Mens sana in corpore sano

[CONCLUSA] Friedrich Ikeda & Maria Kurohime | CCG's Canteen - 04/01/2019 Lunch

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    Friedrich Ikeda
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    La penna dall'inchiostro nero continuava a ticchettare sul foglio, ormai scandiva i secondi soltanto grazie ad essa. La sua mente si era leggermente distaccata dai vari documenti burocratici a cui era sottoposto di tanto in tanto. Era ancora lì, nella stanza del dormitorio, si apprestava concludere quel lavoro che gli era stato affidato, ma i libri della sua piccola biblioteca, posta vicino alla scrivania, erano come una perdizione per la sua mente. Una piccola tentazione erano quei libri in ordine alfabetico nella piccola libreria. Alta all'incirca un metro e cinquanta centimetri, superava leggermente l'altezza della scrivania e i vari e tanti libri di letteratura classica di cui amava leggere le varie vicende e racconti. Nonostante quella grande tentazione, la prima sveglia suonò, erano all'incirca le 11:45 e Friedrich sapeva che non avrebbe dovuto perdere dell'altro tempo. Alle 12 in punto avrebbe dovuto finire tutto, altrimenti sarebbe andato fuori orario con il pranzo e ciò lo avrebbe portato ad avere poi dolori di stomaco e di digestione e voleva evitare di dover ricorrere poi a medicine o a strane diete per riprendersi dal cambio d'orario. Quando riguardò nuovamente l'orario, poteva sentirsi soddisfatto, aveva concluso quel piccolo plico di fogli e ora poteva alzarsi da quella sedia in ferro e andare in mensa. Sapere che poteva servirsi di un luogo dove poter nutrirsi, lo metteva di buono umore, non amava molto dover fare lunghe passeggiate per il semplice bisogno di nutrirsi, lo trovava a volte troppo dispendioso di denaro e soltanto quando sapeva che poteva andarci con altre persone, poteva leggermente aprirsi e andare in compagnia a mangiare. In quel caso lo trovava come un'azione molto umana e da intraprendere, soprattutto con i colleghi di lavoro.
    Quel giorno era perfetto anche per ciò che servivano, vi era l'insalata russa quel giorno, ma a Friedrich non piaceva, semplicemente aveva la voglia di assaggiarla quel giorno, darne un parere buono o negativo che sia, ma assaggiarla. In aggiunta, avrebbe preso della carne e solo poi un dessert, quest'ultimo lo immaginava leggero, magari un banale sorbetto al limone per rinfrescare la sua bocca. Forse quel giorno avrebbe potuto conoscere anche altri compagni e compagne di squadra, ogni tanto la sua mente ci vacillava sopra, si chiedeva chi fossero e se ci fossero, avrebbe dovuto informarsi con più diligenza in merito, senza dover perdere troppo tempo.
    Arrivò alla mensa all'incirca alle 12:35, ci aveva impiegato circa 15 minuti, passati non solo a camminare, ma anche a rimuginare su alcuni libri che aveva già letto, facendosi domande in merito e rispondendo poi da solo. Una volta preso il vassoio e averlo riempito di quelle porzioni di cibo spartiti su vari piatti, allora poté prendere posto ad uno dei tavoli lì presenti. Ne cercava uno dove si trovassero altre persone, ma al tempo stesso dove lui potesse avere un leggero distacco fisico dagli stessi. Poggiato il vassoio sul tavolo, rialzò la bottiglia d'acqua minerale. Si osservò ancora alcuni secondi intorno, come un cucciolo impaurito difronte al cibo, la paura che gli venisse rubato, ma non durò tanto, semplicemente voleva sentirsi sia sicuro di poter mangiare che, stranamente, sicuro di non esser rimasto da solo nella mensa.

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    INVESTIGATRICE CCG, SECONDO GRADO
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    Ore undici meno venti del mattino. Con flebile calore il mattiniero Sole invernale fa filtrare i propri raggi luminosi tra le fessure nella tapparella del piccolo appartamento vicino al Parco di Ueno. Il corpo della giovane giapponese adagiato sul letto, il candore della sua pelle mezzo celato dalle coperte. Il piede destro, fin poco sopra la caviglia, ciondola fuori dal materasso. Era un lunedì, ed era il suo mezzo giorno libero. Solo grazie a questo, infatti, poteva permettersi di dormire fino a quell'ora. Dallo smartphone di servizio iniziarono a farsi spazio nella stanza tocchi di xilofono, quello che aveva scelto per la sua dolce sveglia quotidiana. Mosse le dita dalle unghie coperte di smalto nero verso il comodino al suo fianco per cercare a tentoni il modo di spegnere il suono. Afferrato il telefono, ritirò le braccia come un polpo ritira i tentacoli nella tana dopo aver catturato la preda e lasciò cadere l'apparecchiò sul suo petto, aprendo le palpebre come una conchiglia e puntando gli assonnati occhi blu scuro sul soffitto come se la rottura di una diga riversasse fuori tutta l'acqua. Un sospiro.

    In un lavoro come il suo, era stata fortunata ad avere le ferie invernali, per quanto corte: per fortuna era riuscita a convincere i piani alti e farsi dare qualche giorno per poter festeggiare il Natale con la sua famiglia. Non erano in pochi a festeggiare quel giorno in Giappone nonostante la maggioranza shintoista, ma coloro che lo facevano la vedevano più come una festività consumista e strettamente legata ai regali. Per lei, ovviamente, le cose stavano diversamente.
    Dopo essersi alzata col corpo un po' intorpidito ed essersi diretta verso il bagno a piedi nudi, anch'essi dalle unghie smaltate di nero, si diresse schivando le pile di vestiti e rifiuti verso il suo misero armadio, spalancandone entrambe le ante e osservando con attenzione i pochi capi che le erano rimasti. Era tornata da pochi giorni da Hirado dove, ovviamente, si era recata per stare con la sua famiglia: doveva ancora lavare i vestiti utilizzati a lavoro prima della partenza. Per il suo ritorno sul campo decise di indossare una camicia di colore nero sotto un completo bordeaux. Prima di indossare il tutto, si avvicinò in intimo alla finestra e aprì le tapparelle, fissando la città di Tokyo vivere. Ogni volta in cui tornava ad Hirado, era di nuovo difficile adattarsi al ritmo frenetico di Tokyo.

    A mezzogiorno e dieci mise piede all'interno del Quartier Generale della CCG nella Circoscrizione Uno. Aveva saltato la colazione vista l'ora e si era diretta al posto di lavoro utilizzando la metropolitana. Mentre le porte dell'edificio di fronte a lei si spalancavano grazie ad un automatismo, tolse gli auricolari bluetooth dalle orecchie mentre i capelli, più liberi, cadevano leggermente in avanti coprendo le stesse. Riponendo le cuffie nella borsetta che portava a tracolla sulla spalla destra, attraversò lo scanner per l'analisi delle cellule RC che, ovviamente, non riscontrò alcun esito particolare. Nonostante la Kurohime fosse tra i ranghi della CCG da ormai un paio di anni, era ancora un'Investigatrice di Secondo Grado: purtroppo o per fortuna non le era ancora stato assegnato alcun incarico di particolare rilievo, apparteneva di più alla manovalanza incaricata di fermare i pesci piccoli prima di lasciarli diventare grosse prede. Proprio per questo non aveva un ufficio isolato ma una semplice scrivania in corridoio come tanti altri, spesso condivisa con qualcun altro da un turno all'altro. Salendo qualche scala si diresse verso la sua postazione per lasciarvi la borsetta, pronta poi a dirigersi verso la mensa. Sarebbe dovuta entrare in servizio qualche ora dopo, infatti, ma con poca voglia di prepararsi un pasto decise quel giorno di utilizzare semplicemente la mensa del lavoro e andarci quindi un po' prima. Sperava perlomeno ci fosse qualcosa di buono da mangiare, un bel piatto di Udon o magari una buona cotoletta.

    I suoi tacchi picchiettavano sulla pavimentazione della mensa ma il rumore passava quasi inosservato tra il brusio generale. Chiacchiere, interazioni e cameratismo: tutto abbastanza normale per una mensa di lavoro. Preso il proprio vassoio, si mise in fila dietro tanti altri per farsi servire un po' di cibo. Le sue speranze, bisogna ammetterlo, vennero decisamente abbattute. L'insalata russa era tutt'altro che il suo piatto preferito, per cui si limitò a prendere il secondo di carne con dei fagiolini alla salsa di miso come contorno. Prese le posate di plastica in una pratica confezione trasparente e una bottiglietta d'acqua, si voltò quindi con sguardo perso verso l'ampiezza della sala. Maria, si sa, non era certamente la persona più brava a socializzare e, soprattutto, non era la persona a cui farlo interessasse di più al mondo. Quando qualche giorno prima era andata a passare le feste dai genitori ad Hirano, però, questi la avevano ripresa per l'ennesima volta. Era inconcepibile, dicevano, che in due anni che lavorava in quel posto non conoscesse nessuno. A lei, bisogna dirlo, non importava un granché essere sola. Le importava, però, l'opinione che i suoi genitori avevano di lei e, soprattutto, non voleva farli preoccupare o intristire.
    Resta il fatto che la giovane Maria non avesse la minima idea di cosa si dovesse guardare in una persona per capire che fosse interessante e non aveva la voglia o il tempo di provarci, giorno dopo giorno, con chiunque si sedesse in quella stanza per mangiare. Alla ricerca di un posto vuoto, infine, il suo sguardo venne attratto da qualcuno in particolare. A Tokyo, in quella stanza piena di uomini e donne dai capelli scuri e gli occhi a mandorla, non era poi così difficile notare qualcosa di atipico come un giovane dai capelli castano chiaro, quasi luminosi.
    Come un'informazione vista di sfuggita ma memorizzata per sempre in attesa di trapelare nel momento più opportuno, la sua visione scatenò come uno schiocco di dita un ricordo nella Kurohime. Ne era abbastanza sicura, perchè non erano in molti con quei capelli a girare da quelle parti: doveva essere Friedrich Ikeda. Oltre che al suo nome e al suo volto, non sapeva molto di lui. Si ricordava il giorno in cui il suo capo, il signor Yamamoto, le aveva passato il suo fascicolo: prima di quel giorno Maria era l'unica nella Squadra Delta. Era stata convinta per tanto tempo di essere stata assegnata alla squadra peggiore di Tokyo. Non aveva nulla contro il suo superiore, ma le pareva evidente che fosse il meno interessante là attorno. La Squadra Phi era capitanata da un americano mentre la Sigma era guidata da una ragazza che, più piccola di lei, era già diventata un'Investigatrice di Prima Classe. Maria incolpava della monotonia del suo lavoro e dell'essere bloccata ancora al Secondo Grado la Squadra che le era stata assegnata, vuota e stagnante. Fare la conoscenza di quel Friedrich poteva essere quantomeno interessante. In Accademia, poi, le era stato ripetuto più volte di quanto fosse importante conoscere i propri compagni di Squadra, potersi fidare di loro. Nel migliore dei casi, chissà, forse sarebbe riuscita a convincerlo a lamentarsi assieme a lei e sarebbero riusciti ad ottenere un caso consistente, magari la Squadra Delta si sarebbe potuta prendere la propria rivincita. Al peggio, l'avrebbe aiutata nel fare carriera. Sapeva che scalare i gradi della CCG era un lavoro lungo e faticoso, ma vedere quella ragazzina di ventitre anni ricoprire un ruolo così importante la rendeva, se non gelosa, desiderosa di darsi da fare. Non poteva restare seduta a quella scrivania per sempre.
    Mosse passi sicuri verso la posizione del ragazzo dai capelli castani stringendo il proprio vassoio ben saldo tra le mani. Giunto alla sua tavolata la superò per potersi, nel caso, sedere di fronte a lui: non voleva dover passare l'intero pasto a voltarsi per parlargli. Giunta di fronte a lui, puntò i tacchi a terra e rimase, in piedi, a guardarlo. A differenza sua, il ragazzo si era certamente concesso qualche sfizio in più: di fronte a lui facevano capolino anche un po' di insalata russa e il dessert. A guardarlo così da vicino, l'apparenza sembrava confermare quello che la Kurohime, da buona detective, aveva già pensato. Il nome era un buon indizio e i capelli lo supportavano appieno, ma era ormai evidente che quel ragazzo non fosse un purosangue. Una giapponese di nome Maria, in fondo, non poteva certamente affidarsi solo ad un nome bizzarro per giungere ad una simile conclusione. Avvicinò lentamente il vassoio alla superficie del tavolo.

    Ikeda-san. - sbottò quindi, con tono sostenuto per farsi sentire tra il leggero brusio dei colleghi di lavoro - Il mio nome è Maria Kurohime, sono una vostra compagna nella Squadra Delta. - aggiunse, per poi portare leggermente in avanti le mani col vassoio, come un cenno - Posso sedermi?
    Se il compagno avesse accettato, allora avrebbe ovviamente preso posto e lentamente avrebbe iniziato il suo pasto. Sperava di essersi posta bene, di non essere stata né troppo formale né il contrario. E certo, sperava che il ragazzo fosse un chiacchierone e che non ci pensasse su due volte a prendere parola, perchè non aveva la minima idea di come le persone facessero a comunicare e conoscersi. Nella piccola Hirado, tutti i suoi amici erano rimasti tali dalle elementari, un'età in cui Maria si faceva ben poche domande e tendeva ad agire più di istinto. Sperava solo che la situazione non si facesse troppo imbarazzante, o probabilmente il pasto le sarebbe rimasto sullo stomaco, portando a spiacevoli inconvenienti. E aveva un'intera giornata di lavoro davanti.


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    Friedrich Ikeda
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    Dopo la primissima forchettata a quella pastosa e fisicamente deliziosa insalata russa, sentì la presenza di un’altra persona vicino a lui. Lì per lì non ci fece particolare attenzione, pensò fosse una un qualche investigatore che doveva per cause di forza maggiore, circolare per quella direzione, eppure la presenza continuava ad esserci. Sentì degli occhi guardarlo e dopo quella forchettata, eccolo fermarsi, per non sembrare poi maleducato e sfacciato. Non era così e non voleva iniziare a farlo pensare da quel momento. Non appena sentì il suo cognome e non appena ebbe mandato giù quel boccone, poté alzare lo sguardo per incontrare quello di una ragazza. Era vestita in modo elegante, come bisognava farlo per essere dei buoni investigatori, dopotutto anche Friedrich era vestito in modo elegante, unica differenza era la giacca, lui l’aveva dimenticata in camera, si poteva quindi vedere la sua camicia e il panciotto nero che indossava di solito, con una cravatta nera ben stretta intorno al suo collo, dei normali pantaloni neri e scarpe alquanto classiche. I suoi occhi marrone chiaro la osservarono alcuni secondi, cercando di creare una sagoma ben visibile nella sua mente, chi era lei? Sapeva il suo nome, quindi lo aveva letto da qualche parte, probabilmente era una sua compagna di squadra, ma non ricordare il suo nome… lo avrebbe portato alla sua prima brutta figura. Per sua fortuna, la ragazza si presentò immediatamente mentre chiedeva un posto a sedere di fronte a lui.
    «Kurohime-san, certo si accomodi pure, non mi piacerebbe lasciarla in piedi con quel vassoio tra le mani.» le fece cenno con la mano e attese che si accomodasse, mangiare senza aspettarla sarebbe sembrato troppo informale e maleducato. «Lei dovrebbe essere una mia compagna di squadra, giusto? Ho parlato poco con Yamamoto-sama, mi spiace non averla conosciuta prima.» diede una rapida occhiata al suo piatto, aveva evitato l’insalata russa, non a tutti poteva piacere. Maria sentendolo parlare, avrebbe intravisto un giapponese perfettamente parlato, era nato in Giappone, sì, eppure… aveva ereditato dalla madre un flebile accento tedesco che non poteva nascondere, anzi, che non voleva nascondere. Lo sentiva come un unico legame ancora vivente con la madre e nessuno, fino a quel momento, glielo aveva fatto notare come un difetto. Non sapeva bene cosa dire e non voleva lasciare la conversazione nell’aria, facendola diventare pesante, immaginava che neanche alla sua collega potesse piacere un silenzio troppo prolungato e orribile. «Immagino che lei, avendomi chiamato per cognome, abbia saputo di me. Presumo dal nostro caposquadra.» dopo quell’ultima curiosità, tornò a mangiare quella sua insalata russa e la carne. Utilizzava la prima come un classico contorno, osservando più volte il sorbetto, sperando non si sciogliesse subito, altrimenti sarebbe stato tutto vano, acquoso e insapore. Il sapore di quel cibo non era male, certo un ristorante avrebbe fatto di meglio, ma si mangiava ciò che il convento passava e a lui non dispiaceva alla fin fine, ormai ci aveva fatto l’abitudine e poi non poteva rimanere a stomaco vuoto per dei semplici capricci. «Immagino che lei conoscendomi, sappia anche molto del resto, posso chiederle qualcosa? Ovviamente senza andare troppo nei dettagli, ma semplicemente conoscerci, prima di tutto. Saremo colleghi e quindi è giusto sapere dell’altro o, in questo caso, dell’altra.» la sua voce cordiale ed educata era ben percepibile, probabilmente il continuo “lei” era troppo formale, ma sarebbe spettato a Maria se concedergli un livello di conversazione meno formale, ma più “ravvicinato” dal punto di vista sociale, oppure lasciare il tutto statico. «L’unica cosa che spero è di poter ricevere un qualche incarico importante, stamani ho passato la giornata nella mia stanza con i fogli. Ormai con loro ho una sorta di appuntamento.» lo disse con un tono leggermente sarcastico, anche se non aveva alcun sorriso sulle labbra, ma un semplice sguardo perplesso e annoiato. Per quanto non fosse uno scalatore sociale incallito, ci teneva a diventare importante nella CCG, probabilmente avrebbe ricevuto una stanza migliore o permettersi di ridipingere le stanze della sua camera con toni meno pacchiani. Le sue ambizioni erano così…”elevate”.

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    Quasi noncurante della sua presenza, il giovane investigatore di secondo grado affondava la sua forchetta nella pastosa insalata russa. Maria non poté che arricciare leggermente il naso quasi in segno di disgusto: come potevano le persone mangiare quella specie di disgusto in cubetti affondato in una informe schifosa pasta di salsa? Per fortuna pronunciare il suo cognome fu abbastanza da attirare la sua attenzione. Alzando lo sguardo, i loro occhi di colori contrastanti si incrociarono. Alzando la schiena dal piatto, il giovane investigatore rivelò quindi il suo vestiario certamente formale ma allo stesso tempo un po' bizzarro. Il panciotto e la cravatta, entrambi neri, tradivano la sua posizione. Con un abbigliamento così costrittivo pareva quasi sottointeso che fosse bloccato nel lavoro d'ufficio almeno tanto quanto lei.
    All'invito di Friedrich a sedersi, Maria rispose immediatamente poggiando il vassoio sul tavolo ed accomodandosi sulla sedia in plastica. Il modo in cui aveva reagito al suo nome, ripetendolo immediatamente, lasciava quasi ad intendere che in realtà non avesse idea di chi Maria fosse. E questo, onestamente, non stupiva né turbava la giovane. Da un lato la ragazza era felice di essere una signor nessuno e non avere troppe responsabilità sulle spalle o troppa gente attorno. Dall'altro, ovviamente, le sarebbe piaciuto fare carriera ed avere un nome perlomeno conosciuto nei corridoi della CCG. Nonostante tutto era comunque una ragazza giapponese e, come i suoi coetanei, portata ad un po' di sana competitività nel mondo dello studio e sul posto di lavoro.
    Ikeda sembrava avere un'ottima padronanza del giapponese e anche dell'utilizzo degli onorifici: nonostante l'aspetto e il nome esotico, sembrava essere il suo cognome a far fede alla sua vera identità. Eppure, qualcosa nella sua voce lo tradiva. Per quanto grammaticalmente perfetto, il suo giapponese sembrava quello di un gaijin di qualche sorta, con delle strane inflessioni e qualche punta di accento straniero qua e là. A giudicare dal nome e dal colore chiaro dei capelli, la Kurohime non poté che immaginare il ragazzo provenisse da qualche paese verso l'est o del nord Europa. Probabilmente ad un certo punto di quella conversazione glielo avrebbe dovuto o potuto chiedere, così funzionavano i rapporti umani a cui Maria era decisamente poco avvezza.

    Come ho detto sì, sono una vostra compagna di squadra. - rispose alla sua domanda fissando il proprio piatto ed inarcando leggermente un sopracciglio. Non capiva perchè glielo avesse chiesto visto che lo aveva detto nella sua presentazione, ma probabilmente era una domanda retorica. Doveva cercare di rilassarsi invece di analizzare qualsiasi cosa molto oltre il necessario.
    Al vostro arrivo il nostro superiore mi ha consegnato il vostro fascicolo. - aggiunse quindi per rispondere alla curiosità del ragazzo, mentre impugnava il coltello con la mano destra per tagliare la carne sul vassoio in fronte a lei - Fascicolo a cui ovviamente non ho dato troppa importanza, dato che la mia scrivania era sommersa da scartoffie di ben altra importanza. - concluse per poi far scivolare elegantemente un pezzo di carne tra le proprie labbra, quasi anticipando la successiva domanda del giovane giappo-tedesco.
    Puoi chiedermi quello che vuoi, Ikeda-san, ammesso ovviamente che rientri nelle mie competenze rispondere. - sorrise, rispondendo dopo aver finito di masticare e ponendo comunque una mano davanti alla bocca per cortesia - Spero non ti dispiaccia rinunciare al "voi", ma dal momento che sul campo la mia vita potrebbe dipendere da te, direi che certi convenevoli si possono anche risparmiare. - spiegò dunque, per poi mangiare un altro boccone di carne. Una motivazione certamente strana per passare dal "voi" al "tu", forse anche forzata per nascondere un leggero imbarazzo e un po' di incapacità nel riuscire a gestire al meglio la situazione. Annuì poi a quella sorta di battuta sul lavoro d'ufficio, espressa però senza sorridere né ridacchiare. Pareva che nonostante la palese ironia, trovasse comunque quella situazione fastidiosa. E come dargli torto? Anche la Kurohime si trovava nella stessa situazione: non aveva frequentato due anni in accademia e fatto così tanti sforzi e rinunce per compilare dei moduli seduta ad una scrivania. Il sapere però che il suo compagno di squadra era nella sua stessa situazione e ne era ugualmente insoddisfatto la rincuorava da un punto di vista e la spronava da un altro. Era contenta di sapere di non essere l'unica costretta su una sedia tutto il giorno e, poi, sapeva che le lamentele di due persone sono più sonore di quelle di una sola.
    Probabilmente non viene detto espressamente ma il compito della Squadra Delta è quello di sbrigare la burocrazia. - sorrise, considerandola una battuta - Sono sicura che scendere sul campo da soli sia rischioso, probabilmente è questo il motivo per cui la Squadra Delta è rimasta a riposo per così tanto tempo. Dato che ora siamo in due, però, potremmo chiedere a Yamamoto-san se ha qualche caso da affidarci. - proseguì, per poi aprire il tappo della bottiglietta d'acqua di fronte a sé e berne un sorso direttamente dalla bottiglia. Gli occhi di quel ragazzo, ora che li osservava da vicino, avevano un colorito bizzarro. Quelle sfumature rosse non potevano fare a meno di ricordarle in qualche modo le iridi di un ghoul. Sapeva in ogni caso che si trattava di una sciocchezza, un pensiero probabilmente nato dall'atipicità di trovare delle iridi così chiare in quel paese.
    Quindi, Fridreich... - esordì, sbagliando probabilmente la pronuncia del nome. D'altro canto non erano delle sonorità così comuni in quel paese che, spesso, tendeva a storpiare persino l'inglese - Da dove arriva questo nome? Hai un cognome giapponese e parli alla perfezione la lingua, ma è evidente che tu non abbia solo sangue giapponese. - domandò dandogli un'occhiata di sfuggita, sperando di non essere troppo impicciona. Affondò quindi la forchetta nell'ennesimo pezzo di carne, avvicinandolo con delicatezza alle rosee labbra.


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    Edit del 19/01/2019 - avevo scritto "inglese" invece di "giapponese" per qualche strano motivo.


    Edited by exquisite†corpses - 19/1/2019, 19:37
     
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    La loro conversazione continuò senza problemi, per Friedrich era una cosa positiva, significava che poteva avere una conversazione con la propria collega e dunque instaurare un buon rapporto di lavoro. Non era particolarmente interessato a quello che poteva accadere al difuori dell’ambito lavorativo con la ragazza, ma non per qualche apatia nei confronti di alcune emozioni, bensì perché era presto e non aveva alcun motivo per spingersi oltre con la sua collega. Prima di tutto, era meglio la conoscenza, nulla poteva venirsi a creare senza una minima parte di presa di coscienza in merito alla persona con cui si parlava ed essendo Maria la sua collega, sapeva che le avrebbe parlato molto di più nei giorni a venire. Lentamente continuò a mangiare quella porzione d’insalata russa, con tranquille forchettate, cercando di calibrare ad occhio le porzioni giuste. Non era un maniaco dell’ordine e della perfezione, non sul cibo almeno, eppure in quel frangente cercava di non farsi prendere dal panico nell’avere una ragazza di fronte e del cibo davanti. Il più delle volte mangiava tranquillamente, senza farsi strane idee, preferiva gustarsi il pasto e non complicarselo ancora di più, era uno di quei momenti in cui poteva chiedere a sé stesso un po’ di relax dove potersi fermare e riposare, mentalmente e fisicamente. Continuando nella discussione, Maria gli donò certezza riguardo sul come facesse a conoscerlo. Il loro superiore di squadra le aveva passato un fascicolo contenente le informazioni in merito all’investigatore, qualcosa che bisognava aspettarsi dopotutto, non ci rimase molto sorpreso, semplicemente ne fu sollevato e annuì a quella richiesta, dandole sia corda su cui aggrapparsi che rafforzando la sua stessa idea. Semplicemente lo conosceva, ma non abbastanza, come da lei detto il fascicolo non era stato letto del tutto o neanche toccato, al massimo gli aveva dato un’occhiata per conoscerne la fisionomia del soggetto e del suo appellativo.
    «Comprendo, quindi all’effettivo, lei non sa nulla di me. Interessante.» le rispose nel frangente in cui lei mangiava, così che entrambi potessero alternarsi tra un boccone e una risposta. A Friedrich non avrebbe dato disturbo tale scena, semplicemente, lo aiutava al meglio per parlare. Alla fine di tutto, Maria propose di abbassare un po’ di più il registro linguistico che utilizzavano tra di loro, evitando convenevoli del tutto futili, a Friedrich non sarebbe disturbato. Aveva usato la forma più convenevole per portarle il massimo rispetto, anche perché non la conosceva e dunque era meglio partire con il piede giusto, ma se era lei a pretendere tale annullamento di condizioni grammaticali oltre l’estremo, allora il filo-tedesco avrebbe accettato volentieri tale patto. «A questo punto, penso sia meglio il “tu”, comprenderai perfettamente che la mia scelta era per rispetto. Non ti conosco abbastanza e non volevo risultare maleducato.» ritornò a mangiare, ormai la sua insalata russa era conclusa e senza perdere tempo aveva preso interesse per la carne, mentre Maria continuò a parlare. Rispose alla battuta di Friedrich, con una propria, sorridendo e tossendo, cercando di trattenere una risata che lo avrebbe fatto soffocare in quella situazione. Per quanto sembrasse strano, aveva effettivamente ragione, fino a quel momento il loro capo non era mai passato all’azione o comunque non era mai sceso sul campo di battaglia, probabilmente per mancanza di membri effettivi, ma ora entrambi, sia Friedrich che Maria, potevano rivolgersi al loro capo cercando un incentivo a sentirsi fieri di essere in quella squadra e nella CCG. «Non hai tutti i torti, non ho fatto allenamenti continui all’accademia junior e quella successiva, per passare il resto della mia vita ad una scrivania. In quel caso avrei preferito essere un call center, per tutto rispetto del loro lavoro, ma se penso ad una scrivania in ambito lavorativo, immagino solo quel tipo di professione.» tornò a mangiare e concludere la carne che era rimasta. Solo a quel punto poté tirare un sospiro di sollievo, liberarsi di quel cibo e fare spazio per il dessert. A Maria sarebbe sembrato un mangione, anche se il suo fisico tradiva molto tale pensiero, semplicemente mangiava il giusto, non amava trattenersi e non amava strafare. Un equilibrio che sul cibo era difficile avere, ricordava sempre di tenersi lo stomaco libero in caso di cene o pranzi in ristoranti con altre persone. «Kurohime-san, non so nulla di te e immagino tu non sappia nulla di me, anche se potresti prendere il mio fascicolo in ogni momento e spulciarlo tutto, ma penso che ti annoieresti soltanto. Ora che sono qui, possiamo parlare di noi. Sembrerà una richiesta scomoda, posso immaginarlo, ma prima ci conosceremo, prima potremo considerarci dei veri e proprio colleghi. Immagino tu abbia notato qualcosa di strano nel mio linguaggio, tipo l’accento. Nonostante io sia nato in Giappone, ad Hokkaido con più precisione, mia madre era tedesca e nei momenti di crescita in cui lei c’era ancora, ho ereditato da lei quel suo accento, mio padre è giapponese e da lì deriva il cognome, il nome è del tutto tedesco. Tu invece? Sei al cento per cento giapponese? Il tuo nome mi sembra così tanto occidentale.» a termine di tali domande, iniziò a gustarsi quel sorbetto a limone con il piccolo cucchiaio che gli avevano dato appunto per gustarsi il dessert, nei momenti in cui avrebbe potuto parlare, le avrebbe aggiunto anche, come piccolo extra, un’altra richiesta. «Se hai domande da farmi, chiedi pure, cercherò di essere esaudiente in tutto e risponderti fin dove i miei limiti possono. Mi sembra di averti appena citata.» le ultime parole furono ironiche, aveva effettivamente ciato Maria, ma cercò di non renderla come una frase offensiva, cercando di sorridere come poteva. Effettivamente non era un’offesa, ma non voleva che la sua collega lo pensasse.

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    Contro i migliori pronostici che la sua mente potesse mai originare, la conversazione stava andando avanti tutto sommato abbastanza naturalmente, senza alcun motivo di imbarazzo. Anche la richiesta di darsi del "tu", per quanto pochi secondi dopo averla espressa le sembrasse fin troppo affrettata, non sembrò scombussolare troppo il suo interlocutore. Questi, dopo aver affermato di trovare interessante (e forse rassicurante) il fatto che la Kurohime non avesse spulciato a fondo il suo curriculum, affermò infatti di aver utilizzato gli onorifici solamente per una forma di rispetto. Lo stesso motivo insomma per cui li aveva usati lei e, a posteriori, era abbastanza felice di essere stata lei la carnefice di quella convenzione, tagliandole la testa con un colpo netto di scure poco dopo le prime parole scambiate. Quel ragazzo, in fondo, non era un suo superiore.
    Friedrich si mostrò nuovamente della sua stessa idea: insoddisfatto del proprio lavoro, esattamente come lei. Non pareva apprezzare troppo il lavoro burocratico, quello più d'ufficio, e come dargli torto. Lo stesso possedere una quinque doveva sottointenderne l'utilizzo, ma lei non aveva ancora avuto modo di usarla e, a suo dire, neppure il ragazzo seduto di fronte a lei a mensa. In particolare, però, a colpire la giovane giapponese furono le parole riguardo all'Accademia dell'Ikeda. A suo dire, infatti, non aveva frequentato solo la normale Accademia (quella, insomma, a cui anche lei aveva partecipato) ma aveva ricevuto un addestramento anche in quella chiamata Accademia "Junior". Al sentirlo, Maria inarcò un sopracciglio fissando il proprio piatto. Che lei sapesse, quella struttura era generalmente riservata a degli orfani o, comunque, a giovani affidati direttamente alle cure della CCG. Certo, non era straordinario che qualche ragazzo qualsiasi vi si iscrivesse, ma chi a quell'età avrebbe preso quella decisione così drastica? E quali genitori lo avrebbero permesso? Non era una sicurezza, ma vi era una buona probabilità che fosse successo qualcosa alla sua famiglia e fosse stato affidato alle cure della Commissione in giovane età.
    Prima di rispondere alla sua domanda riguardo alla provenienza, il ragazzo affermò che sarebbe stato comodo per loro il conoscersi il meglio possibile, il necessario almeno per una pacifica convivenza da colleghi sul posto di lavoro. Noriko sottolineò le sue parole con un cenno d'assenso dato che, in fondo, era esattamente quello che aveva pensato anche lei poc'anzi masticando lentamente la sua bistecca. Per il resto, il collega la fece decisamente breve: mentre suo padre era giapponese, sua madre era europea e l'accento, buona parte dei geni che determinavano il suo aspetto e probabilmente anche il nome derivavano da lì. Una volta messa a tacere con poche, mirate parole la sete di sapere di Maria, ricambiò la domanda. La ragazza posò un'attimo le posate, per poi inclinare leggermente il volto verso destra. D'altro canto il suo nome non era comune, lì.
    I miei genitori sono entrambi giapponesi, io sono originaria di Hirado. - iniziò quindi a spiegare con la sua voce delicata - Mia madre era praticamente sterile, c'erano pochissime possibilità che potesse rimanere incinta... Eppure eccomi qui. - accennò un leggero sorriso, fermandosi un attimo - In ogni caso, i miei genitori sono cristiani, quindi hanno deciso di ringraziare Dio per questo "dono" dandomi questo nome. - concluse, per poi riprendere la forchetta. La cristianità era estremamente rara in quell'arcipelago, quasi relegata alla sola prefettura di Nagasaki. In ogni caso il suo collega pareva avere madre europea, quindi poteva essere decisamente più informato del suo compaesano medio.
    Finì l'ultimo boccone della sua bistecca quando il ragazzo dai capelli castani si dimostrò disposto a rispondere alle sue domande. Maria, come detto, non era poi così brava a fare conversazione, anzi. Inoltre, in questa situazione, le pareva che qualsiasi domanda potesse essere posta in un modo talmente sbagliato da sembrare una violazione della privacy perforante come una punta di lancia in pieno petto. Non sapeva, poi, cosa potesse essere utile sapere di un collega. Quale fosse la sua quinque? Quali erano i suoi punteggi all'Accademia? Chi fosse la sua Idol preferita? Decise quindi, almeno per ora, di mantenere il sangue freddo e porgli una domanda di cui in effetti le interessasse qualcosa, nonostante rischiasse di toccare i tasti sbagliati. Bevve un goccio d'acqua.
    Da ciò che hai detto prima, mi sembra che tu abbia una preparazione impeccabile. - sorrise, avvitando il tappo alla bottiglietta in plastica mezza vuota - Io personalmente ho frequentato solo l'Accademia, e non senza problemi. Ma immagino che per te, avendo frequentato anche la Junior, sia stato più facile... - distolse un attimo lo sguardo per poi guardarlo, come possibile, direttamente negli occhi - Come mai hai frequentato l'Accademia Junior? Non è certamente una cosa da tutti... - proseguì, gesticolando leggermente.
    Quello le sembrava il modo migliore per porre la domanda senza sembrare un'impicciona: lasciare il tutto sul piano della preparazione lavorativa. Certamente era un modo più educato per quel quesito rispetto a "volevi addestrarti per essere una macchina da guerra?" o "l'attacco di un ghoul ti ha reso orfano?".


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    Tutto era andato bene, o comunque continuava ad avere lati positivi quella discussione. Friedrich sperava di poter ampliarla ancora di più, prima che il cibo finisse, non voleva che tale discussione si concludesse con l’ultimo boccone di entrambi, sarebbe stato alquanto imbarazzante. Parlare con una collega di lavoro solo a pranzo e per il tempo restante evitarla, sarebbe stato alquanto strano oltre che ignobile. Quale squadra avrebbero potuto creare in due se mancava la base di tutto, una conoscenza reciproca e dunque un lavoro di squadra almeno un po’ accettabile. Nella testa del ragazzo si frapponevano ancora alcune domande, ma voleva prima di tutto pensarci al meglio, inoltre stava anche aspettando le domande della ragazza, per avere una maggior preparazione. Domande quotidiane o meno, per lui era come una prova d’esame, addestrato fin da piccolo ad avere un determinato comportamento, egli stesso lo metteva in pratica in ogni momento, ma aveva sviluppato un suo modo di rendere il tutto più leggero e meno pesante, per lui in primis e poi anche per l’interlocutore con cui si intratteneva. Con la risposta della sua collega, Friedrich comprese varie cose tutte in una singola frase, leggermente frammentata da piccole pause. Maria era del tutto giapponese, di Hirado, un luogo che il giovane conosceva solo di nome, per il resto gli era pressoché sconosciuto, inoltre, era una praticante cristiana. Era raro incontrare dei cristiani in una terra ambita a religioni politeiste o maggiormente più spirituali e a contatto con la natura. Il ragazzo era un piccolo simpatizzante dello Shintoismo, ma non era di certo un fanatico o un proibizionista di altri credi, anzi, sapere che la sua collega seguiva il Cristianesimo lo avrebbe aiutato anche a creare vari discussioni in merito, avere dei punti di vista maggiori e, leggermente egoisticamente, avere motivi in più per parlarle. Prese la palla al balzo per risponderle, mentre lei si affrettava a mangiare quel che rimaneva della bistecca, così da non disturbarla e non lasciare cadere la conversazione nel vuoto.
    «Ora comprendo il perché di questo nome così occidentale…beh i tuoi genitori avranno visto nella tua nascita una sorta di miracolo, penso sia stato un bellissimo giorno per tua madre quando le hanno riferito che era incinta.» sorrise appena, sentendo una lieve empatia in quelle parole, sentendosi felice anch’egli come per la sua famiglia, sapere che comunque avrebbero avuto una bambina. Anche lui riprese a mangiare quel sorbetto, ormai voleva arrivare alla fine di quel dolce e poteva tranquillamente dire che non era male, non se lo aspettava che il cibo della mensa fosse così buono, probabilmente le avrebbe dato quattro stelle se avesse dovuto recensirla, la stella mancata era appunto per il luogo. Alla fine giunse alle sue orecchie una delle domande che si sarebbe aspettato, ovvero, perché avesse frequentato anche l’accademia junior e non solo l’accademia? Cosa lo aveva spinto a fare tale decisione? Non se lo fece ripetere più volte e si fermò dal continuare a mangiare, fece un piccolo sospiro e rialzò gli occhi dal vassoio per osservare Maria dritta negli occhi. «Ciò che mi ha portato all’accademia junior è stato diciamo per necessità. Mia madre è morta quando io avevo quattro anni, ma non per omicidio da parte di un ghoul, bensì per una malattia cardiaca diagnosticata troppo tardi. Mio padre ha quindi deciso per me, iscrivendomi all’accademia junior, avendo le tasse scolastiche basse ed essendo lui l’unico a lavorare.» per quanto non gli piacesse parlare di tali argomenti, con una collega di lavoro avrebbe dovuto farlo e cercò di eliminare ogni vago sentore di tristezza dalla sua testa e dei pochi ricordi della madre che lo facevano traballare emotivamente. «Ciò che avrei voluto è ben diverso da quello che faccio ora, ma nella vita bisogna fare sacrifici e adattarsi e una volta finita l’accademia junior e anche l’accademia, molte porte si chiudono. Sono stato preparato ad essere leggermente più educato del normale, anche se ho sempre cercato di non divenire un robot, di non essere una persona senz’anima.» ormai la voglia del sorbetto era passata, ma lasciare il cibo rimanente sul vassoio non era da lui, cercò di finirlo come meglio poteva, anche se la sua mente era ormai troppo distante. «E tu?» si schiarì alcuni secondi la voce, prima di riprendere. «Tu come mai ti sei iscritta all’Accademia? Avevi altri progetti anche tu o ciò che fai adesso era ciò che volevi?» le chiese con fare tranquillo, riacquistando la perduta mano ferma che aveva avuto fino a quel momento, se non per il fatto che un sorriso tranquillo si impadronì del suo volto, come a voler indicare che ormai si era tranquillizzato ed era incuriosito dalle future parole della giovane.

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    La bistecca nel suo piatto era praticamente finita e Maria, ragazza dai gusti se non sofisticati decisamente ristretti, non aveva praticamente preso altro. Non era la normalità per lei infatti recarsi a mensa, non era certamente uno dei suoi posti preferiti per mangiare. Era andata lì quel giorno solo perchè, appena tornata dalle vacanze invernali, non era ancora riuscita a fare la spesa e quello era decisamente il posto meno costoso. Ciononostante le cose avevano preso una piega interessante grazie all'incontro con il suo collega della Squadra Delta.
    Come al solito aveva deciso di presentarsi solo come 'Maria Kurohime' e aveva tenuto per sé il secondo nome, Noriko. Un giorno, forse, glielo avrebbe rivelato. Sperava di non essere stata troppo invadente a chiedere come mai avesse frequentato l'Accademia Junior dato che molti degli iscritti erano orfani o avevano passati certamente non tra i più luminosi. Poco prima, il suo collega Friedrich si era dimostrato in un certo senso contento del fatto che sua madre fosse rimasta incinta. Quanto a Maria, solitamente tendeva a non pensarci e di sicuro non era proprio il suo passatempo preferito credersi il fulcro di un miracolo. Questo, almeno, per la maggior parte del tempo. Alle volte, infatti, il suo voler credere ai segni del destino superava la sua umiltà e il suo rispetto per la fede e questo, suo malgrado, accadeva. Quelli erano forse i momenti peggiori.
    La storia del suo collega non era certamente piena di omicidi, genitori massacrati mentre tenevano il proprio figlio tra le braccia per proteggerlo o violenza gratuita, ma ciò non toglie che fosse ugualmente triste. A suo dire, sua madre era morta per una malattia prima che lui compisse cinque anni e suo padre, l'unico lavoratore rimasto, poteva permettersi solo di iscriverlo all'Accademia Junior date le tasse esigue. Come immaginava, quindi, non era stata una scelta volontaria ma un percorso obbligato. Maria faceva fatica ad immedesimarsi, un po' per una sua incapacità effettiva e un po' per il fatto di essere - a conti fatti - una privilegiata. I suoi genitori erano entrambi vivi e avevano entrambi un buon lavoro, erano sempre stati presenti per dimostrarle affetto ed erano riusciti a darle un'ottima educazione, sia scolastica che casalinga.
    Essere obbligati a perseguire una via così pericolosa era qualcosa che non riusciva neppure ad immaginare. Era un po' come essere destinati all'esercito sin da neonati. Essere carne da macello a fianco a chi, invece, diventa tale per ideologia o per la propria volontà. Come può un soldato senza determinazione compiere il suo lavoro? Tramite l'indottrinamento. E Friedrich sembrava non essere quel tipo di persona da ciò che diceva sull'essere un robot o beh, se non altro voleva convincere sé stesso di non esserlo.
    Mmmmmmmmh... - iniziò a borbottare mentre masticava l'ultimo pezzo di carne, riflettendo sulla domanda che le aveva fatto il ragazzo. Non aveva molti problemi a parlare del perchè aveva deciso di diventare un'investigatrice, ma la verità è che era una storia abbastanza noiosa e, come lui, non aveva proprio dei motivi particolari - Mi sarebbe piaciuto studiare arte. - proseguì quindi a spiegare dopo aver deglutito. Era effettivamente quello il motivo per cui aveva cercato residenza vicino al parco di Ueno, pieno di musei - La prefettura di Nagasaki, dove sono nata, è il principale nucleo della cristianità in Giappone. Lo è da un bel po' di tempo. Proprio per questo motivo, la maggior parte dei giapponesi considerati "martiri" dalla Chiesa Cattolica erano originari della mia zona. A causa delle persecuzioni sono diventati kakure kirishitan, obbligati a nascondersi e difendersi. I miei mi raccontavano spesso questa storia. - fece un attimo una pausa per bere un goccio d'acqua - I ghoul, forse, in questa storia sono i cristiani nascosti. Una minoranza costretta a nascondersi. Ma è evidente che siano loro a fare la parte dei persecutori, oggi. Non voglio che l'umanità intera sia costretta a vivere ciò che hanno vissuto i miei antenati, a dover scappare, doversi nascondere. Ho capito che avrei potuto fare la mia parte e allora ho deciso di farla. - abbassò leggermente lo sguardo - Beh, non è andata come previsto.
    Ridacchiò dopo quest'ultima frase, riferendosi all'essere stata assegnata alla Squadra Delta ed essere praticamente stata in fermo per un paio d'anni. Il pranzo era finito e anche il suo compagno sembrava aver terminato il proprio pasto, dolce incluso. Maria iniziò a picchiettare dolcemente con le unghie della mano destra sul proprio vassoio. Era riuscita ad avere quelle ferie che aveva chiesto ed era appena tornata per cui, al momento, non aveva proprio del lavoro da fare. Probabilmente sarebbe dovuta andare dal suo superiore a farsi dare qualche caso di cui compilare delle scartoffie quindi forse poteva approfittarne per andarci con il collega e provare a convincerlo a dar loro qualcosa di un po' più importante di qualche lavoro d'ufficio. Non era ancora il momento, però.
    Quindi dimmi, Ikeda-san... - domandò, fermando il picchiettare delle sue unghie leggermente lunghe - A cosa stai lavorando in questo momento, di preciso?


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    Il pranzo era ormai finito e usare i vassoi vuoti come una scusa per rimanere a parlare, non era tra le specializzazioni di Ikeda, ma sapeva che con quella ragazza voleva continuare ad avere una conversazione, dopotutto non gli capitava spesso che si trovava ad avere una discussione con qualche collega. Ora, la CCG non era di certo formata da persone poco socievoli, ma semplicemente il silenzio a volte era di casa in quel luogo, semplicemente se non hai nulla da dire, non apri la bocca per parlare a vanvera. Ora concentrandosi sulla ragazza, Friedrich poté meglio comprendere la sua situazione e il modo in cui aveva vissuto fino a quel momento. Anche lei aveva un altro sogno, o meglio, avrebbe voluto intraprendere un altro percorso, probabilmente più arduo, sì, ma quando qualcosa ti piace, non ne senti mai il peso. Era interessata all’arte, avrebbe voluto studiarla, chissà come sarebbe stato per lei studiarla. Il ragazzo cercò di prefissarsi un’immagine nella sua testa di Maria mentre esercitava tale professione, l’unico dettaglio che gli mancava era la specializzazione che avrebbe voluto seguire la ragazza. Architettura? Pittura? Storia dell’Arte? Guida artistica in luoghi pubblici? Critica d’arte? Le strade erano davvero tante e immaginarla in ognuna di quelle era qualcosa che avrebbe potuto rubare la mente del ragazzo per un bel po’ di tempo. Detta così, sembrava però che il tedesco non avesse altri pensieri per la testa, tipo scansafatiche o scaldasedie professionista. Ascoltando le parole di Maria, comprese che la ragazza si fosse avvicinata alla CCG come una sorta di impegno personale, qualcosa che l’aveva portata a dire a sé stessa “devo fare la mia parte, in tutto questo casino”. A quella battuta sarcastica, in merito al suo lavoro, anche lui fece una piccola smorfia di un sorriso amaro, anche se vero, aveva ragione lei a dire quelle cose.
    «Beh almeno rischiamo di meno la vita stando seduti a delle scrivanie che sul campo, anche se è come arruolare un soldato per usarlo come scorta di un vip che nessuno conosce.» fece una leggera risata, per assecondarla e renderle meno pesante il fatto che entrambi non fossero andati sul campo. «La cristianità in Giappone è inferiore al cinquanta percento, almeno così lessi da qualche parte in merito a qualche libro di teologia dei giorni nostri. Il tutto è da ricondurre alla storia, all’arrivo degli europei qui e dell’America nel Bakumatsu…da quanto hai potuto notare, sono interessato al vedere e parlare con una praticante come te.» fece una piccola risata, giusto per non appesantirla troppo con quelle parole, non voleva farle pesare nulla, anzi, Ikeda sperava che lei, insieme a lui, potesse sentirsi tranquilla e libera di esprimere ogni suo pensiero. Alla fine di quelle parole, Maria si rivolse al ragazzo, chiedendogli cosa facesse lui in quel momento. Quale lavoro stesse svolgendo per la CCG. Avrebbe voluto dirle “nulla di particolare”, ma un’uscita del genere di certo non lo avrebbe messo in chissà quali grandi aperture di sé stessi, anche se forse avrebbe voluto restare chiuso semplicemente per evitare che Maria pensasse che il suo impiego in quel momento era molto futile. «Mh…diciamo che mi occupo di rileggere e correggere dei rapporti, in caso di errori. Sono rari i momenti in cui vedo errori grammaticali, ma diciamo che è quello che faccio. Non solo rapporti, mi occupo di rilettura e in caso di necessità, di correzioni e trascrittura. Nulla di segreto o importante, mi passano ciò che devo fare e lo faccio.» disse e si fermò alcuni secondi, prima di riprendere. «Non mi dispiace, mi piace leggere, solo che a volte vorrei leggere qualcosa d’interessante, come i mille mila libri che si trovano in libreria, nella mia stanza. E tu Kurohime-san? Cosa fai?» le chiese tranquillamente e con un sorriso sul volto, era molto interessato a ciò che lei avrebbe detto, di certo non gli sarebbe sfuggito nulla.

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    Maria accennò un sorriso alla battuta del suo collega. Non c'era molto da ridere sulla possibilità di morire o meno, anche considerato che quel rischio nel loro mestiere era decisamente alto, ma il ragazzo non aveva tutti i torti. Quel pensiero era più che giusto ed era quello a farla sorridere. Ogni volta in cui si lamentava coi suoi genitori del non aver ancora ricevuto un incarico importante, era quello che le rispondevano anche loro. Erano grati che fosse così, perchè in quel modo la loro unica figlia non rischiava nulla nonostante il pericoloso futuro che si era scelta. Lei però, come immaginabile, non era della stessa opinione.
    E' inferiore persino al cinquanta per cento degli abitanti di Tokyo. - ridacchiò la ragazza alle parole successive del ragazzo, quelle riguardo al probabile numero di cristiani sul suolo giapponese - Siamo molti meno. Mooooooooolti meno. Su... Quanti? - alzò leggermente il sopracciglio destro, cercando di ritrovare l'informazione tra i cassetti della sua memoria - Centotrenta... O centocinquanta milioni di abitanti, ci sono solo un paio di milioni di cristiani. A malapena raggiungiamo l'un per cento... La Chiesa dove andavo io ad Hirado aveva solo una ventina di fedeli, mentre qui a Tokyo ce n'è solo una... Raramente riesco ad andarci. - aggiunse, sperando di non essere stata inadeguata o troppo saccente con quelle parole. D'altro canto a lei piaceva scoprire cose nuove, sperava che per gli altri fosse lo stesso e potessero vedere le sue correzioni come un modo per scoprire qualcosa di inaspettato e non come delle sterili dimostrazioni di erudizione fine a sé stessa e a mettere in imbarazzo i propri interlocutori.
    Per il resto, rispondendo alla sua domanda, il collega dimostrò nuovamente di non essere in una situazione troppo diversa dalla sua. Generalmente, infatti, anche a lei capitavano quel tipo di lavori sottomano, ad esclusione di una volta in cui aveva avuto il compito di catalogare e analizzare delle prove trovate su una scena del crimine che però si era risolta, di fatto, in nulla di particolare. A quanto pare poi, nonostante il percorso all'Accademia Junior oltre che a quella tradizionale e le possibili pressioni o inclinazioni a cui questa avrebbe potuto portare, Maria capì dal discorso del ragazzo che questi amava particolarmente leggere. Anche lei era così, un tempo, ma proprio come per il collega il lavoro e le pressioni della società avevano ridotto e ridotto ulteriormente il tempo che poteva dedicare a sé stessa e a piaceri come la lettura. Nonostante comprasse e accumulasse libri, molto spesso nel suo tempo libero ultimamente si trovava a scrivere canzoni o fare qualche giro in un museo tra i numerosi vicini a casa sua.
    Di contro, la prospettiva di iniziare a lavorare sul campo non era, da questo punto di vista, un buon presagio. Probabilmente, infatti, quel tipo di lavoro avrebbe ridotto ulteriormente il tempo che la ragazza e il collega avrebbero potuto dedicare a loro stessi, passando probabilmente buona parte del loro tempo libero a continuare ad arrovellarsi su prove e indizi per cercare di catturare un ghoul che, a piede libero, avrebbe mietuto chissà quante vittime che i due, o almeno la ragazza, avrebbero sentito come causa della propria poca diligenza.
    Nel mentre, terminato di mangiare, la giapponese scrutava con lo sguardo le movenze e il volto di Ikeda, cercando comunque di non sembrare troppo interessata o ossessionata. Insomma, era il primo contatto umano che aveva in qualche tempo, ad eccezione dei propri genitori, e non voleva che il suo interesse trasparisse più del dovuto assumendo dei connotati negativi.
    Io? Nulla. - rispose con semplicità, alzando leggermente entrambe le spalle, e non stava neppure mentendo - Ho preso un permesso per poter passare il Natale assieme alla mia famiglia e sono tornata al lavoro proprio ora. Attacco dopo il pranzo, ma non avevo nulla per cucinare a casa e ho deciso di usufruire della mensa del lavoro. - sorrise, sfiorando con la mano destra il vassoio - Prima di andarmene avevo finito tutto quello che avevo da fare, quindi al momento sono senza compiti. Per questo... - fece un attimo di pausa, pensando con attenzione a come porre le parole successive - Dal momento in cui devo comunque andare da Yamamoto-sama per chiedere a cosa mi dovrei dedicare, magari potremmo andare assieme e chiedere se ha qualcosa di un po' più... sostanzioso da offrirci. - concluse, sorridendo mentre cercava di osservare il ragazzo. Se avesse rifiutato, avrebbe comunque provato ad intavolare il discorso col suo superiore dal momento che, in ogni caso, doveva andare da lui per farsi assegnare qualche lavoro. L'unione fa la forza, ma chi fa da sé fa per tre.

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    Friedrich Ikeda
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    Per quanto potesse sembrare così strano, Friedrich era realmente interessato alle parole della ragazza, in merito al suo credo religioso. Non era ateo, né si riteneva un agnostico così come un fervente shintoista, semplicemente non gli sembrava possibile che nell’universo non ci fosse qualcuno al disopra di tutto dove dominasse senza problemi, generando leggi e controlli di forze che nella sua testa non si erano neanche palesati sotto forma di immaginazione. Nella sua filosofia, nessuno aveva la certezza assoluta, né i credenti né gli atei. Entrambi potevano dimostrare qualcosa, ma a parte quello, era impossibile pensare a qualcosa di cui si poteva andare soltanto di ipotesi su ipotesi senza alcuna aggiunta. In merito alle parole della ragazza, rimase ancora più sorpreso e interessato, sapere che la comunità cristiana in Giappone fosse così piccola, lo fece rimanere leggermente sorpreso. Se lo aspettava, di certo, ma non con quei numeri così piccoli.
    «Wow…» un’esclamazione molto adolescenziale, ma che rispecchiava perfettamente la sorpresa del ragazzo in merito a quello che aveva appena ascoltato. «Come si sol dire, pochi ma buoni.» mostrò un leggero sorriso ironico e poi la guardò dritta negli occhi, quasi sperando in una risposta in merito, anche se sarebbe stato meglio mettere le mani avanti e farle intendere che tale battuta non fosse un’offesa senza alcun senso. «Sono semplicemente meravigliato in merito a questi numeri, immagino che per te sia stata dura come crescita, almeno… ehm… spiritualmente. Vedere così tante persone di un credo diverso dal tuo, a volte è un confronto e altre volte può essere, sfortunatamente, un conflitto.» si fermò alcuni secondi, aveva bisogno di risistemare le idee in testa per poter continuare su quell’argomento, ma su un lato diverso. «Spero non ti dia stranezza questa discussione in merito alla religione, semplicemente non ho mai incontrato una praticante cristiana, quindi la curiosità è sempre a mille e trovo che tali conoscenze vadano affrontati sempre bene e con la dovuta calma.» calò nuovamente il silenzio, visto che dalla religione di Maria si passò al loro lavoro, in merito a cosa stesse facendo la ragazza in quel periodo. Nulla di effettivo, ma era normale non avere molte mansioni, inoltre era tornata dalle vacanze invernali, passate con la famiglia e ora si ritrovava a mani vuote e per lo stesso motivo si era ritrovata a mangiare in mensa. Ascoltò con attenzione, senza ostacolarle in alcun modo la discussione, riteneva che il silenzio dell’interlocutore, in quel caso il suo, fosse necessario per permettere a Maria di poter dire ciò che voleva, senza farsi ulteriori problemi o complessi mentali. Non appena concluse, il ragazzo poté mugugnare un verso, nulla di strano, ma un semplice mormorio e dalla sua posa pensierosa che faceva intendere su come risponderle, prendendo una rapida, ma definitiva scelta. «La vedo come te, in merito ai compiti più corposi che potremmo ricevere. Per quanto mi riguarda, sì potremmo andare a parlare con Yamamoto-sama, anche perché tu hai bisogno di ricevere un nuovo compito. Chissà magari siamo fortunati, magari invece di lavorare seduti, lavoreremo in piedi.» l’ultima frase era prettamente ironica e il ragazzo poté fare una leggere risata per mettere Maria a suo agio.

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    Le discussioni riguardo alla sua religione non la colpivano più di tanto: sebbene Hirado come già detto facesse parte di quel famoso "triangolo della cristianità" dove la media di credenti e praticanti di tale religione era di molto superiore rispetto alla media nazionale, di certo non era l'Europa o l'America. Molti suoi compagni erano shintoisti mentre tanti altri, come non era inusuale nell'arcipelago asiatico da qualche anno a quella parte, erano semplicemente atei. Come ben sottolineato dal suo compagno di chiacchiere, per quanto riguardava la religione e spesso anche la politica le discussioni potevano seguire solamente due linee guida: quello del dibattito atto ad accrescere entrambe le parti e quello della guerra ideologica pronta a bombardare le fondamenta di qualsiasi discussione civile. Per sua fortuna, in gioventù non aveva mai incontrato persone così scontrose e maleducate. D'altra parte, invece, non aveva neppure incontrato qualcuno con cui poter discutere, riflettere, imparare: buona parte delle sue conoscenze erano state, almeno da quel punto di vista, totalmente disinteressate e, in quanto tali, anche poco interessanti per lei.
    Da quando aveva messo piede a Tokyo, a maggior ragione, aveva perso qualunque possibilità di poter avere conversazioni di quel tipo. L'unica Chiesa della capitale giapponese era come già detto molto lontana da casa sua e non riusciva neppure a frequentare la messa se non in poche, rarissime occasioni. Gesti legati alla musica avevano soppiantato i rituali religiosi, seppur non smuovendo minimamente la sua fede, la sua capacità e la sua voglia di credere.
    Quel ragazzo, comunque, sembrava interessato a tali argomenti. Forse la sua era pura curiosità e Maria non era altro che un topo da laboratorio, un'anomalia conservata in un barattolo, annegata in formaldeide. Quello era il tipo di attenzioni che a Noriko non piacevano per nulla: l'interesse scientifico, quello fine a sé stesso. La guerra tra scienza e religione è un cliché, un pregiudizio sopravvissuto ai secoli e, anzi, probabilmente inesistente, frutto di concetti e storie travisate con l'occhio dell'uomo moderno, una battaglia artificiale e artificiosa. Ciononostante, la ragazza giapponese aveva un occhio molto critico per le scienze, sia quelle naturali che quelle meno concrete come ad esempio la filosofia. Come Adamo ed Eva che consumano il frutto proibito dell'Eden, per Maria il volere e il pensare di potere conoscere tutto erano il peccato più grande dell'uomo. Ciononostante era presto per poter giudicare quel ragazzo.
    Bene, speriamo. - rise alla battuta del ragazzo. Era, forse, la prima volta che si trovava a ridere sul posto di lavoro. Forse avrebbe dovuto sciogliersi un po' di più e stringere davvero amicizie per rendere le sue giornate meno noiose.
    Allora... Andiamo? - domandò, indicando alla sua destra col pollice della relativa mano, accennando ad alzarsi. Se la risposta fosse stata positiva, allora si sarebbe alzata e avrebbe poggiato le fragili dita ai lati opposti del vassoio di fronte a sé, per svuotarlo nei cestini e riporlo nel posto adatto.
    Non mi da fastidio parlare di religione, comunque. - avrebbe ripreso quindi le fila del discorso - A volte le persone sanno essere meschine o fastidiose, ma è qualcosa che riguarda tutti gli ambiti della vita, in fondo. - sorrise - Sei mai stato in Germania...? - il ragazzo aveva detto di essere nato ad Hokkaido, ma questo non gli avrebbe certo impedito di muoversi per il mondo. Aveva viaggiato lei, che aveva radici ben salde in territorio giapponese, magari lui avrebbe potuto aver fatto lo stesso mosso dalle origini di sua madre, ancora in vita o meno.

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    Alla fine di tutta quella discussione si raggiunse l’epilogo finale, ovvero, raggiungere il loro capo e sperare in un compito che li avrebbe premiati. Prima di tutto dal punto di vista personale, sentirsi soddisfatti per il lavoro che facevano e in parte per ciò che avevano studiato fino a quel momento. Essendo Friedrich al centro di tale discussione, come Maria, ma in questo caso, la lettura della mente era sprovvista, il ragazzo si sentiva alquanto preso da tale momento. Sapeva che poteva diventare qualcuno all’interno della CCG, ma la fama non era qualcosa che ricercava, voleva sentirsi adatto per quello che aveva fatto. Fino a quel momento aveva passato la sua vita su una sedia, aveva studiato tanto e fin da bambino soprattutto, sapere che il suo sogno era ormai svanito, non poteva di certo abbandonare la seconda via e sperava che quest’ultima potesse dargli qualcosa di importante, qualcosa che potesse renderlo fiero. Senza attendere oltre seguì la ragazza, prendendo anch’egli il vassoio, avrebbe buttato i rimasugli e tutto ciò che non poteva essere riusato e poi avrebbe poggiato il vassoio nell’angolo in cui venivano disposti. Alla fine la mensa della CCG funzionava come un comune fast food, dunque le regole erano molto semplici e schematiche, nulla di complesso. Completato quell’operazione si sarebbe riunito a Maria e da lì avrebbero ripreso a conversare. La ragazza riprese dalla religione, mentre Friedrich ascoltava e ogni tanto annuiva, rendendosi dunque partecipa e manifestando tale partecipazioni dando risposte con cenni del viso che non avrebbero disturbato la ragazza nella comunicazione, anche perché doveva usare la bocca per parlare e non gli occhi. In parte la ragazza aveva ragione, dopotutto le persone sapevano essere molto cattive e se non stavi attento, potevano contagiarti e anche se ogni persona ragiona a proprio modo a volte le emozioni li rendevano deboli e in quei momenti di debolezza si insinuava il dubbio, come acqua in una piccola spaccatura che a lungo andare crea crepe e distruzione, come una diga venuta male. Alla domanda della ragazza, il giovane si fermò alcuni secondi, del tutto, anche i passi, rimanendo a pensarci per bene, non che ci volesse chissà quanto per rispondere, ma stava cercando di ricordare completamente quel ricordo, così da non avere momenti per fermarsi, successivamente si sarebbe riunito alla ragazza.
    «Sì, per una settimana. Frequentavo ancora l’accademia, semplicemente era una sorta “gita” mettiamola così, non ci andai da solo e tale “gita” era più che altro un percorso di formazione. Fu una settimana all’insegna della cultura, se posso metterla in questa maniera, visitammo varie zone della capitale... Berlino. Ho anche un pezzettino del muro, costruito durante la Guerra Fredda. È stato molto bello, anche se è durato poco. Appena potrò e appena avrò abbastanza soldi, spero di ritornarci, anche se mi piacerebbe visitare anche altre città dell’Europa, dopotutto è considerato tra i continenti più vecchi, in ambito di... storia umana. E tu?» le chiese, osservandola alcuni secondi prima di ritornare con lo sguardo ad osservare dritto davanti a sé. Non gli dispiaceva parlare con quella ragazza, non ci trovava nessun problema nella comunicazione, anzi, qualcosa gli diceva che sarebbe stata perfetta anche sul campo di battaglia, ma doveva riuscire anche lui a darle tale impressione.

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    Il ragazzo aveva acconsentito all'andare dal loro superiore sperando, essendo in due, di riuscire ad ottenere la possibilità di lavorare su un effettivo caso riguardante uno o più ghoul: il motivo, insomma, per cui entrambi avevano deciso di entrare tra i ranghi della CCG e svolgere quel lavoro. Una volta alzatisi e presi i loro vassoi, si diressero a svuotarli. Effettuata l'azione di rito per la mensa del lavoro, per quanto per lei fosse la prima volta che pranzava lì, si diressero quindi assieme verso l'ufficio del capo della Squadra Delta.
    Nella camminata espresse quei quattro pensieri sconclusionati sull'incapacità delle persone di scindere la propria soggettività dall'oggettività. Per qualche strano motivo, tanto più era personale e delicato l'argomento del discorso, tanto meno le persone sembravano essere in grado di capire di non avere la verità in tasca. Che si trattasse di politica, religione o anche del semplice concetto di arte, a volte la gente faticava davvero a capire che su certe questioni una verità assoluta non esistere e forse per definizione non può semplicemente esistere. Pur non aprendo bocca, il compagno sembrò dimostrare di essere d'accordo con lei annuendo mentre i loro passi scoordinati risuonavano nei corridoi della Sede Principale della CCG, allontanandosi sempre più dalla mensa.
    Per non risultare troppo noiosa e non monopolizzare la discussione, anche perchè onestamente non si sentiva ancora né così sadica né così sicura di se stessa per tenere le redini della conversazione per più di un paio di minuti, gli chiese se avendo origini europee fosse mai stato nella nazione natale di sua madre. A quella domanda il ragazzo fermò i suoi passi e quando se ne accorse, forse un metro o un metro e mezzo più avanti, la ragazza si fermò e si girò ad osservarlo per qualche secondo. Per quanto quella domanda fosse in un certo senso scollegata dalla madre del collega, forse aveva effettivamente esagerato e poteva risparmiarsela. Aveva deciso di domandarlo perchè, da grande viaggiatrice, poteva essere un punto in comune di cui chiacchierare e un territorio meno pericoloso della religione. Effettivamente, però, una questione simile poteva risvegliare nel ragazzo dai capelli rossi ricordi non voluti per quanto forse felici: il fatto che avesse fermato il suo passo ne era una mezza dimostrazione.
    Per fortuna il giovane riprese a camminare dopo qualche secondo e se anche la sua domanda lo avesse in qualche modo urtato o ferito era decisamente bravo a nasconderlo. Disse di esserci stato ma per motivi di istruzione quando ancora frequentava l'accademia. Nulla, insomma, che avesse a che fare con motivi familiari. Una piccola stretta al cuore attanagliò le interiora di Maria al pensiero di come potesse essere recarsi nel luogo di origine di un tuo caro ormai defunto, in sua assenza e per altri motivi. Tutto il suo albero genealogico, però, piantava le radici a Hirado: non avrebbe mai potuto provare davvero quel sentimento.
    Umh. - accennò un sorriso quando il giovane le porse la domanda a sua volta - Fortunatamente i miei genitori sono sempre stati benestanti e con abbastanza tempo libero. Sono riuscita a girare abbastanza il mondo, specialmente l'Europa. In Germania no però, non ci sono mai andata. Forse ci sono passata per qualche viaggio ma ero abbastanza piccola e ancora non mi interrogavo su certe cose. Però sono andata in Italia, Repubblica Ceca, Francia... - fece una leggera pausa porgendo l'indice destro verso la pulsantiera degli ascensori, per farne scendere uno fino alla loro posizione e successivamente salire fino al piano dove si trovavano gli uffici più importanti: quello, insomma, a cui doveva dirigersi - Ho avuto la fortuna di girare un po' di posti, anche se una volta iniziata l'Accademia e a dire il vero anche un po' prima ho dovuto, per ovvi motivi... Ridurre questi spostamenti. - accennò una risata un po' tesa. Quella professione, in fondo, non dava spazio a molti viaggi se non lavorativi. Ma raramente un ghoul creava così tanti problemi da diventare addirittura un caso internazionale e lei, comunque, non aveva ancora cominciato a lavorare neppure al suo primo.

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    La discussione con Maria continuò, sempre in merito ai viaggi, ma al tempo stesso anche cercando di raggiungere il loro obiettivo, parlare con il loro capo. Il ragazzo ascoltava sempre con attenzione le parole della collega, cercava di non lasciarsi scappare alcun particolare e sapere dei suoi viaggi, di certo lo avrebbe aiutato. Aveva visitato altri luoghi lei, non la Germania, quindi avrebbe potuto chiederle anche cose in merito agli altri stati, era un modo come un altro per appofondire la conversazione e continuare a parlare. Lasciarla cadere nel silenzio di certo non li avrebbe aiutati.
    «È così sei stata in tanti bei posti, in Europa almeno. Ho letto qualcosina di questi posti, più in ambito del secondo conflitto mondiale, ma mi son sempre chiesto se la vita che facciamo qui è diversa dalla loro. Cioè… in un certo senso è sicuramente diversa, ma mi chiedo quanto diversa dalla nostra. Tu sapresti dirmelo?» disse il ragazzo, attendendo l’arrivo dell’ascensore e osservando fisso le pareti dell’ascensore e il rumore del suo avvicinamento alla loro posizione. L’interno di quest’ultimo non era così anormale, né tanto diverso dai tanti ascensori moderni che si potevano trovare in giro. Non sapeva perché stesse dando così tante attenzioni alla stanza in cui si trovavano, ma di certo era qualcosa di leggermente peculiare e inquietante. Non si chiedeva cosa sarebbe successo se l’ascensore si fosse guastato durante la corsa, né quanto ossigeno vi era all’interno, né chi l’avesse ideato e così via, ma osservava i colori piatti e normali, cercando di trovarci un suo riflesso, anche solo i suoi occhi, era come se così facendo, avrebbe trovato un po’ di calma interiore. Leggermente claustrofobico, ma non abbastanza da farlo impazzire, gli bastava deconcentrarsi dal pensare di essere rinchiuso e subito passava, neanche ci faceva più caso. Durante quel tragitto la ragazza parlò ancora dei suoi viaggi, ma questa volta in ambito di frequenza nel viaggiare. Con l’entrata in accademia e a detta sua, anche un po’ prima, i viaggi di vacanza erano diminuiti, visto che essere alla CCG portava via tantissimo tempo e avere delle ferie era raro, a meno che non si preparasse una qualche offensiva di chissà quale importanza e veniva dato agli investigatori del tempo da passare con i propri cari, ma non era il caso di Friedrich, sfigato com’era. «Beh ora che lavoriamo qui, avremo ancor meno ferie per poter stare un po’ in pace con noi stessi, anche se spero che se mai avessi una ragazza da amare e con cui stare, spero di poterle donare quanto più tempo possibile. Scusami, non ha senso parlare di questo, ma era per dire che abbiamo poco tempo, ora che siamo dietro delle scrivanie, figurati quando inizieremo a lavorare sul campo.» disse Friedrich osservando la ragazza e facendo una breve risata, visto che era meglio ridere di quell’argomento che renderlo inutilmente pesante. Una volta che fossero arrivati al piano, sarebbe uscito dall’ascensore con la ragazza rimanendo al suo fianco, schiena dritta e in dirigendosi all’ufficio del loro capo.

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