella posizione? Non lo sapeva, ma la combinazione dell’ora tarda, dell’uscita poco gradevole con le sue conoscenze scolastiche e quella molto più gradevole coi suoi genitori avevano provocato in lei il desiderio di fermarsi un attimo. Roselyn si sentiva compiaciuta, soddisfatta e sazia, oltre che stanca per la giornata. Fu per questo che, quando il torpore si manifestò, il desiderio di addormentarsi in quella posizione fu più forte di lei.
    «Are you still here?» Quella domanda, posta da una signora coi kakugan a mandorla, le impedì di sprofondare nel mondo dei sogni. «Don’t fall asleep yet, Rose. Dad and I have another surprise that we’re sure you’re going to love.»
    Non appena la donna ebbe finito di parlare, la ragazza si alzò e la seguì, venendo ricompensata con un bacio. Tutto ciò che seguì furono una doccia calda, il sistemarsi e vestirsi e il ritorno a casa, con Roselyn sempre più stanca e in attesa di potersi sdraiare nel letto della camera padronale degli Applegarth, tra le braccia dei suoi.
    Il viaggio in macchina passò in fretta tra qualche chiacchiera e la raccomandazione dei suoi genitori su dove trovare la loro sorpresa. Non appena giunta a destinazione, la ragazza percorse lentamente le scale che l’avrebbero portata in camera sua. Tutto ciò che avrebbe voluto in quel momento era dormire, ma i suoi genitori avevano pensato a lei e volevano che vedesse la sorpresa prima di andare a letto e questo sarebbe bastato per farla andare avanti ancora un po’. Quando aprì la porta e accese la luce, Roselyn individuò immediatamente la busta appoggiata sopra il suo laptop. Da fuori, si poteva leggere una dedica scritta dai suoi genitori. La ragazza sorrise per il gesto, poi, pensando che il regalo vero fosse all’interno, aprì la lettera per visualizzarne il contenuto.
    Tutta la stanchezza accumulata prima sparì istantaneamente non appena quei due pezzi di carta furono raggiunti dal suo sguardo. Roselyn trattenne un urlo, coprendosi la bocca con la mano libera, e continuò a guardare i due biglietti finché non realizzò che fossero autentici. Erano dei pass per un volo di linea che l’avrebbe portata a Tokyo qualche settimana più tardi. A Roselyn non poteva importare di meno di quella città, se non per il fatto che fosse il luogo di nascita di sua madre, ma Evelyn si trovava lì e quei biglietti significavano che presto avrebbe rivisto di persona la sua amata sorella, che ormai si era rassegnata a vedere come un’immagine su uno schermo in qualche chat o videochiamata. Una lacrima si formò sul viso della ragazza, mentre corse ad abbracciare i suoi genitori, ringraziandoli per la loro sorpresa. Rimase con loro per un po’, stringendo a sé chi, oltre alla vita e al Paradiso, le aveva dato una sorella da amare e la possibilità di rivederla, poi si congedò. Presto sarebbe tornata da loro, addormentandosi tra loro come faceva nelle occasioni speciali, ma quello era il momento di chiudersi in camera sua e avviare 2Chat. Evelyn avrebbe dovuto sapere.

    * * *



    Il giorno della partenza era finalmente arrivato. I suoi genitori avevano deciso di accompagnarla all’aeroporto. Solo quando dovette imbarcarsi per il check-in, Roselyn realizzò il fatto che quello sarebbe stato il suo primo viaggio senza di loro o qualcuno della sua scuola. Anche se solo per il tempo del viaggio, la ragazza sarebbe stata del tutto da sola, come quando andava a caccia, ma senza potersi sfogare con la prima cosa che le fosse passata accanto. I suoi genitori le avevano pagato un volo in prima classe in un aereo di linea. Roselyn avrebbe volentieri rinunciato a quel comfort, se loro l’avessero seguita, ma erano bastati un breve discorso e un ci dispiace a ricordarle degli impegni che i suoi avrebbero avuto nella sua settimana di vacanza. Purtroppo, la famiglia non si sarebbe riunita in quell’occasione, ma la ragazza era più che sicura che, prima o poi, ciò sarebbe successo.

    * * *



    "I wonder what will happen when I’ll get there!” Si ripeteva Roselyn ormai da dodici ore. Nemmeno il senso di amarezza per l’occasione persa di riunire la famiglia e il sonno riuscirono ad avere la meglio sull’eccitazione sulla ragazza, che fece passare a quest’ultima la maggior parte del volo diretto sveglia.
    Le ore di sonno erano state poche, certo, ma ciò non l’avrebbe fermata dal godersi appieno quello che stava per succedere. Presto avrebbe incontrato la sua Evelyn per la prima volta in un tempo che le era sembrato eterno. Presto sarebbe stata lì con lei. Le sembrava così strano, ma anche così bello! Era quasi arrivata alla luce in fondo al tunnel che la separava dalla sua amata sorella.
    Non appena l’aereo toccò terra, il suo primo pensiero fu rivolto verso costei. Dopo aver preso il cellulare, la ghoul tolse la modalità aereo e inviò un messaggio alla sua Evelyn per farle sapere di essere a Tokyo. Subito dopo, in maniera quasi automatica, toccò a sua madre ricevere un messaggio simile.
    Ormai rimaneva solo poco a separare Roselyn da sua sorella. Era solo necessario uscire dall’aereo in cui aveva passato le dodici ore precedenti, recuperare i propri bagagli e dirigersi verso l’uscita dove, forse, la sua amata Evelyn la stava già attendendo.


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    Edited by Antoil69 - 1/3/2021, 22:01
     
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    Evelyn Tiffany Applegarth
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    Non era vero che gli esami la impegnavano così tanto. Evelyn era una persona che si impegnava molto e metteva tutta se stessa in ciò che faceva, ma non al punto da trascurare la famiglia o le persone care. Però aveva dovuto mentire a Roselyn, quel giorno, soprattutto perché di dirle la verità non se la sentiva. La si poteva considerare una bugia a fin di bene? Vederla così la faceva tristemente sentire meno in colpa nei confronti della sorella, che sembrava esserle ancora molto legata, nonostante la lontananza.
    Non voleva ferirla, perché dopotutto anche Evelyn era molto legata a Rose. Ma cos'avrebbe fatto più male: una bugia o una sconvolgente verità? Roselyn aveva sedici anni, e sapeva che cosa voleva dire avere sedici anni in quella casa degli orrori, che ti venivano propinati come la cosa più bella e normale dell'intero universo. Sedici anni equivalevano anche al primo anniversario di paradiso degli orrori. Lo sapeva meglio di chiunque altro, quel giorno traumatico era ancora impresso nella sua mente come se fosse accaduto poche settimane prima. Gli incubi che aveva la notte, che la facevano rimanere sveglia e non le consentivano un ciclo sonno-veglia naturale non li poteva scordare, né poteva far finta non esistessero. E se Roselyn in tutto quello non aveva fatto cenno a nulla, le ragioni potevano essere due: era d'accordo, e di conseguenza felice, con quanto avevano costruito i loro genitori, oppure mamma e papà avevano deciso di andarci piano con lei. Qualunque fosse l'opzione, Evelyn era terrorizzata.
    Terrorizzata dall'idea di ritrovarsi di fronte una sorella diversa, cambiata, maturata anche fin troppo per la sua età. Come un genitore apprensivo verso l'ultimogenito, per cui mostrava una cura iperprotettiva portata all'estremo, Evelyn sperava che la sua sorellina non dovesse affrontare tutto quello, non dovesse crescere mai per arrivare al giorno in cui tutto sarebbe cambiato. Ma sapeva che non era possibile e che non avrebbe potuto proteggerla per sempre.
    In fin dei conti lo sapeva: i suoi genitori non l'avevano allonatana soltanto perché si era rifiutata di prendere parte a quel mondo orribile, lo avevano fatto per evitare che plagiasse la mente di Roselyn e la condizionasse al punto tale da seguirla. Non era una sciocca.
    Ma il giorno in cui si sarebbero reincontrate era arrivato: senza genitori di mezzo, solo loro due. Non si aspettava una concessione tanto grande da parte dei suoi genitori, e ragionandoci sopra il terrore che fosse dovuto alla consapevolezza che Roselyn non sarebbe tornata da quel viaggio cambiata si insinuava nella sua testa come una voce di cui non sarebbe mai riuscita a disfarsi.
    «Fai silenzio, ti prego...»
    «Evelyn-sama, stiamo per avviarci all'aeroporto, vuole venire?»
    La voce di Sumire interruppe il filo di pensieri dai quali era caduta vittima. Sobbalzò, riflettendo gli occhi verdi contro il suo stesso riflesso, nello specchio che aveva di fronte. Era seduta di fronte alla propria postazione trucco per finire di prepararsi, ma si era lasciata coinvolgere da quelle emozioni contrastanti che colpivano testa e stomaco in maniera a dir poco soffocante. E non perché non mangiava da giorni, ieri sera si era costretta a mangiare un pezzo di carne perché voleva evitare di farsi vedere fuori di sé dalla sorella. Doveva fingere di stare bene, perché doveva andare tutto bene. Non importava se nella sua testa c'era una nuvola nera che la bloccava su molti fronti, lei avrebbe dovuto risultare perfetta, per non destare sospetti sulla sorella. Doveva essere una settimana perfetta per Roselyn, o non se lo sarebbe mai perdonata.
    «... sì, arrivo subito.»
    Con un fazzoletto ripulì le piccole lacrime formatesi ai lati degli occhi, sistemando al volo il trucco e, una volta data un'ultima passata di spazzola ai capelli, controllò fosse tutto al suo posto, prese la propria borsa e il trench ed uscì dalla stanza.

    [ ... ]

    L'aeroporto di Haneda lo ricordava più piccolo e meno trafficato. Era la prima volta che ci ritornava dopo la prima volta che aveva messo piede sul suolo giapponese ed i ricordi che rievocava non erano dei più piacevoli. In realtà era stata una boccata d'aria fresca ed aver ricominciato una vita lontana da Londra e dai suoi tremendi genitori le era stato d'aiuto, aveva senz'altro migliorato il suo tenore di vita al limite del masochismo, però la sensazione che si faceva spazio sul suo stomaco era di una pesantezza che non poteva ignorare. Avrebbe preferito non far trasparire un briciolo di quelle emozioni negative, ma Sumire notò l'espressione cupa e lo sguardo perso nel vuoto quando terminò di parcheggiare, dopo aver buttato un occhio sullo specchio retrovisore.
    «Va tutto bene, Evelyn-sama?»
    Sumire era uscita dalla vettura e aveva fatto in tempo a fare il giro dell'auto ed aprire la portiera ad Evelyn prima che questa si accorgesse che dovevano effettivamente scendere. Evelyn le rivolse un'occhiata sorpresa, mettendo su il sorriso più convincente del suo repertorio, annuendo.
    «Sì, è tutto apposto. Possiamo andare.»
    Erano già dentro l'aeroporto quando il suo cellulare prese a squillare. Lo recuperò dalla pochette che aveva con sé, constatando fosse proprio la sorella a chiamarla. Che fosse già arrivata? Buttò uno sguardo sul tabellone, constatando che il volo che le aveva riferito fosse il suo era effettivamente atterrato. Ciò le fece istintivamente curvare gli angoli della bocca in un sorriso incredulo: per quanto fosse tesa era davvero felice di sapere che poteva incontrare sua sorella dopo anni di lontananza ed una distanza non indifferente a separarle.
    «Rose?» rispose entusiasta, prendendo a guardarsi attorno nel tentativo di riconoscere la sorella all'uscita dal gate. «I'm at the gates' exit with our driver, she wears a black tailleur and has her hair tied up in a chignon.»
    Era facile sbagliarsi e confondersi sul proprio aspetto, occhi verdi a parte la sua fisionomia era praticamente la stessa di molte altre coetanee giapponesi, a differenza di Rose che aveva ereditato i geni del ramo paterno. Per questo descrivere Sumire sarebbe stato più efficace che descrivere se stessa. Alzò comunque un braccio, nella speranza che facendolo avrebbe aiutato la sorella a riconoscerle. «I'm raising up an arm, I don't actually know if you can see me...»

    «Parlato.»
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    I bagagli avevano impiegato il proprio tempo ad arrivare. Niente di cui lamentarsi, di solito, ma Roselyn non era lì per godersi una vacanza. Il contorno di una città esotica e parte del background di sua madre sarebbe stato carino, ma il vero motivo per cui era lì era un altro, grande quanto una ragazzina minuta e più importante dei milioni di esseri che quest’ultima chiamava concittadini.
    Quello non era il primo aereo che Roselyn aveva preso, ma era di certo quello che aveva atteso di più e quei minuti in attesa del nastro trasportatore sembravano passare più lentamente delle dodici ore di volo precedenti. Voleva la sua Evelyn. Ne aveva bisogno più che dell’aria che respirava. Aveva vissuto cinque interminabili anni in attesa di quel momento e non voleva ritardarlo un secondo di più.
    Per quel viaggio non si era fatta mancare niente. Aveva preso la valigia più grande che i suoi avessero in casa, riempiendola di vestiti e prodotti di bellezza. Niente di più del necessario, almeno secondo Roselyn. Giusto quanto servisse a rendersi irresistibili.
    A essa la ragazza aveva abbinato uno zainetto che chiunque avrebbe riconosciuto. La passione per i capi firmati era qualcosa a cui teneva e anche il resto del suo completo non era da meno. Inoltre, quella era un’occasione specia-
    “Damn!”
    La ragazza smise di avviarsi verso l’uscita, bloccandosi di colpo e tornando immediatamente sui suoi passi. La voglia di vedere Evelyn era più forte che mai, ora che le due erano più vicine di come lo fossero mai state in anni, ma Roselyn non era pronta. Dodici ore di volo avrebbero potuto aver rovinato il suo make-up, indebolito il suo profumo e rovinato il suo alito. Con qualunque altro plebeo non le sarebbe importato: avrebbe dato la colpa al viaggio e atteso fino a quando avesse potuto farsi una doccia, per poi tornare la bellezza tentatrice di sempre, ma Evelyn non era una persona qualunque. Lei meritava molto di più. Lei meritava di vederla da subito al suo meglio, di rimanere affascinata dalla sua bellezza fino a non poterle resistere. Lei meritava tutto.
    Camminando con passo svelto, la ragazza raggiunse i bagni. Aprendo la sua valigia, tirò fuori una camicia di riserva, uguale a quella che aveva in quel momento, che indossò subito dopo essersi lavata i denti, tolta quella che aveva e ripulita. Dopodiché la ragazza si lavò il viso e, asciugandosi con un telo che aveva tolto dalla valigia apposta, si truccò nuovamente.
    Un rossetto rosso seducente e un po’ di fondotinta sarebbero bastati. La ragazza voleva essere bella e avrebbe fatto attendere chiunque per diventarlo. Chiunque tranne Evelyn.
    Dopo essersi spruzzata un po’ di profumo e aver richiuso in fretta e furia il suo bagaglio, la ragazza tornò a passo svelto verso l’uscita che avrebbe preferito aver già superato. Evelyn la stava aspettando, lo sentiva. Fu per questo che la chiamò.
    «Rose?»
    «Eve!» Rispose, a dir poco entusiasta. «I’m almost heading out of the gate. Are you already here?»
    Il sorriso di Roselyn non poté che allargarsi quando sentì la risposta affermativa della sorella. Nonostante le dodici ore alle spalle, la voglia di vivere ciò che sarebbe presto accaduto era troppo forte per farle sentire anche un po’ di stanchezza.
    Uscì dal gate con un solo obiettivo: trovare sua sorella. Questa iniziò a descrivere la propria autista e a muovere un braccio e ci volle pochissimo affinché una ghoul attenta come lei notasse una sua simile fare lo stesso. Più si avvicinava verso quella donna alta e il suo braccio in movimento, più fu facile notare i lineamenti di quella faccia sempre più simile alla sua e dagli occhi così familiari.
    «I see you! Heading there now!»
    Il passo di Roselyn aumentò a mano a mano che la distanza da Evelyn diminuiva. Vederla dal vivo era stato più forte di lei.
    Abituata a vederla solamente attraverso uno schermo, Roselyn ancora non era riuscita a scacciare del tutto l’incredulità dell’incontro che aveva così tanto desiderato. Eppure, in quel momento, Evelyn era lì. Era così vicina da poter essere toccata. Così vicina non solo da sembrare reale, ma anche da esserlo. Sua sorella era lì, in carne e ossa. Roselyn, invece, era felice come lo era stata la prima volta nel Paradiso dei piaceri dei loro genitori.
    Per un istante, la ragazza si bloccò, quasi incerta sul da farsi, poi superò la distanza sociale di sua sorella, cercando di abbracciarla.
    L’avrebbe stretta forte a sé, come avrebbe voluto fare ogni singolo giorno di quei cinque lunghi anni. I loro corpi a contatto si sarebbero resi conto di quanto l’evento fosse reale, cancellando l’incredulità una volta per sempre dalle loro menti. Niente avrebbe potuto staccare Roselyn da sua sorella, se non Evelyn stessa. Istruita da sua madre, la ghoul aveva imparato presto a non avere troppa confidenza coi suoi genitori fuori dalle mura di casa e in quell’aeroporto, con troppi occhi indiscreti accanto, la ragazza sapeva bene di dover trattenere la sua voglia di amore fraterno. Nessuno, però, avrebbe detto niente per un lungo abbraccio.
    «Oh Eve!» Avrebbe detto la sorella minore, cercando di trattenere ciò che avrebbe potuto rovinarle il trucco. «I’ve missed you so much...»


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    «Parlato di Evelyn»

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    Edited by Antoil69 - 3/3/2021, 22:13
     
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    Evelyn Tiffany Applegarth
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    Tante volte nella sua vita aveva immaginato quel momento, tutte le volte lo aveva immaginato ben diverso. Evelyn aveva sperato di poter riabbracciare sua sorella molte volte, ma non avrebbe mai immaginato che ciò sarebbe avvenuto tra il terrore di vederla irriconoscibile ai suoi occhi, né si immaginava di essere così diversa da quello che era prima di partire per il Giappone.
    Agli occhi di Evelyn era tutto sbagliato, ma ciò che le premeva maggiormente, era il terrore che a Roselyn non piacesse più la nuova Evelyn. Quella Evelyn insicura, visibilmente spaventata dal mondo, quella che fingeva di stare bene quando era evidente non fosse così. Quella Evelyn che forzava sorrisi di circostanza per non pesare sugli altri, quella stessa Evelyn che un tempo era probabilmente la persona più solare e tranquilla del pianeta.
    Ora, però, le cose erano cambiate. E mentre cercava di farsi riconoscere da sua sorella col braccio alzato e il telefono poggiato all'orecchio, l'ansia la prese alla bocca dello stomaco, come un macigno che avrebbe bloccato il passaggio fino a che non sarebbe stato tolto di prepotenza. Aveva paura, era terrorizzata dal dimostrarsi una delusione per una delle uniche persona a cui aveva mai voluto bene in quel mondo scuro e spaventoso. E se anche Roselyn fosse stata diversa da come se la ricordava, probabilmente non se lo sarebbe mai perdonato. Perché era colpa sua, colpa della sua assenza, se Roselyn non sarebbe più stata quella di sempre.
    Ma quando si voltò in direzione della voce della sorella, abbassò il braccio ed allontanò il cellulare dall'orecchio, senza spegnere la chiamata in corso, perdendosi a guardare sua sorella correrle incontro. Il suo sguardo oscillava dal viso truccato in maniera fin troppo matura per una ragazza di appena sedici anni al corpo fasciato dai vestiti firmati, irriconoscibile agli occhi di una Evelyn che ricordava una ragazza ancora nel fiore dei suoi anni d'infanzia.
    Roselyn era certamente cresciuta facendosi incredibilmente bella, ma sperava fosse rimasta la stessa bambina che ricordava. Era un pensiero così egoistico che la portò istantaneamente a distogliere lo sguardo, in imbarazzo e sentendosi colpevole di aver pensato in quel modo. Non poteva imporsi su di lei, non poteva pensare che ciò che voleva Rose dovesse necessariamente corrispondere a quello che voleva lei come sua sorella, e questo la fece sentire metaforicamente uno schifo. Ci pensò l'abbraccio in cui Roselyn la trascinò a scacciare ogni dubbio, quantomeno momentaneamente.
    Se non fosse stata una bravissima persona a trattenere esplosioni di emozioni, probabilmente sarebbe scoppiata in lacrime. Gli occhi chiari erano comunque imperlati da un leggero strato umidiccio, che non volle per nessuna ragione al mondo che si abbandonasse in qualche lacrima. Era felice, non poteva negarlo.
    Ricambiò l'abbraccio, carezzando la schiena della sorella.
    «I missed you, too.»
    Il tono della sua voce era soffocato da un visibile groppo in gola. Groppo che Sumire percepì e che la portò a poggiare una mano sulla sua spalla libera, dandole qualche lieve colpo come se volesse rassicurarla. Dopo un po', Sumire si avvicinò ai bagagli di Roselyn, per prenderli e tenerli al sicuro, lontano da borseggiatori vari.
    «Welcome here, Roselyn-sama.»
    Sumire sembrava un robot quando parlava: inflessibile, di poche parole, abbandonata ad una professionalità quasi innaturale. Se ci si metteva col suo inglese non esattamente perfetto, contaminato dal forte accento giapponese, poteva quasi essere paragonata a Google traduttore che tentava di leggere fonemi mai visti né sentiti prima. Ciò fece ridacchiare Evelyn, che sciolse l'abbraccio e decise di passare alle presentazioni ufficiali.
    «Rose, she's Sumire, our all-rounder.»
    Non poteva definirla solo autista, era molto più di quello. Sumire rivolse un cordiale sorriso alla ragazza, chinando il capo in segno di rispetto.
    «Non vorrei interrompere tutto, ma dovremmo andare.»
    «Oh, già, è vero.»
    Parlare in giapponese era diventato molto più che istintivo, ma quando Evelyn se ne accorse, tentò di riparare con un sorriso imbarazzato, prendendo la mano di Roselyn. «She said we have to go, probably we'll stop at your hotel and then we'll head home so that we can present you our grandparents.»
    Sumire rivolse loro un'espressione tranquilla, prima di far cenno ad entrambe di seguirla, carica dei bagagli di Rose, in direzione dell'auto.

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    Per la prima volta dopo troppo tempo i due corpi si unirono in un abbraccio. Roselyn strinse la sua Evelyn con tutta la forza che potesse farle sapere quanto le fosse mancata e tutta la delicatezza che servisse a non far male a una persona per lei così preziosa.
    Aveva fatto il giro del mondo per quell’abbraccio e, a giudicare dal modo in cui sua sorella stesse ricambiando, ne era valsa la pena. Non era neanche arrivata, ma se fosse stata sicura di riportarla a Londra con così poco, sarebbe partita in quel preciso istante diretta verso la sua vita normale.
    «I missed you, too.»
    Anche solo quelle parole, quel sentirsi benvoluta, era speciale. Tuttavia, la cosa più speciale era poterselo finalmente sentir dire di persona.
    Quasi in maniera istintiva, le mani di Roselyn iniziarono a muoversi leggermente lungo la schiena di Evelyn. Non era ancora il momento per abbandonarsi a certe attività, ma poter finalmente toccare con mano il corpo di sua sorella, anche solo in punti poco sensibili, anche solo per confermare il fatto che tutto ciò fosse vero, sarebbe bastato per il momento.
    Anche il profumo di Evelyn era meraviglioso. Lei era meravigliosa. Quell’intero momento era meraviglioso.
    Anche Roselyn sentì il groppo in gola di sua sorella, rispondendo con qualche leggera pacca sulla schiena. Non disse niente, in quanto Eve non aveva davvero iniziato a piangere, ma era suo dovere consolarla comunque. Fu un piacere notare che, nonostante tutti questi anni e tutta questa distanza, le due avessero qualcosa di simile nel loro modo di volersi bene e controllare le emozioni nonostante ciò. Ci sarebbe stata una settimana intera per lasciarsi andare. Qualche istante d’iniziale rigidità non sarebbe stato la fine del mondo.
    Fu allora che la sentì rovinare tutto. Di chi era quella mano che osava toccare sua sorella? Aveva potuto capire poco su chi avesse spinto la sua Evelyn a staccarsi da lei, ma certamente quel gesto non le era piaciuto.
    La minore aveva pensato che fosse solamente la loro autista, ma quanto la maggiore la presentò come la loro all-rounder, capì che probabilmente avrebbe avuto modo d’incontrarla spesso, in quella settimana e nelle sue future visite, semmai i suoi genitori l’avessero permesso. Mum e Dad, però, erano molto buoni. Magari, quella sarebbe stata la prima di tante visite. Magari, prima o poi, sarebbero andati a Tokyo tutti insieme. Perhaps. Per il momento, l’unica cosa importante era rimanere con Evelyn e godersi appieno ogni momento con lei.
    «Piacere di conoscer...la, Sumire-san.» Esordì la ragazza in un giapponese abbastanza incerto. Roselyn poteva anche essere giapponese per metà, ma i suoi genitori l’avevano educata come se fosse totalmente inglese, se non per qualche piccolo retaggio della cultura materna. La lingua era una delle lacune che Roselyn si era ritrovata a colmare e l’avere solamente un’interlocutrice, per quanto madrelingua, con cui praticare aveva reso il processo di apprendimento abbastanza complicato. Essendo utile per un viaggio del genere, Roselyn si era impegnata per anni per capire quanto di più possibile di quella lingua, ma quella era la prima volta in cui le sarebbe servito davvero e le formalità ancora non erano del tutto chiare a una parlante nativa di una lingua senza neanche un pronome di cortesia.
    Chissà che cosa avrebbe pensato Evelyn di quel gesto. La sorella minore sperava con tutta sé stessa che quel gesto potesse metterla in una luce ancora migliore ai suoi occhi. L’avrebbe sorpresa? Sarebbe stata contenta di non dover fare da traduttrice costantemente? L’idea di usare la propria inettitudine nella lingua per tenersi vicina la propria sorella era allettante, ma forse così sarebbe stata orgogliosa di lei. Dopotutto, l’opinione di Evelyn sarebbe valsa molto più di quella della plebaglia comune.
    Per quanto riguardava Sumire, invece, si sarebbe ricordata il suo nome solamente nella misura in cui avesse riguardato Evelyn. Certo, le aveva sorriso, si era leggermente chinata come suggerito da sua madre e aveva anche deciso, nel nome di sua sorella, di perdonarle quel primo smacco, se non si fosse ripetuto. Tuttavia non era Evelyn, quindi non era importante. E sì, la ragazza aveva notato il fatto che Sumire avesse preso in custodia i suoi bagagli, assicurandosi che a nessuno venisse in mente di allungare le mani. Tuttavia, Sumire era una donna di servizio e quello era il minimo che avesse dovuto fare. Niente di speciale.
    «She said we have to go, probably we'll stop at your hotel and then we'll head home so that we can present you our grandparents.»
    A lei, invece, era necessario rispondere.
    «All right, then.» Disse la ragazza, sorridendo alla sua interlocutrice. «Let’s go!»
    Se sua sorella avesse seguito la sua all-rounder, Roselyn avrebbe fatto altrettanto standole accanto. Poter finalmente lasciarsi alle spalle qualunque cosa le ricordasse quel volo eterno sarebbe stato gradito, in fondo. Dopotutto, non era venuta a Tokyo per prendere un aereo, ma per ciò verso cui quell’aereo l’avrebbe portata. La parte più bella del viaggio stava per iniziare.


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    "Pensato"
    «Parlato di Evelyn»

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    Se avesse saputo quanto Roselyn ci fosse rimasta male per la brusca interruzione, probabilmente avrebbe chiesto a Sumire di avere più riguardo. E non avrebbe comunque assunto connotati di rimprovero, piuttosto tentava di avvisare l'altra di come la sorella non avesse apprezzato. Ma Roselyn se l'era cavata egregiamente a nascondere il proprio disappunto tanto che Evelyn non se n'era minimamente accorta. Per quanto anche per lei avere modo di approfittare di ogni istante possibile per sopperire agli anni di lontananza e assenza fosse essenziale, si rendeva conto che avevano altre priorità al momento e di stare in mezzo ad un aeroporto, con il via-vai di gente e il vociare assordante che ti confondeva, beh, non era proprio il massimo. Avrebbe preferito stare più tranquilla, lontana dalla gente, per godersi la compagnia di sua sorella dopo tanto, troppo tempo. Perciò quando Sumire le condusse verso l'automobile che le aspettava fuori al parcheggio, Evelyn era estremamente tranquilla. Non la tangeva di essere stata interrotta, perché avrebbe avuto modo di dedicare il suo tempo a Roselyn nel miglior modo possibile, una volta chiuse tra quattro mura, fossero state quelle dell'auto, quelle della suite d'albergo cinque stelle o quelle dell'attico di suo nonno. In qualsiasi caso, sarebbero state meglio.
    E se Evelyn la pensava in questo modo, Roselyn non sembrava essere dello stesso avviso. Avrebbe dovuto pazientare, purtroppo non era molto capace di carpire simili disagi, da quando combatteva ogni giorno contro i propri era diventato quasi impossibile accorgersi dei disagi degli altri, anche se le sarebbe piaciuto essere più attenta. Specie con Roselyn, a cui voleva ancora molto bene, nonostante tutto.
    Vederla di persona, finalmente, le aveva dato modo di rilassarsi a dovere, lasciando che le proprie spalle fossero meno rigide e per quanto il nodo che le attanagliava la gola non sembrava ancora essersi sciolto del tutto, più i minuti passavano, maggiore era la sensazione di sollievo provata. Era rimasta particolarmente sorpresa di come fosse riuscita a parlare in giapponese: aveva percepito delle difficoltà nella formalità, ma tutto sommato non era andata male, forte accento britannico a parte. Le rivolse un sorriso e, mentre ancora si stavano incamminando verso il parcheggio, le si avvicinò ad un orecchio, sussurrandole un «good job with your japanese studies.»
    Non sapeva che la loro madre si fosse impegnata per insegnarglielo: forse partiva prevenuta essendo che lei era stata spedita in Giappone senza la benché minima conoscenza della lingua, ma probabilmente Chihiro si era ricreduta dopo aver constatato che fosse necessario per sua figlia impararlo. Ciò non toglieva che fosse davvero orgogliosa di Roselyn: non era semplice e lei lo sapeva meglio di chiunque altro.
    Raggiunsero la vettura: Evelyn non aveva lasciato la mano di Roselyn per un solo istante e Sumire si era guardata attorno e premurata che non ci fossero eventuali pericoli a minacciare la tranquillità delle due. Una volta raggiunta l'auto, Sumire lasciò incustoditi per qualche istante i bagagli della più piccola delle due, per andare ad aprire loro la portiera posteriore sinistra, per dar loro modo di prendere posto nella vettura. Evelyn fece cenno a Roselyn di accomodarsi all'interno per prima, mentre Sumire aveva aperto il bagagliaio, per poter sistemare le valigie.
    Una volta tutto sistemato, l'auto partì, destreggiandosi per il parcheggio fin fuori dall'aeroporto.
    «I bet grandma will be surprised when she'll see you.»
    Nonna Kasumi era rimasta sorpresa di quanto Evelyn somigliasse a Chihiro, al punto da essersi quasi commossa nel rivedere una Chihiro in miniatura, con due gemme verdi al posto dei classici occhi scuri tipicamente asiatici. Ed avendo parecchio sofferto della lontananza con la figlia, era rimasta particolarmente scossa nel vedere Evelyn la prima volta, anche se aveva cercato di trattenersi il più possibile per non farla sentire a disagio. Ma non poteva immaginare quanto Rose avesse preso per niente da sua figlia e, piuttosto, fosse la copia sputata di loro padre. Essere una famiglia di quel genere era parecchio strano: molte persone credevano non fossero sorelle per quanto diverse erano tra di loro, ma ormai Evelyn ci aveva fatto il callo. Nonna Kasumi, però,sarebbe rimasta, con grandi probabilità, davvero molto, molto sorpresa.
    «By the way» continuò subito dopo, rivolgendo un sorriso candido e felice alla sorella seduta accanto a lei, «how was the flight?»
    Immaginava non fosse semplice affrontare tutta da sola un volo tanto lungo. Sicuramente il comfort di un aereo in business class gliel'aveva sicuramente fatto vivere meglio, ma non metteva in dubbio fosse stancante. Tant'è che, conscia di quanto potesse essere esasperante un viaggio simile e genuinamente preoccupata per lo stato di sua sorella, aggiunse un premuroso «If you're tired, we can stop at the hotel and let you sleep a bit. They won't be mad at all.»
    La priorità per Evelyn andava ovviamente a sua sorella. Era sempre stato così e un po' gli anni di distanza che aveva vissuto l'avevano resa sì arruginita, ma persino più apprensiva di quanto non fosse stata prima di partire per il Giappone. Aveva il timore di non essere più la brava sorella di un tempo, e anzi, aveva persino il timore di non esserlo mai realmente stata. Per questo, forse, la premura rivolta a Roselyn era più accentuata di quanto lo fosse stato in passato.

    «Parlato.»
    "Pensato."

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    Stringere la mano di Evelyn era un’emozione che Roselyn non provava da troppo tempo. Era giusto separarsi dall’abbraccio fraterno per il poco tempo che le avrebbe separate dal loro prossimo momento d’intimità. Era anche bello, però, sentire che quel desiderio, a lungo sentito e amplificato dal tempo trascorso, di stare insieme all’altra fosse ricambiato. Quel piccolo gesto per Roselyn aveva un significato immenso e da solo bastava per convincersi del tutto che privarsi dell’affetto dei propri genitori per una settimana valesse la pena. Una volta chiuse tra quattro mura, lei ed Evelyn avrebbero potuto fare qualunque cosa avessero desiderato in questi lunghi anni. L’impazienza, però, era tanta e, per quanto non si potesse leggere nel volto di nessuna, quelle due mani incapaci di lasciarsi bastavano per esprimere qualunque desiderio anche senza parole.
    «Good job with your Japanese studies.» Un sorriso compiaciuto si delineò subito dopo nel volto della bionda. Quanto impegno aveva mostrato per imparare quella lingua? Quante ore che avrebbe potuto spendere per perfezionare il suo talento canoro erano state, invece, date alla causa? Non lo sapeva. Probabilmente non l’avrebbe mai saputo. Non le importava un granché, dato che quelle ore erano diventate un modo per passare più tempo con sua madre, ma in quel momento qualunque sforzo era valso la pena.
    «Thanks, Eve.» Rispose, dissimulando in parte il peso che attribuiva a ciò che le era stato detto. Il suo scopo principale, impressionare sua sorella con qualcosa che avrebbe potuto rendere la loro vacanza insieme molto più gradevole, era riuscito. Tutto il resto sarebbe stato accessorio.
    L’ultima volta in cui le sorelle Applegarth erano salite su un’auto insieme era stato il giorno in cui la maggiore era partita per Tokyo. Roselyn ricordava poco di quel giorno, se non le lacrime e di essere rimasta abbracciata a Evelyn finché aveva potuto, quasi come se temesse che il lungo viaggio della sorella si rivelasse eterno. La sua predizione, alla fine, si era rivelata esatta. Tuttavia, l’importante in quel momento era ripetere l’esperienza. Quell’eterno viaggio aveva creato un vuoto che ora le due erano chiamate a riempire in una settimana. Probabilmente i giorni venturi sarebbero stati intensi e Roselyn sperava proprio che lo fossero.
    «I bet grandma will be surprised when she'll see you.»
    «I bet that too.» Rispose la sorella minore, tenendo per sé il fatto che la cosa, probabilmente, sarebbe stata reciproca. Dopotutto, non è che la giovane Applegarth avesse mai visto prima la donna che ora ospitava Evelyn. Mamma Chihiro non aveva mai parlato troppo a sua figlia della sua vecchia vita a Tokyo. Aveva sempre detto lo stretto necessario, soffermandosi sul presente e su ciò che era successo da quando aveva lasciato il Giappone. In effetti, fino a qualche giorno prima, l’unico modo che aveva avuto Roselyn di conoscere il volto dei suoi nonni materni era stato attraverso qualche foto trovata per caso nel profilo di Evelyn. A malapena sapeva il suo nome ed era stata rassicurata che fosse una brava persona. Incredibile ma vero, tutto ciò era vero anche della dolce metà di costei. Ripensandoci, l’unica dolce metà giapponese che Roselyn conosceva era la sua.
    «By the way, how was the flight?»
    Se non fosse stato per sua sorella, rispondere a quella domanda sarebbe stato facile. Purtroppo, però, l’eccitazione e il jet lag ancora annebbiavano la mente della ragazza. In quel momento, Roselyn si sentiva come se avesse potuto continuare a stare sveglia per giorni. Probabilmente, non appena Evelyn si fosse allontanata, al suo ritorno l’avrebbe trovata sopraffatta dal sonno. Cose troppo complicate e fastidiose a cui pensare quando rivedi per la prima volta in cinque anni qualcuno come Eve.
    «I’ve never flown for so long before.» Rispose, facendo trasparire affetto dal sorriso con cui ricambiava quello della sorella. Si sarebbe lamentata con chiunque altro. Tutta quella mancanza di sonno avrebbe fatto bene solo alla sua estetista una volta tornata a Londra e la sua pelle e i suoi occhi ne avrebbero sofferto. Tuttavia Evelyn non era chiunque altro. Lei meritava una storia. Una storia su come avesse speso ore a guardare film che aveva scaricato per tempo e che non erano riusciti a sviare Roselyn dal suo chiodo fisso. Una storia su come quelli non fossero film da ragazzina di 16 anni e che ciò che avrebbe spaventato molte sue coetanee le aveva messo un certo appetito. Forse alcune di quelle cose erano state omesse nel suo racconto, ma forse non sarebbe passato molto tempo prima di poter dire anche le parti mancanti. Presto la relazione tra le due sarebbe diventata molto più intima di quella permessa dalla tecnologia. Allora molte cose sarebbero state dette e fatte. Roselyn aveva pazientato per anni: qualche ora in più non sarebbe stata un problema.
    «If you're tired, we can stop at the hotel and let you sleep a bit. They won't be mad at all.»
    Il pensiero non era ancora abbastanza allettante, né la priorità di quel momento. Roselyn non aveva fatto dodici ore di volo per andare subito a dormire, né voleva che sua sorella ricordasse di aver trascorso i primi momenti insieme a lei in Giappone a guardarla dormire. In altre occasioni, a Rose sarebbe piaciuto. Tuttavia, la ragazza aveva capito subito quanto fosse importante essere certi di poter esternare determinate tendenze e, stando a quello che i suoi genitori si erano raccomandati, con sua sorella sarebbe stata anche più cauta del solito.
    «I can keep up for a bit more, don’t worry.» Disse la bionda, dissimulando qualunque pensiero scomodo e sperando che questi rimanessero tali per il minor tempo possibile. «We can go meet our grandparents. I’ll sleep later.»
    Quante persone si sarebbero stupite di una risposta del genere da parte di Roselyn Applegarth? Nessuna, ovviamente. Le uniche tre persone degne di questo nome se la sarebbero sentita dire fino allo sfinimento. Tutte le altre, in fondo, non erano persone.


    «Parlato»
    "Pensato"
    «Parlato di Evelyn»

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    Edited by Antoil69 - 4/4/2021, 10:06
     
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    Evelyn Tiffany Applegarth
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    Il terrore che tutto fosse cambiato assillava costantemente la mente di Evelyn, che cercava di non lasciar trasparire quanta ansia e preoccupazioni la stessero assalendo. Evelyn si era perfettamente abituata a nascondere come si sentiva: era una ghoul, già solo quello implicava il doversi adattare a forza ad una società che vedeva quelli come lei soltanto come mostri. E il fatto che lei stessa condividesse quel pensiero la faceva rimanere ancor più all'erta. Attenta su ogni cosa, quasi maniacale. Anche il sorriso che rivolgeva a Roselyn, era talmente preciso che dubitava non suscitasse qualche dubbio.
    Ma doveva farlo. Non poteva abbandonarsi ai pianti, alle ansie che la assalivano notte e giorno, ai timori che tutto ciò per cui aveva lavorato duramente fosse inesorabilmente andato in frantumi, ed impossibile da recuperare. Lei credeva che Roselyn potesse ancora essere salvata da quel mondo orribile, le voleva troppo bene per abbandonarla a se stessa e non permetterle di vivere in modo migliore. In questo Evelyn sapeva di non essere cambiata: il suo amore fraterno era, forse, l'unica cosa realmente rimasta intatta dal giorno in cui aveva abbandonato il Regno Unito per giungere spaventata e confusa in Giappone.
    Roselyn le era apparsa sempre la dolce Roselyn di sempre. Non sapeva cosa fosse accaduto, non aveva idea di cosa avessero fatto i loro genitori, se avessero desistito dal loro malsano sogno nel cassetto, lei non poteva saperlo: parlava soltanto con Rose, e Rose sembrava essere stata particolarmente cauta e attenta in tutto quel tempo. Se i loro piani erano andati come sperava non fossero andati, probabilmente Rose aveva fatto il suo ingresso nel paradiso da un anno. E quell'anno poteva significare che a lei stava bene-- doveva smetterla di pensarci. Non era il momento di incupirsi e pensare al peggio, doveva solo godersi il momento. Sapeva che prima o poi sarebbe arrivato il momento di affrontare quel discorso, sapeva di non avere scelta, e la paura di realizzare cose spiacevoli le toglieva il respiro, ma non era quello il momento adatto. Avrebbe atteso come una farfalla attendeva di essere divorata dal ragno una volta caduta in quella gigantesca ragnatela. Una trappola che sapeva esistere, ma che non era riuscita ad evitare.
    Doveva affrontare la realtà.
    «As you wish, we're completely at your service for these days, so do whatever you want.»
    Ancora una volta il tono di Evelyn risultava inspiegabilmente tranquillo, completamente in contrasto con ciò che pervadeva la sua mente. Riusciva a staccarsi dalle preoccupazioni in maniera quasi impeccabile, temprata dai traumi del proprio passato. Sorridere e annuire, fingere che fosse tutto perfetto, era stata abituata così. Le volte in cui si abbandonava a piangere ormai si potevano contare sulle dita di una mano sola, perché era abituata a stare in compagnia e non voleva pesare sugli altri. «When I told them of your trip in here, they were so happy that grandma started crying. She wanted to see you so badly, ahaha.»
    Nonna Kasumi era un raggio di sole che brillava di emozioni, era un libro aperto. Probabilmente la persona più emotiva che conoscesse, di cui era facilissimo intuire cosa provasse o pensasse. Era incapace di trattenere la gioia, la rabbia, la tristezza o la frustrazione, era una donna straordinariamente buona e sensibile. Probabilmente la migliore persona che avesse avuto modo di conoscere, e di persone ne aveva conosciute tante. Invidiava la sua spontaneità, la sua dolcezza, la sua vitalità: erano tutte caratteristiche che sentiva non le appartenessero eppure le sarebbe piaciuto essere proprio come lei. Era davvero la donna più bella del mondo, ai suoi occhi.
    «They told me to shut up until your arrive at your suite, but they prepared a surprise for you. I don't know what they did either, so I'm particularly excited! Can't wait to get there and see what they did.»
    Erano brave persone, Evelyn lo aveva compreso dopo anni di convivenza. Aveva sentito più amore da loro, nonostante l'essere terribilmente chiuso di suo nonno, che dai propri genitori, pur sapendo che in fin dei conti dovevano volerle bene se non l'avevano ammazzata, anziché spedirla in Giappone. E sperava vivamente che Roselyn si accorgesse di che persone stupende avessero come nonni materni, e che ciò in qualche modo le facesse capire perché aveva scelto quella vita anziché la vita in paradiso: cosa c'era di meglio di un amore genuino? Niente e nessuno avrebbe potuto sostituire ciò che i coniugi Maki le avevano dato.
    «Sto entrando nel parcheggio, siamo arrivate in hotel.»
    Sumire avvertì Evelyn dell'imminente arrivo, perciò volse un sorriso a Roselyn.
    «We're almost there, would you like to see your room and fresh yourself off? If not we can stay here and wait until your luggage are safe at your room, then leave.»
    Il volere di Roselyn in quel momento valeva più di quello di qualunque altro: era stata una pessima sorella maggiore fino a quel momento, avrebbe rimediato ai suoi errori dimostrandosi migliore in quei giorni.

    «Parlato.»
    "Pensato."

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    Roselyn Charlotte Applegarth
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    Evelyn totalmente al suo servizio, condiscendente a tutto ciò che Roselyn avesse voluto fare… Da quanto tempo quella fantasia era insita nella mente della ghoul? Abbastanza da far notare anche a sé stessa quanto un sorriso tendesse a formarsi nelle sue labbra quando ci pensava. Nella solitudine della sua stanza, illuminata solamente dallo schermo del suo cellulare, quanto spesso era rimasta a desiderare un’occasione come quella? In quel preciso istante, però non era lì. Era finalmente accanto a Evelyn, più vicina al suo sogno di quanto non fosse mai stata. Eppure non era ancora il momento.
    “I have to be patient.” Pensò la ragazza, mentre tratteneva il sorriso e la sua immaginazione. Roselyn amava i pensieri che stava cercando di sopprimere, ma l’unico modo per realizzarli sarebbe stato andare per gradi. Prima o poi anche Evelyn avrebbe visto quel sorriso, per ora sconosciuto forse anche ai loro genitori. Prima o poi Roselyn si sarebbe liberata di quel peso e sua sorella sarebbe ritornata accanto a lei, in quella Londra che era il posto di entrambe e alla quale, un giorno, entrambe avrebbero fatto ritorno insieme. Quel giorno, quando anche la sorella maggiore avrebbe ricambiato tutti i sorrisi della minore, sarebbe presto arrivato. Roselyn sapeva poco del perché i suoi genitori le avessero detto di essere cauta, ma sarebbe stato il caso di assecondarli finché non avesse capito meglio. Per il momento, i sorrisi dolci e innocenti sarebbero bastati.
    «When I told them of your trip in here, they were so happy that grandma started crying. She wanted to see you so badly, ahaha.»
    Il sentimento era reciproco. La madre di Roselyn le aveva parlato molto poco dei suoi natali e quella sarebbe stata un’occasione d’oro per approfondire la conoscenza sull’argomento. Nonna Kasumi era sia l’ospite di Evelyn sia sua nonna, quindi doveva essere per forza una brava persona. Dopotutto, anche Mamma Maki aveva detto qualcosa di simile.
    «They told me to shut up until your arrive at your suite, but they prepared a surprise for you. I don't know what they did either, so I'm particularly excited! Can't wait to get there and see what they did.»
    Da qualche settimana fino a quel momento, le sorprese per Roselyn si erano rivelate molto meglio del previsto. Soprattutto quando riguardavano la sua famiglia. Gli Applegarth sapevano sempre come stupire, pensò la ragazza, mentre cercava d’immaginare che cosa la stesse attendendo alla suite.
    In quel momento, fidandosi totalmente della sorella, capì perché lei volesse tanto portarla alla sua suite prima del tempo. A una parte di Roselyn sarebbe piaciuto scoprire che la sorpresa fosse Evelyn stessa, ma non ci contava. Qualunque cosa fosse, però, doveva davvero incuriosirla. La sorella minore, inoltre, non è che avesse altro da fare, quando la maggiore chiedeva. Per la prima volta dopo anni le due avrebbero potuto fare qualcosa insieme di persona e, data l’insistenza di Eve, Rose non avrebbe di certo negato.
    «You got me curious too.» Disse la bionda. «Let’s go, then!»
    Infatti, poco dopo, la tuttofare di Evelyn avvertì le due del loro arrivo all’hotel.
    «We're almost there, would you like to see your room and fresh yourself off? If not we can stay here and wait until your luggage are safe at your room, then leave.»
    Neanche questa volta Roselyn aveva un’opzione preferita: non era ancora il momento per ciò che le sarebbe interessato davvero, ma sua sorella aveva dimostrato di voler vedere la suite, quindi perché non accontentarla?
    «We've got plenty of time, haven't we?» Rispose la sorella minore «We could stay at the suite for a bit, if you’d like. That way we could see their surprise and thank them accordingly later on. What do you think?»
    In un certo senso, lo stava facendo per lei. Per quanto a Roselyn piacesse ricevere doni dagli altri e da sé stessa, per Evelyn avrebbe volentieri riscoperto la gioia del dare. Probabilmente l’automobile si sarebbe fermata all’hotel, ma la giovane Applegarth si sarebbe mossa solamente accanto a sua sorella maggiore. Tuttavia, nel profondo, Roselyn sperava che costei dicesse di sì. Dopotutto, da quanto le due non avevano condiviso un momento da sole? Certamente non da quando il desiderio d’incontrarsi si era arricchito di dettagli molto... divertenti.


    «Parlato»
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    «Parlato di Evelyn»

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    Evelyn Tiffany Applegarth
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    Tutto ciò che Evelyn avrebbe fatto in quelle giornate, lo avrebbe fatto per sua sorella, com'era solita fare quando il luogo che chiamava casa era la villa Applegarth a Londra, o la vecchia casa dei nonni paterni a Wallsend. Era passato troppo tempo, troppo tempo distanti per potersi ricordare come ci si sentisse a vivere per proteggere Roselyn. Ricordava a stento gli ultimi giorni passati a Londra, i giorni che avevano succeduto il suo quindicesimo compleanno e quello che era stato il pesante trauma che ancora oggi le comportava squilibri che avrebbe preferito non dover affrontare giornalmente. Il desiderio di salvare Rose da quello che sarebbe stato il suo futuro vivendo con i loro genitori era forte e reale, ma non abbastanza da mantenersi forte nel corso degli anni, spezzato irreparabilmente dalle volontà di chi era più forte di loro.
    Sapeva che sua madre e suo padre non le volevano male. Ne era fin troppo consapevole, i tentativi di chiamarla appena ne avevano la possibilità e i regali che le facevano recapitare ogni anno per le occasioni più importanti sembravano raccontare di un forte amore genitoriale che, nonostante le divergenze, non era mai stato spezzato. Eppure Evelyn era terrorizzata. La sua coscienza le diceva di stare calma, il volto imperscrutabile quasi quanto quello di una bambola di porcellana non lasciava intendere quanto fosse ansiosa, quanto fosse spaventata da tutto quello. L'abbraccio in cui si erano abbandonate poco prima, quando Rose aveva appena calcato il suolo nipponico, era bastato per far scuotere dentro di sé tutto ciò che aveva sempre desiderato mantenere invariato. Un tumultuoso cuore pieno di emozioni che, segregato come si era imposta fosse, era stato scoperchiato con un solo tocco, l'abbraccio di sua sorella.
    Da quell'abbraccio, Evelyn aveva cominciato a sentirsi irrequieta. Il dubbio di non essere più la Evelyn meritevole dei sorrisi di Roselyn la assaliva e non abbandonava la sua mente per un solo istante. Tentava di celare il suo stato d'animo sotto gli occhiali da sole e il sorriso che forzava verso Roselyn, perché non poteva permettersi di accoglierla con le lacrime agli occhi e la costante paura di non essere all'altezza delle aspettative altrui. Era difficile, faceva molto più male di quanto immaginasse, e forse non era il modo migliore per accogliere sua sorella dopo anni di separazione, ma non poteva fare diversamente. Avrebbe vergognosamente mentito e reso tranquillo il soggiorno di Rose, piuttosto che sputare fuori la dolorosa verità che la perseguitava.
    Perciò nascondeva tutta quella paura dietro un dolce sorriso che avrebbe riservato solo ed esclusivamente a Rose. In quel momento non c'era nessun altro al mondo che meritasse quel sorriso quanto se lo meritava Roselyn, e non c'era modo che qualcosa potesse cambiare il punto di vista della sorella maggiore.
    «Okay, so» riprese a parlare, mentre il suo sguardo si spostava a guardare prima Sumire fuori dall'auto che recuperava i bagagli, alla sorella minore seduta accanto a lei, «we should go out the car and follow Sumire all the way to your suite.»
    Evelyn batté delicatamente le nocche della mano sinistra, ora chiusa in un morbido pugno, contro lo spesso vetro oscurato dell'auto di servizio, per attirare l'attenzione di Sumire, la quale aprì il bagagliaio per prendere le valigie di Rose, rivolgendo uno sguardo di cortesia alle due sorelle.
    «Saliamo anche noi in camera, Rose vuole vedere la sorpresa dei nonni.»
    Sumire rimase per un momento attonita dalla notizia, probabilmente conscia del fatto che Rose non avrebbe dovuto sapere del regalo dei coniugi Maki, ma si astenne dal muovere qualsiasi commento. Piuttosto annuì, tirando fuori i bagagli, fece qualche segnale a due uomini che stavano camminando a passo sostenuto verso la loro vettura e una volta lasciati i bagagli in mano loro, la donna si diresse verso la portiera posteriore destra per aprirla, rivolgendo un cordiale sorriso alla minore delle sorelle.
    «Please» mormorò la donna, con una pronuncia piuttosto maccheronica. Evelyn, che aveva sempre preferito arrangiarsi (le inutili ed esagerate cortesie di Sumire non le erano mai piaciute, preferiva essere trattata come una persona normale), aprì lo sportello dal proprio lato, scendendo da sé dalla vettura ed aspettando che Roselyn facesse lo stesso.
    Salutò con un pacato cenno del capo i due uomini che, nel frattempo, si avviarono verso l'ascensore del parcheggio per portare i bagagli di Rose al sicuro il prima possibile. Evelyn rivolse il proprio sguardo alla sorella e a Sumire, per poi guardarsi intorno.
    «We should go now, right?» domandò, per poi riavvicinarsi a Roselyn, avvolgendo il proprio braccio sinistro intorno al destro della bionda, riservandole un sorriso quanto più allegro riuscisse a produrre. «I can't wait to see the surprise!» cinguettò infine, facendo cenno a Sumire di avviarsi.

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    Roselyn Charlotte Applegarth
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    Chissà che sorpresa le avevano preparato i suoi nonni... Per quanto riguardava Roselyn, qualunque oggetto materiale, per quanto bello, non sarebbe stato comparabile con sua sorella, ma proprio costei sembrava voler vedere che cosa si trovasse nella suite. Lo stava facendo per lei, per la sua compagna d’infanzia e di vita, ma non si poteva dire che lei stessa non fosse curiosa.
    Roselyn non aveva mai incontrato i suoi nonni, quindi in parte si chiedeva che regalo potesse trovarsi nella sua suite ad aspettarla. Certo, con loro si trovava Evelyn, la sua confidente per eccellenza insieme a sua madre, ma ciò rendeva il tutto ancora più interessante. A Roselyn piaceva ricevere regali e quello sarebbe stato sicuramente gradito.
    Il tragitto verso l’hotel non fu lungo. Presto il mistero sarebbe stato svelato. Roselyn annuì alle indicazioni della sorella e sorrise alla tuttofare di costei quando le aprì la portiera. Farlo era il suo dovere, ma sorridere un’altra volta a quella plebea avrebbe permesso alla bionda di non sfigurare con Evelyn. Il tutto sarebbe andato a suo vantaggio alla fine. Perfino un «Arigatō gozaimasu» non sarebbe stato sprecato, se Eve l’avesse sentito, quindi perché non tentare?
    Roselyn si guardò intorno per un attimo. Nonostante non le importasse un granché del posto in cui avrebbe alloggiato, sarebbe stato bene riconoscerlo o trovare un angolo abbastanza carino per una foto con sua sorella. I suoi profili social non avrebbero di certo fatto passare in sordina il fatto che lei si fosse ricongiunta con la sua dolce metà. Avrebbe immortalato centinaia di momenti con lei, pubblicandone alcuni e tenendo per sé i più importanti, come mangiare qualcosa di buono insieme o giocare col braccio appena staccato di qualcuno… Foto delle due intente a fare di tutto sarebbero finite o sui social o su un SSD comprato per l’occasione come posto sicuro per conservare quelle che, pur troppo belle per non essere cancellate, non avrebbero mai dovuto diventare di dominio pubblico. Presto anche quelle sarebbero state scattate. “Molto presto...”
    «We should go now, right?»
    La giovane Applegarth venne riportata alla realtà da sua sorella maggiore. Costei le si era avvicinata e le si stava avvinghiando al braccio destro affettuosamente. Lungi da Roselyn pensare di scacciarla.
    «I can't wait to see the surprise!»
    Una volta finito l’effetto sorpresa, la ghoul strinse a sua volta il braccio di sua sorella.
    «I can’t wait either!» Rispose allegramente. «Let’s get there!»
    Tuttavia, la ragazza non si mosse. Non sapeva dove andare, né avrebbe voluto essere altrove in quel momento. Ci sarebbero stati posti migliori in cui condividere il proprio tempo con sua sorella, ma già il fatto di essere con lei era abbastanza, per il momento.
    Roselyn non sarebbe andata da nessuna parte, ma avrebbe seguito Evelyn docilmente ovunque, sempre con lo sguardo perso a guardare sua sorella, la strada e tutto ciò che avesse avuto intorno, alla ricerca del posto perfetto per immortalare quel momento così bello.
    «We should take a picture, Eve.» Avrebbe detto la sorella minore, sia che le due si fossero mosse sia che fossero rimaste dov’erano. Roselyn sapeva già di dover assolutamente mandare la prima foto a sua madre. Chissà quanto sarebbe stata contenta di rivedere le sue due figlie insieme dopo anni. La mente della ghoul deviò di nuovo, immaginando la faccia di sua madre una volta ricevuto il dono. Sarebbe stato bello vederla, ma si sarebbe accontentata della festa in stile Applegarth che costei aveva promesso al suo ritorno, quella organizzata come scusa per non aver potuto seguirla da Evelyn.
    Sì, sarebbe stato bello vedere per una volta tutti insieme, ma il suo sogno sarebbe stato solo rimandato. Per il momento era necessario concentrarsi su un altro suo sogno, che si stava realizzando.
    Chissà se Evelyn avrebbe accettato di farsi una foto prima di vedere la sorpresa dei nonni. Per Roselyn, qualunque cosa avesse deciso la sorella sarebbe andata bene. In fondo, non era lei a conoscere quel luogo. Evelyn sicuramente conosceva i posti più belli per immortalare le due donne più belle e più importanti ora in Giappone. Sicuramente conosceva anche i posti migliori per trovare qualche ragazza da sgranocchiare insieme e per rimanere appartate per un po’. Sì, la sua meravigliosa sorella era la migliore anche per cose del genere. Lasciar fare tutto a lei sarebbe stata la cosa migliore. In fondo, se avesse voluto, Evelyn avrebbe potuto farle di tutto.



    «Parlato»
    "Pensato"
    «Parlato di Evelyn»

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    Fingere che andasse tutto bene non era così difficile dopo essersi abituati a mentire tutti i giorni, nascondendo il proprio reale stato emotivo. Lavorava, studiava e passava il tempo con le persone senza far trapelare il minimo sentimento negativo, sempre con quel sorriso cordiale e pacato stampato in volto che forse poteva quasi lasciar trasparire quel po' di malessere interiore, ma che mai si rendeva palese agli occhi di chi le stava attorno.
    Ma dopo i primi passi mossi verso l'ingresso dell'hotel, a braccetto con sua sorella, quella sensazione di inadeguatezza e timore stavano mano a mano scemando. Non perché non fosse più terrorizzata o in soggezione, piuttosto perché quella sorpresa riservata a Roselyn era un po' come se fosse anche la propria, di sorpresa. E ciò aveva momentaneamente soffiato via la sua titubanza, lasciando soltanto al benessere di quel momento a guidarla.
    Di fronte alla richiesta di Roselyn, dunque, il volto le si illuminò. L'idea di scattare qualche foto era balenata anche a lei prima di dirigersi all'aeroporto, per immortalare quella riunione forse fin troppo attesa, ma che dal momento in cui aveva incrociato lo sguardo con quello della sorella, non si era più fatto sentire. Era un desiderio comune quello di tenere dei ricordi, molto meno comune quello che passava per la testa di Roselyn e che, per fortuna di Eve, la corvina non aveva la benché minima idea aleggiasse nella mente di sua sorella, troppo presa dall'emozione per accorgersi anche solo di un'incrinatura negativa che potesse solcare il viso della più piccola delle sorelle.
    Sumire si fece avanti mentre Eve annuiva con vigore alla proposta di Rose, sporgendosi verso le due.
    «C'è un giardino sul retro molto bello» annunciò la donna, facendo loro cenno di seguirla.
    «Sumire will lead us to the hotel's garden» comunicò alla sorella, costringendola a stare al passo con la donna che camminava a veloci falcate verso l'ascensore, le cui porte si aprirono subito dopo. La corsa dell'ascensore durò poco (per fortuna, per quanto grande faceva piuttosto caldo al suo interno e sembrava quasi di soffocare) e ciò rincuorò Evelyn che, una volta scesa, si guardò attorno, accorgendosi di quanto lussuriosa sembrasse la struttura in cui avevano prenotato la suite per Roselyn.
    Si lasciò sfuggire uno stupito «wow», mentre muoveva qualche passo nella hall di quell'hotel, dagli alti soffitti e l'arredo costoso. «I've never been here so it's quite impressive to me.»
    Mentre Eve si guardava intorno e rivolgeva la parola alla sorella, Sumire andò alla reception dopo aver chiesto ad uno degli uomini che le accompagnavano di far strada alle ragazze verso il giardino. Quando quest'ultimo si avvicinò e comunicò loro quanto richiesto da Sumire, Evelyn rivolse un sorriso compiaciuto sia all'uomo che alla sorella, per poi sussurrare un divertito «let's go then!» e seguire l'uomo.
    Una volta raggiunto l'enorme giardino sul retro, Evelyn rimase completamente a bocca aperta di fronte ad una cura e bellezza simili: il giardino era estremamente ordinato, attraversato da un piccolo sentiero cementato che faceva loro strada verso una piccola fontana circolare, dalla quale si diramavano altri piccoli sentieri che permettevano di raggiungere diverse ale del giardino, che ospitavano aiuole, panchine e alla fine dei modesti gazebo sotto i quali sostavano dei tavoli da esterno, accompagnati da divanetti e poltroncine.
    «There!» esclamò la più grande, indicando la fontana con un certo entusiasmo. «We should sit there and take some photos with the fountain, what do you think?»
    Ovviamente rivolse lo sguardo a Roselyn, mostrandole l'espressione più esaltata del suo repertorio. Evelyn era solitamente fin troppo composta ed era raro che si lasciasse così tanto andare, a meno che non fosse in compagnia di sua nonna, con la quale aveva coltivato uno splendido rapporto. Era difficile, però, che fosse così emozionata, e forse la combinazione bel giardino, foto ricordo e la compagnia di Roselyn avevano scatenato una reazione inaspettata.

    «Parlato.»
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    Un sorriso raggiante illuminò il volto di Evelyn. Era la risposta che Roselyn avrebbe voluto, quindi anche lei non poté che ricambiare. La più piccola sapeva bene quanto molte emozioni e dettagli sottili potessero essere tralasciati dai semplici messaggi in chat. Per anni il loro mezzo di comunicazione era stato unicamente quello. Vedere sua sorella maggiore, uno dei suoi punti di riferimento, così contenta dal vivo aveva tutto un altro sapore.
    Inutile dirlo, Evelyn era davvero contenta. Perché mai avrebbe dovuto nascondere qualcosa a sua sorella o mentire proprio a lei? Non era forse il modo di fare degli Applegarth essere sempre sinceri, anche se solo coi propri familiari? Evelyn conosceva sua sorella minore come le sue tasche: Roselyn non aveva segreti con lei. La maggiore aveva saputo dei biglietti subito dopo la minore, ancor prima che questa ringraziasse i loro genitori. In fondo, a Rose andava bene così. Le piaceva l’idea che la sua Eve potesse conoscerla nei minimi dettagli. In un mondo in cui l’informazione è potere, come le avevano insegnato suo padre e Vincent, avere qualcuna di cui fidarsi e a cui poter parlare di tutto era quasi un privilegio. Lo stesso sarebbe valso anche per Evelyn, ovviamente. La stessa persona che avrebbe venduto i segreti di molti esseri inferiori per un minimo vantaggio avrebbe custodito i suoi gelosamente. Solo una cosa non era stata detta. Solo una cosa meritava la cautela di un incontro personale e solo di quella cosa Roselyn avrebbe voluto parlare. Col tempo, però, anche quel segreto sarebbe stato svelato.
    «Sumire will lead us to the hotel's garden»
    Aveva sentito anche la tuttofare della sorella, ma aveva preferito rimanere concentrata su quest’ultima.
    A Roselyn non interessava viaggiare: tutto ciò che voleva era all’interno di villa Applegarth o nella casetta dei suoi in mezzo al nulla. Inoltre, era troppo abituata al lusso dentro le mura di casa per stupirsi davvero di ciò che ai suoi occhi era solo una struttura appena sufficiente per una persona come lei. Era più interessata alle persone e, in quel momento, a una in particolare. Il sorriso di sua sorella maggiore era molto più bello di qualunque albergo o prato che le due potessero vedere. Era vero, era una bella struttura, ma niente di troppo importante.
    Tutti i pensieri di Roselyn furono occultati da un semplice sorriso. Forse all’esterno sarebbe parsa anche lei meravigliata, ma semplicemente non voleva mostrarsi indifferente con sua sorella. Tutto ciò che sarebbe successo in quei giorni nella stanza di Roselyn e nel giardino sarebbe stato molto più importante. Nonostante fosse abituata al lusso, però, si trovava in quella struttura solamente grazie a sua sorella e ai suoi nonni. Pur di rivedere Evelyn, se il suo letto non fosse stato abbastanza grande, si sarebbe accontentata di un divano o di un futon, ma loro avevano voluto trattarla meglio e di ciò era loro grata.
    “It’s not as amazing as you.” Avrebbe detto la bionda, se non avesse ritenuto che «Yes, it really is.» fosse un’opzione migliore.
    «Thank you so much for all of this, Eve.»
    La tuttofare della sorella si era data da fare, trovando un inserviente che potesse portarle alla loro destinazione. Evelyn aveva deciso di condurla personalmente al giardino sul retro, seguendo la guida del loro nuovo accompagnatore. Roselyn, ovviamente, l’aveva seguita come se fosse la sua ombra.
    Il giardino era esattamente come se l’aspettava: bello. Era visibilmente molto curato ed esteso e aveva delle decorazioni niente male, inclusa una fontana. Non si sarebbe emozionata troppo, se fosse stata da sola, ma la compagnia di Evelyn rendeva quel posto già carino di suo ancora più gradevole.
    «There!» Disse quest’ultima, una volta arrivata,«We should sit there and take some photos with the fountain, what do you think?»
    «That’s a great idea!» Roselyn le avrebbe fatto scegliere il posto anche se lei non avesse preso l’iniziativa, ma ciò aveva reso il tutto molto più veloce. La fontana sarebbe stata un’ottima location e la loro prima foto insieme dopo cinque anni sarebbe stata fantastica. Tutto ciò che rimaneva da fare era prendere l’iniziativa per la prima volta. Era il suo turno di prendere per mano Evelyn e portarla dove entrambe volessero, sempre che l’altra l’avesse seguita. Sarebbe stata un po’ soft come prima volta, ma un’ottima preparazione per quelle che sarebbero venute dopo, nonché un ottimo modo per rendere ancora più eccitante l’attesa.
    «Do you have a particular pose in mind?» Di certo non una domanda da fare a Roselyn. Di certo una sorta di piccolo test per la loro sintonia. Chissà se anche Evelyn stesse pensando a qualcosa del genere in quel momento...


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    Evelyn Tiffany Applegarth
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    Era una fortuna che i ghoul non possedessero il potere di leggere nel pensiero, perché se così fosse stato probabilmente Evelyn si sarebbe pentita di avere persino quella capacità.
    Evelyn non era più una persona che riusciva ad essere trasparente e sincera di fronte alle persone, al 90% il suo atteggiamento era una menzogna, mascherata dalla voglia che tutto scorra liscio e senza il minimo intoppo. Era più facile a dirsi che a farsi, in ogni caso: era troppo emotiva per mantenere stabile una facciata e mentire tutto il giorno era esasperante, anche se con gli anni ci aveva fatto l'abitutine.
    Ma quel sorriso non era vero e no, Roselyn sbagliava a pensare che Evelyn non potesse nasconderle nulla: era quello che aveva fatto dal momento in cui i loro sguardi si erano incrociati per la prima volta dopo cinque lunghi anni.
    Pensare di non essere più capace di dire le cose senza peli sulla lingua, pensare di aver fatto affidamento alle bugie per così tanto tempo da trovare impossibile essere sincera, perché toglierle la menzogna era come toglierle l'ossigeno per continuare a respirare e, di conseguenza, vivere.
    Il solo pensiero era terrificante, ma fortunatamente Evelyn era troppo impegnata a guardare la fontana, a prendervi posto dopo esser stata accompagnata da Roselyn, che la guidava tenendola per mano, e a pensare ad una posa per perdersi in tutta quella miriade di pensieri che potevano, in qualche modo, rovinare il mood.
    Aveva spento il cervello, o almeno lo aveva fatto in parte: voleva solo rilassarsi e godersi una giornata fuori dalla routine, accanto alla sua sorella minore da cui era rimasta lontana per davvero troppo tempo. Teneva accesa solo quella parte che le consentiva di comportarsi nella maniera più genuina possibile, quella parte che la bloccava dal provare ansia, quella parte artefice della maschera dal bel sorriso che indossava ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette, senza mai una tregua, o del riposo. Forse soltanto chiusa nella sua stanza poteva smettere di indossarla, tornando a mostrare il viso solcato dalle lacrime, gli occhi spenti e vacui e i capelli neri che non scostava nemmeno dalla propria visuale, tanto più nascondeva meglio era.
    In quel momento era solo la Evelyn a cui chiunque era abituato: gentile e disponibile, posata e tranquilla, che non si toglieva quel sofisticato e delicato sorriso dal volto.
    «I'm not that good with poses...» commentò, portando una mano sul mento per pensare, alzando lo sguardo al cielo. Sfilò gli occhiali, che tenne con la mano libera (odiava lasciarli sopra la testa), socchiudendo gli occhi che incontravano la luce del sole.
    «Maybe we should just sit here and let the centre of the fountain being right between me and you.»
    Non aveva idea di quali fossero i pensieri della sorella, né tantomeno quale posa volesse: lei ormai era abituata semplicemente a stare ferma e composta, sorridere verso l'obiettivo finché la foto non fosse scattata e poi passare ad altre pose, che differivano veramente poco le une dalle altre, per poi tenere solo le foto migliori. Non era chissà quanto pratica di queste cose, le piaceva risultare il più normale possibile, proprio perché la normalità non faceva parte della sua vita, ed era come se la cercasse con disperazione.
    «What do you think? It should go, right?»
    Il loro accompagnatore cercò di guadagnarsi la sua attenzione alzando una mano, chiedendo ad Evelyn se fossero pronte; lei alzò una mano per segnalargli di aspettare un po', così da permetterle di consultare Rose. Non avrebbero dovuto impiegarci molto a scattare delle foto, no? ... no?

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    «I'm not that good with poses...»
    O forse no? I social media di Evelyn erano pieni di fotografie che la ritraevano così bene da farla sembrare il modello di tante opere d’arte fatte con scrupolo. O forse era lei così bella da far sembrare capolavori degli scatti ordinari? Solo una foto insieme avrebbe potuto dirlo.
    «Maybe we should just sit here and let the centre of the fountain being right between me and you.» Roselyn staccò per un istante gli occhi da sua sorella, guardando nuovamente la fontana e immaginando come potesse uscire una tale foto. Sicuramente sarebbe uscita bene: nessuna foto con lei o sua sorella avrebbe potuto essere brutta, quindi una con entrambe sarebbe stata certamente un capolavoro. La fontana avrebbe diviso le due, creando un distacco e una certa formalità. Non l’ideale per loro, che volevano sicuramente entrambe recuperare l’intimità perduta, ma avrebbe fatto un’ottima figura nei profili social della ragazza, fino a quel punto occupati solo da foto di lei da sola o da qualche scatto di una famiglia incompleta.
    «Sounds great.» Rispose la bionda, passandosi la mano destra sui capelli per riordinarli. La posa era stata decisa. Ora l’importante era importante mettersi in ordine per apparire al meglio. Nel mentre, la ghoul tornò a guardare sua sorella maggiore, rivolgendole un sorriso mentre, in maniera disinvolta, si raddrizzava la camicia e controllava che i suoi pantaloni non avessero strane pieghe prima di sedersi sul bordo della fontana.
    «We can start taking pictures when you’re ready.» Disse Roselyn, quando ebbe finito. Ovviamente aveva visto il cenno della mano del loro accompagnatore e non aveva reagito. Ovviamente si sarebbero girate loro quando fossero state pronte. A quella nullità non era chiaro il fatto che non le dovesse disturbare se non fosse stato interpellato prima? Essere spartito tra le due sorelle Applegarth come regalo di benvenuto per la minore non sarebbe stato male. In fondo, nessuno aveva detto che la sorpresa dei nonni delle due non fosse una ragazza dell’età di Roselyn legata e imbavagliata, in attesa di due ghoul giocose e affamate.
    “I’ve never had a japanese human before...” La stessa ghoul era per metà giapponese, ma tutte le sue conoscenze nipponiche erano state esclusivamente ghoul. Persino sua madre, totalmente giapponese, era una ghoul. Roselyn conosceva il suo sapore, ma non quello delle umane. Sicuramente avrebbe dovuto provarlo prima di andarsene. Non aveva con sé una maschera, ma avrebbe trovato un modo per scoprire se il sapore di una giapponese fosse diverso da quello di un’inglese.
    Roselyn si appuntò mentalmente di chiederlo a Evelyn in un momento d’intimità. Era sicura che costei lo sapesse molto bene, dato tutti il tempo che aveva speso in entrambi i Paesi. Chissà che cosa preferisse tra donne o uomini, inglesi o giapponesi, e quale fosse la sua parte del corpo preferita. Chissà come preferisse mangiare e giocare col proprio cibo. Chissà quante altre domande avrebbe sempre voluto chiedere alla sua Evelyn, per molto distante e sicuramente con molte storie che avrebbe potuto raccontarle a partire da quella stessa notte, per allietare il sonno di entrambe come un tempo avevano fatto le favole di Vincent.
    Tutto ciò, però, avrebbe aspettato. Roselyn aveva atteso per cinque lunghi anni: per quanto fosse difficile, avrebbe aspettato anche qualche minuto in più. Quello era il momento di fare le foto e sicuramente la sua Evelyn le avrebbe risposto o detto di mettersi in posa. In tal caso, la sorella minore non si sarebbe fatta trovare impreparata. Tuttavia decise di far strisciare la mano più vicina all’altra lungo la fontana, sorridendo a sua sorella e chiedendole implicitamente con lo sguardo se la volesse ancora stringere. Per quanto le foto davvero intime dovessero ancora arrivare, a Roselyn sarebbe piaciuto che la formalità della foto non prescindesse dal loro affetto reciproco. Tuttavia neanche un no sarebbe stato un problema. Dopotutto, la foto sarebbe comunque venuta bene e le due avrebbero avuto tutto il tempo per recuperare anni di carezze mancate. Dopotutto, non avrebbero dovuto impiegare troppo a scattare quelle foto, giusto?


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