Teamwork is dreamwork! ... I guess.

Makoto Hirase & Shinobu Hanyuu | 12/05/2021, dalle 9:30 | soleggiato, 21°C

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    Shinobu si sedette e andando a recuperare il libro di testo lesse lui un passaggio riguardo le ukaku, per poi continuare il suo discorso. Makoto la stette ad ascoltare con attenzione
    A quanto pare, stando alla reazione della sua collega, con il suo ragionamento non aveva fatto un completo buco nell’acqua. E fu presto appurato che, almeno in quello, la pensavano in modo simile: dunque, c’erano troppe varianti in una domanda del genere, in special modo sul campo, nella vita reale ove vi erano tante variabili per quante persone camminavano su quella terra, tante variabili da cui tenere conto ma era anche vero che, a conti fatti, quello che chiedevano loro i professori con quei quesiti era valutare le loro conoscenze e facoltà di applicarle in un contesto preciso e sicuro.
    Dopotutto, un Investigatore che non sapeva nemmeno dire quale fosse la differenza tra una kagune e un kakukou non serviva a niente. Almeno, specificare cosa fosse cosa Makoto lo sapeva fare, ma spiegare le varie funzione era un altro paio di maniche. Tornava utile, certo, ma non era mai stato così bravo in materia.
    Si trovava dunque d’accordo con lei che elaborare una controffensiva era il primo passo da fare, essendo gli Investigatori dei semplici umani, erano in svantaggio dal principio se non sapevano cosa fare come prima mossa. E poco male, dunque, che enfatizzassero il lavoro di squadra da già all’accademia con esercizi del genere.
    «La forza. O era la difesa? Ricordo sono molto robuste e pesanti» risposte alla domanda successiva della ragazza, grattandosi la testa con un sorrisetto sulle labbra nel mentre osservava le movenze buffe di Shinobu «Qual’era il suo punto debole… era proprio la pesantezza? Quindi dovrebbero essere meno agili degli ukaku» aggiunse poi, giusto per far scorrere il discorso e provare ad esporre quello che ricordava alla compagna di classe.
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    Per Shinobu era fondamentale mantenere un clima sereno, talvolta giocoso, quando aveva bisogno di studiare. Lo studio era una noia, e il silenzio di cui si circondava quando aveva bisogno di memorizzare tutto ciò che doveva imparare diventava inquietante quanto la fredda morsa dell'ansia che le prendeva sempre la bocca dello stomaco in situazioni di totale isolamento. Per questo cercava di fare la buffona anche di fronte agli altri: il gioco era un modo divertente per passare il tempo, senza però dimenticare l'obiettivo principale che li aveva portati ad occupare quella stanza, ovvero lo studio.
    Non poteva certo sapere se avrebbe avuto un effetto positivo anche su Makoto, di cui conosceva ben poco, ma un tentativo spontaneo e genuino non avrebbe nociuto a nessuno dei due. Al massimo le sarebbe stato detto di smetterla e di riprendere un minimo la serietà perduta.
    Ma con sua enorme sorpresa, Makoto non le disse nulla in merito, piuttosto rimase ancorato dove stava e aveva preso a risponderle.
    Un sorriso compiaciuto le curvò gli angoli della bocca, per poi annuire debolmente alle parole di Makoto: seppur avesse commesso un primo errore nella sua risposta, si era subito ripreso, completando il discorso aggiungendo piccoli dettagli che immaginò ricordasse da una qualche lezione. Per quanto Makoto avesse evidenti difficoltà con lo studio e a ricordare ciò che ascoltava o leggeva, quella risposta dimostrava che, in fin dei conti, non era uno svogliato che non aveva voglia di impegnarsi. Anzi, tutt'altro. Non poteva dire con assoluta certezza che tipo di persona fosse Makoto, ma in quel tentativo di rispondere trovò davanti a sé una persona che aveva voglia di contrastare le sue difficoltà, superandole e lasciandosele alle spalle.
    «Esatto, è la difesa» disse, abbassando lo sguardo dal volto di Makoto al libro per cercare il punto preciso in cui venivano descritte in linea generale le koukaku. «Vedi, qui ― gli indicò con un dito ― dice "tra tutti i tipi di Kagune, le Koukaku posseggono una maggiore robustezza, dovuta all'alta condensazione di cellule RC, rendendole particolarmente adatte alla difesa." Come dicevi tu, di contro, la pesantezza di questo tipo di kagune è il loro punto debole, perché rende i possessori meno agili, rallentandoli.»
    Finito di leggere, quindi, Shinobu rialzò lo sguardo, rivolgendo un sorriso morbido al compagno.
    «Tenendo conto di queste caratteristiche» proseguì, senza muoversi dalla pagina del libro, ma coprendone il testo alla bell'e meglio con le mani, «in un contesto ottimale, sapresti dirmi quale tipo di quinque converrebbe utilizzare, per battere la difesa di un ghoul koukaku?»
    Si stava divertendo a fare quella sottospecie di quiz, era come guardare uno di quei programmi con il montepremi a gettoni in tv, mentre testava ciò che Makoto conosceva, per capire cos'avrebbe davvero dovuto cercare di riempire con le spiegazioni, otturando le lacune.

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    A quanto pare ci aveva preso e non poteva che sentirsi orgoglioso del fatto che alla fin fine qualcosa aveva pur assimilato in quei mesi, nonostante trovasse tutte quelle nomenclature e relative nozioni a volte fin troppo complicate da ricordare agevolmente. Ma Shinobu era paziente e con la sua allegria e spontaneità, se il suo interlocutore fosse sufficientemente recepente proprio come lui, riusciva a mettere qualcuno facilmente a suo agio. O almeno, quella era la conclusione a cui era arrivata lui.
    La coetanea aveva poi ripreso a parlare, andando a leggergli un passaggio dal libro di testo che era rimasto aperto a terra tra di loro, illustrandogli più nel dettaglio ciò che aveva provato ad elaborare poco prima, per poi porgli l’ennesima domanda, ormai entrambi presi da quella sorta di quiz a bruciapelo che stavano facendo.
    Makoto si portò quindi una mano al mento, cercando di ragionare nel mentre cercava di richiamare l’informazione giusta dai meandri della sua mente «Non ricordo il tipo, ma se non sbaglio una kagune con un ampio range offensivo sarebbe più ottimale? Quindi ukaku o rinkaku, se non erro entrambe hanno abilità che permettono di attaccare più punti contemporaneamente» fu quello che disse poi, il tono incerto e un po’ esitante, le sopracciglia leggermente corrucciate nello sforzo di richiamare le informazioni giuste. Rialzò poi lo sguardo che aveva abbassato, riportandolo sulla figura della ragazza in attesa di un suo resoconto. Almeno, si disse, quel compito che era stato dato loro stava dando i suoi frutti, cercare di aiutarsi a vicenda era proprio il punto giusto da cui partire.


    «Permettimi di offrirti qualcosa per ringraziarti, c’è un localino non male non troppo lontano da qui. Ti va un po’ di ramen, o hai voglia di altro?» domandò Makoto qualche ore dopo nel mentre si stiracchiava mantenendo il passo con la collega, poco dopo che era stato chiesto loro di liberare l’aula che avevano occupato con l’ora di pranzo ormai alle porte.
    Tra l’altro era una proposta che poteva permettersi e che non gli sarebbe poi costata troppo, ricordando che aveva comunque un po’ di banconote da parte grazie ad uno dei recenti tornei al ring e ad essere onesti, e dopo tutta quella fatica, optare per un ristorante invece che per la solita mensa offerta agli studenti, sentiva che se lo erano meritati.
    Si sistemò poi meglio la tracolla in spalla, una mano ora nella tasca dei pantaloni e l’altra con quel famigliare pizzicore alle dita che gli rendeva apparente la voglia che aveva di prendere una sigaretta, nonostante sapesse bene che per ora non conveniva essendo vietato fumare non solo nello stabilimento in sé ma anche nei pressi dello stesso.
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    Lasciò a Makoto il tempo di riflettere sulla risposta più corretta, sistemandosi a gambe incrociate e premendo con le mani sull'incrocio tra le caviglie e, una volta che il ragazzo ebbe modo di rispondere, gli mostrò un sorriso solare, allontanando la mano destra dalla caviglia per fargli il segno dell'okay.
    «Risposta corretta! Più una kagune rinkaku, in realtà, ma è giusto~»

    [ ... ]

    Il tempo era trascorso decisamente in fretta. Shinobu, per quanto fosse una ragazza molto studiosa a cui piaceva mettere il muso sui libri per imparare cose nuove, non apprezzava particolarmente quando arrivava il momento dello studio. Era più una persona che si crogiolava nel senso di tranquillità e pace che la lettura poteva darle, ma quando doveva applicarsi per imparare le nozioni accademiche, partiva sempre controvoglia e il tempo non volava mai come ogni volta sperava che accadesse.
    Tuttavia aveva appena scoperto che studiare in compagnia di qualcun altro era tutt'altro che noioso. Anzi, a dire il vero lo aveva riscoperto. Quella sensazione di pace e benessere non l'aveva più provata da quando Maya era scomparsa, perché l'unica compagna di studio che avesse mai avuto era proprio stata la sua migliore amica. Ma ora poteva dire di aver riaffrontato il problema, riprendendo un'attività che aveva smesso di praticare da diverso tempo, dandosi una nuova possibilità grazie a quel piccolo, breve progetto delle coppie-studio. Si trattava di una cosa troppo intima e personale per farne parola con una persona come Makoto, con cui al momento condivideva solo il fatto di essere entrambi cadetti in quell'accademia, ma anche solo aver avuto il modo di riaffrontare un problema che per un po' aveva deciso di lasciare da parte la rendeva felice. E, ovviamente, più leggera.
    Quando erano venuti a sollecitarli di abbandonare la stanza che avevano affittato per quel tempo di studio, Shinobu si sorprese al punto da guardare più volte l'orario, sia dall'orologio che portava al polso, sia dal cellulare, che sfilò rapidamente dalla tasca della divisa.
    Una volta raccolto tutto ciò che avevano usato e rimesso ogni cosa al loro posto, quindi, i due s'incamminarono fuori dall'aula, imboccando il corridoio e diretti... beh, non sapeva di preciso dove, per "abitudine" aveva semplicemente seguito Makoto fuori dall'aula.
    Era quasi ora di pranzo, quindi avrebbe volentieri fatto sosta alla mensa per mettere sotto i denti qualcosa: lo studio prosciugava un sacco di energie, a differenza di chi invece lo negasse.
    «Permettimi di offrirti qualcosa per ringraziarti, c’è un localino non male non troppo lontano da qui. Ti va un po’ di ramen, o hai voglia di altro?»
    Aaaaah, ora era tutto più chiaro. L'idea non le dispiacque affatto, al punto da annuire energicamente, sistemandosi con vigore lo zaino che portava con sé sulle spalle. Il sorriso che le spuntò in volto poco dopo anticipò quanto l'idea le avesse messo il buon umore.
    «Molto volentieri! Mi affido a te, allora» replicò, stringendo tra le mani le cinghie dello zaino e camminando di gran carriera in direzione dell'uscita della struttura. Da quando era a Tokyo e viveva lontana dai genitori aveva imparato come fosse più economico intrufolarsi in un modesto ristorante e ordinare qualcosa al volo, piuttosto che cucinare il proprio cibo in casa, perciò si era abituata all'idea di mangiare fuori anziché preparare da mangiare in casa. La mensa dell'accademia le veniva incontro sulle spese mensili, mantenendo nel portafogli quanti più soldi poteva, da dedicare a qualche sfizio ogni tanto, per cui l'aveva sempre trovata una manna dal cielo, seppur il cibo non fosse decisamente al livello di un buon pasto fatto dalle sapienti mani di chi nel settore della ristorazione ci lavorava da anni.
    Per questo motivo, Shinobu era al settimo cielo per quell'offerta. Normalmente non apprezzava farsi offrire le cose, ma comprendeva le motivazioni di Makoto, per cui aveva deciso di rispettare la sua decisione ed accettare di buon grado la gentilissima offerta.
    «Anzi, ti ringrazio~ alla prossima occasione ti offrirò qualcosa io!» aggiunse con il tono di chi non avrebbe accettato un «no» come risposta.
    E così, dopo il solito tragitto nei corridoi dell'accademia, finalmente furono fuori dall'edificio. Shinobu inspirò a pieni polmoni, contenta di non respirare più solo l'aria dei condotti dei condizionatori e, dopo aver tirato un sospiro felice, rivolse lo sguardo a Makoto, in attesa di sapere quale sarebbe stato questo locale di cui le aveva accennato.

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    Dopo ore passate al chiuso, l’aria per così dire fresca, considerando lo smog della metropoli, era stata un toccasana, il sole mezzo nascosto tra i grattacieli che faceva capolino da un angolo. Makoto si mise una mano in tasca e con una scrollata di spalle, si girò verso la compagna di classe che aveva dunque acconsentito a farsi offrire il pranzo da lui, un gesto di gratitudine che, dalla sua espressione, poteva emergere fosse stato gradito.
    «Ti dispiace se accendo una sigaretta?» le chiese poi fermandosi fuori dal cancello dell’accademia, un po’ casualmente, un po’ no, tirando fuori il pacchetto da una delle tasche della sua tracolla. Certo, ormai erano fuori dalla zona in cui era vietato, ma non si sarebbe mai permesso di fumarle accanto se all’altra desse fastidio, in fondo, apparenze a parte, era un ragazzo coscienzioso.
    Beh, era anche vero che fumare era ancora vietato ai minori di vent’anni. Ma lui c’era vicino, no? E, rispetto alla ragazza che aveva di fianco, per un ventenne ci poteva passare facilmente. Insomma, negli ultimi anni non era mai stato praticamente fermato dalle autorità se si premurava di seguire le altre, di leggi. Gli unici che facevano storie erano il Boss del Lagoon e sua madre, entrambi poco contenti avesse ripreso alcuni dei loro vizi. Troppo tardi, era stato il suo pensiero.
    A quel pensiero lo sguardo gli cadde sul pacchetto che aveva in mano. E, yep, controllando la marca constatò infatti subito che il pacchetto non appartenesse a sua madre ma proprio al Boss, essendo ormai sua abitudine prendergliene uno con malizia quando era di turno al locale. I soldi glieli lasciava comunque sempre con un bel bigliettino scherzoso, perché tutto era ma non un ladro.
    Alla sua proposta di un laudo compenso, la ragazza si era presto premurata di ricambiare il gesto, una promessa sottointesa che non le sarebbe dispiaciuto passare altro tempo con lui «Non ce ne sarebbe bisogno, ma se proprio insisti…» disse Makoto sfregandosi una mano al collo con un sorriso sornione sulle labbra. Insomma, chi direbbe mai no al cibo gratis? Di certo non lui! E poi Shinobu sembrava molto decisa in quella sua proposta, quasi pronta a rifiutare qualsiasi diniego avesse ricevuto da parte sua, pronta a combattere per avere la meglio «Vuoi che te la porto io?» chiese invece poi lui indicando lo zaino della ragazza, erano solo qualche minuto di tragitto e non gli sarebbe pesato molto, un po’ come quando aiutava sua madre o la loro vicina di casa a portare la spesa su per il condominio.
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    Gli occhi verdi di Shinobu si posarono distrattamente sulla figura di Makoto e, quando lo vide tirare fuori il pacchetto di sigarette dalla tasca, il suo sguardo scivolò altrove.
    Non aveva nulla contro il fumo e non le dava fastidio, ma era quel genere di persona che tendenzialmente si teneva lontana da tutto ciò che poteva essere nocivo.
    Era una tipa curiosa, Shinobu. Così curiosa che non aveva mai nascosto con chi aveva più confidenza che avrebbe volentieri fatto certe esperienze, come fumare o provare chissà quali cose, se l'occasione si fosse presentata. Ma la parte più coscienziosa di sé ogni volta la frenava, mettendo un freno alla curiosità e ricordandole che, in quanto ex atleta e futura agente della CCG, immergersi in certe situazioni non le avrebbe fatto bene.
    A frenarla ulteriormente c'erano sempre stati altri tipi di pensieri, come la paura di trovarlo piacevole e diventarne dipendente, cosa che l'avrebbe fatta stare solo male. Così, ogni volta che vedeva da vicino un pacchetto di sigarette, forzava il suo sguardo ad interessarsi ad altro, per non indugiare su quella sua normale curiosità.
    «Nessun problema, fai pure» gli rispose con estrema tranquillità, mantenendo quel sorriso rilassato a troneggiare sul proprio volto.
    Aveva provato una sigaretta elettronica, però. Una di quelle a vapore completamente sprovviste di nicotina, dalla cartuccia con chissà quale gusto strambo e... l'esperienza non la ricorda affatto felicemente. Il sapore di cioccolato, stucchevole da fare schifo, le aveva impastato la bocca al punto che si era dovuta buttare su una bella porzione di ramen istantaneo piccante pur di far scomparire quel saporaccio.
    Era stato orrendo. Da quel momento aveva completamente bollato come inutilmente disgustosa l'idea di provare altri sapori. Se il cioccolato era nauseante, non osava immaginare gli altri.
    Fortunatamente il venticello fresco che soffiava in quella tiepida giornata di Maggio era stato sufficiente ad interrompere quella catena di pensieri sul fumo. Pensarci troppo non avrebbe condotto a nulla di positivo.
    Felice che Makoto avesse accettato di buon grado la sua proposta, il passo di Shinobu si fece più leggero, trattenendosi dal saltellare come una ragazzina solamente perché non voleva fare l'ennesima strana impressione su una persona che conosceva troppo poco.
    Ma ci pensò Makoto stesso ad interrompere, anche se non intenzionalmente, la sua camminata, quando le domandò se volesse che portasse lui il suo zaino.
    Arrestata la camminata, Shinobu strinse debolmente le mani attorno alle bretelle dello zainetto, sbattendo le palpebre e lasciando che le labbra si schiudessero, abbandonando il sorriso cordiale in favore di un'espressione completamente schiava dello stupore.
    Makoto non dava per niente l'impressione di essere chissà quale ragazzo ben educato e cortese, eppure...
    «Makoto, ma tu... tu sei un gentleman!»
    A proposito delle figure barbine. Ma non era proprio riuscita a trattenere quel commento, era stato più forte di lei: era capitato, casomai, che fosse lei ad offrirsi di portare le borse a qualcuno, ma in quel caso erano le vecchiette che tornavano a casa dopo essere passate al supermercato o al mercato della frutta. In quanto ragazza giovane e con un fisico allenato, non le era mai capitato che qualcuno si premurasse di porgerle quella domanda.
    Shinobu riprese a camminare, accelerando il passo per rimettersi al fianco del compagno, tirando un sospiro divertito.
    «Scusa» mormorò, ridacchiando, «è stato più forte di me. Ma ti ringrazio per l'offerta, anche se la declinerò garbatamente: non pesa affatto.»
    Lo guardò con la coda dell'occhio, per poi riprendere a guardare davanti a sé.
    «Piuttosto, posso farti una domanda?»

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    Al via libera dell'altra, Makoto la osservò per qualche istante per poi scrollare le spalle, decidendo di non commentare quello sprazzo di reazione che aveva notato con la coda dell’occhio, andando invece ad accendere una sigaretta con gesti meccanici, rigettando infine il pacchetto nei meandri della sua tracolla. La decenza pubblica gli intimava di fumare solo nelle zone adibite invece che all’aperto o in strada, disturbando gli altri passanti, ma considerando anche la sua intenzione di finire una in fretta e la zona non era una particolarmente trafficata, giusto per distendere i nervi e rilassarsi, non se ne curò troppo.
    Ma al suo gesto di cortesia, la ragazza fermò di botto la sua camminata. E Makoto se ne accorse solo qualche passo più avanti, fermandosi anche lui per poi girarsi a guardarla, un sopracciglio alzato, lo sguardo interdetto, potendo così ammirare la sua espressione stupita coordinata alle sue parole meravigliate.
    Beh, ora che ci pensava non poteva che non biasimare il suo stupore poiché, in effetti, era vero che normalmente dava l'impressione di non essere né una persona gentile né tanto meno cortese, vedendo che il suo aspetto trasandato, i capelli tinti, la stazza imponente ma anche lo sguardo tagliente, lo facevano sembrare facilmente un delinquente. In fin dei conti, era stato veramente un teppista in passato (e pensare alle sue bravate di qualche anno prima lo riempiva di imbarazzo), per cui lo era perlopiù quanto pareva a lui. Alla mano, s'intende. Come in quel momento, ritenendo che non avesse motivo di fare lo stronzo o il difficile con lei.
    Alle sue scuse scosse leggermente la testa, come a dirle che non aveva motivo di offendersi da quella sua uscita, per poi sorriderle bonario e, una volta che Shinobu fu ritornata al suo fianco, ripresero a camminare nel mentre lui fumava cercando di tenere il fumo lontano da lei. Ma poco dopo, lanciandogli prima un’occhiata, Shinobu gli porse un'altra domanda «Dipende dalla domanda, e se posso anche rigirartela» disse quindi lui, il tono leggero ma comunque sornione «Ma chiedi pure» finì poi con una scrollata di spalle.
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    «Dipende dalla domanda, e se posso anche rigirartela, ma chiedi pure.»
    O Makoto era un tipo particolarmente introverso, oppure era semplicemente guardingo. Qualunque fosse il caso, Shinobu non poté far altro che ridacchiare, mescolando la risata al sorriso sornione che le fu rivolto, prima di rispondere prontamente «non sono sicura tu possa rigirarmela, ma va bene.»
    Shinobu volle cullarsi in quella leggerezza per un po'. Inspirare l'aria non esattamente piacevole che si respirava in una metropoli come Tokyo, così diversa dall'aria delicatamente sporcata dall'odore sulfureo dell'onsen gestita dai suoi genitori, era sempre terapeutico. Anche solo il processo di avvertire l'aria passare dal naso e riempirle i polmoni era in grado di rilassare ogni muscolo del suo corpo, scacciando qualsiasi timore o nervosismo.
    In quell'istante, però, l'odore della sigaretta accesa da Makoto le arrivò al naso, mescolandosi distrattamente con l'odore naturale che si respirava in una città grande e trafficata come quella. Alla ragazza non diede fastidio, ma in un primo momento l'impatto fu strano e, accortasi del modo in cui Makoto cercò di tenere il fumo quanto più lontano possibile da lei, non poté far altro che sorridere intenerita, ringraziando mentalmente il ragazzo per la premura dimostratale.
    Gli occhi di Shinobu si puntarono sulla strada davanti a loro. Osservava ogni mattonella del marciapiede, ogni alberello piantato, ogni palo della luce come se fossero le cose più interessanti del mondo, mentre cercava nei meandri della sua mente le parole adatte per formulare quella domanda senza risultare offensiva o fuori luogo.
    «Cosa si prova?» decise di chiedere, di getto, senza pensare alle conseguenze. Rimanere con il tarlo di come fosse giusto formulare la domanda non avrebbe aiutato per nulla, perciò tanto valeva essere diretta e senza fronzoli. «A fumare, intendo. È una domanda stupida, me ne rendo conto, però non ho mai provato e ammetto di essere sempre stata curiosa. Sai, genitori apprensivi, il fatto che fossi un'atleta, essere una sorella maggiore e dover essere d'esempio ai miei fratellini, la paura di veder bollata ogni possibilità di fare carriera... ho sempre avuto questo genere di timori che mi hanno impedito di provarci.»
    Non capì perché sentisse la necessità di giustificarsi. Ma lo aveva fatto e ora era un po' difficile rimangiarsi quel piccolo monologo sul perché fosse così curiosa di sapere che sensazioni si provassero a fumare ― oltre al fatto che quella valanga di giustificazioni sembravano involontariamente pitturare Makoto come un delinquente. Fu facile realizzare di essere stata indelicata a domandare ad una persona, che non conosceva poi così bene, che cosa si provasse a fumare. Non sapeva perché lo facesse, non sapeva come si sentisse a riguardo, magari era schifato da se stesso ma troppo legato a quel gesto per smettere dall'oggi al domani, fosse mera dipendenza o qualcosa di affettivo.
    Resasi conto della possibilità di essere stata delicata quanto un elefante in un negozio di gioielli di cristallo, Shinobu si diede un pugnetto in testa, per poi tirare un sospiro, al quale seguì il naturale afflosciarsi delle spalle.
    «Scusa. Sei libero di non rispondere, se non vuoi farlo» aggiunse quindi, lasciandosi andare ad una risata imbarazzata. «E puoi ricambiare con una domanda altrettanto stupida e personale.»
    A quel punto cercò di riprendersi, accennando un sorriso cordiale. Per rassicurare lui o, molto più probabilmente, se stessa.

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