You cannot escape the responsibility of tomorrow by evading it today.

[CONCLUSA] Yuka Shimizu & Kimiko Takeda @CCG's hospital - 27/02/2019 afternoon

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    Aveva provato un forte senso di deja-vu nel essersi risvegliata in ospedale dopo che aveva perso conoscenza all’arrivo dei soccorsi, il ghoul con cui si era scontrata in fuga. Tuttavia questo incontro era stato diverso da quella notte di ormai così tanti anni prima, di quando lei era ancora giovane ed inesperta (spaventata e disperata) e, certo, rispetto ad allora ne era uscita molto più malconcia e malridotta, per usare un eufemismo. A parte lei, nessuno dei giovani investigatori che si erano ritrovati sotto la sua responsabilità durante la missione era stato ferito gravemente. Aveva fatto il suo dovere e di quello ne era lieta, nonostante il risultato dell’operazione stessa non fosse stato quello sperato. Infondo, avevano subito due importanti perdite tra il personale della CCG. Scosse la testa, prima che pensieri bui prendessero il sopravvento. Le dispiaceva immensurabilmente non aver potuto partecipare ai funerali ma almeno c’era chi aveva fatto le veci per lei.
    Secondo il rapporto che le era stato portato dai suoi colleghi Reynolds e Yamamoto (l’unico, nonostante le sue insistenze a voler lavorare comunque nelle sue condizioni) e in base alle osservazione dello staff medico (che si erano opposti allo sforzo a cui si sarebbe sottoposta e le avevano dunque ordinato di semplicemente usare quel tempo per riposare e rimettersi in forze), Ouroboros sembrava averla colpita non per ucciderla ma con solo l’intenzione di immobilizzarla, i suoi colpi erano stati precisi, talmente meticolosi da colpire punti chiave senza essere letali. Tale controllo e precisione erano sorprendenti. Il pensiero che avesse solo giocato con lei le sembrava ora un ipotesi più che plausibile, vedendo che alla fin fine tutto quello che il ghoul aveva fatto era stato rubarle una copia di Damaris. La stessa cosa che era successa all'Investigatrice che possedeva Mjöllnir, non era stata uccisa ma solo ferita non-mortalmente. Era una stranezza che non riusciva a togliersi dalla testa.
    I suoi due ex compagni di squadra erano, appunto, venuti a trovarla diverse volte in quegli ultimi giorni da quando i medici avevano dato l’okay per le visite, andando anche a tenerla aggiornata su i progressi fatti dai suoi sottoposti che al momento si ritrovavano sotto la supervisione degli agli due Prima Classe fino al suo ritorno. Strinse la presa sulla copia di un libro di genere thriller che le aveva portato Yamamoto, tra le altre cose anche degli snack da parte di Reynolds (che a lei non piacevano e che aveva quindi gentilmente donato alla sua infermiera), sospirando poi con frustrazione.
    Secondo il suo medico, per accertarsi che stesse guarendo al meglio, sarebbe stata dimessa tra circa meno di un mese da quel momento. Era ormai passata più di una settimana da quando si era risvegliata in quella stanza d’ospedale e se pensava che dovesse passare ancora più tempo in quelle quattro mura a fare niente, la esasperava solamente. Lei voleva essere lì fuori, insieme agli altri, a fare il suo dovere ma almeno, in tutti quegli anni da quando si era diplomata, aveva imparato che a volte doveva concedere e prima ritornava in forze, prima poteva ritornare sul campo.
    La stanza d’ospedale che la CCG le aveva concesso era una di quelle private, abbastanza ampia e luminosa, cui unico tocco di colore tra tutto il bianco erano le tende e la calda coperta che la copriva di colore acquamarina e i mobili di legno d’acero (un ampio armadio, un tavolino, delle sedie, un comodino e una piccola libreria). I due quadri che si trovavano della stanza non erano niente di che, solo paesaggi rurali giapponesi ed europei.
    Tuttavia, a portare una ventata di colore era stato l’arrivo di sua madre quella stessa mattina, insieme ad un bellissimo e coloratissimo mazzo di fiori che era stato prontamente messo in un bel vaso sul comodino vicino al suo letto. La donna era preoccupata, lo era ogni giorno da quando la sua amata figlia aveva intrapreso quella pericolosa carriera ma era lì salva e tra le sue braccia e tanto bastava. La donna non aveva commentato le sue ferite, le bende le coprivano varie parti del corpo, nel suo sguardo c’era solo rammarico ma allo stesso tempo forza d’animo. Shimizu, Yuka odiava vederla così triste, per cui le sorrise prendendo la sua mano, dicendole di non preoccuparsi. Non erano promesse, quelle sue parole, perché non poteva sapere cosa poteva riservarle il futuro.
    Avevano passato la mattina insieme e aveva dunque parlato a lungo con lei, nel mentre sua madre le pettinava i lunghi capelli scuri, proprio come era solita fare quando era una bambina, per poi raccoglierglieli in una pratica treccia appoggiata poi sulla spalla coperta da un maglione beige.
    Shimizu si ritrovò a sorridere di nuovo, lanciando un’occhiata ai fiori, ricordando la promessa di sua madre di tornare a trovarla presto, questa volta insieme al marito. Riprese dunque a rileggere il suo libro ma fu colta di sorpresa quando sentì bussare alla porta. Tecnicamente non stava aspettando nessuno. Forse era la sua infermiera che stava passando a controllare come stava e assicurarsi che stesse riposando. Per cui si ritrovò a dire un «Avanti» ad alta voce, così da farsi sentire da chiunque fosse dall’altro lato.

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    Edited by alyë - 29/5/2022, 14:25
     
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    "Un fallimento su tutti i fronti."
    Ecco che cosa si era rivelata la missione di dieci giorni prima. C'era così tanto in gioco e niente era stato ottenuto. Il nascondiglio di Ouroboros non era stato trovato, l'ex-Investigatore di Prima Classe Kenzaburou era morto e non ero stata in grado nemmeno di scoprire che il mio collega, il Secondo Grado Yukimura, fosse stato incapacitato a poca distanza da a me. "E se Ouroboros lo avesse trovato?" Sarebbe stata colpa mia, in quanto non sarei riuscita a difendere la squadra. Come se non bastasse, il nostro assistente investigatore del giorno, Ihara Ichirou, era stato ingaggiato da Ouroboros, che era riuscito a ucciderlo. Non lo conoscevo, ma avevo comunque deciso, essendo in licenza, di andare al suo funerale, restandomene in un angolo a sentire chi di dovere dargli dell'eroe, nella speranza che la vista della sua bara servisse come l'n-esimo schiaffo che mi sarei meritata. Sperai che la vista del suo feretro mi spronasse a fare diversamente. Cercai di promettermi che sarei stata un'investigatrice migliore, che non avrei permesso mai più a me stessa di perdere colleghi in quel modo. Ihara era morto invano perché nessuno l'aveva protetto. Ihara era morto invano perché io non l'avevo protetto. Dov'era la squadra quando lui ne aveva bisogno? E quando era stato Yukimura ad aver bisogno, dove mi trovavo?
    E dov'ero io quando l'Investigatrice di Prima Classe Shimizu stava combattendo contro Ouroboros? Non ero stata io a salvarla, né nessuno di noi. Era viva solo perché i rinforzi erano arrivati in tempo e tra i rinforzi non c'ero io. E ciò che più mi adirava era il fatto che, forse, se fossi stata lì con lei non sarei stata di nessuna utilità, se non d'ostacolo al combattimento. Avrei solo potuto morire subito e mettere la mia superiore in difficoltà anche dal punto di vista emotivo. Non ero servita a niente.
    "L'Investigatrice di Prima Classe Shimizu mi aveva dato un ordine. Lei sapeva che cosa fare. Lei ha scelto l'opzione migliore e l'ho fatto anch'io, ubbidendole."
    Chissà quante volte avevo ripetuto quella frase, durante quei giorni di licenza che sembravano non finire mai e che passai a scrivere e correggere il rapporto per il sostituto della mia caposquadra, l'Investigatore a lei pari grado Eichi Yamamoto. Tuttavia, non potevo fare a meno di pensare a tutto ciò che era successo quella notte e a tutto ciò che avevo potuto fare per compromettere la missione. Perché non mi ero insospettita, quando il mio logorroico collega, da poco riassegnato, aveva smesso d'intasare la radio con comunicazioni frivole come aveva fatto fino a poco prima. E se avessimo perso anche la mia caposquadra, quella notte? Avevo seguito gli ordini, ma avrei potuto agire diversamente senza violarli, magari mantenendo la posizione e facendo qualcosa di più utile che ripararmi dietro una porta per tutto il tempo?
    I giorni sembravano non passare e, nonostante fossi in licenza per recuperare, intensificai gli allenamenti. Avrei dovuto diventare più brava a combattere, abbastanza da tenere testa a un avversario come Ouroboros, come aveva fatto la mia caposquadra, in modo da risultare davvero utile ai miei colleghi sul campo. Una missione del genere non si sarebbe più dovuta ripetere.
    Non rividi più né Yukimura né Nakamura, i miei due pari grado che avevano contribuito alla missione fallita undici giorni prima. Seppi, poi, che erano stati riassegnati senza che riuscissimo a parlarci prima. Non avrei mai saputo se il mio comportamento, quella sera, fosse stato pessimo come temevo. Avrei potuto chiederlo alla mia superiore, dato che era l'unica sopravvissuta con la quale avrei avuto altri contatti. Avrei voluto chiederglielo il prima possibile, ma, quando tornai a lavoro, non la trovai. Seppi, poi, che era stata ricoverata all'ospedale della CCG, in quanto le sue ferite si erano rivelate piuttosto gravi. Avrei tanto voluto andare a trovarla, ma io e lei non eravamo in confidenza e temevo di disturbarla. Era pur sempre la mia superiore e temevo di disturbare il recupero di una così valida Investigatrice, molto più preparata e brava di me a fare il suo lavoro. Tuttavia, una volta tornata alle mie mansioni e resami conto di quanto si facesse notare l'assenza di un elemento come lei, forse anche per via del fatto che la mia mente non poteva fare a meno di ricordarsi di quella notte, di quell'enorme fallimento, pensai che andare a trovarla, chiederle qualche consiglio e vedere come stesse fosse la cosa giusta da fare. Lei era lì perché nessuno avrebbe potuto proteggerla e perché doveva proteggere i tre inetti dentro l'edificio, di cui la peggiore era la sottoscritta, che non sarebbe stata in grado di aiutare chi era rimasta incapacitata per permettermi di trovare un nascondiglio che non ho trovato.
    Attesi il mio primo giorno libero, la cui mattinata fu presa dagli allenamenti in piscina e in palestra, andandomene da quest'ultimo posto dopo aver completato la sessione di braccia, facendo serie di ogni esercizio fino allo sfinimento. Mi avvicinai in ospedale poco prima di pranzo, per conoscere quale fosse l'orario delle visite, poi vi tornai nel pomeriggio, allo scoccare di tale orario, chiedendomi se davvero valesse la pena disturbare la mia superiore in quel momento. "E se ci fosse qualcuno?" Mi chiesi, rispondendomi titubantemente di andare avanti, come se me lo stessi ordinando. Pensai che fosse un ordine datomi da un mio superiore o, forse, mi chiesi che cosa avesse fatto colei che stavo andando a trovare al mio posto. "Aspetterebbe che io tornassi al lavoro o si toglierebbe qualunque pensiero il prima possibile, per poter lavorare meglio in futuro?" La risposta mi fu subito chiara. Ammiravo molto l'efficienza della mia superiore e sarei riuscita a emularla, almeno in quello, dimostrando, almeno alla sottoscritta, di poter davvero fare uno sforzo per diventare una versione migliore di me stessa, una che assomigliasse un po' di più a chi stavo andando a trovare.
    Mi sarei tolta ogni dubbio il più in fretta possibile, poi avrei lasciato che la mia superiore riposasse. Non le avrei portato via troppo tempo: non lo meritavo, ma volevo almeno avere l'opinione di qualcuno più esperto e presente ai fatti, qualcosa che potesse aiutarmi nella mia carriera, da quel momento in poi. Ancora con fare insicuro, che cercai di nascondere non so se più alla Prima Classe Shimizu o a me stessa, bussai alla porta indicatami da una gentile infermiera, non prima di essermi passata una mano nei capelli, per controllare che la mia crocchia fosse ancora perfetta, e nella giacca del mio smoking nero, che indossai insieme a una camicia bianca, una cravatta nera e delle scarpe a suola piatta sempre nere. Avevo sempre il mio smartwatch al polso destro e il mio cellulare, il mio portafogli, un taccuino e un astuccio con dentro della cancelleria, lo stesso che avevo portato con me undici giorni prima, in una giacca del cappotto nero che tenevo in mano.
    «Avanti.» Sentii dire, dall'interno della stanza. Ormai non era più possibile tornare indietro. Entrai lentamente, fermandomi a un passo dalla porta da me attraversata, controllando di non star interrompendo niente. Avendo trovato la mia superiore da sola, decisi di farmi coraggio e dire, in tono rispettoso: «Buona sera, Prima Classe Shimizu. Sono il Secondo Grado Takeda. La disturbo?»



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    Edited by Antoil69 - 17/2/2020, 08:22
     
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    Quando la porta della stanza si aprì in risposta al suo invito di entrare, sulla soglia Shimizu non ci trovò la sua infermiera ma invece la figura di una de suoi sottoposti, Kimiko. Lo guardò un po’ sorpresa, tra tutti non si era certo aspettata di vedere proprio lei lì, per poi andare ad inclinare un po' la testa in avanti a mo’ di saluto «Buon pomeriggio, Secondo Grado Takeda» la salutò dunque di rimirando, con la sua solita cortesia.
    Le sorrise poi lievemente, andando ad aggiungere un «No, non mi disturbi, stavo solo leggendo» in risposta alla domanda dell’altra e quella non era di certo una bugia, non è che stesse lavorando o facendo chissà cosa d’importante, per cui non vedeva il problema per tale interruzione. Chiuse il libro che stava leggendo, curandosi però di aver messo il segnalibro (che raffigurava dei graziosi animaletti e dolcetti colorati) sulla pagina giusta, per poi andare ad appoggiarlo di fianco a lei, sopra la coperta.
    Portò poi di nuovo lo sguardo su Kimiko, indicandole con un gesto della mano una delle sedie vicino al tavolo che si trovava sull’altro lato della stanza «E non rimanere lì in piedi, accomodati» le disse, suggerendole così di sedersi accanto a lei.
    Cadde dunque il silenzio per qualche istante, le mani bendate posate sul suo grembo, la schiena appoggiata su i cuscini. Da fuori si sentiva solo il vento soffiare e dai corridoi un basso chiacchierio di chi stava passando in quel momento. In quegli attimi di calma Shimizu osservò meglio la ragazza: sembrava stare bene, in ordine come suo solito, ma il suo istinto le stava dicendo che c’era qualcosa che non quadrava.
    Yuka sospirò «Come mai questa visita?» le chiese infine, gentile, riportando l’attenzione sul perché fosse lì.

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    Edited by alyë - 29/5/2022, 14:26
     
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    «E non rimanere lì in piedi, accomodati.»
    Con quelle parole, dopo avermi salutata, la mia caposquadra m'invitò a prendere una sedia, aiutandosi con un cenno della mano, e a sedermi accanto a lei.
    «Agli ordini.» Dissi, in maniera totalmente istintiva, con lo stesso tono rispettoso che utilizzavo con lei in ufficio, mentre m'indirizzavo verso il tavolo da lei indicato, per poi prendere una sedia e metterla accanto al letto. Non la misi troppo vicina a lei, in quanto non eravamo in confidenza e, per come la vedevo io, sarebbe stato meglio mantenere una distanza fisica, in quella situazione, indicativa di quella gerarchica, ma la misi abbastanza vicina a lei da permettere una successiva discussione senza alzare troppo la voce o, in caso, da poter permettere un contatto fisico, a condizione che le nostre braccia non fossero troppo piegate, ma non credevo che sarebbe stato necessario. Mi sedetti alla sua sinistra, distanziandomi ugualmente dal suo grembo e dalla sua testa, per non risultare invadente e poterle parlare in maniera naturale.
    Portando la sedia nella sua nuova posizione, ebbi modo di vedere lo stato dell'Investigatrice di fronte a me. Per quel poco che la coperta mi permetteva di vedere, potei supporre che il suo corpo fosse stato coperto da bende in più punti. Sarebbe stato strano pensare che solo le mani, che io potevo ben vedere, fossero state bendate e soggette a medicazioni, specialmente dopo uno scontro uno-contro-uno con il Rank SS Ouroboros, dalla quale non si era salvata grazie a me o al resto della squadra, ma grazie a un team di rinforzi, assemblato in fretta, del quale non avevo saputo niente fino a fatti compiuti. Provavo molta ammirazione per la donna che, fin dal mio primo giorno di lavoro, poco meno di otto mesi prima, era stata la mia caposquadra: era colei che spronava sempre me e il resto della squadra alla produttività e all'impegno. Dovevamo essere i migliori, la controffensiva dell'umanità nei confronti della minaccia ghoul. Per far ciò, serviva avere degli standard alti e lei era quella che ci spronava sempre a fare del nostro meglio, riprendendo chi non riuscisse a stare al suo passo. Dovevo la maggior parte delle cose che avevo imparato sul campo a lei o ad altri membri della sua squadra. Tra me e lei c'erano solo tre anni di differenza, eppure lei mi sovrastava per abilità e grado: si diceva che raggiungere il Primo Grado a ventisette anni fosse la norma della CCG e che i migliori Investigatori venissero promossi a Prima Classe prima dei trent'anni e lei, prima dei ventiquattro, era già un'Investigatrice di Prima Classe affermata, con il potenziale di arrivare fino al grado di Classe Speciale, almeno secondo l'opinione che avevo avuto modo di formarmi, per quanto poco essa valesse. Non gliel'avrei mai detto, ma lei era la mia ispirazione, durante il lavoro, e raggiungere i suoi livelli di abilità ed efficienza era il mio più grande sogno, nonché il mio unico obiettivo.
    In un certo senso, vederla in quelle condizioni mi ferì. Guardandola, mi resi conto di quanto inetta fossi stata, durante la missione di ricognizione a Toshima. Io non ero riuscita a fare niente e, per evitare che Ouroboros potesse pensare di bersagliare anche me e i miei pari grado, un'Investigatrice di tale valore aveva dovuto sacrificarsi. Una quinque e un Assistente Investigatore erano andati perduti invano, mentre una mia superiore era stata incapacitata e costretta a letto, mentre io, inetta com'ero, non avevo riportato nemmeno un graffio. "E ora eccomi qui a sprecare il suo tempo."
    «Come mai questa visita?» Chiese lei, gentilmente.
    "E ora che cosa le dico?" Pensai io, sperando di non tradire la mia titubanza con qualche strana espressione facciale. Perché mi trovavo lì? Che cosa mi aveva spinta ad andarci? Lei era una mia superiore, non potevo andare nella sua stanza d'ospedale così, per chiederle pareri sulla missione che avevamo fallito e che le era costata un membro della sua squadra e, stando ai capisquadra Reynolds e Yamamoto, i suoi sostituti, un mese di degenza. Forse, non lo avrei fatto con un mio pari grado, quindi che cosa mi aveva spinta a farlo con lei? E se le avessi dato fastidio? E se avesse pensato che il mio dubitare di me stessa fosse un tratto negativo? Non potevo dirglielo, ma, ormai, ero lì e mentire a una mia superiore era fuori discussione.
    «I capisquadra sostitutivi hanno detto che avrebbe avuto all'incirca un mese di degenza.» Iniziai a dire, con tono rispettoso, come per indorarle la pillola e cercare di apparirle un po' più rispettosa di quanto sentissi di esserlo nei suoi confronti. «Sono venuta a sincerarmi delle sue condizioni di salute. Eravamo in missione insieme, il diciassette, eppure siete stati Lei e l'Assistente Ihara gli unici a essere...» mi fermai un attimo, per trovare delle parole che potessero essere meno dirette di ciò che avrei voluto dire, per non ferirla emotivamente dopo che si era sacrificata affinché tre suoi sottoposti, tra cui la sottoscritta, non facessero una fine peggiore. «... stati ingaggiati.»
    Che cosa le avevo appena detto? Le avevo per caso mentito? Avevo finito per perdere il controllo e, indorando troppo la pillola, le avevo nascolto qualcosa? "Forse sì..." Pensai, chiedendomi quanto stupida avessi potuto essere. Certo, m'importava del suo stato di salute, così come era vero tutto ciò che le avevo detto prima: lei e il defunto Assistente Ihara erano stati gli unici a essere stati ingaggiati, ma, per quanto tutto ciò fosse importante, la mia superiore non meritava che sprecassi il suo tempo con domande criptiche. «Inoltre, Prima Classe Shimizu...» Ripresi a dire, senza sapere se stessi utilizzando il suo nome più come un vocativo o come un modo per rimandare ulteriormente la vera domanda, «... volevo chiederLe se fosse disponibile per commentare gli avvenimenti di dieci giorni fa.»
    Alla fine, decisi di vincere la titubanza, nel nome del prezioso tempo della mia superiore, di cui non volevo abusare. Sperai solo di non essere stata invadente o fastidiosa, cosa che preferii ribadire con un semplice «Non è costretta a farlo, se non vuole.» detto nel tono rispettoso che avevo utilizzato fino a quel momento. Se la mia caposquadra mi avesse ritenuta fastidiosa, me ne sarei andata, dopo averle chiesto scusa, tenendo i miei dubbi per me. Dal momento che avrei preferito non contattare il Secondo Grado Yukimura, non sapevo come contattare il mio pari grado Nakamura e l'Assistente Ihara non sarebbe stato in grado di rispondere alle mie domande, per ovvi motivi, mi era rimasta solo lei, che non mi doveva niente e avrebbe potuto benissimo volermi mandar via, cosa che avrei fatto subito dopo tale richiesta, se mi fosse arrivata. Sperai solo che volesse rispondermi.




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    Edited by Antoil69 - 18/2/2020, 17:18
     
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    Una volta che Kimiko mise piede nella stanza, stando attenta a chiudere la porta dietro di sé, Shimizu la seguì con lo sguardo quando ella andò a recuperare una delle sedie che le aveva precedentemente indicato. Se dovevano parlare, lei di certo preferiva che il suo interlocutore fosse comodamente seduto e poter star così alla stessa altezza, per un tête-à-tête come si suol dire. Era diventata sua abitudine impostare i colloqui con i suoi sottoposti a quel modo, discutendo delle revisioni delle missioni o di determinati materiali. Aveva notato che, almeno nella maggior parte dei casi, un ambiente che fosse più rilassato e meno sulle spine favoriva il dialogo e Kimiko stessa, in base alla sua breve osservazione, in quel momento sembrava volerle chiedere qualcosa che per lei era o spinoso o importante. O entrambe le cose.
    Le sorrise una volta che si fu avvicinata a sufficienza, abbastanza lontana da non entrare nel suo spazio personale ma abbastanza vicina da avere una conversazione senza grossi problemi «Takeda-san, puoi anche far cadere le formalità» le disse dunque, scuotendo lievemente la testa. Quello non voleva di certo sembrare un rimprovero ma in quel momento non erano caposquadra e subordinata, non erano in servizio, erano solo due giovani donne immerse in una conversazione «Rilassati pure, non ho compiti da darti» aggiunse poi, con una punta di ilarità, cercando di fare una battuta nel tentativo di sdrammatizzare un poco. Non proprio riuscita, tra l’altro, ma sapeva che da qualche parte nella circoscrizione, il suo collega Yamamoto era fiero di lei. Ci aveva provato, infondo.
    «Un mese, tra recupero e riabilitazione» confermò poi con un sospiro, andando a spostare con una mano la frangia dal viso e lanciando poi un’occhiata fuori dalla finestra. Dal piano in cui si trovava la sua stanza d’ospedale, si poteva vedere solo il blu del cielo e gli alberi che andavano a separare la zona dell’ospedale stesso dal resto della circoscrizione «Al mio ritorno spero di vedervi tutti in ottima forma» aggiunse poi, voltandosi di nuovo verso di lei, l’espressione un attimo più severa rispetto a poco prima. Annuì, per poi rilassare di nuovo il volto nonostante le sue sopracciglia scure rimasero, come sempre, corrucciate.
    Alla menzione di Ihara, Shimizu strinse le mani a pugno per qualche istante per poi allentare di nuovo la presa. Scosse leggermente la testa per poi sospirare. No, basta pensieri bui. Pensa al presente. Avrai tutto il tempo di fargli visita una volta guarita. Le tombe che visitava ogni mese non facevano che aumentare. Il pensiero non poteva far altro che rattristirla ma allo stesso tempo le dava forza, doveva impegnarsi di più affinché nessun’altra perdita avvenisse.
    Annuì poi alle successive parole di Kimiko, per farle capire la stesse ascoltando «Certamente, se è per questo che se sei venuta qui» le disse dunque, il tono di voce serio, nel mentre la guardò dritto in volto per qualche lungo istante «C’è un punto in particolare che vuoi analizzare per primo?» le chiese poi, spostando lo sguardo verso la mensola lì accanto per prendere il suo bicchiere d’acqua che ci aveva lasciato.
    Nel mentre sorseggiava, la gola un po’ secca, le fece tuttavia un quesito, il tono di voce diretto e serio, per poi riportare lo sguardo su di lei: «Ma prima di iniziare, ho una domanda per te: credi di aver potuto fare di meglio durante questa operazione? Sii sincera».

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    «Takeda-san, puoi anche far cadere le formalità. » Non mi sarei mai aspettata quella frase. Certo, era la prima volta che la mia superiore e io interagivamo fuori dal lavoro, ma ciò non tolse un leggero senso di stranezza che sentivo nelle sue parole. Mi ero abituata, all'Accademia, a rispondere ai miei docenti in maniera educata e strettamente formale. Non dicevo una parola di troppo e, per quanto possibile, non parlavo nemmeno coi colleghi. Volevo concentrarmi per prendere i voti migliori, per dimostrare di essere degna della seconda possibilità che mi era stata data, in memoria di chi aveva deciso di darmela. Una volta arrivata alla CCG, avevo tenuto la stessa mentalità: i miei superiori andavano disturbati solo in caso di estrema necessità e trattati col massimo rispetto, mentre i miei pari grado e i pochi sottoposti di terzo grado che avevo non sarebbero stati da interpellare per inutili chiacciere volte a distrazioni. Due valorosi agenti si erano sacrificati affinché la vita di una buona a nulla potesse continuare e non li avrei delusi con un comportamento sprezzante. Tuttavia, era stata lei stessa a chiedermelo, quindi avrei potuto essere leggermente meno formale. Si era sacrificata per me, quindi assecondarla sarebbe stato il minimo.
    «Rilassati pure, non ho compiti da darti.»
    La mia superiore mi stava sorridendo e aveva anche cercato di fare una battuta con me. Non avrei mai immaginato di vederla così con una sua sottoposta e non mi sarei mai aspettata che lo facesse con me. Certo, ormai la vedevo quasi ogni giorno, ma non c'era mai stata confidenza tra noi. Tuttavia, il fatto che lei, dopo aver combattuto contro Ouroboros affinché non dovessi farlo io, volesse anche fare battute con me, mi colse di sorpresa, ma gradii molto il suo gesto. Era stata molto gentile con me e me ne sarei ricordata, sia al lavoro, sia fuori. Le sorrisi leggermente, assecondando quelle che mi sembravano le sue intenzioni, poi le risposi. «D'accordo, Shimizu-san.». Usai un tono leggermente più rilassato, per quanto cercai di tenere la mia compostezza inalterata.
    L'Investigatrice di Prima Classe Shimizu non si era tirata indietro, nello scontro con Ouroboros, e ne aveva pagato il prezzo:«Un mese, tra recupero e riabilitazione.» stando a quanto lei stessa aveva detto. Eppure, semmai fosse dispiaciuta per ciò, riuscì a tenerlo per sé, nonostante avesse cercato il contatto visivo con ciò che si trovava dietro la finestra, come per manifestare una sua possibile voglia di andarsene, forse di tornare alla CCG a fare quello che faceva sempre. Non sapevo se avessi avuto ragione, ma, se ciò fosse stato così, quei pensieri sarebbero stati da ammirare.
    Qualche secondo dopo, però, quella gentile donna ferita tornò a essere il mio capo e, con lo sguardo severo che la caratterizzava, disse di voler ritrovare tutta la squadra in ottima forma, al suo ritorno. Avevo provato ad allenarmi di più, in quel periodo, ma ora mi era stato espressamente ordinato da una mia superiore di farmi trovare al massimo delle mie capacità per il suo ritorno. «Sarà fatto.» Dissi, istintivamente. Sapevo di poter parlare solo per me, in quanto alla base della gerarchia della CCG, ma avrei comunque eseguito gli ordini, magari emergendo rispetto ai miei colleghi per determinazione e impegno. La mia superiore avrebbe notato i miei miglioramenti e non sarei più stata l'inetta incapace di aiutare nel momento del bisogno. In fondo, glielo dovevo.
    Non appena nominai il defunto Ihara, vidi la mia superiore irrigidirsi e, nonostante il suo tentativo di rilassarsi, il suo tono rimase rigido. Doveva sentirsi in colpa anche lei per la perdita durante la missione e io non avevo fatto altro che acuire il suo dolore. Ero venuta lì a disturbare la sua degenza e avevo anche osato farla star male psicologicamente. Vederla sorridere mi aveva fatto sentire bene e adesso, per colpa di qualcosa detto da me, si stava comportando come se non volesse più vedermi. Mi sentivo in colpa per quello che avevo detto e, in quel momento, desiderai di non essere mai andata a disturbarla o, per lo meno, di averle semplicemente chiesto come stesse. Avremmo potuto parlare di qualcos'altro, giusto per darle la possibilità di parlare con qualcuna, se avesse voluto. Avrei potuto darle delle attenzioni per non farla sentire sola, nonostante credessi che anche lei avesse altre persone che avrebbe preferito a una sua sottoposta qualunque. Glielo dovevo e sarebbe stato il mio tentativo di ringraziarla per il fatto che io potessi ancora lavorare, camminare e respirare perché era stata lei ad affrontare Ouroboros e non io. Iniziai a sussurrare delle scuse, interrompendomi subito: non volevo che la mia superiore soffrisse per causa mia, ma non volevo neanche irritarla con delle inutili scuse... Tuttavia, mi sentii in colpa per essere venuta da lei a parlare dei miei problemi, invece che volerla aiutare a dare meno peso al suo stato di salute fisica.
    Ormai, però, era troppo tardi per tornare indietro. La mia superiore mi aveva chiesto di analizzare il mio comportamento durante la missione e, ormai, l'unico modo per non mancarle di rispetto sarebbe stato continuare la discussione fino in fondo. La mia superiore aveva chiesto la mia opinione, cosa di cui non capivo il perché, dal momento che, essendo lei la superiore, la mia opinione non sarebbe contata rispetto alla sua. Non mi piaceva dare opinioni, se erano persone più esperte di me a chiederle, ma, in quel momento, mi era stato ordinato di farlo e il principio del do not speak unless spoken to mi costringeva a dare una risposta.
    «Non lo so, a dire il vero.» Risposi, con il tono umile di chi non vuole disturbare un'esperta con la sua infondata opinione. Non volevo infastidire ulteriormente la mia superiore, non dopo aver visto la sua reazione quando avevo nominato il defunto Ihara. Forse, lei avrebbe preferito non avermi intorno e potersi riposare in pace. Forse avrei finito per peggiorare la situazione a ogni passo, come avevo fatto giorni prima. Tuttavia, la mia superiore meritava una risposta, quindi continuai ad analizzare il mio comportamento. «Ho cercato di condurre l'investigazione al meglio, ma non ho comunque trovato prove degne di nota, dal momento che Ouroboros è ancora a piede libero e non gli è stata associata un'identità. Inoltre, nonostante le continue interferenze di Yukimura nel canale della ricetrasmittente, la squadra non è stata insospettita dal silenzio del Seocndo Grado Yukimura fino a quando non ha confermato di aver ricevuto il Suo ultimo ordine.» Più la mia analisi si dilungava nel tempo e più la mia testa tendeva a chinarsi, in segno di fallimento. Stavo cercando di guardare la mia superiore negli occhi, ma sentivo di essere stata una delusione sia per la missione, sia per il fatto di trovarmi lì, con lei, a disturbarla senza motivo quando lei avrebbe semplicemente dovuto riposare e rimettersi in sesto. «Yukimura ha perso i sensi senza che nessuno se ne accorgesse e, da dopo gli spari, nessuno è andato a controllare come stesse. Avremmo dovuto mantenere la posizione, stando ai Suoi ordini, ma non so se fosse possibile fare qualcos'altro senza contravvenire agli ordini, magari qualcosa di migliore per l'esito della missione e per migliorare le condizioni di salute della squadra.»
    «Lei che cosa ne pensa?» Provai a chiederle, «Che cosa avrei potuto fare per ottenere un esito migliore?» In fondo, la sua opinione era quella importante. Averla avrebbe potuto solo giovarmi, indipendentemente da quanto severamente fossi stata ripresa per aver così miseramente fallito. Sarei rimasta su quella sedia a subire qualunque rimprovero, in quanto sarebbe stato meritato. Magari, avrei anche potuto far sfogare la mia superiore e farla sentire meglio, prendendomi quel rimprovero. Sarebbe stato meglio per entrambe e avrei potuto diventare un'investigatrice migliore, rendendomi conto dei miei errori, indipendentemente da come. Avrei solo dovuto prepararmi mentalmente per la sua risposta.




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    Shimizu si appoggiò meglio alla testata del letto d’ospedale, nel mentre ascoltava con attenzione cosa Kimiko avesse da dire. Con le mani sempre appoggiate sul suo grembo, la guardò mano a mano cambiare espressione e chinare la testa in segno di sconfitta.
    Era apparente si sentisse delusa, scoraggiata dal risultato di quella missione. Era un sentimento che comprendeva bene: un tempo, a tal proposito, lei avrebbe solo provato rabbia, non solo verso l’operato degli altri ma specialmente verso la sua stessa inettitudine, agli errori commessi per colpa delle sue decisioni che più di una volta non avevano messo a repentaglio solo lei ma anche la sua squadra.
    Aveva imparato con il corso degli anni e sotto la guida di agenti più esperti di lei, ad essere più calma, più giudiziosa e ad attenuare quel fuoco che le ardeva dentro. Rischiare non era mai sinonimo di vittoria. Era come un lancio di dadi, era tutto legato alla fortuna. Lei, semplicemente, non voleva più vedere vite innocenti spegnersi.
    «Esattamente, non puoi saperlo» le disse quindi qualche secondo dopo che la ragazza ebbe finito il suo resoconto, il tono della sua voce era serio e diretto, niente di così inusuale «Non puoi cambiare quello che ormai è stato fatto. Siamo esseri umani, non delle divinità».
    Detto ciò, Shimizu fece dunque una breve pausa che usò per raccogliere meglio i suoi pensieri. Non era brava a esprimersi, questo era abbastanza chiaro anche nella normale quotidianità, ma quando serviva sapeva metterci il giusto impegno. Come in quel momento, dove voleva alleviare i dubbi della sua sottoposta, raddrizzarle la schiena con un dovuto rimprovero così da spronarla a migliorarsi.
    «Avresti potuto prendere decisioni diverse, certamente, ma non c’è nessuna garanzia che potrebbero essere state quelle giuste» riprese poi con decisione «In quel momento una decisione è stata presa e come dice il detto, non si può piangere sul latte versato».
    «Il risultato di un’investigazione è sempre uno sforzo collettivo, un’unione del’operato di tutti» sospirò, scuotendo la testa e andando ad incrociare le dita delle mani «Non si fa parte di una squadra da soli, bisogna sostenersi e aiutarsi a vicenda, lasciando le questioni personali fuori dall’ambito lavorativo. Se si commette un errore, quello diventa un errore di tutti».
    «Questa era una cosa che speravo, anzi, speravamo imparaste da questa missione: la comunicazione tra compagni» continuò il suo discorso, pensando agli anni che lei e gli altri due Caposquadra avevano passato insieme nella stessa squadra, a coprirsi a vicenda e a colmare le lacune l’uno dell’altro «Cosa vi è mancato in questa operazione è stata il gioco di squadra, vi siete separati e avete pensato più al vostro singolo che all’intero gruppo.».
    Prima di continuare, la guardò un attimo come ad analizzarla meglio «E disobbedendo ai miei ordini, cosa pensate che avreste potuto fare? Se la fortuna fosse stata dalla vostra parte forse saremmo riusciti a distrarre abbastanza Ouroboros da permettermi d'immobilizzarlo con gli inibitori RC oppure, più facilmente, sarete caduti vittima dei suoi attacchi, mettendo a repentaglio non solo la vostra vita ma anche quella di chi vi circonda. Oppure, ancora, se Yamamoto fosse arrivato prima, saremmo forse riusciti a catturalo? Le variabili sono innumerevoli...».
    «Comunque sia, bada bene, non ci aspettavamo di trovare l’indizio che ci avrebbe permesso di catturalo, anzi...» si fermò per qualche istante, ripensando allo scontro che l’aveva portata a essere lì, seduta in quel letto d’ospedale. Strinse per un attimo la presa delle mani, le nocche ora bianche, prima di riprendere il suo discorso «La comparsa di Ouroboros stesso sul sito… non possiamo negare che ci ha colto alla sprovvista» scosse nuovamente la testa, sospirando poi con un pizzico d'irritazione «Almeno questo, è stato un errore di valutazione mio e degli altri Caposquadra. Avessimo allestito meglio questa operazione, valutato ogni possibilità, forse...».
    Si fermò, per poi andare a sorridere lievemente a Kimiko «Vedi? Continuare a farsi domande su cosa avessimo potuto fare di meglio, a chiedersi “forse se”, è un tranello in cui è estremamente facile cadere» spostò per un attimo lo sguardo verso la finestra per poi sospirare e girarsi nuovamente verso Kimiko «Ed è sbagliato, perché quello che dobbiamo fare è imparare dai nostri stessi errori, anche da quelli degli altri, e migliorarci andando avanti. Non si smette mai d’imparare e maturare, sai?».
    Si allungò poi, andando ad appoggiare una mano sulla spalla della giovane investigatrice «Takeda-san, sei ancora un Secondo Grado, stai ancora imparando sulla tua pelle cosa significa essere un Investigatore di Ghoul» le disse stringendogliela lievemente, il tono più gentile «Il consiglio che ti posso dare è sbagliare, capire di aver sbagliato e provare a migliorarsi partendo dai propri errori» finì, andando poi a riprendere il bicchiere d’acqua che aveva appoggiato precedentemente sul comodino. Dopo tutte quelle parole, in fondo non si sarebbe mai abituata a parlare così a lungo, la gola le si era giustamente un poco seccata.

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    Edited by alyë - 29/5/2022, 14:27
     
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    Investigatrice di Ghoul alla CCG
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    La mia superiore iniziò a rimproverarmi, come era giusto che fosse. Avevamo fallito la missione e meritavo quelle dure parole, ma non mi aspettavo il loro contenuto. Tuttavia, ascoltandola, i miei errori diventarono presto più chiari. Sapevo già, purtroppo, che ogni errore sul campo fosse definitivo. Avevo imparato a mie spese quanto un errore potesse rivelarsi fatale e che non ci fossero modi per tornare indietro nel tempo e sistemare le cose. Avevo una cicatrice sulla spalla che mi ricordava il mio più grande errore e, conoscendo bene quanto poco importante fossi all’epoca, era intuitivo pensare a quanto errori più importanti, come i miei sul campo, fossero purtroppo indelebili. Tuttavia la mia superiore aveva deciso di ripetermi tutto ciò, quindi doveva essermi sfuggito qualcos’altro, qualcosa che non avevo capito e che avrei dovuto padroneggiare prima d’iniziare quella missione. Il punto era: che cosa?
    Stando a lei, la cosa più grave di cui avevamo peccato era stata l’individualismo. Ci eravamo completamente dimenticati di quanto importante fosse il gioco di squadra e, invece di dividerci i compiti efficacemente come un vero team investigativo, avevamo condotto ognuno indagini separate, attingendo quasi esclusivamente ognuno alle proprie informazioni e collaborando il meno possibile. Era logico che fossimo destinati al fallimento, seguendo quella tattica, ma, evidentemente, ciò non mi era abbastanza chiaro, dal momento che l’avevo proposta io stessa. Avrei potuto elaborare una tattica migliore, qualcosa che non ci avesse potuto compromettere se Ouroboros fosse stato nell’edificio e non fuori a ingaggiare gli unici due Investigatori degni di nota in quella missione. Ancora reputavo che la divisione delle aree fosse efficiente, ma come avrei potuto organizzarla meglio? E se mi fossi del tutto sbagliata e fosse stato meglio rimanere uniti? Che cosa avrebbe fatto la Prima Classe Shimizu? Sarebbe stato imperativo chiederglielo ma avrei aspettato che lei avesse finito di parlare. Non avrei interrotto una mia superiore per nessun motivo al mondo in situazioni molto migliori e non l'avrei di certo fatto in quel momento.
    Dopo il discorso sul gioco di squadra ricevetti anche un rimprovero sulla contravvenzione degli ordini. Il mio primo pensiero fu quello di essermi espressa male: non avrei mai contraddetto a un ordine nemmeno di un Investigatore di Primo Grado e non avevo nemmeno pensato di poterlo fare con la mia caposquadra, di cui avevo anche un'ottima opinione, per quel poco che essa contasse.
    Tuttavia, subito dopo quelle parole che io stessa le avevo chiesto ricevetti anche una lezione in maniera più... amorevole. Apprezzai molto il modo in cui la mia caposquadra mi sorrise, mi appoggiò una mano sulla spalla e mi ricordò la mia inesperienza, il mio essere da troppo poco alla CCG per potermi considerare un’Investigatrice di Ghoul degna di tale nome e il dover sbagliare per imparare e procedere per tentativi imparando qualcosa da ogni errore facendo sì che ognuno di essi accadesse una sola volta... "Ma una sono due di troppo."
    Non riuscivo a concepire l’idea dell’errore. Certo, l’analisi degli errori era un buon modo per migliorare le proprie prestazioni in qualunque ambito, ma come si superavano tali mancanze per essere in grado di affrontare meglio il futuro? Come si poteva dire di essere ottimi agenti dopo aver fatto sbagli grossolani che potevano anche costare la vita a uno dei miei compagni di squadra? E se anche i miei superiori avessero sbagliato, se la situazione fosse stata davvero troppo complicata anche per loro, che cosa avrebbero imparato loro dai propri errori? Come sarebbe andata avanti la vita di tutti i membri della task force di quella notte ora che tutti avevamo sulla coscienza la morte dell’Assistente Investigatore Ihara per i nostri stupidi errori? Come avrei potuto superare la mia negligenza nei confronti di Yukimura imparando da essa qualcosa di utile? Non lo sapevo, ma avevo bisogno di scoprirlo affinché gli errori di quella notte potessero diventare solo i fantasmi di un fallimento passato, che per colpa di tutti, quindi anche mia, avevano un nome e un volto ben precisi, e non si ripetessero più.
    La cosa che più mi colpii delle sue parole era stata la presa di posizione verso l’analisi dei propri errori. Non avevo ben chiaro ciò che la mia caposquadra intendesse, dicendo che porsi molte domande sull’esito della missione altro non fosse se non una perdita di tempo capace di paralizzare l’Investigatore e impedirgli di migliorare. Avrei dovuto assolutamente chiederle spiegazioni per chiarire quel concetto prima che esso potesse peggiorare le mie performance nel lungo termine. Come si poteva imparare dai pro
    «Capisco.» dissi seriamente e con un tono rispettoso verso chi avevo davanti. «Mi scuso per la domanda, ma che cosa intende con “gioco di squadra”? Si riferisce alla comunicazione tra colleghi o anche a qualcos’altro?» Non volevo disturbare ulteriormente la mia caposquadra ma avevo bisogno di sapere. Necessitavo di trovare un rimedio a quei miei errori prima che potessero verificarsi nuovamente e prima che qualcun altro potesse farsi molto male per causa mia e della mia inettitudine. Non avrei tollerato un altro fallimento e sperai solo che la mia superiore potesse capire e approvare. «Se posso chiedere, inoltre, come si migliora senza analizzare eccessivamente la performance? Se non conviene soffermarsi sull’esito della missione elaborando vari piani migliori di quello attuato,come si possono trovare gli errori che hanno compromesso il nostro operato?» Le mie mi sembravano domande davvero stupide e avevo un po’ paura a chiedergliele, ma tenevo davvero al migliorarmi e avrei tanto voluto che la mia superiore potesse condividere con me qualche suo metodo di analisi o miglioramento che avesse imparato negli anni, quando ancora era al mio grado, o che avrebbe voluto dire a sé stessa se fosse tornata indietro nel tempo. Tuttavia lei lo aveva già fatto e non volevo approfittare della sua disponibilità più del dovuto. Avevo molta paura di domandarle la cosa sbagliata e d’indisporla: apprezzavo molto il fatto che, anche se non fosse al lavoro e dovesse riposare, stesse dedicando parte del suo prezioso tempo a me e che fosse anche disposta a darmi suggerimenti sul lavoro e a trattarmi addirittura col sorriso. Nonostante tutto ciò che avrebbe potuto infastidirla, lei era così… umana. Questo suo lato mi piaceva e quella sua attenzione mi stava facendo sentire... speciale.
    O forse, dato ciò che lei stava facendo per me, era lei quella speciale. Ero stata fortunata ad aver trovato una superiore come lei, disposta a fare così tanto per una sua sottoposta. Lei aveva scelto di non usare le formalità fuori dal lavoro, cosa che io non avrei fatto, e aveva accettato di parlare con me dell’accaduto nonostante tutto ciò potesse essere più traumatico per lei di quanto lo fosse per me, il tutto per aiutare me e a discapito del suo riposo. Avrei sicuramente cercato di fare del mio meglio per assomigliarle, se i miei superiori avessero pensato che io meritassi la promozione. Avrei trattato i miei sottoposti ricordandomi di quel giorno e, fino ad allora, sarei stata la sottoposta perfetta per la mia caposquadra. Avrei comunque fatto in modo di essere l’Investigatrice migliore che potessi essere e di migliorare ogni giorno, ma ora ero anche spinta dal fatto di non voler deludere chi mi stava trattando così bene in quei momenti.
    Scacciai subito quei pensieri, senza però rinnegarli. Era importante, in quel momento, concentrarmi esclusivamente sulla Prima Classe Shimizu e sulle sue risposte. Il suo tempo era prezioso quanto i consigli che mi stava dando e non avrei sprecato nessuno dei due. In fondo, non avevo altri metodi per sdebitarmi, almeno in parte, per quel trattamento speciale e del tutto non obbligatorio che stavo ricevendo gratuitamente. Almeno quello, secondo me, le era dovuto e io non glielo avrei negato.




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    Edited by Antoil69 - 8/5/2020, 21:21
     
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    Shimizu Yuka era convinta, nel profondo del suo cuore, di non meritarsi la sua attuale posizione. Ricordava bene il giorno, di ormai quasi più di un anno prima, quando il loro Caposquadra del tempo aveva annunciato che sia lei che Wilfred erano idonei alla promozione, pronti a ricevere la sua raccomandazione se avessero acconsentito. Se uno aveva preso la palla al balzo, l’altra aveva esitato. Era salita al rank di Primo Grado da nemmeno due anni ma, rispetto a quella volta, in quel momento non si era sentita pronta. Il progresso che aveva compiuto in quell’arco di tempo non le sembrava nemmeno sufficiente. Non capiva perché i suoi superiori avessero pensato il contrario.
    Eichi era ormai un Prima Classe da svariati mesi e, in fondo, era quello che tutti si erano aspettati da lui, uno di quei giovani investigatori che venivano considerato il vanto della loro divisione. Aveva esperienza e, nonostante a volte non sembrasse, sapeva bene cosa faceva. Ed era inoltre l’elemento che li teneva uniti, i membri di quello strambo trio, e insieme aveva perseverato e avanzato, missione dopo missione, risultato dopo risultato. Era stato proprio lui, alla fine, quello che l’aveva convinta a non rifiutare la promozione e, tempo dopo, anche ad accettare di mettersi a capo di una delle nuove squadre del reparto d’investigazioni.
    Lei non era di certo la prima o la più giovane ad aver ottenuto tale incarico a pochi anni dal suo diploma ma, tuttavia, non poteva che dare ragione alle parole di Reynolds. Lei non se lo meritava, aveva solo sfruttato il loro collettivo operato a suo vantaggio. Li aveva sfruttati, come una parassita. Allo stesso tempo, però, le parole di Yamamoto la motivavano, le davano forza per andare contro a chi pensava il contrario. Era un’occasione che non poteva farsi sfuggire, aveva dimostrato a tutti quanto fosse migliorata da quando era entrata a far parte della loro squadra anni prima. Quanto fosse cambiata da allora.
    E, a quel pensiero, qualcosa dentro di lei era cambiato. Di nuovo. La fiammella di rabbia che l’aveva spinta fino a quel momento, fu chiusa definitivamente in un antro, lontana dallo sguardo di tutti. Voleva dimostrare non solo agli altri ma specialmente anche a se stessa che poteva farcela. Ma nemmeno la fredda bufera doveva prendere il sopravvento. Lei era forte, doveva solo convincersi di esserlo veramente.
    Si era impegnata fino allo sfinimento per imparare, per acquisire abbastanza conoscenze in modo da poter diventare una caposquadra lodevole. Da li a breve avrebbe avuto dei sottoposti e sarebbe stata al comando non solo di giovani reclute ma anche d'investigatori con più anni d’esperienza rispetto a lei. Aveva osservato gli altri e aveva posto domande riguardo il loro operato quando necessario. Avrebbe imparato con il tempo, le aveva detto Eichi, ma non voleva deludere le aspettative che erano state riposte sulle sue spalle già dal primo giorno.
    Non poteva permetterselo, non era arrivata a quel punto solo per fallire così miseramente. Come durante la sua prima missione di ormai svariati anni prima. Il solo pensiero la frustrava ancora, le lacrime di rabbia che a malapena riusciva a trattenere.
    Ed ora eccola lì, a provare ad alleviare le preoccupazioni di una dei suoi sottoposti. Come al tempo qualcun altro aveva fatto con lei. E tra questi, ne aveva giusto perso uno nemmeno qualche giorno prima. Quello che le aveva fatto capire quanto lei non fosse così diversa dagli altri, che le sue esperienze non dettavano chi era e che non erano scusanti per il comportamento. In quel lavoro, le proprie personali motivazioni, non dovevano andare a influire il proprio operato.
    Yuka chiuse per un attimo gli occhi, per poi riportare lo sguardo sulla giovane ragazza «Parlare solo di comunicazione è un po’ riduttivo» le rispose, il suo tono sempre lo stesso, serio ma non ostile «È importante conoscere i propri compagni di squadra, comprendere non solo i propri punti di forza e lacune ma anche quelli altrui, in fondo, non sono le persone che ti devono coprire le spalle? E viceversa. In missione non puoi confidare solo nelle tue capacità ma anche in quelle dei tuoi compagni» continuò, riposando il bicchiere sul comodino, cercando di essere il più chiara possibile con quello che stava cercando di spiegare. Istruire non era di certo il suo punto forte ma poteva comunque provare a mostrare e spiegare il suo punto di vista. Da lì, chi l’ascoltava, poteva raggiungere le proprie conclusioni, sperando le sue parole non venissero fraintese.
    «Se passi la maggior parte del tuo tempo ad analizzare la tua performance, quando hai intenzione d’iniziare a provare a migliorarla?» le domandò dopo poco, nel tentativo di farla ragionare un attimo in modo da farle almeno capire un poco la sua prospettiva sulla questione «Facciamo tutti parte di una squadra, in fondo questo lavoro non si svolge in solitaria, bisogna aiutarsi l’un l’altro anche a trovare le reciproche lacune o anche aiutare a comprendere i propri errori. Pensare di essere l’unico anello forte è un atto di superbia» continuò, lo sguardo sempre fermo sulla figura seduta dell’altra «Quello che può non essere ovvio per te, può esserlo per altri. Non esiste il piano perfetto, solo quello che può avere meno rischi. Non si può prevedere con chiarezza cosa può portare al fallimento, lavorare a ipotesi può portare fino ad un certo punto. In fondo, si può lavorare a un piano con le sole informazioni che si ha a disposizione».
    Mamma mia, se parlare non fosse stancante! Si ritrovò a pensare con un sospiro.
    «Per cui, se hai anche un piccolo dubbio, non esitare a confrontarti con i tuoi compagni o anche venire direttamente da me o un altro caposquadra» le sorrise poi lievemente, annuendo con la testa «Non è mai un disturbo».

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    Edited by alyë - 29/5/2022, 14:27
     
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    Kimiko Takeda
    Investigatrice di Ghoul alla CCG
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    La spiegazione della mia superiore fu esaustiva. In certi punti stava ripetendo i suggerimenti degli istruttori dell’Accademia, ma forse ne sentiva il bisogno. Ciò poteva significare che non avessi capito fino in fondo ciò che avevo studiato e sempre cercato di mettere in pratica, quindi valeva la pena ascoltare anche quella spiegazione non solo per il fatto che fossero le parole di una mia superiore. Forse avevo sempre creduto di conoscere il concetto di lavoro di squadra, saltando però la sua applicazione in campo. La mia stessa domanda di poco prima l’aveva dimostrato, quindi era giusto che la risposta fosse quella.
    Pensai di aver capito ciò che la Prima Classe Shimizu volesse dirmi, ma l’unica cosa che avevo compreso era il dover mettere in pratica i suoi consigli fino a renderli davvero miei e sfruttare appieno il loro potere. Dopotutto, alla CCG si lavorava in squadre per un motivo: un ghoul sarebbe stato spesso più forte di un umano, ma non si poteva sempre dire lo stesso di due umani ben addestrati, soprattutto quando quelli fossero in grado di lavorare insieme. Erano concetti semplici da ricordare, ma la loro applicazione mi era spesso sfuggita. Come avrei potuto meritarmi una promozione se non fossi stata in grado di operare in squadra già da quel momento? Come avrei potuto coordinare e guidare altri investigatori senza imparare a usare efficientemente i punti di forza di ognuno e a coprire grazie a essi il maggior numero di lacune possibili? Imparare davvero ciò che la mia superiore mi stava suggerendo sarebbe stato fondamentale.
    Lo stesso sarebbe valso per l’analisi. La mia superiore aveva di nuovo ragione e, di nuovo, forse avevo capito che cosa intendesse dire, ma ormai non era più il caso di considerare quelle conoscenze come acquisite. La spiegazione della Prima Classe Shimizu ormai aveva senso, ma non era ancora mia. Forse mi stava dicendo di analizzare la performance della squadra, ma di non fermarmi troppo e continuare sempre ad andare avanti. Forse era necessario che imparassi dai miei errori, ma che continuassi comunque a provare, cercando di ripeterli il meno possibile. Non avrei dovuto farmi fermare dai miei errori passati. Altrimenti, il mio futuro ne avrebbe risentito e ciò sarebbe stato da evitare a tutti i costi.
    O, forse, non avevo ancora capito ciò che mi stava venendo detto per l’ennesima volta. Forse ne avrei capito solo una parte in più, ma quella parte avrebbe potuto fare la differenza e, implementandola, avrei potuto comprendere un’altra sfaccettatura del significato del lavoro di squadra. La mia superiore aveva ragione: l’apprendimento era un processo senza fine. Tuttavia ciò non era un male: avrei potuto migliorare sempre e superare ogni mio limite. Forse sarei davvero stata un’ottima investigatrice, in futuro, ma avrei dovuto costruire le mie abilità su quelle del presente, migliorandole costantemente e senza accontentarmi mai dei miei successi. Forse solo così sarei stata in grado di fare davvero qualcosa.
    La mia superiore mi consigliò di confrontarmi sempre coi miei colleghi, indipendentemente dal grado. Mi disse anche di venire da lei, se ne avessi avuto bisogno. Se un piano fosse stato tanto buono quanto l’abilità e le informazioni dell’Investigatore, allora avrei potuto confrontarmi con lei per ottenere piani migliori, se necessario. Sarebbe stato ottimo farlo, ma non mi sarei dimenticata con chi stessi parlando. La Prima Classe Shimizu svolgeva compiti più gravosi dei miei, dato che, oltre alla semplice investigazione, doveva anche pensare alla gestione della squadra Sigma. Inoltre, era una mia superiore: non potevo infastidirla costantemente, anche se mi era stato detto che non sarei stata di disturbo. Avrei usufruito di quella possibilità, ma non ne avrei abusato. Dopotutto, il tempo della mia superiore era prezioso.
    «La ringrazio… Shimizu-san.» M’interruppi per una frazione di secondo, giusto quanto mi servì per non chiamarla per nome e per grado come quando eravamo in servizio. Aspettai che lei finisse di parlare prima d’intervenire, per non mancarle di rispetto, ma fui sincera nel dirglielo: le ero davvero grata. Ero grata per quei consigli, per il fatto di essere capitata nella sua squadra e per il tempo che, nonostante meritasse di potersi riposare in pace, aveva scelto di dedicarmi quando non mi aveva scacciata da quella stanza. «Metterò in pratica i suoi consigli.»
    Quel tempo, però, era prezioso anche per lei ed era il caso che lo tenessi a mente.
    «Suppongo, però, che sia il momento per me di andare. Non voglio portarle via troppo tempo.»
    Se non mi avesse fermata, mi sarei alzata lentamente e mi sarei diretta verso l’uscita, non prima di aver rimesso la sedia che avevo usato dove l’avevo trovata. Nel mentre, però, mi era venuta in mente una cosa. Ci sarebbe stato altro che avrei voluto dirle, ma non sapevo se ne fosse valsa la pena, se lei avesse apprezzato o cosa fosse successo. Tuttavia tenevo a farlo, in quanto lei si era dimostrata disponibile con me. Non sapevo perché non mi avesse chiesto di rimandare al suo ritorno in servizio la nostra discussione, ma avevo ricevuto conforto e l’avrei ripagato.
    «Semmai avesse bisogno di qualcosa, Shimizu-san, anche di una piccolezza, può chiedere a me. Non sarà un disturbo.» Avevo esitato prima di dirglielo, pensando se fosse giusto farlo o no, e nemmeno dopo aver pronunciato quelle parole capii se avessi fatto bene. In quasi un anno di attività alla CCG, lei era appena diventata la prima e l’unica a cui avevo detto che avrebbe potuto chiamarmi anche nel tempo libero per qualsiasi cosa. La Prima Classe Shimizu si trovava in quel letto d’ospedale affinché io non mi trovassi in un tavolo da obitorio e, nonostante ciò, aveva deciso di dedicarmi tempo ed energie quando avrebbe dovuto preoccuparsi solo della sua guarigione. Eppure dubitavo del fatto che avrebbe chiamato proprio me. In fondo, avrebbe potuto avere altre persone a cui avrebbe chiesto più volentieri, sempre che avesse considerato realmente l’opzione di chiedere a me, non le avessi dato fastidio e ne avesse avuto davvero bisogno. Inoltre, ero una sua sottoposta e lei avrebbe potuto pensare che stessi cercando d’ingraziarmela. Provai ribrezzo al solo pensiero, ma sapevo che fosse una possibilità.
    Confidai nella sua comprensione, sorridendole leggermente e comportandomi con l’umiltà che mi aveva accompagnata fino a quel momento. Dopodiché feci un inchino per mostrarle abbastanza riguardo e gratitudine e la salutai umilmente, dicendo: «Arrivederci, Shimizu-san. Spero che si rimetta quanto prima.»
    A meno che non fossi stata trattenuta, avrei lasciato la stanza subito dopo, sperando che la mia superiore avesse capito le mie intenzioni e riflettendo sulla nostra discussione. Avevo ancora molto da imparare e ne avrei avuto sempre, indipendentemente da tutto, ma avrei anche dovuto andare avanti, anche per quelli che per un mio errore erano rimasti indietro. Tornai, dunque, a casa e presi la borsa che conteneva i miei abiti da ginnastica. Avrei dovuto allenarmi e migliorare ulteriormente per tutti, anche per me stessa, e ormai l’unica cosa rimasta da fare sarebbe stata cominciare.





    «Parlato»
    "Pensato"
    «Parlato di Shimizu»
    «Parlato altrui»

    There is no excuse not to do something better than you did

    CCG
    Prima Multorum (Bikaku)
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    Yuka Shimizu
    Investigatrice & Caposquadra Sigma
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    vo7rpIn
    «Sono contenta se parlare con me ha almeno alleviato di un poco i tuoi dubbi» furono le parole che disse a Kimiko in risposta alla sua frase di assenso, alzando poi lievemente i bordi delle labbra in un piccolo sorriso.
    Tutto quello che ora la ragazza poteva fare era, appunto, tenere presente quello che le aveva detto in quei minuti in modo da sfruttarlo per riflettere e cercare di migliorarsi. L’errore più grave che potesse fare era credere di star buttando tutto al vento per una singola decisione sbagliata.
    Non era mai troppo tardi per correggere i propri errori, specialmente se c’era ancora un opportunità per farlo. Ma Yuka non poteva fare altro per lei poiché, decidere quale strada prendere tra quelle che le si paravano davanti, era una decisione che spettava a Kimiko stessa.
    «Non che abbia molto da fare qui, in ospedale» cercò di scherzare di nuovo, nel mentre osservava Kimiko alzarsi e ritornare la sedia che aveva preso in precedenza al suo posto «Almeno per il momento, tra qualche settimana dovrebbero dimettermi anche, se a quanto pare, non mi sarà permesso tornare subito in servizio» aggiunse con un sospiro dopo qualche istante di silenzio «Ma confido che andrà tutto bene in mia assenza, in fondo la squadra Sigma è sotto la guida dei Prima Classe Yamamoto e Reynolds».
    Certo, ciò significava più lavoro per i suoi due cari colleghi ma con l’aiuto di tutti non sarebbe stato un problema. Non erano da soli e non poteva che essere più fiera della sua squadra. Poi, i loro team non erano di certo estranei l’uno dall’altro, per cui, almeno, non sarebbero stati affidati a dei perfetti sconosciuti di cui non si fidava.
    «Ti ringrazio, ne terrò conto» le disse con un tono grato e gentile, nel mentre anche lei la salutava con le giuste formalità e un sventolamento di mano. Era una cortesia, un po’ di rimirando alla sua di poco prima, che Yuka non poteva fare a meno di apprezzare. In fondo, era un bel gesto che sapeva essere sincero e non velato da una ricerca di favori. L’aiuto altrui era una cosa che con il tempo aveva imparato ad accettare. Non era umiliante ammetterlo, come aveva creduto ormai anni or sono, non significava essere deboli e non poteva di certo fare tutto da sola.
    Dopo che la porta fu chiusa, Yuka sospirò di nuovo. Non aveva davvero altro da fare oltre che finire di leggere il libro che aveva iniziato. Chissà chi altri sarebbe andato a trovarla nei prossimi giorni. Sperava che sua madre riuscisse a far passare qualche dolce in più. Ne aveva veramente bisogno! Non c’era niente di meglio che una bella fetta di torta a cioccolato per migliorarle l’umore. E la giornata.

    The world is a hole and we all seem to fall

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    prima classe
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    Edited by alyë - 29/5/2022, 14:27
     
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