C’era una volta un giovane e bellissimo principe che aveva perso alle mani di ignobili cacciatori il suo regno e i genitori che lo avevano visto nascere poiché la sua famiglia aveva nascosto per lunghi anni un terribile segreto: erano tutti dei mostri che si nutrivano della tenera carne che era quella umana. Salvato dunque in tenera età dal fedele servitore del padre, era cresciuto in un paese lontano dove il sole sorgeva ad est e dove poteva vivere mescolandosi tra la sua popolazione, al sicuro da chi ancora lo cercava con la sua nuova identità. Nonostante fosse cresciuto sotto l’ala protettiva dell'attendente, non era diventato l’uomo giusto e nobile che i suoi genitori avevo sperando e anzi, la sua crudeltà ed egocentrismo erano diventati il fulcro del suo essere. Aveva imparato a mentire, a recitare senza commettere nemmeno un piccolo errore. Vivere in un perenne dualismo era diventata la sua realtà, sorrisi gentili al pubblico e ferocia quando il sipario era calato. Col tempo aveva ripreso le redini di quel regno caduto, non per suo volere ma più per appagare il desiderio di rinascita e gloria del servitore che lo aveva cresciuto. Ma il racconto che andiamo a narrarvi oggi è più un intermezzo nella storia della sua vita, un piccolo stralcio di un incontro dato forse dal destino in una fredda sera di fine gennaio.
Quella giornata era iniziata come un’altra e nemmeno nel suo proseguo si era rivelata essere niente di particolarmente eccitante. Almeno non aveva passato tutta la giornata a casa a poltrire e giocare ai videogiochi vedendo che quella mattina aveva comunque dovuto fare un photoshoot con relativa intervista per una rivista piuttosto importante. Ore molto noiose dunque, dove aveva solo dovuto recitare una parte che ormai conosceva a memoria. Un sorriso gentile ma affabile diretto al fotografo, una battuta scherzosa durate l’intervista con la giornalista, tutto davvero molto semplice. Che noia davvero. Forse era proprio per quell'esatto motivo che quello stesso pomeriggio, prendendo verso la via di casa il suo secondo cellulare che usava solamente per interazioni con il suo clan (la prima regola che si era imposto era mai mischiare il lavoro pubblico con quello più malavitoso che era gestire la sua piccola ma potente organizzazione di informatori), si era messo a controllare i vari messaggi che i membri si erano scambiati quel giorno. Si sistemò meglio sullo schienale del sedile posteriore della macchina, lanciando un’occhiata veloce a Drev che era intento a guidare tra le strade trafficate di Tokyo, prima di riportare lo sguardo sullo schermo del cellulare nero, non di ultima generazione come il suo personale ma abbastanza moderno da poter supportare tutte le app che potevano servigli.
Le novità erano poche in quel periodo, più una ripetizione o una conferma di quello che già sapevano: una famiglia di ghoul ricercata aveva cambiato di nuovo distretto, un investigatore che aveva falsificato alcuni documenti era stato beccato, quell’avvocato dell’altro giorno non era un ghoul come avevano sospettato alcuni ma solo uno squilibrato e la lista era lunga. Che noia, che barba! L’unica cosa che però aveva destano un poco il suo interesse, era che uno dei suoi sottoposti aveva un nuovo contatto che bisognava ancora valutare. Sia mai che desse loro informazioni di poco conto o peggio, spudoratamente false. Ne andava della loro, anzi, della sua reputazione. Le sue dita volarono veloci sui tasti e in poco tempo (infondo nessuno osava non rispondere immediatamente ai messaggi del caro boss) si era messo d’accordo con il suo zerbino ehm tirapiedi numero sette, per presentarsi lui di persona ad incontrare quel nuovo aggancio all’orario che avevano concordato per quella notte.
Arrivato a casa si era dunque prima riposato un po’ (giocando a SIF ammirando la sua waifu e rispondendo a qualche topic in un forum di cui faceva parte) prima di prepararsi ad uscire, avvertendo giustamente della situazione il suo caro tutore che non poteva fare altro che assecondare ogni suo volere. Almeno poteva lamentarsi. Aveva pertanto preparato un borsone con tutto quello che poteva servigli per assumere l’identità di Nekomata avendo deciso alla fine di presentarsi come sé stesso invece che con una “maschera” più innocua, sperando in un bello spavento da parte del tipo che di sicuro non si aspettava di vedere il grande capo in carne ed ossa. Si cambiò poi con il suo travestimento per uscire in pubblico così da non farsi, si spera, riconoscere. Infondo il suo volto era sparso tra i vari inserti pubblicitari e megaschermi della metropoli. Rigorosamente una parrucca dal taglio corto e dalla tonalità scura, occhiali spessi dalla montatura rossa, abiti anonimi ma confortevoli accompagnati da un berretto. Coordinandoci un'espressione imbronciata ed annoiata e, magia!, ora era irriconoscibile, anni luce lontano dal modello di nome “Yuya”.
C’era ancora parecchio tempo prima dell’orario concordato per cui si avvivò, uscendo dunque dal retro del suo condominio dirigendosi verso la stazione per prendere il treno che lo avrebbe portato a Minato, la circoscrizione dove avrebbe dovuto incontrare il tipo... di cui aveva dimenticato il nome. Era qualcosa di banalissimo e comune, tipo Tanaka, ma aveva comunque una sua foto per cui riconoscerlo non sarebbe stato per niente difficile. Era arrivato finalmente alla sua meta dopo svariati minuti di camminata, una zona semi abbandonata che veniva più frequentata dai ghoul che dagli umani e quindi un perfetto territorio di caccia per i suoi simili. Si intrufolò in un’abitazione vuota, cambiandosi velocemente di abiti, passando ad una tenuta più sportiva ed aderente, perfetta per muoversi senza difficoltà, un’altra parrucca lunga di colore violaceo e un impermeabile nero con cappuccio che gli arrivava intorno alle ginocchia. Sostituì anche le sue sneakers con un paio di stivali dalla suola spessa e robusta. Completò il tutto con la sua famosa maschera da gatto del folklore, tirandosi su il cappuccio ed infilando le sue cose dentro il borsone per poi nasconderlo sotto un divano rovinato. Tuttavia portò con sé il suo secondo cellulare, quello nero, così da poterlo controllare per ogni evenienza. Una vibrazione lo avvisò che un messaggio era appena arrivato: era il suo sottoposto che lo avvertiva che Tanaka Qualcosa era appena arrivato. Ottimo, lui era quasi lì, qualche minuto di attesa non gli avrebbe fatto male. Infondo le persone importanti arrivavano sempre per ultime.
Usando le scale, salì sul tetto dell’edificio in cui era entrato, osservando i vari palazzi dell’alto così da poter individuare il luogo giusto senza fatica, essendo proprio nelle vicinanze. Si lanciò poi verso sinistra, usando un balcone per passare su un altro edificio, prima di scendere giù a pochi metri della sua meta aggrappandosi ad un lampione. Era sempre stato veloce ma allo stesso tempo silenzioso, proprio come un gatto.
Una cosa che però non si era per niente aspettato era vedere il contatto che doveva incontrare essere aggredito e buttato a terra da quella che sembrava essere una donna, dalle sue capacità e movimenti palesemente un ghoul (se ne sarebbe accertato una volta che si sarebbe avvicinato, tramite il suo odore), ma questo era anche chiaro dalle sue forme fasciate da quella tuta dal colore scarlatto. Era proprio un bel colore. Comunque sia, sotto la maschera sbatté le palpebre per una, due volte per poi farsi avanti, diminuendo la distanza tra loro con lenti passi. Più si avvicinava più il tipo gli sembrava grezzo e disgustoso, confermando l’impressione che si era fatto dalla sua fotografia. Ah, sperava sul serio che tutto quello non fosse solo una perdita di tempo e che almeno la ghoul coperta di rosso poteva aiutarlo a movimentare un po’ la serata.
«Una graziosa fanciulla dai modi così rozzi! Oggi le ho proprio viste tutte» disse ad un tratto, il tono di voce alto ma comunque roco, perfettamente maschile. Non c’era bisogno di celare il suo sesso, infondo tutti sapevano chi era Nekomata o ancora meglio, Mikhail l’erede degli Zeiva. Aveva usato quelle parole in modo da attirare l’attenzione della donna, con giusto una punta di sprezzante ilarità. Fece poi un inchino, il rosso del suo kakugan scintillava sotto la penombra che si era creata tra il lampione e l'inizio del vicolo.
«Ti pregerei» riprese con un tono più cordiale, inclinando un poco la testa di lato. Peccato che il suo sorriso malevolo non fosse visibile per colpa della maschera che gli celava completamente il volto «Di non strapazzarlo troppo, ha delle informazioni che mi deve» aggiunse dopo una breve pausa che usò per una bassa e gioviale risata. Non conosceva quella ghoul, non l’aveva mai vista prima, per cui doveva stare attento, giusto un po’, non sapendo bene se si stava rivolgendo a qualcuno di forte o ad una semplice formica che poteva schiacciare con un piede. Ma lui era lui, per cui non bisognava chiedere troppo.
«E’ una questione di meri minuti» disse dopo qualche battito, allargando le braccia come a mostrare il suo essere lì non per iniziare qualcosa ma più per un’innocua chiacchierata. Si certo, come no. «Poi puoi tornare a fare quello che vuoi con lui, mia cara Ciliegina» finì, spostando lo sguardo prima su di lei e poi sul tizio a cui a lui in realtà non importava niente. E poi, “ciliegina” gli sembrava un nomignolo appropriato, considerando l’aspetto della donna. Ridacchiò piano, portandosi una mano al cuore e una dietro la schiena, facendo un altro corto inchino ma sempre con lo sguardo puntato sulla sua figura.
Goddamn right, you should be scared of me. Who is in control?