Un corpo per uno...non fa male a nessuno.

[INATTIVA] Junko Tachibana & Tsukiko Kurosawa | Vicolo poco trafficato - 04/02/2019 23:00

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  1. Kanny
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    Junko Tachibana
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    Erano all’incirca le 22:35 quando Junko, seduta in posizione contorta e senza alcuna gamba pendente, concluse di trascrivere gli appunti presi quella mattina stessa a lezione. Aveva iniziato l’università un anno più tardi, rispetto ai suoi coetanei, sia per indecisione che per mancanza di voglia nello studio. Per quell’anno sabatico, almeno dallo studio, aveva deciso di aiutare la madre con le trascrizioni e solo dopo aveva deciso di iscriversi all’università e frequentare la facoltà d’arte. Quel giorno aveva avuto il corso di storia dell’arte occidentale, uno dei pochi corsi che s’interessava anche all’arte distante dal Sol Levante, soprattutto perché a detta di Junko, era meglio avere anche un po’ di bagaglio culturale europeo, oltre che nipponico. Quel giorno il professore, di origine francese, aveva parlato dell’arte nella filosofia, citando Schopenhauer. Il filosofo, dalla mente indirizzata al pessimismo o comunque ad una visione più critica della vita, individuava nell’arte una fuga momentanea dalla volontà. Secondo cui vi erano tre metodi per la quiete, il primo tra questi era appunto l’arte che egli stesso strutturava come una piramide in quattro parti. Le prime tre: architettura alla base, pittura e al vertice la musica; secondo cui, dunque, l’arte non è una cura alla volontà della vita, ma una temporanea pausa dove le attenzioni dell’uomo vengono sostituiti dai quadri o, nel caso della musica, dal suono e in tale suono ognuno di noi ci trovava al suo interno una parte di sé. Junko era affascinata da tale espressione di pensiero, grazie a tali studi poteva informarsi anche di altri geni che non era rinchiusi all’interno dell’Isola, inoltre, erano anche pochi i corsi che si basavano sull’occidente, ma erano utili più che mai, soprattutto per amplificare la propria conoscenza. Alla fine di quello studio, la ragazza si affaccendò a mettere in ordine i vari quaderni e libri che si trovavano sulla scrivania, sentendo la leggera pioggerellina colpire le finestre del suo appartamento. Quella settimana era stata colpita varie volte da precipitazioni, ma quel giorno non sapeva dire se fosse una cosa buona o cattiva, anche perché quel giorno sarebbe stato speciale, ormai avveniva ogni volta a mese e no... non era il ciclo. Era un ghoul e come tale aveva bisogno di cibo, inoltre, sentiva la fame alle porte ed era meglio mangiare subito, invece di aspettare e impazzire ancora di più, doveva cercare di rendersi presentabile almeno all’esame. Dopo aver rimesso in ordine i vari libri, indosso quel suo abito particolare che utilizzava quando andava a caccia. Una tuta nera, molto attillata e con quella sua maschera in stile visore, fantascientifico come piaceva a lei. Aveva anche deciso di spingersi più in là del normale, di raggiungere la 17esima circoscrizione, sarebbe stata leggermente meno affollata della 16esima, soprattutto perché dove abitava lei, vicino alla stazione, avrebbe di certo trovate fin troppe persone e non era cosa buona e giusta. Durante la caccia sapeva essere un tutt’uno con la notte, aveva iniziato da poco a cacciare, all’incirca 3 anni e non aveva l’esperienza necessaria per potersi credere forte, ma abbastanza da poter cacciare umani e utilizzare la sua forza per poterne uccidere qualcuno. Quella notte, intorno alle 23:00, tra i vicoli scuri di Kita, nella periferia, i suoi occhi oscurati dalla maschera individuarono una coppietta di fidanzati, probabilmente impegnati nel ritorno a casa. La sua preda era il ragazzo, non che poi avesse lasciato in libertà la ragazza, ma doveva mettere a freno la sua fame e anche se si fosse macchiata di omicidio, di certo nessuno avrebbe trovato i corpi all’alba del giorno dopo. Rapidamente, sotto la pioggerellina che lentamente cadeva, il suo assalto ebbe inizio sul ragazzo. Un affondo, portato con la mano aperta, dita unite a formare la punta di una lancia. Dritta al fianco e poi trascinato via dall’altra mano, lontana dalla sua ragazza che colta alla sprovvista era rimasta sorpresa e subito dopo in preda alla foga e dall’atto osceno, aveva lanciato un grido. Il suo ragazzo adesso riversava in una pozza di sangue che andava ad espandersi sempre più, leggermente tossendo e affogando nel suo stesso sangue. Capelli a caschetto, scuri e occhi del medesimo colore, non sapeva ben dire se fosse la notte a renderli di quel colore o fosse così nella loro naturalezza. Lei..capelli mediamente lunghi, le arrivavano alle spalle, occhi avvolti dallo spavento e dalla paura, nei pochi secondi in cui aveva potuto vederli, prima che sparissero nella notte e nella fuga, doveva fermarla, sì... anche se l’odore di sangue era troppo forte, come una torta appena sfornata, una pietanza appena preparata, l’odore era intenso e catturava ogni facoltà di pensiero della ragazza.

    Non sono un'assassina, devo semplicemente vivere. Un po' come gli umani, l'unica differenza è che i maiali non hanno una CCG anti-umani.

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