Rain brings frogs

Kiriyama Tsukasa & Endo Nozomi - 06/03/21 @Sunshine 60 (Dallle 16:00, pioggia, 17°)

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    «Izanami.»
    Non importava quanto tempo passasse, che la madre non lo chiamasse con il suo nome era sempre ai limiti del disturbante. “Perché tu sarai sempre il futuro capoclan dei Kiriyama", sembrava dire.
    Kiriyama Reina continuò il suo discorso.
    «Oggi sei molto occupato? Le bambine si annoiano, vogliono uscire.»
    Il libro di strategia aperto e la scacchiera di shogi davanti a Tsukasa avrebbero già dovuto rispondere. Reina lo notò, ma preferì fosse comunque il figlio a rispondergli, non una scacchiera di shogi.
    Anche perché Tsukasa era perennemente occupato, non c’era una singola volta in cui non si dovesse dare al multitasking per seguire tutto. Se fosse occupato era una domanda dalla risposta nota e triste.
    «No, ho giusto finito.» Non era vero. Era assolutamente preoccupato per il torneo, non puntare ai dan più alti dello shogi era una specie di disonore per i Kiriyama.
    «Aiuto Hotaru e Chie a prepararsi e usciamo.»
    C’era un altro problema.
    Pioveva.
    Chie si sarebbe divertita un mondo a saltare dentro le pozzanghere, protetta dal suo impermeabile verde che la faceva sembrare una ranocchia dispettosa, ma di certo era un problema.

    Finché non si ricordò che Chie voleva vedere Namjatown, al Sunshine 60 di Ikebukuro. A Hotaru, così gentile e timida, finiva con l’andare bene qualsiasi cosa volesse la sorella più piccola. Ma Tsukasa avrebbe preferito una soluzione che piacesse a entrambe le bambine.
    Durante il breve viaggio i piani cambiarono, e si parlò di visitare l’acquario.
    Poi il planetario.
    Poi… poi visitare l’intero Sunshine 60, mangiandosi con gli occhi tutti i dolci carini che le pubblicità ti piazzavano davanti al naso, ovvero l’unico modo a disposizione di un ghoul perché rimanessero buoni.
    La lunga lista di nomi e cose da fare fu, alla fine, fermata da Tsukasa. Con calma e gentilezza, ma rigore, diede ordine a quella tempesta di progetti e arrivarono al Sunshine 60 con almeno un’idea su cosa volevano fare.
    La lista era comunque lunga, ma avrebbero dovuto farcela.
    In teoria c’era anche un’altra difficoltà non da poco: stare attenti a due bambine in un luogo affollato -come del resto era in generale Tokyo, la capitale che non dorme mai- non era per niente facile. Soprattutto quando, giusto per aggiungere un po’ di sale alla vita, si è anche iperprottetivi e i bambini, si sa, hanno questa splendida abilità di accorgersi di tutto ciò che può attirare la loro attenzione nel giro di cinque chilometri.
    A Tsukasa capitava spesso di badare alle più piccole, tanto da sembrare più un padre che un fratello maggiore, per cui ormai sembrava avere un talento naturale. Purtroppo, però, non rimaneva meno estenuante degli allenamenti per il combattimento e l’utilizzo della kagune.
    E se non era così, era comunque molto vicino.
    Chie, accanto a lui, aveva abbassato il cappuccio da ranocchia dell’impermeabile. Aveva i capelli, corti e di un nero lucido, scompigliati. Il tentativo di disciplinarli, con mollette di un verde quasi fluo, era finito per essere un po’ inutile.
    A Chie non piaceva il verde, ci dicono dalla regia.
    Da un giro per i negozi ci aveva già guadagnato un teruterubozu -che aveva chiesto a Tsukasa di legarle al polso, a mo’ di braccialetto, “perché così la pioggia se ne va prima”- e una temari… s’indovini il colore? ovvio, dal complicato disegno in cui si intrecciavano soprattutto sfumature di verde e azzurro. Chie era a un passo dal monocolore.
    La temari doveva avere un campanello al suo interno, e Chie si stava divertendo a lanciarla brevemente in aria e riprenderla subito per sentirne il suono. Era un bel suono limpido, ci aveva preso gusto.
    Dall’altra parte aveva Hotaru, che teneva per mano Tsukasa tanto da sembrare avesse paura di vederlo sparire da un momento all’altro. Con l’altra mano, la sinistra, teneva stretto a sé il suo nuovo bottino e aggiunta alla sua collezione: un peluche di una medusa.
    Il secondo regalo era il nastrino dorato che le teneva i capelli, e che nel rosso risaltava come un raggio di sole.
    Lo sguardo -corvino, esattamente come quello di Chie- passava da una persona all’altra per la paura si avvicinassero troppo. Era a disagio, ma purtroppo nemmeno all’acquario la cosa sarebbe migliorata molto.
    Aveva la veneranda età di undici anni, ma stringere la mano del fratello le evitava di andare nel panico per colpa della troppa gente.
    Ora.
    Si era parlato di quanto è difficile tenere d’occhio due bambine, no? La temari sfuggì alle manine di Chie e cominciò a rotolare via, fregandosene del volere della giovane padrona. Facendo nel frattempo un rumore incredibile per via del sonaglio, manco stesse festeggiando la libertà ritrovata.
    Non che fosse destinata ad andare lontano, ma Chie si mise comunque a correre per prenderla (con tanto di “no, ora torni qui!” quasi offeso).
    «Fa attenzione.»
    Che poteva essere rivolto a Chie, molto semplicemente. Era anche un “non allontanarti troppo”, perché ci mancava solo perderla di vista.
    Poteva essere rivolto a Nozomi, a cui del resto stava dando incontro una pallina di stoffa sonagliante. E ora pure una ranocchia di otto anni.
    Aaaaah, poi avrebbe dovuto scusarsi per l’inconveniente. Che imbarazzo.

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    I ghoul che cacciavano gli umani e il suo passato di Taka, solo queste due cose rientravano tra ciò che dava seriamente fastidio a Nozomi, il quale sembrava alle volte fin troppo disinteressato da tutto il resto. Che fosse in mezzo a una folla in festa o da solo a casa, che ci fosse bel tempo o la pioggia, che si trovasse nel caos della città o in mezzo al nulla lontano dalla civiltà erano tutte cose che sembravano non toccarlo minimamente. Certo, a causa della sua natura e di quel che aveva fatto, Nozomi tendeva a isolarsi piuttosto che a cercare la compagnia di altre persone, soprattutto sul posto di lavoro sembrava non volesse relazionarsi in alcun modo con gli altri, anche se alcuni dei colleghi più “anziani” (più inteso come anzianità di servizio anziché anagrafica) avevano provato ad avvicinarlo, a proporgli di andare a mangiare qualcosa o anche solo di uscire durante i loro giorni liberi. Riguardo all’andare a pranzo o cena fuori, però, era ovviamente fuori discussione per la sua stessa natura mentre le normali uscite che non comprendevano pasti di alcun genere… Nozomi forse ancora non si sentiva pronto per una cosa simile, se non addirittura tendeva a pensare di non meritarselo. Le sue mani sarebbero state sporche del sangue degli umani che aveva cacciato come Taka fino alla fine dei suoi giorni, questo lo sapeva e non vi era redenzione per quanto fatto, indipendentemente dal numero di vite che poteva salvare dai ghoul durante le sue uscite notturne, quindi come poteva meritarsi delle relazioni di amicizia, soprattutto se con umani se fino a qualche anno prima non si faceva scrupoli a cacciarli?
    La pioggia continuava a cadere scivolandogli sopra il cappuccio che gli copriva parte del volto, alcune gocce gli stavano comunque finendo su fronte e guance ma sembrava la cosa non gli interessasse mentre con andatura lenta continuava ad avanzare lungo la strada. Sicuramente non era una bella giornata per uscire, considerando soprattutto che in generale Nozomi di rado usciva durante i propri giorni liberi, ma quel pomeriggio in particolare aveva un buon motivo per trovarsi là o, almeno, così era tentato di credere.
    «Hai bisogno di uscire un po’, domani mattina ci facciamo un giro insieme!» A fargli una proposta simile era stata la ragazza che il giorno prima aveva il turno insieme a lui, una giovane di cui non sapeva l’esatta età ma all’incirca sua coetanea. Nozomi aveva rifiutato quella stessa offerta svariate volte, più di quante potesse tenerne conto negli ultimi mesi, ma alla fine la ragazza l’aveva avuta vinta prendendolo per sfinimento.
    Così avevano trascorso quella mattinata insieme. A dir tutta la verità non si erano prodigati a fare poi chissà cosa di particolare, complice il maltempo che li aveva obbligati e cambiare i piani stabiliti il giorno prima avevano a malapena parlato non avendo veri argomenti di cui discutere ed essendo Nozomi negato ad intrattenere una qualsiasi conversazione, eppure con un sorriso sul volto qualcosa continuava a fargli pensare di aver trascorso comunque una piacevole mattinata. Alla fin fine non aveva mai odiato la compagnia altrui, semplicemente credeva di non meritarsi di avvicinarsi a qualcun altro e sebbene continuasse a pensarlo non poteva fare a meno di credere di essere stato felice quella mattina.
    Si guardò il palmo della mano destra, perfettamente pulito sebbene ai suoi occhi era ancora sporco del sangue delle sue vittime. A causa della sua stupidità non solo aveva gettato via tutte le speranze dei suoi genitori, ma si era anche precluso la possibilità di trascorrere più giornate piacevoli come quella. Forse non avrebbe più visto fuori dal luogo di lavoro alcun collega, ma quella semplice esperienza gli era servita per capire ancor di più a cosa stesse rinunciando, a cosa Taka gli aveva portato via. Si odiava e probabilmente una parte di sé anelava solo la morte, forse per questo di tanto in tanto gli capitava di mangiare ghoul pur conoscendone i rischi e, arrivata per lui la fine, avrebbe finalmente trovato la pace.
    Questo pensiero si faceva sempre più largo tra gli altri, in particolar modo quel giorno, per questo aveva deciso di non tornare subito a casa dopo aver salutato la ragazza, ma di farsi un giro per schiarirsi le idee, finché non arrivò nei pressi del Sunshine 60. Ironico, si trovò a pensare, come senza neanche rendersi conto di dove stesse andando fosse arrivato in uno dei posti che il giorno prima insieme a quella collega avevano pensato di visitare. Forse il destino aveva deciso di giocargli un brutto scherzo.
    A riscuoterlo facendolo tornare presente a se stesso, strappandolo quindi a quei pensieri, fu il suono di un campanello che si faceva sempre più vicino, seguito da quello di alcuni passi affrettati, come se qualcuno stesse inseguendo l’origine del primo suono. In effetti le cose non erano poi tanto diverse da quanto aveva immaginato, scoprì quando una temari gli sbatté addosso, inseguita da una bambina che non poteva avere più di dieci anni… Forse otto… Nozomi rinunciò infine all’idea di darle un’età approssimativa, non era mai stato bravo in simili cose… Così come anche con i bambini non poteva dirsi un portento, pur avendo avuto una piacevole infanzia era figlio unico e aveva perso i genitori quando era ancora troppo giovane perché gli insegnassero come trattarli.
    Provò comunque a sorridere, mentre raccoglieva la temari da terra porgendola alla piccola vestita quasi interamente di verde; fu con quel semplice, quasi naturale, gesto che si accorse di percepire dalla bambina un odore ben diverso dal solito. Ormai poteva dirsi abituato a sentire il “profumo” degli umani, provava comunque a integrarsi lavorando insieme a loro (ed era ironico anche come facesse il cameriere servendo da mangiare a persone che, contro la sua volontà, il suo naso percepiva quasi come cibo), ma l’odore percepito dalla piccola aveva qualcosa di diverso. L’aria pesante dovuta alla pioggia un po’ infastidiva il suo olfatto ma… Possibile che fosse una ghoul?
    Beh, gli importava relativamente l’identità di chi aveva davanti, per lui umani e ghoul erano uguali, almeno finché i secondi non si mettevano a cacciare i primi… In quel caso, gli umani erano quelli da difendere, i ghoul la marmaglia da uccidere.
    «Credo che questa sia tua» le disse con il tono più cordiale e amichevole che gli riuscì, anche se forse sarebbe stato meglio definirlo “meno inespressivo del solito”, poiché ancora non padroneggiava la vera tonalità cordiale e amichevole della voce, purtroppo.

    DO I DESERVE TO LIVE OR DIE?

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