Nastri colorati e perline brillanti

[CONCLUSA] Luke Walker & Lazar Stefanović Khabarov - Atelier Kurenai, 31/01/2019 (dalle 10.30, sereno 7°)

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    Luke "Sky" Walker
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    Qualche giorno prima…
    Era un appuntamento immancabile quello della telefonata a casa, la prima a rispondere era sempre sua madre.
    «Non è male… ho iniziato da poco e non mi aspettavo nulla di più.»
    Le prime domande erano state sul mangiare, il dormire, il prendere un po’ d’aria. Poi erano arrivate quelle sul lavoro, se era contento, se lo trattavano bene o se invece si faceva sfruttare fino allo sfinimento. O meglio se era lui a chiedere di essere sfruttato fino allo sfinimento.
    [ Va bene… ti passo Ami, sta smaniando per avere il telefono.]
    Brusio di sottofondo e la voce della sorellina attraversò rapidamente il mare che li separava.
    [ Luke! Devo assolutamente chiederti una cosa importantissima! ]
    Per quanto fosse la solita ed entusiasta Ami, sentiva la differenza rispetto alla settimana precedente, più spenta, meno brillante.
    «Dalla tua voce sembri stare benissimo, non serve chiedere… Cosa ti serve?»
    Ci provava ad essere allegro quando parlava con lei, provava a farlo con tutti ma era difficile quando i genitori per primi avevano un tono tanto intristito. Ami invece sorrideva anche quando stava male e riusciva a farglielo sentire con la voce.
    [ Lo sai che l’11 febbraio si sta avvicinando… Ho deciso cosa vorrei come regalo da parte tua. ]
    Certo che lo sapeva, aveva anche già spedito quello che lei gli aveva chiesto: una statuetta della divinità felina con la zampa ondeggiante, insieme ad altri tipici souvenir da turisti in visita e un po’ di cartoline da appendere in collage alla parete della camera. Ogni tanto le mandava via chat qualche foto, ma mancava di doti artistiche e le inquadrature erano banali, oltre al fatto che almeno due su tre venivano mosse o sfocate. Insomma era un disastro.
    «Mmmh… non sono sicuro che arriverà in tempo, ma posso provarci. Cosa vorresti?»
    Non poteva prendersela con lei, le avrebbe perdonato qualsiasi cosa, qualunque cambiamento d’idea improvviso e avrebbe fatto il possibile per esaudire le richieste più assurde. Era un dovere e un piacere riuscirci.
    [ C’è un posto bellissimo a Shibuya… ]

    Oggi…
    Fortuna che le indicazioni erano presenti o si sarebbe perso per le stradine prima di trovare quella dell’indirizzo.
    Ami aveva passato almeno dieci minuti a descrivere le foto che aveva trovato su Instagram di quel posto. Da quando lui era partito, lei si era ogni giorno di più interessata a scovare posti in cui spedirlo, sia per soddisfare la sua personale curiosità che per costringerlo a non restare ancorato alla sua routine casa-lavoro, che aveva sostituito quella casa-studio. Luke non si era lamentato, nella sua quotidianità australiana c’era il tempo con Ami e così continuava, in un certo senso, anche a distanza. Senza di lei non avrebbe mai passato del tempo a camminare con il naso all’insù in qualche parco o a vedere templi e palazzi. Era Ami quella artistica di casa, colei in grado di fermarsi per strada e apprezzare la disposizione di alberi, palazzi e cose del genere.

    L’insegna sulla porta gli comunicò che era alla fine giunto e un po’ nel dubbio entrò salutando timidamente, con quell’impiastricciato giapponese con accento spaventosamente inglese. Ancora le cadenze allungate e malinconiche (suo punto di vista) non erano un’abitudine.
    Un banale “buongiorno” e fu avvolto da una combo di profumo più suono più colore che nell’insieme lo avrebbero pure potuto stordire. Fortunatamente era di caffè il primo, capace di tenerlo ancorato alla realtà, il secondo non troppo fastidioso… il terzo era variopinto e pieno di dettagli. Ora capiva perché Ami se ne era innamorata e aveva tanto insistito per avere come regalo un qualcosa, qualunque cosa, fatto in quello specifico atelier.
    Stoffe, nastri, fili, pizzi… Persino l’arredamento era incredibilmente vario e colorato. Nonostante tutto, quell’accozzaglia di stili era piacevole e pareva avere un senso, che naturalmente per Luke corrispondeva a qualcosa di sconosciuto, rientrando l’arredamento in una delle cose su cui non aveva la minima competenza. Poteva dirsi perso e confuso in quel mondo a parte e infinitamente lontano dalla sua comfort zone in camice bianco e ambiente sterile.



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    Edited by #Nyx - 15/2/2019, 18:23
     
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    «Ninel’, avrei una domanda.»
    «Sì?»
    «Nostro fratello è per caso deceduto sul divano?»
    «Oh… ora che me lo fai notare, sembra più morto che addormentato.»
    Non era morto, ma non era neanche del tutto vivo.
    Brutta, bruttissima idea quella di partecipare a una festa di mercoledì sera, dopo una giornata passata a sgobbare prima all’istituto e poi in atelier. Rientrato alle cinque del mattino, Lazar era di nuovo schizzato fuori casa come una palla pazza allo scoccare delle sette, determinato ad affrontare la routine al massimo della forma nonostante avesse solo due ore di sonno. E ci era riuscito alla grande, sennonché, al ritorno dalle lezioni, era infine crollato sul divano come un sacco di patate; da allora giaceva lì, ancora in divisa, con il volto affondato nei cuscini e un braccio penzoloni.
    Ninel’ si avvicinò al fratello con passo felpato, chinandosi poi su di lui con una risata cristallina. «Signor Khabarov, potrebbe dirci, per cortesia, se è ancora vivo?»
    Più che il richiamo, furono i suoi lunghissimi capelli a svegliare Lazar in realtà, solleticandogli il viso e il naso. Mentre il più giovane emetteva un verso poco riconducibile a una creatura antropomorfa, Viktoriya ribatté sbalordita «Non starai di nuovo citando quel videogioco orribile che avevamo su Windows 98, quello con l’ape e lo scarafaggio che vendeva panini! Mi ha dato gli incubi per settimane...»
    Ninel’ scomparve dal campo visivo annebbiato di Lazar, che tra uno sbadiglio e l’altro si tirò lentamente a sedere. Si stropicciò l’occhio destro con una mano. Aveva sonno, talmente tanto sonno che neanche lo scricchiolio delle ossa indolenzite dalla postura disordinata cancellò il suo desiderio di tornare a dormire. «Devo essere in atelier alle quattro… che ora è?»
    «Le quattro.» gli sorrise la sorella.
    Le quattro.
    Le quattro.
    Le q u a t t r o.

    ***
    - Esattamente ventidue minuti più tardi -

    «Babushka, sono in ritardo!»
    Con quell’esclamazione mortificata Lazar entrò nell’atelier Kurenai con passo spedito e aria trafelata. Era a stento riuscito a cambiarsi e indossare abiti più comodi, agguantare la tracolla con gli strumenti di lavoro e schizzare come una palla pazza, di nuovo, fuori casa - se non si era rotto l’osso del collo scendendo le scale tre a tre era solo per intercessione di qualche divinità, senza ombra di dubbio.
    Attraversò la galleria all’ingresso, girando subito a sinistra quando entrò nella sala principale; sapeva che avrebbe trovato lì la proprietaria, Yanagiya Hokuto-san, una vecchietta che passava le giornate a sfornare dolci e caffè o capolavori di sartoria.
    «Babushka!» peccato che fosse sorda come una campana. «Sono in ritardo, perdonami!»
    «Oh… Lazar caro, ben arrivat-» Hokuto-san alzò gli occhi dalla caffettiera e lo fissò attraverso i due fondi di bottiglia che si ostinava a definire occhiali. «Come sei pallido! Scommetto che non hai mangiato come si deve. Ti ho detto mille volte che quella dieta vegana ti farà diventare magro come uno scheletro!»
    Neanche la sua vera nonna era tanto insistente quando si trattava di mangiare. Mentre appendeva cappotto e borsone all’appendiabiti riservato al personale, Lazar si permise una battuta «Pensiamo positivo: se divento uno scheletro, i ghoul non cercheranno di mangiarmi!»
    Forse a causa dell’accento incomprensibile di Lazar, forse a causa dell’udito malandato di Hokuto-san, quelle parole non ricevettero una risposta coerente.
    «Metti un po’ della tua musica, caro, il silenzio mi innervosisce. Cominciavo a sentirmi sola, sai?»
    «Ma, babushka, tu non sarai mai sola!» il ragazzo le passò affianco con una strizzata d’occhio. «Hai me!»
    «Haha, ma sentilo!»

    Pochi minuti dopo il buon odore di caffè e la musica pop cosparsero l’atelier di quell’atmosfera calda e familiare che lo caratterizzavano. Lazar aveva scelto Lady Gaga, in quel momento le casse terminavano la riproduzione di Alejandro per passare a So happy I could die; i campanellini della porta d’ingresso tintinnarono, annunciando l’ingresso del primo cliente del pomeriggio.
    Sui volti di padrona e tirocinante si disegnò un sorriso entusiasta.
    «Benvenuto!» Lazar si alzò dalla scrivania sulla quale stava cucendo un volant in pizzo con un motivo a farfalle sulla manica di un abito.
    Fu però la signora, col suo passo lento e un po’ trascinato, ad accogliere il cliente, il suo povero collo finì reclinato il più possibile all’indietro per guardarlo in faccia. «Buon pomeriggio, caro, come possiamo aiutarla?»


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    Edited by Yukari - 15/2/2019, 17:59
     
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    Luke "Sky" Walker
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    Perfetto, poteva farcela, le barriere linguistiche erano superabili e non sarebbe stato linciato per una pronuncia imperfetta. Andava di sicuro visto come un ulteriore esercizio per migliorare l'accento e assumerne uno un po' più naturale e sciolto.
    Ci sarebbe voluto tempo, soprattutto contando che la sua conversazione tipo era lavorativa, ridotta al concentrato estremo per non sprecare prezioso tempo dedicato alla ricerca.
    Uscite? Amici? Pausa caffè? Cose superflue, a parte il caffè naturalmente, di cui non sentiva esattamente la mancanza, per quanto i suoi rapporti umani si riducessero al minimo indispensabile, fatta eccezione per la famiglia in Australia e le persone con cui conviveva. A loro non poteva fare, vista l'infinita gentilezza che gli riservavano, un torto quale essere freddo e distaccato durante i pasti insieme, con la conversazione tipica sulla giornata trascorsa e le delicate attenzioni e piccole spinte ad uscire almeno quando il giorno dopo non lavorava, così da poter anche conoscere la città.
    Qualcosa aveva visto, certo, ma per il resto il tempo libero gli serviva per gli appunti, per le ipotesi e per segnarsi qualche cosa in più da testare, esaminare, studiare appena di nuovo in laboratorio.
    Già, qualcosa di Tokyo aveva visto e in un posto fuori dai suoi standard era andato anche quel pomeriggio, per la richiesta di Ami.
    Ad accoglierlo, dopo l'aroma di caffè, la musica in sottofondo e la vivacità creativa del luogo, arrivò un saluto da una postazione di lavoro e una nonnina dal caldo sorriso e modi gentili. Non che ci ricamasse sopra, trovava assolutamente ovvio che in un negozio il proprietario o i dipendenti si mostrassero cordiali e disponibili, altrimenti si rischiava la chiusura in un niente per spargimento di voce negativa, salvo la vendita di prodotti o servizi così buoni da riuscire ad andare oltre le note dolenti.
    Insomma non si era aspettato nulla di meno della buona e cara cortesia, anche se era un po' dispiaciuto per quella disagevole situazione che la sua altezza portava in quel paese così minuto.
    «Buon pomeriggio, caro, come possiamo aiutarla?»
    Sulle labbra si stirò un sorriso un po' più rilassato, il non ritrovarsi davanti la classica tizia giovane, modaiola e troppo creativa era stato un sollievo non da poco.
    «Salve, io... sto cercando un regalo per una ragazza.»
    Sul momento non si era reso conto che sembrava la tipica frase da innamorato, ma non era così tanto diverso neppure dalla realtà, anche se con un senso estremamente platonico e protettivo del legame.
    «Mia sorella si è innamorata delle vostre creazioni.»
    Ecco, meglio aggiungere anche quel dettaglio, giusto per specificare che era andato lì consapevole che non fosse una sorta di negozio di articoli regalo preconfezionati o gadget banali prodotti in serie.
    Sarebbe però stato molto complicato dire che tipo di regalo, dato che lui per primo non ne aveva idea. Avrebbe chiesto aiuto, doveva farlo per esaudire il desiderio di Ami al meglio.

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    Lazar Stefanović Khabarov
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    “È appena entrato in negozio un grande pezzo di figo. Ma devo essere professionale.”
    Erano le esatte parole che Lazar avrebbe scritto in chat privata a Ninel’ non appena ne avesse avuto occasione. Era certo che lei avrebbe capito e gli avrebbe ricordato in maniera gentile che erano in Giappone per ritrovare quel cretino di Alexey.
    Quindi, signor Vittima ideale di un ghoul dai gusti particolari™, per oggi i tuoi begli occhi color cielo non daranno un lacrimoso addio alle cavità oculari.
    Il russo si occupò invece di abbassare il volume della musica onde evitare fastidi, cambiando anche playlist in modo che alla voce sensuale di Lady Gaga seguissero dei rilassanti brani instrumental. Posizionò poi il gomito destro in un rettangolo di tavolo libero dalle stoffe ed accomodò la guancia sul palmo, osservando cliente e padrona interagire come Gulliver coi lillipuziani.
    Forse avrebbe dovuto mettere in riproduzione Monster, già: sarebbe stata più adatta alla situazione.
    Il tipo era chiaramente straniero, se non fossero stati statura e pigmenti di occhi, capelli e soprattutto pelle a testimoniarlo ci avrebbe pensato il suo accento: pronunciava le vocali troppo aperte. Che fosse americano? Oppure italiano?
    Chissà, Lazar non ne capiva granché di lingue ed era già tanto che sapesse esprimersi in giapponese ed inglese.
    Un angolo della bocca del russo si sollevò un momento, prima di sparire dietro la piega del palmo: non era per niente cortese ridere delle difficoltà linguistiche altrui, soprattutto quando neanche lui era esente da clamorose gaffe tipo omae al posto di anata.
    “Salve, io... sto cercando un regalo per una ragazza.”
    UNA FIDANZATA! GOSSIP!
    “Mia sorella si è innamorata delle vostre creazioni.”
    … … … … Ma-
    Il tizio era partito benissimo per poi frenare bruscamente. Anzi, aveva proprio inchiodato. E lui che era già pronto a tirare fuori i migliori capi di lingerie di cui disponevano… che peccato.
    «Oh...» l’anziana ci aveva messo un po’ a capire ciò che lo straniero aveva detto, ma aveva infine sorriso con rinnovata gentilezza. «Speravo proprio di lavorare a qualcosa per una ragazza incantevole. La prego, si accomodi, le servo una tazza di caffè.»
    Era così felice. Anche se a scoppio ritardato.
    Mentre Lazar pensava subito alla lingerie, la signora Yanagiya si rallegrava al pensiero di creare qualcosa di carino per una ragazza: massimo esempio di gioventù bruciata.
    «Lazar, faresti accomodare il nostro ospite, per favore?»
    «Da, babushka!» scattò in piedi come se al posto delle gambe avesse avuto due razzi.
    È un terremoto? È un uragano? È una tempesta solare? Nah, è solo Lazar Khabarov.
    Mentre la vecchietta curva spariva nella seconda galleria, il ragazzo abbandonò la scrivania per portarsi al centro della stanza. «Sua sorella ha buon gusto, tutto quel che vede è confezionato dalle mani esperte dei proprietari!»
    In effetti in quel caleidoscopio di colori e stoffe ci si sarebbe potuti sentire ebbri.
    Disteso il braccio destro, Lazar invitò il cliente a prendere posto sul divano o una delle poltrone intorno al tavolino di vetro nell’angolo sinistro della sala.
    Da lì avrebbe avuto anche un’ottima visuale sulla seconda galleria, dove la signora Yanagiya stava versando il caffè con tutta la lentezza tipica dei vecchietti.


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    Troppo ottimista sul pensiero linguistico, ma alla fine sembrava essere uscito indenne dalla conversazione. Per di più la nonnina sembrava felice della richiesta.
    «Speravo proprio di lavorare a qualcosa per una ragazza incantevole. La prego, si accomodi, le servo una tazza di caffè.»
    «Grazie.»
    Caffè... sì, lo avrebbe gradito molto e stringere la tazza in mano gli avrebbe dato qualcosa verso cui scaricare la tensione, in vista della ricerca di cosa poteva andare bene per Ami.
    Nell'allontanarsi, la signora aveva attivato il soggetto che in precedenza lo aveva salutato, neanche fosse stato uno di quei robottini con sensori di movimento. Ovviamente non era un robottino, ma un essere umano in carne e ossa.
    Se la statistica non era un'opinione, essendo matematica in un certo modo, non era l'unico straniero lì dentro. L'altezza era già un punto evidente, ma i lineamenti mancavano di quella nota asiatica quasi indispensabile... e poi aveva usato termini che non gli risultavano essere giapponesi, ma poteva benissimo sbagliarsi (di russo non conosceva neppure le parole più comuni).
    Si accomodò sul divano, in uno dei posti laterali. Evitò la poltrona immaginando che per discutere meglio di cosa poter fare per Ami, un minimo di vicinanza servisse, magari avevano un campionario con alcune creazioni da sfogliare ed era necessario averlo a portata di occhi sia lui che chi poi avrebbe messo mano al regalo.
    Si stava facendo già più problemi e pensieri del necessario.
    «Sua sorella ha buon gusto, tutto quel che vede è confezionato dalle mani esperte dei proprietari!»
    «Purtroppo io ci capisco ben poco...» Era molto più semplice leggere il foglietto illustrativo di un medicinale pieno di componenti dal nome articolato, rispetto al chiedergli il nome di un tessuto o di una tecnica di cucitura. «Ami invece... mia sorella credo abbia salvato tutte le... ehm... le foto che ha trovato su internet.»
    E sicuramente gli avrebbe fatto il terzo grado sul posto, su chi ci lavorava, sui rumori, gli odori, i colori e la luce in quel luogo, perché le foto si potevano ritoccare e purtroppo non riportavano la completa sensazione dell'ambiente che si può avere di persona.

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    Quel tizio aveva bisogno di rilassarsi. Ma, tipo, di rilassarsi davvero tanto; offrirgli un caffè era una buona idea? Non sarebbe stato meglio un tè, uno di quelli che piacevano tanto agli esseri umani e che aveva un profumo delizioso?
    Aveva di buon grado accolto l’invito di Lazar ad accomodarsi, optando per il divano invece della poltrona. Ottima scelta, pensò il russo, senza capire che il fattore decisivo era stato puramente pratico e non legato alla comodità.
    Adesso però il loro ospite aveva sul volto l’espressione di un pesce fuor d’acqua, come se non fosse mai entrato in una sartoria. Chi non è mai entrato in una sartoria? Lazar aveva la netta sensazione che se glielo avesse chiesto, avrebbe conosciuto la prima persona al mondo che mai era entrata in una sartoria.
    Per lui era davvero inconcepibile non essere mai entrati in una sartoria. Capito?
    Forse era la stanchezza a farlo delirare internamente.
    Doveva imparare a gestire meglio il suo tempo, ma soprattutto a riconoscere quando il suo corpo necessitava di riposo.
    “Ami invece... mia sorella credo abbia salvato tutte le... ehm... le foto che ha trovato su internet.”
    «Le mie foto!» il viso di Lazar si era illuminato. «Ero certo che si sarebbe rivelata una buona idea!»
    Aveva combattuto per una settimana intera col nonnino per spiegargli i benefici di una buona pubblicità sui social, non vedeva l’ora di aggiornarlo sui risultati.
    «Non ha niente di cui preoccuparsi, comunque. Insieme troveremo certamente qualcosa.»
    Tornò a parlare a voce medio-bassa, aveva la brutta abitudine di esternare un po’ troppo il suo entusiasmo.
    Si sedette quindi sulla poltrona più vicina al divano, ma ricordando di stare a debita distanza perché la gente normale ama che il proprio spazio personale sia rispettato. Gambe a cavallo e mano sotto il mento, sembrava pronto a fare salotto.
    «Ha già in mente il tipo di acquisto?» l’uomo sembrava abbastanza ignorante in materia, era meglio essere più specifici. «Abiti, calzature, accessori… possiamo andare incontro a ogni tipo di gusto, dal più tradizionale al più modaiolo.»
    Luke, ce l’hai un idea di cosa piace a tua sorella, vero?


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    Edited by Yukari - 6/8/2019, 18:27
     
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    Ovviamente era la primissima volta in una sartoria per Luke, era vergine da capo a piedi in quel contesto - come in molti altri dell'esistenza comune - e lo shopping era sempre solo essenziale e quando necessario, sfruttando al meglio le disponibilità da megastore in cui trovare più negozi insieme, tutti sempre di qualche franchise con prodotti da catena industriale, altro che cuciture a mano fatte con tutti i crismi dell'esperienza e della passione.
    In una certa misura l'exploit d'entusiasmo per le foto apprezzate riuscì a far comparire un vago accenno di sorriso sul suo volto tirato. Per un attimo si chiese anche se quella gioia potesse crescere nello scoprire che l'appassionata stalker viveva in Australia.
    «Non ha niente di cui preoccuparsi, comunque. Insieme troveremo certamente qualcosa.»
    Ci contava tantissimo in questo, già perso nel pensiero di cosa inventarsi come specifiche, lui che di tutta quella roba non capiva niente e Ami era stata piuttosto vaga e aveva liquidato il tutto con un fai tu, mi fido!
    Pessima idea.
    «Ha già in mente il tipo di acquisto?»
    La lista di alternative sembrava corta, ma era cosciente che ciascuna poi si poteva diramare in una serie quasi infinita di possibilità. Per fortuna aveva almeno qualche idea per limitare le alternative, o sarebbero serviti giorni solo per giungere alla tipologia di oggetto da confezionare. Più un altro giorno per i colori, un altro per i tessuti, un altro per le decorazioni...
    «In effetti sì, pensavo ad un accessorio o meglio due collegati.»
    Doveva per forza tirar fuori ogni frammento di memoria relativa al dizionario, così pieno di termini per aggiungere specifiche per ogni termine, cose che nella sua lingua madre erano superflue tuttavia erano logiche.
    «Se possibile... una borsetta non molto grande, con la decorazione staccabile da poter usare come fermaglio per capelli.»
    Nella sua mente in realtà il design era piuttosto pacchiano, per nulla adatto ad Ami, ma il concetto gli sembrava il più adatto alla sorella e si immaginava la neo diciassettenne intenta a scartare il pacco ed estrarre felice l'oggetto, per poi esplodere in gridolini entusiasta nello scoprire la sorpresa nella sorpresa. In seguito avrebbe preteso di uscire a cena con mamma e papà, così da poterli indossare insieme al vestito che Luke sapeva essere tra i regali già pronti in attesa di essere aperti.


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    Quel tizio aveva scritta in faccia l’incapacità di distinguere un all-over da un piazzato, sarebbe stato un pomeriggio molto lungo. Ma Lazar era lì proprio per andare incontro ai clienti, anche quelli meno avvezzi o informati, no? Insieme avrebbero fatto la gioia della sorellina di Mr. Chill Out™, nessun dubbio in proposito!
    Gli piaceva sentirsi utile, anche in circostanze di poco conto come quella. Forse perché era cresciuto in seno ad una famiglia in cui esternare debolezze era malvisto, perciò ciascuno tendeva a fare da solo. Al contrario, per inclinazione naturale Lazar apprezzava la collaborazione e il lavoro di gruppo, le dinamiche che ne scaturivano e i legami che ne potevano nascere.
    Dunque alla rigidità dei movimenti del cliente, che in effetti sembrava davvero fuori luogo in una sartoria, corrispondevano la sicurezza dei gesti e l’entusiasmo del sorriso di Lazar.
    Benché fosse abituato al giapponese parlato, per comprendere il giapponese parlato con accento inglese era costretto a triplicare l’attenzione e, grave errore da principiante, tradurre mentalmente in russo per avere ben chiaro il messaggio. Questa difficoltà di natura linguistica si trasformò presto in seria professionalità sul suo volto, spezzata solo da rari cenni d’assenso: okay, okay, ho capito.
    «Non è roba da tutti i giorni, una commissione del genere...» considerò infine, scivolando lungo la figura dell’affascinante cliente fino al tavolino.
    Borsetta non molto grande era una definizione tanto vaga che Lazar avrebbe potuto cominciare ad elencare nomi di modelli che probabilmente l’uomo non aveva mai sentito in vita sua - non in giapponese, almeno. Innanzitutto doveva identificare il tipo di borsa, o nel caso il cliente non avesse proprio un’idea definita, trovare insieme quel che andava più incontro alle sue aspettative. Dopo avrebbero potuto parlare dell’accessorio.
    Sarebbe stata una sfida, una sfida tosta.
    Proprio per questo il sorriso tornò a troneggiare sul viso del russo.
    «… perciò mi piace!» completò la frase lasciata in sospeso poco prima, in concomitanza con il lieve suono del fornello a gas che si accendeva. «Xорошо! Innanzitutto scegliamo il taglio della borsa, le porto un campionario.»
    L'uomo sarebbe stato libero di guardarsi intorno per un minuto, prima che Lazar tornasse con un campionario dalle dimensioni ingenti stretto tra le mani. Lo appoggiò sul tavolo e aprì, cominciando ad illustrare i diversi tipi di borse fino a fermarsi ad una in particolare.
    «Credo che quel che lei cerca sia qualcosa del genere, una satchel.»


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    Luke "Sky" Walker
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    Era terribilmente disagevole stare al di fuori del suo mondo, per di più in un continente con una lingua principale così complicata e di cui conosceva più i termini scientifici di quelli d'uso comune.
    Lo stai facendo per Ami, continuava a ripetersi, ce la devi fare!
    Quel minuto di attesa per l'arrivo del campionario aveva il gusto di una boccata d'aria fresca e allo stesso tempo il silenzio per potersi chiedere, un'ulteriore volta, perché era lì. Ah, già, perché la sorellina si aspettava una bella confezione regalo con sopra scritto il nome di quella sartoria.
    Lui, che a malapena conosceva i nomi basilari dei vestiti, quelli che si imparavano da bambini, doveva riuscire a descrivere una vaghissima idea nella mente. Per fortuna esistevano i campionari e, ancora più fortunatamente, esistevano persone pazienti a poterli illustrare e cercare di interpretare un vago linguaggio.
    Era come chiedere ad un chimico se poteva creare una qualche soluzione con alcuni elementi che possibilmente non generassero esplosioni. E tutto d'un fiato, naturalmente.
    In un angolo della sua mente era pure preoccupato, dato che era stata definita una commissione un po' insolita, ma avrebbe fatto del suo meglio per descrivere quanto aveva in testa, che dal suo punto di vista in realtà era quasi banale. Ma che ne capiva lui di queste cose?
    Il campionario poi era spaventosamente grande. Quante tipologie esistevano? Quanti materiali? Quante forme? Quante alternative?
    Era spaventoso, terribilmente spaventoso e per un momento si sentì mancare l'aria nei polmoni, ma era solo perché stava trattenendo il respiro al pensiero dell'impresa titanica in cui si era gettato per amore di sua sorella.
    Respira, ce la puoi fare. Forse.
    Seguì i gesti del suo interlocutore, prestando un'attenzione drammatica ad ogni immagine e ogni definizione, fino a quella che pareva aver acceso una lampadina.
    «Credo che quel che lei cerca sia qualcosa del genere, una satchel.»
    Una sat-che?
    «Sì, qualcosa del genere.»
    Aveva stretto lo sguardo su quelle foto, cercando di figurarsi un po' meglio quella vaga idea nella mente. La forma c'era, a grandi linee, ma aveva quasi paura a chiedere il passo successivo, per indicare meglio tasche e maniglie.
    «È possibile farla di circa queste dimensioni?»
    Nel chiedere indicò con le mani approssimativamente un parallelepipedo immaginario davanti a sé di 25x15x10. Voleva fosse giusto indicativo, non precisissimo. Insomma anche 24x17x8 andava bene, non era così fiscale.
    Pensò bene, sfruttando una delle foto presenti nel campionario, di aggiungere dettagli che erano un po' più chiari nella sua mente.
    «Nessuna tasca frontale e per le maniglie...» anche se in dubbio, gli sembrava fosse quello il termine giusto, però per non rischiare aveva indicato quelle nella fotografia, tipiche di quelle borsette tenute appese al gomito «...si può trovare il modo di agganciare un fiocco rimovibile?»
    Magari era più semplice rispetto ad una decorazione in altro punto della borsa, forse una fibbia sottile in cui fissare il fermaglio quando non usato per acconciare i capelli.


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    Lazar Stefanović Khabarov
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    Qualcosa del genere: non proprio ciò che sperava di sentirsi dire, ma era pur sempre un passo avanti. Passo che fu accolto dal ghoul con un cenno d’assenso, la concentrazione ancora alle stelle come sottolineato dall’espressione seria e dalle sopracciglia leggermente aggrottate. Allungò la mano per munirsi di uno dei blocco note abbandonati sul tavolo, poi una penna e… e si bloccò giusto in tempo per non fare la figura del bifolco che toglie il tappo coi denti. Che clamorosa caduta di stile... era in atelier, mica a casa sua.
    Cominciò dunque a prendere appunti: avevano da decidere innanzitutto il modello, le dimensioni, i materiali e il colore. Il cliente però non gli sembrava del tutto soddisfatto e questo lo preoccupava. Non appena egli cominciò a gesticolare, però, la preoccupazione di Lazar si trasformò in confusione: stava… cercando di dargli un’idea delle dimensioni?
    «Uhm… двадцать пять- volevo dire, venticinque… quindici e… certo, ho capito. Compatta e non ingombrante.»
    Era accaduto diverse volte che Lazar lavorasse con persone completamente bianche riguardo il mondo della moda, ma se la sua empatia non lo ingannava quell’uomo sembrava addirittura a disagio, come se essere in un atelier costasse qualcosa non solo al suo portafogli.
    «Un fiocco... removibile?»
    Black out linguistico; la mano con cui scriveva, la sinistra, si bloccò sul tracciare la coda di una ь - per essere più veloce stava prendendo appunti in russo. Removibile, passarono circa dieci secondi prima che il suo cervello processasse e traducesse quella parola. Si sentiva così stupido quando dimenticava termini tanto semplici! Sprofondò di nuovo nei suoi ragionamenti, puntellando con la penna sul foglio.
    «Un fiocco removibile… ammetto che è una richiesta un po’ insolita, ma sicuramente troveremo un modo.» ad essere sinceri non aveva idea di quale modo, ma voleva trasmettere al cliente il suo ottimismo e rassicurarlo che la commissione sarebbe stata senz’altro portata a termine.
    Aveva parlato di una sorella, senza specificare se gli avesse solo indicato il posto o se la commissione fosse un regalo destinato proprio a lei, ma indipendentemente da ciò era davvero ammirevole da parte sua imbarcarsi in un’impresa che era evidentemente fuori dalle sue corde.
    In quel momento dei passi tremuli annunciarono il ritorno della padrona, che appoggiò sul tavolo un vassoio con su caffettiera, zuccheriera e tre tazzine con piattini e cucchiaini. Sembrava impossibile che quelle mani ossute e tremolanti fossero artefici della maggior parte dei capolavori del Kurenai, eppure era così.
    «Prego caro, servitevi pure. Mentre Lazar disegna gli schizzi possiamo parlare dei materiali...»
    Dunque versò il caffè e lo servì, andando a sedersi all’altro capo del divano per non invadere lo spazio del cliente.


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    Luke "Sky" Walker
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    Meditava sinceramente sul chiedere se l’inglese fosse preferibile come lingua di comunicazione, dopotutto era universale e forse più comune per chi non era nativo della zona. Non serviva un genio per comprendere che nessuno dei due era nativo di quel paese, se non fosse stato per questioni estetiche di certo potevano evidenziarlo gli accenti nel parlato e il fatto che al suo interlocutore sfuggissero termini molto al di fuori dal giapponese.
    Doveva farcela, doveva riuscire ad usare al meglio la lingua del posto e doveva riuscire ad affrontare i grandi demoni di qualsiasi cosa al di fuori della sua sfera di interesse principale, anche perché era lì proprio per una delle priorità della sua esistenza.
    Certo non era semplice descrivere un’idea che si stava concretizzando nella sua mente solo in quel momento, fino a prima solo vaga e inconsistente.
    Il disagio era potente in lui.
    Per di più aveva fatto una richiesta insolita e a cui era necessario trovare un modo per realizzarla. La sua mente più pratica si era immaginato fosse invece semplice o comunque che non fosse una cosa così particolare, anche se era ben diversa dal più comune portachiavi con pendenti decorativi agganciato alla cerniera principale. O ai fermi laterali della tracolla.
    Ecco, era andato a chiedere la luna o qualcosa di simile, forse pure paragonabile alla sua ricerca di una cura per Ami. No, non esageriamo adesso.
    «Mi dispiace, non immaginavo fosse qualcosa di complicato. Pensavo alla possibilità di una qualche asola in cui il fermaglio potesse essere agganciato.»
    Asola, ancora non aveva idea di come gli era arrivato alla mente quel termine in giapponese, doveva averne immagazzinati senza rendersene conto anche di inusuali nel corso del tempo. Meglio così, per quanto poteva ancora essere terribilmente rigida la sua pronuncia e dubitasse fortemente di pronunciare sempre correttamente i termini.
    Allo stesso tempo cominciava a dubitare della sua capacità di descrivere le cose e il tintinnio di tazze e cucchiaini giunse al momento giusto per distrarlo dalla ricerca di una formulazione più chiara e precisa dell’immagine che si stava lentamente componendo nella sua mente.
    Il caffè poteva dirsi una ottima pausa, anche se sembrava che ciò significasse anche affrontare un altra parte della commissione di buona importanza e proporzionale disagio per lui.
    Ringraziò l’anziana donna sia con un cenno che a parole, prendendo il piattino e sorreggendo anche la tazzina per evitare rovesciamenti dovuti alla tensione che ancora non se n’era andata del tutto. Aveva percepito la disponibilità delle persone in quel posto e la pazienza nell’affrontare le richieste di qualcuno palesemente estraneo a quel mondo; probabilmente erano ormai abituati ad avere a che fare con ogni genere di clientela, ma quegli atteggiamenti calmi riuscivano a farlo sentire sempre meno a disagio.
    Affrontare i materiali corrispondeva ora ad attraversare quell’abisso di ignoranza che era convinto fosse in lui sull’argomento.
    «Onestamente non ci capisco molto...» come non fosse già più che ovvio «… però mia sorella compirà 17 anni quest’anno e la borsa è per lei.»
    Magari avere l’informazione dell’età poteva contribuire se non altro ad escludere determinate scelte stilistiche e di creazione, si parlava di una persona giovane e, per chi non conosceva la reale situazione, nel periodo più vitale ed entusiasta della vita.


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    Lazar Stefanović Khabarov
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    Sapere che la signora Yanagiya si sarebbe occupata dell’uomo liberava Lazar da un peso non da poco. Gli concedeva la libertà di concentrarsi sulla lavorazione dello schizzo, riservando ai due quel minimo di attenzione necessaria a recepire nuove informazioni, se ne fossero emerse. Benché necessario, era sempre brutto dover relegare un cliente nel silenzio dell’attesa mentre si lavorava; il signor Yanagiya era stato sin da subito molto chiaro su quel punto: al Kurenai si curavano tanto le opere quanto gli acquirenti. Anche per questo Lazar si reputava fortunato ad essere stato assegnato proprio a quella sartoria.
    La penna scorreva rapidamente sul foglio, tracciando linee poco pronunciate e incerte. Sarebbe stato più saggio usare una matita invece di accontentarsi della prima cosa trovata a portata di mano, un po’ se ne pentiva.
    Frontale, di lato e a tre quarti: tre prospettive per tre schizzi che andavano definendosi pian piano nella sua mente. Dimensioni modeste, niente tasca e un accessorio removibile a forma di fiocco da applicare ai capelli. Prima di bloccarsi completò almeno le basi di tutti gli schizzi, i dettagli erano ancora troppo nebbiosi per dedicarvisi.
    “... però mia sorella compirà 17 anni quest’anno e la borsa è per lei.”
    Proprio mentre quelle parole venivano pronunciate, Lazar ricominciò a puntellare un angolo del foglio con la penna, appoggiò il gomito destro al tavolo e la mano sotto la guancia. Gli occhi, rivolti al soffitto, sembravano rincorrere profili immaginari. La sua creatività era in crisi. Purtroppo la moda mutava continuamente, il loro mestiere era ben più complesso di quanto si percepisse dall’esterno.
    «In tal caso ho già qualche idea, prendo il campionario.» l’anziana padrona sorrise affabile, una sorta di faro nella notte. Non senza accusare un paio di acciacchi, si mise finalmente in piedi. «Lazar caro» lo chiamò mentre raggiungeva una delle librerie «non dimenticare il tuo caffè.»
    «Sarà la mia ricompensa quando avrò finalmente un’idea chiara, babushka.»
    «Freddo?»
    «Mi piace il caffè freddo. Uhm… nella scelta del materiale bisogna tenere in conto che accessori per borsa e capelli seguono canoni diversi, oltre alla necessità di lavarlo senza rischiare di danneggiare l’accessorio né il fermacapelli. Gli accessori per capelli in genere sono molto più delicati di quelli per le borse, dobbiamo trovare un equilibrio perché non sembri il classico né carne né verdura...»
    «Volevi dire né carne né pesce?» lo corresse la donna con una risatina.
    Il russo prese a rigirarsi la penna tra le mani: non ce la faceva proprio a star fermo. Mentre la signora Yanagiya tornava al tavolo con due campionari (uno per le pelli e uno per le stoffe) dalle dimensioni non meno spaventose di quello dei modelli, abbassò lo sguardo sull’uomo.
    «Di che colore ha i capelli la sua sorellina? C’è un colore che indossa più volentieri?»
    C’era anche quello da considerare, non poteva realizzare un accessorio senape per una ragazza dai capelli rosa.


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    Luke "Sky" Walker
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    Qualunque cosa. Continuava a rimpiangere il non aver chiesto qualche specifica ad Ami, magari qualche immagine pescata da internet per un'idea più chiara, qualche suggerimento. Aveva accolto invece senza domande la richiesta di un qualcosa, qualunque cosa ed era caduto in una trappola mortale di creatività e informazioni a lui mancanti. Non sarebbe più uscito vivo da quel posto.
    Addio mondo, lui ci ha provato, ha fatto del suo meglio. Qui giace Luke "Sky" Walker, distruttore della Morte Nera e mancato conquistatore di accessori.
    Fosse stato facile come contrastare le battutine stupide che avevano costellato la sua infanzia.
    Osservò per un momento il liquido scuro nella tazzina, mentre intorno a lui venivano scambiate frasi ed esposte constatazioni. Poi arrivarono un altro paio di domande rivolte proprio a lui.
    «Biondo chiarissimo e al momento adora i colori accesi e vivaci, non ne ha uno davvero preferito.»
    Avrebbe sinceramente voluto essere più d'aiuto, magari dai campionari poteva uscire qualche alternativa interessante per il discorso estetico, mentre sui materiali si sentiva davvero fastidiosamente ignorante, soprattutto considerando quei discorsi su quanto la delicatezza dei due oggetti da combinare fosse diversa e ciò complicava il tutto. Cominciava anche a pensare che quella commissione gli sarebbe costata uno sproposito, ma questo era secondario, alla fine non spendeva un centesimo - pardon, uno yen - per svaghi e quindi era abbastanza tranquillo, nella peggiore delle ipotesi sapeva di poter contare anche sui genitori, quindi le spalle erano molto coperte.
    Doveva in qualche modo però contribuire, non riusciva ad essere la persona che lancia la questione spinosa e poi non mette in condizione gli esperti di risolverla, non era così diverso dall'affrontare una ricerca per lui: chiarire l'obiettivo, ipotizzare il percorso da intraprendere, procurarsi le informazioni necessarie, maturare supposizioni, sperimentare per confutare. Circa.
    «Se possibile, nessun materiale di origine animale.» Ecco, ora gli sembrava davvero di chiedere anche una delle lune di Giove, oltre a quella della Terra. «Meglio sintetico.»
    O vegetale, ma non era sicuro se dirlo o meno. Esistevano tessuti di origine vegetale? La canapa, il lino, la iuta, il cotone... ma non credeva fossero esattamente adatte.
    Sembrava paradossale, considerato che per produrre i tessuti sintetici non si faceva altro se non inquinare, ma la natura animalista un po' infantile era potente in Ami e strillava ogni volta che vedeva pellicce, nella realtà o attraverso schermi, per poi sospirare di sollievo quando scopriva essere finta.
    Luke però si stava sentendo anche terribilmente in colpa ad aver richiesto qualcosa di così apparentemente fuori dagli schemi. A lui sembrava semplice, però a conti fatti se non era ancora stato realizzato e commercializzato, una ragione ci doveva essere e gliene erano stati dati i giusti accenni poco prima.
    «Se poi diventa troppo difficile riuscire a legare insieme i due oggetti, vanno benissimo anche separati e coordinati.»
    Alla fine era stata solo un'idea, lanciata senza le giuste conoscenze per valutare quanto potesse essere o meno concretizzabile. Non era un obbligo e non aveva intenzione di andarsene se non era fattibile. All'improvviso aveva come la sensazione si sentissero in dovere di assecondare quella richiesta per non lasciarlo andar via insoddisfatto, quando invece non c'era il minimo rischio. Meglio chiarire subito quel discorso e un suo eventuale fraintendere di tanta disponibilità e impegno.
    «Come dicevo non me ne intendo, però sono aperto ad ogni alternativa.»
    Dopotutto ad Ami bastava fosse qualcosa, qualunque cosa, da quel posto magico trovato su Instagram.
    E in tutto quello ancora non aveva toccato il suo caffè, probabilmente avrebbe finito anche lui con il berlo freddo, al raggiungimento di una intesa su cosa fare.


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    Lazar Stefanović Khabarov
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    “Al momento adora i colori accesi e vivaci”, parole che stimolarono un sorriso addolcito sul volto di Lazar; conosceva bene il significato intrinseco dell’associazione “teenager” e “al momento”. Era già capitato, da quando lavorava al Kurenai, che un ordine venisse modificato anche più volte in una sola giornata. Per non parlare dell’accademia: spesso si chiedeva se certi professori provassero un sadico piacere nel cambiare direttive in itinere senza alcun preavviso o spiegazione.
    Ad ogni modo preferiva concentrarsi su questo genere di problemi, per quanto stressanti se non direttamente irritanti, piuttosto che su quel che l’aspettava a casa Khabarov. Strategie e prese di posizione, una missione che si stava rivelando molto più complessa di quanto credesse, con malloppi di registri e appunti da decifrare per mettere insieme i tasselli della sparizione di Alexey. Se Viktoriya e Ninel’, sotto la luce torrida dei riflettori quanto lui, erano capaci di staccare la spina e non parlare della missione almeno per un giorno, ormai nonna e zii sembravano essersi dimenticati dell’esistenza di altri argomenti di discussione, rendendo ogni telefonata un biglietto di sola andata per una lavata di capo che non poteva rimandare più di due volte.
    Sì, un’adolescente dai gusti mutevoli era decisamente un paradiso in confronto.
    «Il sintetico è molto apprezzato dai giovani.» sorrise intanto la padrona, seduta di nuovo al suo posto. Mise subito da parte il campionario della pelle, relegandolo a lato del tavolo, ed aprì l’altro, procedendo ad illustrare al cliente le varie proposte. «È molto importante saggiare la consistenza del materiale… prego, si prenda il suo tempo.»
    Tra i tanti riquadri che decoravano le pagine avrebbe trovato persino stoffe di origine vegetale come il bambù e il legno, rigorosamente riciclati, come spiegò la signora. Quello tra i materiali era una sorta di viaggio sensoriale. Non fosse stato troppo preso dal suo lavoro, Lazar avrebbe curiosato con lo sguardo le reazioni del cliente; forse era solo un’impressione, ma sembrava piuttosto pragmatico.
    Fu proprio mentre la signora Yanagiya finiva la sua breve spiegazione sul pile che Lazar si intromise con la voce squillante di chi ha buone notizie.
    «Хорошо́! Ho finito gli schizzi.» il leggero tocco della penna sul tavolo sancì la dichiarazione; fece compiere al foglio un giro di 180°, rivolgendolo verso il cliente assieme a un sorriso soddisfatto. «Si avvicina a ciò che ha in mente?»
    Forse vedere i frutti del loro lavoro di gruppo avrebbe rassicurato un po’ l’uomo sulla fattibilità della commissione. Si era impegnato per replicare quanto più fedelmente possibile le caratteristiche richieste: una clutch moderna con tracolla, priva di patta sul davanti, con un elegante fiocchetto disegnato sia sulla borsa che preso singolarmente.
    Se il modello fosse andato bene, sarebbe bastato per il momento mettersi d’accordo sui tessuti. Considerando i tempi del cliente... beh... la giornata era ancora lunga.


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    Edited by Yukari - 26/2/2021, 11:16
     
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