Più Hikaru cercava di allontanare da sé l’attenzione di Hayato, più lui si preoccupava.
Tutto in lei lo metteva in stato d’allarme: la rigidità delle spalle, il contatto visivo inesistente, e poi le sue scuse. Non sentiva scuse tanto pietose da quando il suo ex lo aveva lasciato, e non aveva affatto voglia di rivivere quelle sensazioni con una ragazza con chissà quale segreto chiuso nel sacchetto.
Hayato si lasciò cadere sullo schienale della sedia, accarezzando il micione rosso, adesso bello addormentato. Era inutile, Hikaru era decisa a non spiccicare parola sul suo atteggiamento tremendamente sospetto. Fosse stato in una sala interrogatori non sarebbe stato un problema, ma Hayato non era al lavoro in quel momento. Non poteva costringere quella ragazza ad aprirsi con lui, non ne aveva il minimo diritto.
«Oh, meno male, ma mi dispiace per lo stress.»
Sorrise dispiaciuto, sapere di non essere la causa dell’atteggiamento di Hikaru non era abbastanza per farlo stare tranquillo. Le avrebbe dato conforto un buon caffè caldo e qualche parola gentile, e sperava che fare due chiacchiere l’avrebbe aiutata a distendersi.
«Lavorare in un locale non deve essere facile, fai turni molto lunghi? Almeno oggi hai staccato presto.»
Portare l’argomento su qualcosa di più leggero non avrebbe guastato, o almeno così Hayato sperava. La sua mano affondava nel morbido pelo rossiccio, mentre i suoi occhi non lasciavano andare neanche per un secondo il volto di Hikaru. Se avesse toccato i tasti giusto, avrebbe visto la sua espressione aprirsi. Sperava vivamente di riuscirci.
«Parlato.»
"Pensato."