A lesson in a quiet place

[INATTIVA] Tsukiko Kurosawa & Katsuo Kawasaki; Biblioteca; 15/12/2018 (Dalle 14:30; Tempo sereno, 6°C

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    Il primo suono che sentii fu il mio cellulare, intento a squillare e ad emettere delle note dal timbro riconducibile ad un pianoforte. "Uff... È già ora..." Pensai, alzandomi dal letto in cui stavo beatamente dormendo. Erano le 15:00 e, considerando il fatto che ero andata in "pausa pranzo" all'una, avevo aggiunto due ore a quelle passate a dormire la notte prima. Passeggiare di notte mi è sempre piaciuto, ma farlo aveva un prezzo da pagare: le mie ore di sonno erano piuttosto ridotte e ciò mi aveva fatto sviluppare l'abitudine di dormire di pomeriggio. Avevo ancora una traduzione da finire ed era un lavoro che pagava piuttosto bene. Mi stiracchiai un po' e, dopo una tazza di caffè, mi rimisi al lavoro. "Upon further analysis..." Iniziai a scrivere in un documento su Word da una ventina di pagine, "... the collected data appear to be insufficient to prove the relationship between the prevoiusly mentioned events." Continuai a tradurre per un'oretta, poi ammirai il risultato del mio lavoro. Certo, il proofreading sarebbe stato ancora da eseguire, ma ci avrei pensato più tardi. Per il momento, l'unica cosa da fare sarebbe stata fare un quarto d'ora di pausa, per riposare la mente, in modo da poter tornare sul testo con la mente fresca e, magari, trovare qualche errore precedentemente sfuggitomi. Mi alzai dal tavolo della cucina e mi diressi verso l'unico elettrodomestico presente nella stanza, per preparare l'unica cosa che sapessi cucinare, nonché assimilare: un'altra tazza di caffè amaro. Nel giro di qualche minuto, l'odore della bevanda riempì l'ambiente in cui mi trovavo di un buonissimo profumo. Mi sedetti sul divano del soggiorno e, dopo aver chiuso gli occhi, iniziai a godere del frutto del mio lavoro. C'erano poche cose buone come il caffè, per noi ghouls, e tutte le altre finivano con "umano". Sorseggiai quel liquido caldo con parsimonia, per poterne godere il più possibile. Avevo fatto buona parte del mio lavoro, avevo mangiato per l'ultima volta tre giorni fa, quindi non stavo di certo morendo di fame, e me ne stavo al calduccio, seduta su un comodo divano a sorseggiare una tazza di caffè caldo appena fatto, ascoltando il silenzio intorno a me. Mi sentivo in pace con il mondo. "Momenti come questi non importeranno a nessuno..." Pensai, assaporando quella che per me era una sensazione di calma e tranquillità come poche altre, "... ma vale comunque la pena viverli." In fondo, non stavo facendo del male a nessuno e ne stavo comunque traendo piacere, un piacere onesto e guadagnato, dato che quella tazza altro non era che un'auto-ricompensa per la fine della maggior parte del mio lavoro. "I feel like I'm in Hea... Ma che..." Il mio momento per me fu interrotto dallo squillare del telefono che avevo riservato alle chiamate di lavoro. "Ancora cinque minuti, per favore..." Pensai, come se fossi stata vent'anni più giovane. Purtroppo, però, i miei non ci sarebbero stati per dirmi: <<Devi andare, Tsukiko-chan!>> Per un attimo, mi tornò in mente la voce di mia madre, intenta a pronunciare quelle esatte parole. Lei mi mancava molto, ma quello non era il momento di abbattersi. Non credevo nell'aldilà, ma mi piacque pensare che, nell'eventualità in cui mi sbagliassi e lei mi stesse osservando, sarebbe stata compiaciuta nel vedermi rispondere a quella chiamata. "Va bene, illusione di mia madre, risponderò." Andai in cucina, accanto al mio laptop, e presi il telefono, per poi cliccare la cornetta verde ed esordire con un semplice: <<Pronto?>> Dall'altro capo del telefono si trovava quello che, con molta probabilità, doveva essere un uomo non più troppo giovane, interessato a delle lezioni private d'inglese per quello che doveva essere suo figlio. Sembrava essere piuttosto serio, per quel poco che ebbi modo di capire. Voleva fare una lezione di prova, per vedere come si potesse trovare il ragazzo con me, in termini di apprendimento. Se l'esperienza si fosse dimostrata positiva, avrebbe continuato a farmi frequentare da costui. "That sounds to me like a ripoff!" Pensai, tra me e me. In fondo, che cosa avrebbe potuto dimostrarmi che lui potesse mandare suo figlio alla lezione gratuita e poi non farsi più sentire? Mi era già capitato, peraltro, che un ragazzo mi facesse un giochetto simile, quando ancora le ripetizioni mi servivano per pagare le rette universitarie. Il mio interlocutore mi era parso interessato, all'inizio, quindi decisi di proporgli uno sconto, in cambio del pagamento anticipato della prestazione. <<Voglio solo essere sicura che Lei non sia un perditempo o che non voglia mandare Suo figlio solo per una volta e poi sparire.>> Ci mise un po' a dire di sì, ma alla fine accettò. La cosa che, però, rese quella telefonata "particolare" fu il fatto che non appena chiesi: <<Quando potrei venire, quindi?>>, lui mi rispose dicendomi che casa sua sarebbe stata off-limits, senza dilungarsi troppo a spiegare il perché. Non che m'importasse, ovviamente, e non che fosse strano, per me, andare a fare ripetizioni fuori. Avevo trovato una biblioteca, nel distretto di Adachi, che aveva una stanza che affittava a chiunque avesse bisogno di un posto per fare una lezione privata. Ciò rendeva contenti i diretti interessati, senza dare fastidio ai frequentatori abituali del posto. Essendo la prima volta del ragazzo, decisi di offrire io la stanza. "Fortunatamente, non costa così tanto..." Una volta risolto quel problema, decidemmo d'incontrarci il giorno dopo alle 14:30, dato che la biblioteca faceva orario continuato. Dopo aver raccomandato al mio interlocutore di far portare al figlio almeno una penna ed un quaderno, mi congedai e chiusi la chiamata. "Speriamo che ne sia valsa la pena..." Pensai, con in mente solo il mio momento di pace rovinato. Presi la tazza di caffè, trovandola più fredda di prima e mi lasciai sfuggire un <<Dovevate chiamare proprio adesso?>>, che ruppe il silenzio appena creatosi. Finii di bere il caffè seduta stante e tornai a lavorare. Terminai il proofreading, concedendomi solo un'altra pausa, due ore più tardi che, questa volta, non venne interrotta, dopodiché decisi di andare a fare una passeggiata. Quando tornai era mezzanotte e, dopo aver ascoltato un po' di musica per un'altra ora, decisi di andare a dormire. La mattina successiva mi svegliai verso le 9:00 e, dopo aver ricontrollato il lavoro del giorno prima, inviai la traduzione ai miei committenti, per poi prepararmi l'ennesima tazza di caffè per festeggiare. "Potrei trasferirmi in Svezia!" Pensai, divertita, "Lì il caffè scorre a fiumi e tutti parlano inglese: sarebbe il posto perfetto per me!" Decisi di prendermi il resto della mattinata per me e mi misi a colorare un disegno che stava nel mio studio da un po' e che non avevo mai completato. Era una vista dall'alto di quelle che, un giorno, avrebbero potuto essere le rovine di Tokyo. Mi concessi qualche ora per colorarlo, finché una sveglia impostata per l'occasione non mi avvertì che, se non mi fossi preparata, sarei arrivata in ritardo all'incontro con un alunno che non avevo mai visto prima. Mi feci una doccia e mi rivestii subito dopo con abiti piuttosto casual: un maglione nero, dei jeans blu scuro ed un paio di polacchine di pelle marroni, che abbinai ad un cappotto nero, una sciarpa nera ed una cuffia sempre nera. Decisi di aspettare il ragazzo all'ingresso, subito dopo la porta. Se fossimo stati in estate, avrei preferito aspettarli fuori, ma eravamo in pieno inverno e c'erano poco più di sei gradi. Mi tolsi il cappotto ed andai a chiedere al personale se la stanza fosse libera. Fortunatamente, lo era: non molta gente amava studiare in quella che per molti era ancora la pausa pranzo. Decisi di iniziare a prenotare la stanza ma, prima di entrarci, decisi di aspettare il ragazzo. "Senza di lui, in fondo, sarei venuta qui per niente."

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    Finalmente, dopo molti sforzi ero riuscito a convincere mio padre a lasciarmi frequentare un corso per imparare l'inglese come si deve. Per via della mia natura da ghoul i miei genitori non mi avevano mai fatto frequentare una scuola umana, insegnandomi loro le basi su molte materie che si studiano anche a scuola, così da avere almeno una minima formazione. Tuttavia i loro insegnamenti non si possono di certo paragonare a quelli di un vero professore e quindi presi la mia decisione. Dovevo assolutamente prendere delle lezioni.
    All'inizio mio padre era contrario, non poteva lasciare che qualcuno scoprisse la mia vera natura. Da quando mio padre era tornato a casa senza mia madre, divenne molto paranoico, impedendomi di fare molte cose. Fortunatamente negli anni la sua paranoia si è quasi del tutto dileguata, anche se ogni tanto, come in quel caso, si preoccupava troppo.
    «Tranquillo! Ormai ho 18 anni, so come non farmi scoprire!»
    «Anche se lo credi, non puoi rischiare!»
    Dopo una lunga discussione giungemmo ad un accordo, avrei potuto prendere delle lezioni solo con un insegnate e quindi per una sola materia, a patto che fossero delle lezioni private. Decisi che la prima cosa da imparare doveva essere l'inglese, ormai al giorno d'oggi era importantissimo conoscere quella lingua. Ovviamente sapevo parlare un po' in inglese dato che era una delle cose che mi avevano insegnato i miei genitori, tuttavia avevo molte lacune su alcuni concetti e termini.
    Qualche giorno dopo mio padre mi informò che aveva contattato un'insegnante che era disposta a darmi lezioni in una biblioteca non troppo lontana da casa. Ero molto felice e volevo prepararmi per bene, quindi presi un libro di inglese che avevo comprato online qualche anno prima e inizia ad esercitarmi. Credo che mio padre si fosse accorto che non volevo essere disturbato, perché non entrò mai in camera mia se non per avvertirmi che dovevo nutrirmi per dare il meglio di me.
    Il giorno dopo ero pronto ad andare, quindi presi un piccolo zaino dove misi quel libro con cui mi ere esercitato il giorno prima, un quaderno degli appunti e qualche penna. Però prima di uscire sorseggiai una tazza di caffè per darmi la giusta carica e infine uscì di corsa, ero talmente in estasi che non ci misi nemmeno molto a vestirmi, prendendo la prima cosa che mi era capitata sotto mano, ovvero una felpa blu e bianca, un paio di pantaloni neri e una giacca invernale di colore rossa.
    Arrivai alla biblioteca circa dieci minuti prima dell'orario prestabilito e vidi oltre al personale, una ragazza all'apparenza poco più grande di me e subito mi chiesi se era lei l'insegnate. Nella mia immaginazione mi ero immaginato una persona più anziana, tuttavia non si giudica un libro dalla copertina, poteva essere lei l'insegnante, ma poteva essere anche una ragazza che era lì per tutt'altro motivo, quindi mi avvicinai entrando dalla porta.
    «Mi scusi, per caso è lai l'insegnate di inglese?»

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    L'attesa del mio nuovo studente era tutt'altro che snervante. Sentivo la faccia e le mani scaldarsi, a mano a mano che il tepore dell'interno della biblioteca mi pervadeva. Tesi l'orecchio,per ascoltare il silenzio di quel posto, interrotto soltanto dal rumore di qualche lettore, intento a girare le pagine di qualche vecchio libro giallo. Sorrisi istintivamente, pensando a quando anch'io passavo le giornate qui, a leggere qualche testo d'autore o a fare lezioni private come quella che mi accingevo a fare. Mi guardai intorno, scorgendo una ragazza, intenta a leggere quella che aveva l'aria di essere un'opera di Poe, poi un uomo, che aveva posato le mani su un libro nello scaffale dei gialli, poi ancora una donna, intenta a scegliere quale biografia leggere. Era bello osservare la gente leggere.
    Mi tornarono alla mente ricordi dei pochi mesi passati a casa di Ichigo, dopo la batosta che la CCG m'inflisse quando ancora indossavo la maschera di costui: avevo abbastanza tempo per analizzare i libri che i miei studi richiedevano e, poi, nel tempo libero, mi ritrovavo a leggere quelli che avevo già analizzato. Spendevo quasi tutto il mio tempo "libero" in camera mia, a ritrovarmi a viaggiare in luoghi che, tempo prima, avevo descritto minuziosamente. Non perdevo un singolo dettaglio di quelle avventure fatte senza nemmeno aprire la porta di casa. "In effetti, che cos'è una casa, se non un luogo sicuro, dove puoi permetterti di stare in pace con te stessa ed immaginare luoghi mai visti prima, senza nemmeno passare per il freddo dell'inverno di Tokyo?" Tuttavia, per quanto fosse bello guardare da lontano la gente immergersi in mondi impensabili, resi accessibili solo nel momento in cui le parole scritte toccano gli occhi, essere colei che, prontamente, agiva e compiva quel viaggio ai limiti del mistico era qualcosa di anche migliore. "Magari, quando avrò finito con questo studente, prenderò un libro in prestito!"
    <<Mi scusi, per caso è lei l'insegnante d'inglese?>> "Speaking of whom..." La voce di un ragazzo che doveva avere poco più di due terzi dei miei anni mi raggiunse, destandomi dai miei pensieri. La prima cosa che notai di lui fu che, nonostante sembrasse più piccolo di me, mi superava notevolmente in altezza. Lo guardai per un'istante, soffermandomi sul suo abbigliamento poco formale, e sulla sua felpa, più chiara della mia. Gli sorrisi, per poi rispondergli: <<E suppongo che tu sia Katsuo, giusto?>> Stavo parlando molto piano, quasi sussurrando, per non disturbare coloro i quali stavo osservando fino a poco prima. <<Piacere di conoscerti. Io sono Tsukiko.>> Girandomi leggermente, utilizzai la mia mano destra per indicare una porta, nell'angolo in fondo a sinistra della stanza. <<Lì si trova la stanza che possiamo usare per la lezione. >>
    Feci un passo, come per indicargli la via, poi iniziai a camminare verso la porta, che aprii. La lasciai aperta, in modo che anche lui potesse entrare, poi mi andai a sedere in un tavolo, al centro della stanza. La camera era bianca, così come il tavolo. Quest'ultimo era abbastanza grande da permettere a due persone di disegnarci sopra, nel caso in cui qualche studente della facoltà di architettura necessitasse di avere abbastanza superficie disponibile da appoggiarci un foglio A2 e tutto il suo materiale. Per ovviare al fatto che il banco da lavoro fosse più grande di una cattedra, superficie sulla quale non ero abituata a stare, per insegnare, erano state messe due sedie per lato, in modo da poter riuscire a porre il tavolo tra un docente ed un alunno, senza togliere la possibilità ai due di sedersi vicini o a chi di dovere di fare lezione a più di una persona. Alle pareti si trovavano una finestra, al lato opposto della porta, ed un orologio da parete sulla destra rispetto ad una persona entrante nella stanza. Questo era un vecchio orologio analogico con i classici numeri romani ad indicare l'ora. Nella parete rimanente, invece, si trovava un quadro, rappresentante la fotografia di un libro, visto di sbieco ma fortemente ingrandito. Nella pagina visibile nell'opera si leggeva una scritta, in una lingua che non conoscevo. Era scritta nel centro esatto della pagina, lasciando tutto il resto in bianco. In basso a destra del dipinto, a caratteri minuscoli, c'era la fonte da cui era stata presa. "Considerate la vostra semenza: ..." La rilessi, mentalmente, essendo quasi certa di starne sbagliando la pronuncia. "... fatti non foste a viver come bruti..." Continuai, pensando al fatto che avevo poi dovuto tradurre tramite google e cercare delle analisi in inglese per quei tre versi, per scoprirne il vero significato. "... ma per seguir virtute e canoscenza."
    Ed, a proposito di conoscenza, mi tornò alla mente il fatto che, essendo il ragazzo nuovo, almeno per quanto riguarda le mie lezioni, non avevo la più pallida idea del suo livello d'inglese. "Questo mi rallenterà un po'..." Non era un grosso problema, ma, invece che preoccuparmi solo di qualunque argomento gli servisse, avrei dovuto prima accertarmi che non avesse lacune grosse quanto laghi, lasciate da docenti precedenti o da una scarsa pratica. Me ne sarei occupata a tempo debito, ossia qualche secondo più in là, secondo le mie aspettative. Intanto, presi posto nel lato del tavolo che dava sulla porta ed aspettai che il ragazzo entrasse e si sedesse ovunque avesse voluto farlo. Certo, avrei preferito che si fosse seduto accanto a me, ma avrei reagito alzandomi ed avvicinandomi a lui, nel caso in cui avesse scelto qualche posto abbastanza distante da non permettermi di vedere bene che cosa stesse facendo. No, non m'importava il suo totale controllo: mi sarebbe bastata la sua totale attenzione, dato che ero stata chiamata per insegnare qualcosa che sapevo a lui e non il contrario. "Vediamo come va."

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    Edited by Antoil69 - 19/12/2018, 16:38
     
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    «E suppongo che tu sia Katsuo, giusto?»
    «Esattamente, è un piacere incontrarla!»
    Notai subito come lei si presentò con un tono di voce abbastanza basso ed io mi adattai, parlando allo stesso modo. La mia nuova insegnante di inglese mi aveva fatto un'ottima prima impressione, si era presentata in modo cordiale e inoltre era molto carina e vestita in modo elegante, fatto che tra l'altro mi fece pensare che forse sarebbe stato non vestirsi con le prime cose che avevo trovato. Indicandomi una porta mi disse che avremmo svolto lì la lezione ed avviandosi verso di essa, io la seguì a ruota, osservando le cose intorno a me e notando delle persone intente a leggere che non avevo minimamente notato prima, probabilmente era per quello che parlava a bassa voce.
    Tsukiko mi aprì la porta ed una volta entrato nella stanza, chiusi. All'interno c'era un quadro raffigurante un libro che osservai giusto per un secondo e delle finestre da cui entrava tutta la luce della stanza. Mi avvicinai al tavolo bianco come le pareti della stanza, mi tolsi la giacca appoggiandola sul retro della sedia posta di fronte alla mia nuova insegnate.
    «Mi deve scusare se non sono vestito adeguatamente per una lezione... ehm... ho qui un quaderno e un mio vecchio libro di inglese, non sapevo esattamente cosa portare...»
    Detto ciò iniziai a frugare dentro lo zaino che avevo appoggiato per terra in parte a me, tirando fuori il quaderno, il libro e gomma e matita sul tavolo, pronto a fare lezione. Mentre aspettai le sue istruzioni riflettei sul fatto che l'insegnate emanava un odore particolare, non era come se si fosse messa un profumo strano o cose del genere, era diversa dalle altre persone presenti nella biblioteca. Capii la situazione quasi immediatamente dopo averci pensato un minimo.
    "Non può essere... anche lei è un ghoul!"

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    La presenza di Katsuo, facilmente individuabile per la sua altezza, mi seguì e chiuse la porta dietro di sé, andando a sedersi di fronte a me.
    <<Mi deve scusare se non sono vestito adeguatamente per una lezione... ehm... ho qui un quaderno e un mio vecchio libro di inglese, non sapevo esattamente cosa portare...>> Detto ciò, il ragazzo iniziò a tirare fuori tutto il materiale che aveva portato: una matita, un libro, una gomma ed un quaderno. Il mio sguardo si concentrò sul libro non appena lo vidi. Essendo io più una traduttrice che un'insegnante, non avevo una conoscenza approfondita di ogni libro di testo, a meno che uno degli studenti che avevo aiutato nel corso del tempo non l'avesse avuto. Purtroppo, quello mancava all'appello. Tuttavia, con l'esperienza acquisita tramite varie ripetizioni, nonché quella ottenuta durante i miei corsi di studi, non tanto all'università quanto prima, avevo imparato a distinguere un buon eserciziario da uno scarso... o, almeno, mi piaceva pensarlo. <<Potrei dare un'occhiata al libro, se non ti dispiace?>>
    Mi avvicinai a lui, iniziando a notare che, complice anche il fatto che la stanza fosse chiusa, l'odore di esseri umani, unito a quello altrettanto buono della carta, stava iniziando ad affievolirsi. In più, a mano a mano che la mia distanza, già ravvicinata, diminuiva ulteriormente, un altro odore iniziò ad arrivare al mio naso sempre più intensamente. Lo riconobbi immediatamente: era l'odore di cibo, ma non cibo qualunque. Era l'odore di qualcosa che avrei potuto mangiare in caso di emergenza, ma che, per quanto a me commestibile, aveva un sapore poco migliore del cibo umano. Katsuo era un mio simile. Non diedi, però, troppo peso alla cosa: eravamo in un posto affollato, che pullulava di umani pronti ad allertare la CCG al minimo segno di attività sospetta, per di più all'ora di punta. "Attaccarmi sarebbe un suicidio, indipendentemente da chiunque di noi sia effettivamente il più forte. E, poi, lui ha un motivo per essere qui." Certo, avrei potuto trovare due psicopatici, lui ed il suo presunto padre, pronti anche a cacciare alla luce del giorno. In quel caso, però, forse si sarebbero tirati indietro per il mio essere ghoul. Non potevo saperlo, ma un patto non scritto di non belligeranza sarebbe convenuto a tutti gli interessati. Forte di questi pensieri, potei permettermi di agire con sicurezza e fingere che niente fosse.
    Allungai la mano verso il libro, pronta a prenderlo, nel caso in cui lui non me l'avesse strappato di mano. Nel mentre, per sdrammatizzare, dissi: <<E credimi, ho visto di peggio per quanto riguarda il vestiario.>>
    Mi sedetti accanto a lui, approfittando di una sedia poco distante, sulla sua sinistra. Non mi attaccai a lui, ma rimasi un po' più distante, forse anche per via del ruolo che ricoprivo. Mantenere una distanza sociale mi permise di provare a non apparire troppo invadente, non vedere il mio spazio personale venir invaso da uno sconosciuto e, nel frattempo, poter vedere ogni sua mossa ed avvicinarmi per correggere qualunque errore avesse potuto fare, cosa che stare dall'altro lato del tavolo non mi avrebbe permesso. Inoltre, stando a distanza, avrei conservato il mio ruolo di docente, senza cadere in equivoci.
    <<Per cominciare, vorrei controllare il tuo livello d'inglese con un piccolo test scritto ed orale. Alternerò alcune modalità di verifica, per verificare la tua comprensione orale, scritta e la tua capacità di scrivere e parlare, passando da una lingua all'altra.>> Dissi, cercando di apparire quanto più professionale possibile. <<Tuttavia, necessito di sapere prima, anche vagamente, qualcosa che sai fare, giusto per non andare troppo oltre le tue capacità o chiederti cose troppo elementari.>> M'interessava farmi un'idea non troppo precisa delle sue abilità, ma non gli avrei permesso di delineare troppo chiaramente i suoi limiti: l'esperienza mi aveva insegnato a non dare per appreso ciò che qualcuno diceva di saper fare. Molto spesso, durante le mie prime ripetizioni, mi ero ritrovata a spiegare autori o concetti complessi relativi alla grammatica solo per scoprire che ai miei studenti mancavano le basi dello studio del passato o del gerundio o che nemmeno riuscivano a scrivere decentemente, facendo errori che mia madre mi aveva corretto quando avevo otto anni. Avevo elaborato quel piccolo test, formato da frasi semplici, che si complicavano a mano a mano che l'esercizio procedeva. <<E, soprattutto, m'interessa sapere che cosa vorresti imparare, precisamente, così da poter impostare un percorso verso il tuo obiettivo, qualunque esso sia. Potresti darmi qualche informazione in più?>> In fondo, chiunque aveva più interesse ad imparare qualcosa di più specifico rispetto all'inglese in generale. In più, una volta giunti al termine di quell'argomento, sarebbe stato possibile estendere le proprie conoscenze ad un altro, acquisendo nuovi termini e nuove conoscenze, tutte basate su una fonetica ed una grammatica comune. Una volta in possesso delle basi, per esempio, mia madre mi aveva insegnato tutti i termini del mio quotidiano, affinché io li potessi utilizzare per parlare ed, a mano a mano che sviluppavo passioni o interessi verso qualcosa, m'insegnò come cercare termini nuovi e memorizzarli, per poter accedere a tutta una serie d'informazioni non in giapponese, che espansero ulteriormente la mia conoscenza linguistica e dell'argomento. "Imparare una lingua, in fondo, è un circolo virtuoso. Ora vediamo come lui vuole usare questo meccanismo..."

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    «Potrei dare un'occhiata al libro, se non ti dispiace?»
    «Certamente.»
    Lei si avvicinò a me per osservare il libro che mi ero portato dietro, probabilmente voleva capire se poteva usarlo nelle sue lezioni oppure no.
    "Non credo abbia intenzione di attaccarmi. Siamo in pieno giorno e se non bastasse anche in un luogo pieno di persone, sarebbe da pazzi anche solo pensarlo! Credo che ormai anche lei abbia compreso la situazione, però si sta comportando normalmente... Speriamo bene."
    Dopo aver osservato per un po' il libro, si sedette alla mia sinistra, forse voleva avere un visuale migliore sul mio operato. Appena si sedette, io mi girai leggermente verso di lei per avere una posizione migliore per eventualmente parlare con lei.
    «Per cominciare, vorrei controllare il tuo livello d'inglese con un piccolo test scritto ed orale. Alternerò alcune modalità di verifica, per verificare la tua comprensione orale, scritta e la tua capacità di scrivere e parlare, passando da una lingua all'altra.»
    Feci un cenno con la testa, facendo intendere che avevo capito. Almeno fino a quel momento mi aveva fatto una buona impressione, sembrava molto professionale.
    «Tuttavia, necessito di sapere prima, anche vagamente, qualcosa che sai fare, giusto per non andare troppo oltre le tue capacità o chiederti cose troppo elementari. E, soprattutto, m'interessa sapere che cosa vorresti imparare, precisamente, così da poter impostare un percorso verso il tuo obiettivo, qualunque esso sia. Potresti darmi qualche informazione in più?»
    Feci un'altro cenno con la testa. Ci misi qualche istante per pensare velocemente a tutto quello che sapevo, o almeno pensavo di sapere e tutto quello che non mi era chiaro.
    «Dunque... In genere me la cavo a tradurre delle frasi scritte, anche se faccio molta fatica a capire quando e come usare la maggior parte dei tempi verbali. Inoltre spesso mi dimentico le varie forme dei verbi irregolare ed ho molta difficoltà a parlare senza usare frasi e verbi semplici, quasi sempre al presente, sempre per i problemi che ho già detto.»
    Effettivamente per un ragazzo della mia età avevo davvero tante lacune, tuttavia essendo che anche l'insegnate era un ghoul, forse comprendeva il motivo di così tante lacune, ovvero il fatto di non aver potuto frequentare una scuola umana. Fu in quel momento che mi domandai come aveva fatto lei a diventare addirittura un'insegnante, forse aveva frequentato una scuola oppure come me era andata a dei corsi privati.
    «Ehm... In ogni caso vorrei correggere queste mie lacune e perfezionare la mia conoscenza sui termini inglesi. Credo di aver detto tutto. Va bene così?»

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    L'osservazione del libro di Katsuo si era rivelata utile: il libro di testo non sembrava solo in buone condizioni, per quanto vecchio il ragazzo aveva detto che fosse, ma sembrava anche buono, almeno da un'analisi molto veloce. Non mi soffermai molto su di esso, per non perdere troppo tempo prezioso, ma, almeno in generale, sembrava ben fatto. Avrei potuto utilizzarlo per assegnargli qualche compito, volendo. Gliene avrei assegnato comunque, ma quel libro avrebbe potuto costituire un pretesto più che buono per fargli avere qualche esercizio guidato e qualche regola alla quale appoggiarsi, in mia assenza, nonché per evitare qualunque scusa relativa alla scarsità del materiale.
    Avevo avuto abbastanza alunni nel corso degli anni, soprattutto prima di finire l'università, da essere stata in grado, col passare del tempo, di dividerli in due categorie: gli studenti e gli ex-studenti. I primi erano quelli che, in difficoltà con la mia materia, venivano da me alla ricerca di un aiuto per il prossimo compito o argomento. Questi avevano tutto il materiale, se non anche qualcosa in più, e, di solito, li aiutavo negli esercizi dati dai loro docenti. Certo, il mio compito primario rimaneva quello di fare attività di potenziamento, ma anche quei compiti potevano essere considerati attività di quel tipo. Gli studenti erano, spesso, i più diligenti, erano tutti più giovani di me e, fortunatamente per me, costituivano il maggior numero dei miei clienti. Gli ex-studenti, invece, erano un gruppo piuttosto variegato, composto perlopiù da lavoratori, la maggior parte dei quali più anziana di me. "Non che io lo sia..." Questi, per un motivo o per l'altro, non avevano imparato l'inglese a scuola e, per non pagare il prezzo, sempre più alto col passare del tempo, dato dall'ignoranza di tale materia, si rivolgevano a me per colmare qualche lacuna. "E con qualche, intendo parecchie..." Di solito, assegnavo io degli esercizi a costoro ma, salvo rare eccezioni, mi ritrovavo a dover realizzare che nessuno dei piccoli compiti che avevo assegnato loro era stato eseguito. Spendere del tempo con costoro era frustrante, anche perché, se la prima categoria di studenti, dopo un po', riusciva a prendere il volo, per questi ultimi anche il più piccolo miglioramento richiedeva un dispendio esagerato di tempo ed energie, eccezioni a parte. La frustrazione che provavo, lavorando con gente del genere era tanta e, molto spesso, nemmeno loro sapevano che cosa volevano dalle mie lezioni.
    Avevo, fin da subito, inquadrato Katsuo tra il primo gruppo, basandomi solo sulla sua giovane età. Tuttavia, alcuni suoi atteggiamenti mi fecero pensare che, forse, potessi essermi sbagliata. Fin da subito, aveva mostrato un libro da lui stesso definito vecchio, nonché solo una gomma ed una matita, senza nemmeno passare per un astuccio. Inoltre, era stato molto vago nell'elencare i suoi obiettivi d'apprendimento. "Di solito, uno studente sa in quali argomenti ha bisogno dell'aiuto di un docente..." Certo, aveva anche elencato delle abilità d'inglese non proprio desiderabili, ma avevo avuto anche degli studenti con lacune simili. Ciò che mi preoccupava di più erano alcuni tratti del suo comportamento, non troppo in linea con il mio concetto di "studente". Lo avrei aiutato in ogni caso ad acquisire più conoscenza, per quanto il percorso si sarebbe prospettato un po' più tortuoso del previsto, ma avrei dovuto sperare che, oltre all'età, tra i suoi tratti buoni ci fosse anche la diligenza. Tuttavia, rimaneva il fatto che lui si stava rivelando quasi un caso a sé, nel poco tempo che avevamo trascorso insieme. Certamente, era il mio primo studente che presentava alcune caratteristiche di chi non lo era più, ma avrei chiarito meglio la situazione col passare del tempo. "Magari, semplicemente non s'impegna a scuola, ma mi è sembrato piuttosto volenteroso per essere stato costretto a venire qui... Non capisco..."
    <<D'accordo.>> Dissi, iniziando a rispondere alle poche informazioni ricevute da Katsuo. <<Mi sarei aspettata, forse, un argomento più specifico o il voler ripassare qualcosa che puoi aver fatto a scuola ma, se hai davvero le lacune che dici di avere, non potrei comunque parlarti di qualcosa di più avanzato o specifico, se poi non possiamo capirci. Hai fatto bene a non proporre nulla di troppo complesso, per ora. Penseremo più tardi ad un argomento specifico ed ad una terminologia settoriale. Adesso partiremo dalla grammatica. Inizierò scrivendoti un paio di frasi, dalla più semplice alla più complessa. Traduci quelle che riesci.>>
    Dopo aver detto ciò, mi avvicinai per prendere il quaderno e la matita accanto al ragazzo. Saltando una riga dopo ogni frase, scrissi nella prima pagina bianca che trovai, aprendo il quaderno:
    "1) I am a young boy;
    2) My teacher's hair is brown;
    3) Mi piace disegnare paesaggi e persone;
    4) I've read a book about the life of a football player;
    5) Alla fine della lezione, avrò imparato a tradurre frasi semplici.
    "
    <<Noterai...>> Dissi, restituendo il quaderno e la matita al loro legittimo proprietario, <<... che due frasi sono in giapponese. Vorrei vedere come te la cavi a tradurre anche da quella che suppongo sia la tua lingua madre all'inglese. E, mi raccomando, non esitare a chiedermi qualunque cosa ti possa servire.>>
    Ritornai al mio posto e mi concentrai su di lui. Non erano frasi troppo difficili, per me, ma non mi aspettavo la traduzione perfetta di ognuna, anche perché alcune superavano il livello d'inglese che lui mi aveva detto di avere. Mi sarei concentrata, probabilmente, sulle prime tre, le più semplici. Quel test, per quanto semplice, sarebbe valso più delle sue parole. Certo, non era l'unica cosa che avevo intenzione di chiedergli, ma era un inizio, giusto per capire quanto lontano avessi potuto spingermi con lui. "Ora vediamo come se la cava..."

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    Per quanto risibili siano le frasi, ti avevo detto che le avrei tradotte sotto spoiler e lo farò:

    1) Sono un ragazzo giovane;
    2) I capelli della mia insegnante sono castani (Letteralmente, sarebbe "marroni");
    3) I like [to draw/drawing] landscapes and people;
    4) Ho letto un libro sulla vita di un calciatore;
    5) At the end of the lesson, I will have learnt how to translate simple sentences.


    Edited by Antoil69 - 8/1/2019, 09:15
     
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    Mentre le spiegavo in sintesi quali erano le mie lacune, capì che mi stava per così dire valutando, non sapevo se era un bene o un male ma probabilmente stava facendo ordine mentale per poter fare delle lezioni il più possibili utili.
    «D'accordo. Mi sarei aspettata, forse, un argomento più specifico o il voler ripassare qualcosa che puoi aver fatto a scuola ma, se hai davvero le lacune che dici di avere, non potrei comunque parlarti di qualcosa di più avanzato o specifico, se poi non possiamo capirci. Hai fatto bene a non proporre nulla di troppo complesso, per ora. Penseremo più tardi ad un argomento specifico ed ad una terminologia settoriale. Adesso partiremo dalla grammatica. Inizierò scrivendoti un paio di frasi, dalla più semplice alla più complessa. Traduci quelle che riesci.»
    Bene, si incomincia. Aspettai che Tsukiko scrivesse le varie frasi sul mio quaderno e poi, quando me lo ridette, osservai attentamente le frasi. Tre erano in inglese e almeno ad una prima occhiata avevo capito per lo meno il significato, tuttavia mi preoccupai un po' per le due frasi in giapponese, non sembravano troppo complesse però come le avevo anche detto, spesso mi confondevo con i tempi verbali da utilizzare.
    Presi la matita ed iniziai a scrivere sotto ad ogni frase la corrispondente traduzione.
    "I am a young boy... ok. My teacher's hair is brown... ok. Mi piace disegnare paesaggi e persone... mmh... credo sia: i like... draw landscapes and people. I have read a book about the life of a football player... dovrebbe essere: io ho letto un libro sulla vita di un giocatore di calcio o qualcosa di simile. Ora il problema è l'ultima, dunque... Alla fine della lezione, avrò imparato a tradurre frasi semplici... mmh... at the end of the lesson... i will? Dovrebbe essere will perché è un futuro..."
    Dopo averci pensato per un po' scrissi le mie risposte sul quaderno, per poi consegnarglielo:
    "1) Io sono un ragazzo giovane;
    2) I capelli della mia insegnante sono marroni;
    3) I like draw landscapes and people;
    4) Ho letto un libro sulla vita di un giocatore di calcio;
    5) At the end of the lesson, i will learn how to translate simple."

    «Ecco ho fatto. Ho dei dubbi sull'ultima frase, credo sia giusta ma non ne sono sicuro e poi non so come si traduce "frasi".»
    Dopodiché aspettai un suo giudizio, non credevo di aver fatto tutto giusto, però non era neanche andata così male, almeno da quanto mi aspettavo.

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    Concessi al mio nuovo studente abbastanza tempo per completare l'incarico da me richiesto, poi controllai i risultati del mio piccolo test. "Interessante..." Le prime due frasi erano state eseguite senza intoppi, rivelando una conoscenza, almeno superficiale, del present simple, almeno in forma attiva, nonché del genitivo sassone. Anche la quarta frase era stata tradotta bene, seppure non fosse da trattare come le altre, in quanto Katsuo stesso aveva detto di avere delle lacune nei tempi al passato, cosa ancora da verificare. La terza frase mi aveva lasciata perplessa: landscape non era certamente un termine alla portata di tutti e lui sembrava averlo azzeccato senza problemi. La cosa che più m'incuriosiva, però, era lo strafalcione fatto con il verbo all'infinito della frase, messo lì senza la particella che rendeva il suo utilizzo sensato. Inoltre, l'ignoranza della parola sentences, unita alla conoscenza della parola dal significato di "paesaggio", rendeva il suo caso unico, tra gli studenti che avevo avuto. A quante persone sarebbe servita quell'ultima parola più della prima? "A nessuno." Pensai, "Nemmeno a me, che disegno quasi esclusivamente paesaggi..." La quinta frase, invece, per quanto Katsuo avesse detto che avrebbe potuto essere giusta, non lo era: mancava una parola ed, oltre a quella, il tempo verbale era sbagliato. Il ragazzo, infatti, aveva utilizzato il future simple al posto del future perfect. Era un errore che, nella sua situazione, era anche accettabile, ma, in altre circostanze, avrebbe potuto far capire qualcosa di diverso da ciò che lui avrebbe potuto intendere. La conoscenza lessicale del ragazzo sarebbe stata da valutare ulteriormente in seguito ma, sentences a parte, non aveva sbagliato una parola. Il problema più importante, per lui, sembrava essere la padronanza dei tempi verbali, ancora tutta da acquisire.
    <<Le prime due frasi sono corrette. Molto bene.>> Presi il quaderno e la matita per poi iniziare a correggere gli errori da me individuati. Iniziai con la terza frase, scrivendo la frase "Mi piace disegnare" e facendo partire da essa due frecce divergenti, entrambe rivolte a destra, ma una più verso l'alto e l'altra più verso il basso. <<Nella terza, invece, c'è un errore.>> Iniziai a dire, in tono serio, ma senza voler far sembrare che ce l'avessi con lui, <<Per dire che a te piace disegnare, non puoi utilizzare la forma: "I like draw", in quanto è scorretta. Ci sono due forme corrette tra cui scegliere. Potresti dire: "I like to draw", usando la particella to, seguita da un verbo all'infinito...>> Nel mentre, scrissi quella stessa frase e , tra parentesi, come comporla, accanto alla freccia in alto. <<... Oppure, potresti usare: "I like drawing", forma costituita solo dal present participle, ossia il participio presente inglese.>> Ripetei, poi, la stessa procedura appena effettuata, stavolta accanto alla freccia più in basso. <<Entrambe hanno lo stesso valore e vengono usate indistintamente. Scegli quella che preferisci, ma occhio: dopo un avverbio, come nella quinta frase, si può usare solo l'infinito. Lì hai tradotto bene un costrutto sintattico non da poco. Peccato per il verbo: lì hai confuso due tempi. Ti avevo chiesto un future perfect, un futuro anteriore, e tu hai messo un future simple, un futuro semplice. Il tempo corretto sarebbe stato...>> Sbarrai con un tratto di matita il verbo da lui utilizzato, per poi correggerlo col verbo giusto, che ripetei subito dopo: <<... I will have learnt. Inoltre, frasi si traduce sentences.>> Gli scrissi anche questo piccolo appunto accanto all'ultima frase da me scritta.
    La prima parte del mio test si era conclusa. Era, ormai, il momento della seconda parte: la listening comprehension. Dopo quella valutazione, ne sarebbe seguita un'altra e, sulla base delle tre parti del mio test, avrei deciso da dove partire per far iniziare il percorso d'apprendimento di Katsuo nella maniera migliore possibile. <<Molto bene!>> Dissi, restituendo il materiale al suo legittimo proprietario, <<Inizieremo adesso la seconda parte del test: la comprensione dell'ascolto. Ciò che faremo sarà semplice: io dirò qualche frase in inglese lentamente e scandendo le parole e tu dovrai scrivere quello che senti, per poi tradurlo. Non preoccuparti se sbagli. Sei pronto?>> Attesi qualche secondo, per dargli il tempo di prepararsi mentalmente a delle frasi che sarebbero state scandite al massimo delle mie possibilità, per facilitare la sua comprensione. Presi un respiro e dissi: <<Okay, iniziamo. Se non capisci una frase, chiedi e te la ripeterò: There is a girl, sitting next to me...>> Attesi qualche istante, il tempo necessario per scrivere o per chiedermi di ripetere. Se me l'avesse chiesto, l'avrei fatto. <<... Is that black thing a toast or a plate? ...>> Passò ancora qualche secondo, poi ripresi a parlare: <<... I didn't believe in dragons until I saw one... >> <<... Will he be working in that restaurant this year as well?>>
    Decisi di dargli solo quattro frasi, dato che il compito da me richiesto era abbastanza arduo. >In fondo, per uno con delle lacune nei tempi verbali, sarebbe stato strano riuscire a fare tutto perfettamente, ma cercai di tenere questo piccolo pregiudizio per me, dato il fatto che era riuscito a fare tre delle mie frasi perfettamente e che aveva indovinato anche una parola piuttosto difficile. <<Consegnami il quaderno quando hai finito, per favore.>> Avevo usato diversi tempi verbali, forme negative ed interrogative, nonché un costrutto particolare, che ero curiosa di vedere se lui fosse stato in grado di comprendere. "There's only one way to find out...", dissi a me stessa, aspettando che Katsuo finisse la prova da me assegnata.

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    A me la magia degli spoiler!

    1) C'è una ragazza, seduta accanto a me;
    2) Quella cosa nera è un toast o un piatto?
    3) Non credevo ai draghi finché non ne ho visto uno;
    4) Lui lavorerà in quel ristorante anche quest'anno?

    P.S: Realizzo solo ora, a post terminato, che, forse, non è stata una buona idea non dirti che landscape non è proprio un termine troppo semplice. Se vuoi più informazioni sul costrutto o sulle varie frasi, chiedi e ti sarà dato. Non te lo dico qui nel caso in cui tu preferisca agire senza tali dati ma, se per qualunque motivo, ciò non dovesse andarti bene, ripeto, basta chiedere. Io agirei senza dato che, se te li dico, si rischia il powerplay, ma vedi tu.
     
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    «Le prime due frasi sono corrette. Molto bene.»
    Non che avessi dei dubbi, quelle prime frasi erano davvero molto semplici anche per uno come me che non ha mai frequentato la scuola.
    «Nella terza, invece, c'è un errore.»
    Anche se la quarta frase era corretta, la terza e l'ultima non erano senza errori, anzi! In sostanza Tsukiko mi spiegò tutto quello che c'era di sbagliato: nella terza avevo usato l'espressione "I like draw", invece si doveva utilizzare una delle due possibili forme, ovvero "I like to draw" oppure "I like drawing". Nella quinta invece avevo sbagliato il tempo verbale, usando il future simple al posto del future perfect. Inoltre mi disse il termine inglese che non conoscevo, cioè "frasi". Dopodiché mi riconsegnò nuovamente il quaderno su cui mi aveva scritto tutte le correzioni che aveva spiegato.
    «Ok, ho capito. Cercherò di migliorare.»
    A questo punto dopo aver finito la cosiddetta prima prova, sarei passato alla seconda che consisteva in una specie di dettato con annessa traduzione da parte mia delle varie frasi. Girai la pagina del mio quaderno, presi una penna e mi concentrai mentre attendevo che si incominciasse.
    «Okay, iniziamo. Se non capisci una frase, chiedi e te la ripeterò: There is a girl, sitting next to me..»
    La ascoltai attentamente e quello che scrissi fu: "There is a girl sitting next to me." Non fu difficile capire tutto, Tsukiko aveva scandito bene le parole, probabilmente per aiutarmi.
    "Dunque... sitting se non sbaglio vuole dire sedersi, dunque la frase dovrebbe essere questa..."
    Alla fine sotto la frase in inglese, scrissi la mia traduzione: "C'è una ragazza seduta vicino a me."
    «...Is that black thing a toast or a plate?...»
    Qui invece avevo un po' di titubanza data la presenza di un termine che non conoscevo. Scrissi: "Is that black thing a toast or a plate?" con la rispettiva traduzione: "Quella cosa nera è un toast o ?" lasciai uno spazio vuoto per via di "plate" che non sapeva cosa significasse, ma dato il contesto della domanda forse si trattava di un cibo.
    «...I didn't believe in dragons until I saw one...»
    Scrissi: "I didn't believe in dragons untill I saw one." e: "Non credevo nei draghi finché non ne vedo uno." Con questa frase ebbi qualche difficoltà in più, data la presenza di "until" che non ero sicuro sul significato, quindi cercai di capire qual'era il significato della frase, sperando in un colpo di fortuna.
    «...Will he be working in that restaurant this year as well?»
    Fortunatamente il verbo di questa domanda era abbastanza facile, quindi non avevo dubbi sul tempo verbale da usare: "Will he be working in that restourant this year as well?" poi la traduzione non tardò ad arrivare: "Lui lavorerà in quel ristorante quest'anno?"
    Dopo aver ricontrollato le frasi per cercare eventuali errori di scrittura, che tra l'altro non trovai, consegnai il quaderno a Tsukiko.

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    Presi il quaderno dalle mani di Katsuo e mi soffermai sulle varie frasi che lui aveva scritto. Le lessi un paio di volte, in cerca di errori che la mia prima correzione avrebbe potuto non aver notato e ne trovai alcuni, relativi sia all'ortografia che alla grammatica. Correggere i primi fu relativamente semplice e veloce: cancellai la seconda L, da lui scritta alla fine della parola until, con una semplice linea di matita, poi sbarrai la parola da lui sbagliata nella quarta frase, sostituendola, sotto con restaurant, il termine corretto. Per quelli grammaticali, invece, decisi di effettuare una correzione più approfondita. <<Hai fatto solo due errori di ortografia.>> Iniziai a dirgli, per poi indicarglieli con la matita che avevo in mano. <<Stai molto attento a che cosa scrivi: in inglese, scrivere una parola in maniera diversa può alterarne il significato in maniera notevole. Per esempio...>> Dissi, scrivendo "pecora" e "nave" nella lingua che avrei dovuto insegnare al ragazzo, <<... Sheep significa "pecora" e Ship, la cui pronuncia è molto simile alla parola di prima, seppur non uguale, significa "nave".>> L'inglese, purtroppo, era pieno di giochi di parole simili, che lo rendevano un po' rognoso da imparare. Tuttavia, tali assonanze potevano anche dar luogo a battute o a confusioni che, per quanto potessero non essere così belle nella vita reale, avrebbero potuto creare del materiale per qualche battuta in un film, se non esagerate. Avrei potuto dargli qualcosa da fare a casa, anche perché lui non mi aveva detto di avere dei compiti assegnati dalla scuola. <<Non preoccuparti di tali errori: spariranno con la pratica, e con l'andare avanti delle lezioni. La prossima volta, ti porterò qualche traccia audio con dei discorsi da trascrivere, quindi porta una chiavetta USB, la prossima volta. Per il momento, se hai, da qualche parte, il CD incluso insieme al libro che hai portato, potresti incominciare con quello. Per la prossima volta, potresti fare la prima traccia del disco, volendo.>>
    Scrissi anche la traduzione in giapponese di entrambe le parole citate prima, poi gli segnai i compiti assegnati sulla parte della pagina da noi utilizzata, più in alto delle righe. Non avevo portato molto, per quella lezione per sondare un po' il terreno e capire le intenzioni del mio studente, il cui odore, coperto sempre meno da quello dei libri, mi faceva intendere sempre più chiaramente che egli fosse un ghoul come la sottoscritta. La mia telefonata col padre del ragazzo mi aveva messa in guardia contro il rischio di una possibile lezione one-shot gratuita, nonostante egli avesse, infine, pagato per il mio tempo. Tuttavia, tale rischio sarebbe stato scongiurato del tutto solo in caso di una seconda lezione con Katsuo. Inoltre, l'esecuzione o meno di tali compiti avrebbe potuto aiutarmi a capire meglio in quale delle due categorie di studenti inserirlo, per rendermi più semplice il lavoro.
    Una volta fatto ciò, iniziai a correggere gli altri errori davanti a lui. <<Ora veniamo alla traduzione. La prima frase, di nuovo, è corretta. Nella seconda manca un termine, nella frase in giapponese. Te lo scrivo io direttamente per questa volta, ma presta più attenzione.>> Detto ciò, scrissi la parola "piatto", collegandola con una freccia alla sua traduzione in inglese.
    Mentre facevo quella determinata azione, ripensando alle frasi dell'esercizio precedente, decisi di dargli un piccolo consiglio, da fargli seguire da quel momento in poi: <<Ho notato che, quando non conosci una parola, tendi a non scriverla: l'hai fatto nella prima parte del mio test, in questa frase e nella quarta. Quando non conosci una parola, d'ora in poi, ti consiglio di scrivere tra parentesi ciò che non riesci a tradurre o ad esprimere con una matita: facendo così, i tuoi esercizi saranno più ordinati e semplificherai notevolmente la vita di chiunque ti debba aiutare, inclusa la mia.>>
    Continuai, poi, con la correzione della terza frase. L'errore in quella, era evidente: il tempo verbale. Katsuo aveva utilizzato una parola che, coniugandola come aveva fatto lui, significava "tagliare con una sega". Tuttavia, prendendola come verbo al passato, il suo significato diventava "vidi". L'errore, che portò al crearsi, nella mia mente, di un'immagine di un ragazzo intento ad affettare un drago, mi divertì, ma cercai di non ostentare tale stato d'animo per preservare il mio ruolo da docente, nonché per non offendere il mio nuovo studente. Mi limitai, semplicemente, a dire: <<Qui, invece, hai sbagliato il tempo verbale: saw è il passato di "vedere". Il presente sarebbe see.>> Dopo aver barrato il verbo sbagliato ed averlo sostituito con quello giusto, arrivai all'ultima frase. <<Qui, invece, hai capito il senso della frase ed, a parte l'errore di ortografia ed il costrutto che hai dimenticato, hai tradotto bene. Ricordati solo che as well si può tradurre con "anche">>. Corressi la frase davanti a lui, scrivendogli anche il termine tradotto, così come avevo fatto con la seconda frase, poi gli riconsegnai il quaderno.
    Per quanto non mi stessi impegnando per complicargli la vita, Katsuo stava andando relativamente bene. A questo punto della mia valutazione iniziale, di solito, ero in grado di farmi un'idea piuttosto chiara delle abilità dei miei nuovi studenti. Stavo, a poco a poco, inquadrando anche lui, seppure qualche suo errore mi facesse intendere una mia possibile sopravvalutazione ed ogni parola non troppo semplice o tempo verbale azzeccato mi facesse pensare al contrario. La terza parte del test avrebbe deciso il mio modo di approcciarmi a lui una volta per tutte. In fondo, quella era anche la parte più difficile e, forse, quella più utile: la capacità discorsiva. Avevo imparato a mie spese che, all'infuori della facoltà di lingue, l'inglese acquisiva la pronuncia della parlata nipponica, che rendeva la lingua di Shakespeare a dir poco cacofonica. Non mi aspettavo che Katsuo avesse la pronuncia di un madrelingua, abituata com'ero a sentire storpiature come "ciocorèito" o, dato il periodo dell'anno ormai alle porte, "meri Curìsmas". "Ogni anno è uno strazio..." Pensai, immaginando le varie pubblicità e constatando che, per quanto avessi vissuto nel Paese del sol levante tutta la mia vita, forse non avrei mai smesso di provare un notevole fastidio nel sentire una lingua così bella rovinata dalla pronuncia, fin troppo forte, dei miei connazionali. Tenevo in particolar modo alla pronuncia dei miei studenti e, su quella, non sarei stata transigente. <<Ora ti farò fare un ultimo esercizio, un po' più difficile degli altri, poi avrò terminato la valutazione. I would like you to introduce yourself to me with as many details as possible. I also encourage you to include the very last thing you studied at school regarding my subject. And, please, do this task by speaking and not by writing.>>
    Scandii le parole al meglio delle mie possibilità, per cercare di fargli capire il più possibile. Di solito, se mi accorgevo in tempo della preparazione scadente di un mio studente, non proseguivo neppure con la verifica delle speaking skills, ma Katsuo era riuscito a stupirmi, seppur non solo positivamente, quindi decisi di tentare comunque. Rimasi in ascolto, pronta a cercare di decifrare qualunque ibrido anglo-nipponico potesse provenire dalla bocca di Katsuo, curiosa di sapere che cosa mi avrebbe risposto, da lì a poco. "Male che vada, sarà come sentire l'ennesima pubblicità sui pocky in cui si esalta il loro ripieno al "ciocorèito...""

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    "I would [...] writing." -> Vorrei che tu ti presentassi a me col maggior numero di dettagli possibile. T'invito (letteralmente: "incoraggio") ad includere l'ultima cosa che hai studiato a scuola riguardo alla mia materia. E, per favore, completa questo compito oralmente (letteralmente: "parlando") e senza scrivere (letteralmente: "e non scrivendo").
     
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    Tsukiko prese il mio quaderno su cui avevo scritto finora per correggere l'esercizio appena svolto. Feci un paio di errori grammaticali che mi corresse subito, avvertendomi anche della possibilità di stravolgere completamente il significato di una parola anche solo con un piccolo errore.
    «La prossima volta, ti porterò qualche traccia audio con dei discorsi da trascrivere, quindi porta una chiavetta USB, la prossima volta. Per il momento, se hai, da qualche parte, il CD incluso insieme al libro che hai portato, potresti incominciare con quello. Per la prossima volta, potresti fare la prima traccia del disco, volendo.»
    Per fortuna non avevo buttato via quel disco! Non ricordavo esattamente dove lo avessi cacciato, dato che appena presi il libro, vi tolsi il CD e lo misi da qualche parte probabilmente nella mia stanza. Non sarebbe stato difficile ritrovarlo, sempre se mio padre non lo aveva preso e messo in un'altra stanza per qualche strano motivo.
    Successivamente iniziò a correggere i vari errori sulla traduzione con annessa spiegazione. Avevo tradotto perfettamente la prima e la seconda frase, anche se avevo dimenticato un termine che non conoscevo. La terza invece fu la più problematica dato che avevo sbagliato il tempo verbale, e infine l'ultima non era perfetta ma per lo meno il senso della frase lo avevo capito. Sinceramente non sapevo se la quantità di errori che avevo fatto era tanta, oppure nella media, però ascoltai attentamente la correzione ed annuì ogni volta.
    «Ora ti farò fare un ultimo esercizio, un po' più difficile degli altri, poi avrò terminato la valutazione. I would like you to introduce yourself to me with as many details as possible. I also encourage you to include the very last thing you studied at school regarding my subject. And, please, do this task by speaking and not by writing.»
    "Ehm... Vorrei? che ti presentassi a me con più dettagli possibili. Encourage? Non so cosa significhi... Ad includere la vera ultima cosa che hai studiato a scuola, regarding? La mia materia. E per favore fallo parlando e non scrivendo. Ok, credo proprio che debba parlare di me e di quello che ho fatto a scuola."
    Se fino ad ora bene o male me l'ero cavata, ora iniziavo a sudare freddo. Senza troppi giri di parole, non ero assolutamente in grado di affrontare un discorso un minimo articolato. Ogni volta che parlavo in inglese, non conoscevo o non mi veniva in mente un termine che mi serviva, iniziavo ad agitarmi e a generare dei lunghi momenti morti in cui stavo zitto anche per qualche minuto. Iniziai a riordinare le idee per poi iniziare a parlare in inglese con una pronuncia che solo chi proveniva dal Giappone poteva produrre.
    «Ok. My name is Katsuo Kawasaki, I'm 18. I'm a boy with brown hair and blue eyes... I'm very tall ehm... comp... compare to other boys with my same age. I like to play videogames and read some sci-fi books. Sometimes I walk to the Toneri park and also to the Higashi Ayase park. I...»
    Neanche a farlo apposta avevo appena iniziato a bloccarmi. Il motivo era perché non sapevo che tempo verbale utilizzare per esprimere correttamente il pensiero che avevo in mente. Si capiva abbastanza bene che non sapevo come continuare, dato che avevo iniziato a girare la testa e lo sguardo da tutte le parti. Alla fine mi arresi e decisi di dire qualcosa che ero certo al cento per cento essere sbagliato, ma speravo che in qualche modo Tsukiko avrebbe almeno capito cosa volevo dire.
    «I never go to school. Until now, I studied at home with my father. The reason is becouse I'm a ghoul.»
    Nel mio "piano" originale, avrei mentito alla mia professoressa, inventandomi qualcosa, tuttavia stando per tutto quel tempo vicini, mi ero tolto ogni dubbio. Lei era come me. Nel momento esatto in cui dissi la parola "ghoul", guardai negli occhi Tsukiko e attivai il mio Kakugan, trasformando le mie iridi da azzurre a rosse scarlatte e la sclera di entrambi gli occhi, da bianco a nero. Sinceramente non avevo paura di un attacco, infondo non lo aveva fatto fino a quel momento.
    Dopo uno o due secondi, feci tornare i miei occhi normali e poi girai lo sguardo.
    «I think this is all.»

    « Il tempo non guarisce. Ci insegna a vivere con il nostro dolore »

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    La mia attesa per una risposta venne presto ricompensata, ma furono le mie aspettative peggiori a realizzarsi: la sua pronuncia fu peggiore, per me, di ogni errore da lui commesso in precedenza. Se ci fosse stata una sola cosa per la quale non avrei fatto sconti, quella sarebbe stata la parlata, cosa che Katsuo stava storpiando in maniera quasi irriconoscibile. Assistei alla descrizione di qualche suo tratto fisico, con una frase costruita in maniera un po' grossolana, ma efficace, e poi a quella di qualche sua abitudine, notando la totale assenza di cambiamenti di accento dal suo inglese ai nomi giapponesi che stava utilizzando. "Not good at all!" Starlo ad ascoltare si rivelò uno strazio degno delle pubblicità del nuovo "tàburetto" della "Àporu". Non aveva nemmeno provato ad imitare la mia pronuncia, il che, per certi versi, era l'opzione migliore. Per giunta, ad un certo punto, si bloccò a metà frase, per iniziare a guardare da tutte le parti, come se, oltre ai numeri nell'orologio ed ai versetti nel quadro, anche la prossima frase da dirmi fosse scritta da qualche parte.
    <<I never go to school. Until now, I studied at home with my father. The reason is becouse I'm a ghoul.>> Avevo già capito, semplicemente dal suo odore, che lui fosse un mio simile, anche senza che mi mostrasse i kakugan, ma la sua risposta fu comunque inaspettata. La cosa che più mi colpì di quella frase, la peggiore da lui formulata fino a quel momento, fu il fatto che Katsuo avesse studiato a casa con suo padre, che fui portata a pensare che non fosse un insegnante d'inglese. "Adesso tutto quadra!" Avevo, finalmente, capito perché il mio studente non fosse stato in grado di risolvere compiti elementari correttamente, come la dettatura, ma avesse trovato parole più rare come landscape: Katsuo era alla stregua di un autodidatta. Avrei dovuto riprendere tutto da capo, per assicurarmi che lui o suo pare non avessero tralasciato argomenti importanti, ritenendoli più semplici, intuitive o meno necessarie di altre. "These lessons will be tougher than expected..." Avrei potuto chiamare suo padre e cercare di capire che cosa lui avesse studiato e con quale criterio l'avesse fatto, ma, date le condizioni del mio studente, la scelta più saggia sarebbe stata la ripresa di ogni singolo argomento.
    Il pensiero successivo, formatosi nella mia mente per via della reazione che avrei avuto se qualcuno mi avesse detto di aver studiato per tutta la vita a casa col proprio padre, fu: "Che cosa cazzo è passato nella mente di suo padre quando ha deciso di non iscriverlo a scuola?" Certo, mandare un piccolo ghoul a scuola comportava dei rischi, ma i benefici di una scelta del genere superavano di gran lunga questi ultimi. Il primo esempio che mi venne in mente fu quello della mia famiglia: i miei genitori, entrambi laureati, si erano perfettamente integrati nella società, così come mio zio, mio cugino e la sottoscritta. Ognuno di noi aveva il lavoro che voleva, una vita degna di essere vissuta ed una cultura non da poco, almeno nel proprio settore. Alla fine, mia madre aveva addirittura scelto la strada dell'insegnamento, arrivando anche ad avere una cattedra in lingua inglese all'università. Nonostante lei avesse visto molti più ghoul di me, in quell'ambiente, anche io avevo avuto modo di osservare il fatto di non essere l'unica ghoul in nessuno dei corsi di cui era stata composta la mia carriera scolastica. Alle superiori, finché non dovetti trasferirmi a Tokyo, ero addirittura in una classe con cinque ghoul, di cui due, oltre a me, erano ragazze. "Ed una era particolarmente carina..." Grazie alla scuola, avevo imparato tutto il necessario per vivere, soprattutto la parte che i miei genitori non mi avrebbero mai potuto insegnare: l'integrazione completa nella società, quella ottenibile solo attraverso un full immersion, l'unica cosa che, secondo me, rendeva la scuola migliore degli insegnanti individuali, per quanto questi ultimi potessero insegnare meglio e più cose.
    Katsuo era stato privato di una parte importante della sua formazione, qualcosa che lui non avrebbe mai recuperato, nonostante qualunque sforzo lui avesse potuto fare in seguito. A me non importava granché di lui, né della sua storia: lui era a malapena una comparsa nella mia vita, anch'essa poco importante, così come ogni altra cosa. Nonostante fossi sicura del fatto che la sua educazione monca non mi avrebbe mai privato del sonno, la notte, la realizzazione della mia superiorità mi provocò un po' di compassione per lui. "Per lo meno, la sua ignoranza non è solo colpa sua..."
    Non reagii alla trasformazione dei suoi occhi, in quanto ero abituata a vederne di simili da quando ero venuta al mondo, ma portai lo sguardo per un istante alla finestra, sperando che nessuno avesse visto i kakugan del ragazzo da attraverso le veneziane semiaperte che coprivano, in parte, i vetri. Non mi sembrò di vedere nessuno, ma preferii comunque non ricambiare il gesto del ragazzo, rimanendo calma ed impassibile, ricordandomi del fatto che lui aveva più motivi per rimanere calmo che per attaccarmi, a meno che non fosse un pazzo suicida.
    <<Capisco.>> Dissi, dopo qualche istante di silenzio, con calma e con un'espressione che univa serietà, delusione ed un tocco di compassione. <<Avremo molto da fare. Non so come tu abbia imparato la lingua, fino ad ora, ma è chiaro che hai delle lacune da colmare piuttosto estese, che non penso di aver ancora individuato del tutto.>> Abbassai, poi, la voce, come se qualcuno potesse sentirmi attraverso le pareti della stanza, poi ripresi a dire: <<Non sei il mio primo simile a cui insegno, ma sei il primo a non essere mai andato a scuola ed ad aver ricevuto una sommaria educazione, almeno per quanto riguarda l'inglese.>> Tornai, poi, al mio volume normale, e continuai: <<Reputo necessario che tu ricominci dalle basi. Certo, so che hai ricevuto qualche lezione, ma non hai consolidato molte cose, tra cui l'ortografia e la pronuncia.>> Fu in quell'istante che mi resi conto che la mia parlata seria, relativa ai suoi errori, avrebbe potuto demoralizzarlo. Se ciò fosse successo, allora i miei tentativi successivi d'insegnamento sarebbero stati inutili. Provai, quindi, a sorridergli ed a dirgli: <<Non preoccuparti, ho visto che sai alcune cose, ma non posso transigere sul fatto che tu ne sbagli altre. In fondo, sei qui per migliorare ed io sono qui per aiutarti. Ricomincerò dalle basi, come se tu fossi un principiante. Non appena vedrò che sai qualcosa, salterò all'argomento successivo. Ti terrò, invece, fermo su argomenti che non hai capito fino a quando non lo avrai padroneggiato. All'inizio ti sembrerà tutto un po' noioso, ma capirai perché lo faccio non appena vedrai i primi miglioramenti. Okay?>> Con quella parola, pronunciata come avrebbe fatto un qualunque anglofono al mio posto, conclusi la parlata, aspettando una risposta da Katsuo, ma fui io stessa ad interrompere il silenzio, dopo qualche istante, per dirgli: <<In più, per unire l'utile al dilettevole, potresti passare, ogni tanto, in biblioteca. In questa c'è una sezione dedicata alle letture inglesi sia ad alto livello, sia semplificate. Potresti cercare qualche libro di fantascienza, dato che hai detto che ti piacciono. E metti l'audio di qualche videogame in inglese ed i sottotitoli prima in giapponese e, poi, una volta che ti sarai abituato, in inglese. È meglio farlo con film e serie TV, ma prova anche con i videogames: magari, funziona.>>
    Aspettai, poi, una risposta dal ragazzo, sperando di non averlo demoralizzato troppo. Dalla sua reazione sarebbe dipeso il nostro rapporto: se lui si fosse lasciato abbattere dalla sua incompetenza, sarebbe stato difficile, per me, tirarlo su. Altrimenti, avrei fatto quanto in mio potere per portarlo ad un livello d'inglese se non altissimo, almeno accettabile.

    When you look at things from above, you realize how meaningless they are

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