Ett liv måste äta ett annat liv för att leva

[INATTIVA] Astrid Nyström & Tsukasa Kiriyama; @Vicoli Bui; 13/03/2020, Dalle 23:45

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    Era di nuovo venerdì, il giorno perfetto per uno spuntino. L'organizzaizone del nuovo semestre aveva fatto sì che, quel giorno, io non avessi lezioni serali e, di solito, il gruppo di copertura con cui uscivo preferiva organizzare qualcosa il sabato sera. Inoltre, non avrei avuto lezione, il giorno dopo. Avrei avuto tutta la sera per me e anche tutta la notte a mia disposizione. Di solito, cacciavo cercando di non crearmi un giorno abituale, alternando pasti ravvicinati a pasti un po' più distanti temporalmente, ma non troppo. Dopotutto, a casa, avevo sempre mangiato con ritmi molto simili a quelli degli esseri umani, ritrovandomi a fare almeno un pasto al giorno, grazie al fatto che mia madre preferisse rivolgersi ad Hive per avere cibo, invece che rischiare inutilmente portandolo a casa dalle cacce. A me piaceva l'idea di mangiare spesso e, nei limiti del possibile, mi sarebbe piaciuto continuare a farlo.
    "Varför inte?" Avevo pensato, quella mattina, durante la pausa concessa ai suoi corsisti dal professore di antropologia culturale. Avevo mangiato per l'ultima volta lunedì e, per quanto non ne avessi avuto bisogno, vedere così tante persone mi aveva fatto venire appetito. Una volta tornata a casa, quindi, mi misi subito a studiare e a rivedere gli argomenti delle lezioni del giorno, poi, dopo un'ora passata a studiare giapponese, ne decicai un'altra a cercare notizie riguardanti la Svezia, per poter essere sempre informata su ciò che accadeva nel mio Paese natale, nel caso in cui Hedvig avesse avuto bisogno di dire qualcosa. Dopodiché, verso le 19:00, andai a dormire.
    Mia madre, per soddisfare il suo desiderio di vedere me e Adam seguire le sue orme e diventare Jägare, mi aveva insegnato una routine ben precisa, da seguire prima di andare a caccia: chiudere tutte le finestre e le serrande e passare qualche ora in una stanza illuminata tenuemente da una lampada arancione. Tale luce mi avrebbe consentito di fare qualche mio compito e, poi, di addormentarmi più facilmente. Dopo i compiti, che potevano variare in base alle mie esigenze, avrei dovuto spegnere del tutto la luce e dormire per qualche ora, per ricaricare le mie energie e non rischiare che la stanchezza potesse oscurare il mio giudizio o indebolirmi. Fino a quello step, consideravo la routine un'ottima strategia, ma la parte successiva, per me, non aveva senso. Mia madre teneva degli snack in casa, sempre presi da Hive, e ne consumava uno prima di ogni caccia, affinché i suoi impulsi non prendessero il sopravvento e lei potesse fare il suo dovere senza dover patire la fame o avere lo stomaco troppo pieno per non ostacolarla. Io non avevo accesso a quegli snack, in Giappone, ma non ne avevo nemmeno bisogno: io cacciavo per mangiare, ma lo facevo troppo frequentemente affinché la fame potesse distrarmi. Inoltre, a Stoccolma, potevo sfogarmi solo sui ghoul, ammesso che riuscissi a sconfiggerli, ma a Tokyo... Ogni tanto cacciavo ancora coi miei vecchi metodi, ma lì intaccare la merce non sarebbe stato un problema e, in fondo, vedere tutto quel rosso sgorgare, consumare il pasto lì e divertirmi un po' prima di placare il mio appetito... "Det är underbart."
    Mi risvegliai verso le 22:00, grazie a una sveglia appositamente impostata, poi accesi di nuovo la lampada, per abituare i miei occhi a una tenue luce e usare tale illuminazione per trovare l'interruttore vero e proprio e, dopo aver chiuso gli occhi, per facilitare la transizione da una luce all'altra, illuminare la stanza a giorno. Non rifeci il letto, dal momento che, secondo i miei piani, mi sarei coricata di nuovo qualche ora più tardi, e mi feci una doccia, per rendermi meno individuabile grazie all'odore.
    Avevo deciso, durante la doccia, di avviarmi verso Nakano, principalmente perché non mi ci avviavo da un po' e mi piaceva cacciare un po' in tutta Tokyo, seppure evitassi le circoscrizioni in cui la CCG tendeva a concentrarsi maggiormente e la confinante Shinjuku. Cacciare una volta ogni tanto nel territorio degli Zeiva o della Coltre non mi aveva mai dato problemi, dato che non lo facevo in continuazione, ma il distretto numero quattro è sempre stato un luogo da cui mi sono tenuta lontana da quando ho avuto modo di scoprire la presenza di due clan abbastanza belligeranti: i Raptors e i Kiriyama. I primi erano noti per cacciare in gruppo e, se mi fossi imbattuta in loro, sarebbe stato difficile uscirne viva. I secondi, invece, erano noti per i loro atti di cannibalismo e, certamente, avrei preferito incontrarli essendo abbastanza forte da ucciderne uno, piuttosto che farmi uccidere da uno di loro. Stavo inseguendo in segreto il sogno di avere una Kakuja tutta mia e, a poco a poco, stavo cercando di mangiare sempre più ghoul per arrivarci. Avrebbe potuto mancarmi ancora molto, ma i miei progressi sarebbero serviti a me, non a qualche esserino mio competitor. Non mi ero fatta cacciare da Hive affinché la ricompensa per i miei sforzi andasse a qualcun altro.
    Mi vestii con degli abiti civili che presi dal mio armadio: un reggiseno contenitivo nero, uno dei tanti che utilizzavo soltanto per andare a caccia, stava sotto una maglietta bianca a maniche corte, con la scritta nera "Welcome to Tokyo!" che, a sua volta, stava sotto una felpa grigia con un cappuccio e una cerniera, per facilitarne la rimozione. Più in basso, oltre al solito intimo, si trovava un pantalone lungo grigio scuro. Misi, inoltre, in uno zaino, una felpa con cappuccio nera, un pantalone nero più largo, un paio di scarpe da tennis, il mio passamontagna e una maschera, oltre che una retina nera per capelli e due elastici, che mi misi nel braccio destro, accanto a un piccolo orologio in silicone, con il cinturino nero e il quadrante di plastica dello stesso colore, sul quale staccavano le lancette bianche, sempre di materiale plastico opaco, per ridurre i riflessi dell'oggetto al minimo. Con quello zaino, che conteneva anche un cellulare di riserva, un multitool, una bottiglia d'acqua, una confezione di salviette e delle gomme da masticare, sulle spalle, mi misi un paio di polacchine ai piedi, presi un giubbotto sportivo e un ombrello e mi avviai verso la stazione di Shinagawa.
    Arrivai a Nakano sotto la pioggia battente che, quel giorno, non aveva accennato a smettere. Per quanto Tokyo e Stoccolma fossero molto diverse, le due città finivano spesso per ricordarmi l'una dell'altra, specialmente in quel momento, in cui la temperatura e la pioggia creavano il tempo metereologico tipico dello stereotipo dell'estate svedese. Durante la mia ultima caccia nel quattordicesimo distretto, avevo fatto una ricerca e trovato il cantiere di un edificio non troppo lontano dalla stazione. Intrufolandomici, ero riuscita a cambiarmi e a iniziare la caccia. Il cantiere era ancora agli inizi e, nascondendo lo zaino tra due escavatrici, ero riuscita a liberarmi del mio ingombrante carico. Decisi di passare di lì anche un'altra volta, per vedere se il mio vecchio nascondiglio fosse stato ancora utilizzabile. L'edificio, che, prima, era un semplice apprzzamento di terreno sterrato, aveva, ormai, tre piani, di cui due già murati. "Perfekt." Avrei potuto entrare dentro l'edificio, mettere lo zaino al riparo da occhi indiscreti e cambiarmi senza bagnarmi. Il cappuccio già mi copriva il capo per via della pioggia e, approfittando di ciò, non appena mi accertai di essere sola e non-osservata, nonostante non fossi su una strada principale, m'intrufolai nel cantiere ed entrai nell'edificio, per poi cambiarmi e mettermi gli abiti nello zaino, incominciando dalla maschera e dalla retina per capelli. Presi con me il multitool, che misi in una tasca, chiudibile tramite zip, dei miei pantaloni, e misi il mio telefono di riserva, carico e spento, nell'altra. Poi, dopo essermi cambiata e preparata, tirai su il cappuccio e lo strinsi al massimo, in modo da fornire ulteirore protezione alla mia testa. Ero finalmente pronta.
    Fu Hedvig Forsberg a entrare in quel cantiere, ma fu la libera vera me stessa a uscire. Ero finalmente libera di cacciare, libera di trovarmi uno spuntino e di farlo senza conseguenze, se fossi riuscita a non farmi beccare.
    La mia prima preoccupazione fu trovarmi una preda. Non avevo intenzione di tornare a casa a mani vuote, quindi anche un umano sarebbe andato bene, però, quattro giorni prima, ne avevo mangiato uno e non avrei potuto diventare più forte se mi fossi solo limitata a loro. Per quanto la loro carne fosse disgustosa, quindi, decisi di concentrare le mie ricerche sui ghoul. Avrei studiato una preda, l'avrei colta di sorpresa e me la sarei mangiata, ottenendo tutte quelle cellule RC che, unite alle mie, mi avrebbero permesso di avvicinarmi un po' di più all'obiettivo di essere abbastanza forte da non dovermi preoccupare di nessun altro come me. Avrei fatto più che volentieri il sacrificio di venir ferita e recuperare le forze con roba disgustosa, se fosse servito a rendere chiunque timoroso anche solo al pensiero di affrontarmi. Non ero venuta a Tokyo per sopravvivere: avrei prosperato, come Robinson Crusoe, elevandomi rispetto agli altri.
    La pioggia battente mi avrebbe aiutato a studiare la mia preda, coprendo i rumori leggeri e il mio odore, ma rendeva anche più difficile trovarne una. Mi ci volle un tempo che mi sembrò infinito per trovarne una, tempo nel quale vagai per i vicoli bui di Nakano fino ad allontanarmi molto dal cantiere in cui avevo lasciato il mio zaino, ma non avevo paura: il mio telefono, una volta acceso, mi avrebbe ricondotto alla stazione tramite google maps e avrei ritrovato il cantiere subito dopo. I vicoli erano deserti, in quanto la gente tendeva a non uscire, in caso di pioggia, o a rintanarsi nei locali notturni. Tuttavia, notai una ghoul come me sbucare da un vicolo non troppo lontano e, camminando piano per cercare di fare il minor rumore possibile, mi diressi verso di lei. Mantenni una certa distanza, all'inizio, quella che mi serviva per studiarla senza che lei mi osservasse.
    All'inizio, pensai che lei non mi avesse visto e la seguii. Aveva un passo insicuro e sembrava che la fame stesse vincendo su di lei. Ghoul del genere erano pericolosi, in quanto istinitivi, ma la loro efficacia in combattimento era ridotta. Il nostro inseguimento durò un po', finché il chiacchiericcio di una coppia di esseri umani in un vicolo tra di noi non la fece voltare. Non appena li vide, lei tirò fuori due tentacoli. Probabilmente, era un rinkaku, se la vista non mi avesse ingannata. Avevo avuto fortuna, trovando un tipo RC col quale avevo meno difficoltà, rispetto agli altri. Di solito, molti tentacoli avrebbero potuto mettermi in difficoltà, ma lei ne aveva tirati fuori solo due. Uno dei due umani fu fatto a pezzi poco dopo con dei movimenti molto goffi, mentre l'altro riuscì a sfuggirle e venne verso di me, andando incontro alla sua fine. Intenta a inseguire l'umano sfuggitole, dopo aver sistemato anche lui, la donna mi vide. Lei sembrava più che alla mia portata e, ormai, ero stata vista, quindi decisi di tentarmela. Fu lei a colpire per prima, dando prova della sua impazienza e del fatto di non aver pensato alla sua mossa. Evitai il colpo e tirai fuori la kagune, pronta a colpirla, ma, invece, lei mostrò una certa velocità, colpendo di nuovo e costringendomi a indietreggiare. Combattemmo per un po' e il nostro scontro ci portò ad allontanarci dai corpi che lei aveva trovato. Puntai a stancare la mia preda, un po' trascinandola via con dei colpi e un po' facendomi inseguire. Riuscii a ucciderla dopo uno scontro né troppo lungo, né troppo breve, puntando al suo corpo dopo aver evitato la sua kagune. Certo, era stato più semplice dirlo che farlo, ma, nonostante qualche ferita, la mia preda era lì, pronta per essere mangiata. Avevo fatto molta strada, quella notte, ma non sarebbe stato un problema. Le mie ferite si sarebbero rimarginate grazie al nutrimento offertomi da quella ghoul, sarei diventata più forte grazie alle sue cellule RC e, grazie al mio telefono di riserva, avrei presto trovato la stazione e me ne sarei andata. Quella notte, grazie alla mia forza e alla mia incredibile fortuna, avevo vinto io. Ora avrei solo dovuto riscuotere il mio premio, iniziando dal suo kakuhou.



    «Parlato»
    "Pensato"



    Note per il lettore:

    • "Varför inte?" - Perché no?

    • "Der är underbart" - È fantastico


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    Edited by Antoil69 - 18/5/2020, 18:24
     
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    Il tempo non accennava a migliorare, e Tsukasa era rimasto sovrappensiero per tutto il giorno. Non il migliore degli scenari, visto quella mattina aveva dovuto disputare una partita ufficiale di shogi. Rimanere concentrato era stato quasi d'obbligo.
    Era finita con l'essere una partita stressante, con molta ironia erano più difficili quegli avversari che non seguivano una strategia che fosse anche la più semplice. Provavi a seguire il corso dei loro pensieri, quando è evidente non ne seguono nemmeno mezzo.
    Il suo avversario doveva aver cambiato strategia ogni due-tre mosse, a tal punto da far chiedere a Tsukasa dove avesse imparato a giocare e perché fosse tra i professionisti, ma nonostante lo stress era riuscito a vincere anche quella partita. Almeno una soddisfazione, tra le mille preoccupazioni continuavano ad assalirlo.
    Non c'era nemmeno modo di liberarsene, la soluzione più veloce sarebbe stata anche la più crudele. E non aveva fame, nonostante il suo clan avesse la pessima reputazione di bestie Tsukasa preferiva nutrirsi solo il necessario. Era più forte di lui, non riusciva a vedere gli umani come dei deliziosi pasti ambulanti.
    Perciò non c'era soluzione al suo affliggersi, che finì col fargli chiudere i libri di testo con un sospiro appena accennato. Gli allenamenti nello shogi delle sorelle era riuscito a distrarlo, ma aveva fatto in modo che le più piccole andassero a letto presto e ora era da solo. Almeno, da solo con fin troppe preoccupazioni da sostenere.
    La pioggia picchiava incessantemente sui vetri, un rumore tanto forte da poter attutirne altri ben più pericolosi. Allenandosi costantemente all'uso dei sensi era più abituato a discriminarli, ma se non si faceva attenzione si rischiava di brancolare nel buio. Dei gattini ciechi avrebbero avuto più orientamento.
    Le condizioni atmosferiche, in pratica, non potevano essere più avverse. Non avrebbe dormito in ogni caso e l'indomani era un sabato, se avesse detto a Hiro e Setsuna che aveva passato tutta la notte sui libri probabilmente lo avrebbero lasciato in pace. Anzi, quasi sicuramente, gli avrebbero intimato di riposare come se stessero elargendo un ordine per il suo bene.
    Ma per il momento Yako avrebbe fatto una passeggiata sotto la pioggia. Per adesso gli premeva molto di più fare da sentinella, preoccuparsi i nemici che i Kiriyama si erano creati non decidessero proprio quel momento per darsi alla pazza gioia.

    Facendo attenzione a camminare a passo leggero, Tsukasa aveva prima di tutto voluto controllare le bambine dormissero. Aprì la porta di poco, attento a non inondare la camera di luce, finendo col rimboccare le coperte sia a Hotaru che Chie.
    Hotaru dormiva tranquilla, rannicchiata sotto le coperte e del tutto difesa dai peluche vicini al suo letto. Ne stringeva uno, tanto da sembrare davvero si affidasse a lui per protezione.
    Chie invece per poco non era caduta, ma aveva un sonno tanto pesante persino risistemarla sul letto non l'aveva svegliata.
    Per ultima, avvisò Shoko che stava uscendo. Se le più piccole si fossero svegliate lui non ci sarebbe stato e, cosa più importante, avrebbe fatto in modo di tornare a casa: Shoko non doveva rimanere sveglia per aspettarlo.
    Al che le proteste fioccarono come neve, perché se Tsukasa poteva aspettarla ogni volta andava a caccia, Shoko poteva benissimo riservargli lo stesso trattamento.
    Ma Tsukasa era il fratello maggiore, a dir poco protettivo, e infatti... perse il confronto. A passare la notte in bianco ora erano in due.

    Aveva nascosto la treccia nei vestiti, il cappuccio calato sulla testa. In poco tempo, Yako era più fradicio di un pulcino. I vestiti erano pesanti, ma il profumo della pioggia che batteva sull'asfalto era uno dei suoi preferiti. Un vero peccato non avesse tempo per inspirare a pieni polmoni, potendo rimanere tranquillo e con una difesa abbassata.
    Che bello essere un ghoul e non un umano, aveva proprio vinto alla lotteria.
    Era lì solo perché aveva una brutta sensazione, gli avevano insegnato a seguire il proprio istinto e l'aveva fatto. Poteva trattarsi di un falso allarme, un guasto al sesto senso, ma prima l'avrebbe risolto e prima sarebbe potuto tornare a casa.
    Purtroppo non sarebbe stato tanto semplice. Quando mai qualcosa era semplice.
    La pioggia poteva cadere con tutta la forza che voleva, sarebbe stato difficile coprire del tutto il rumore di uno scontro. Soprattutto per un ghoul che si affidava ai sensi come principale fonte di informazioni. Era sazio, al momento, per cui l'odore di sangue nell'aria, mescolato a quello della pioggia, gli aveva dato più un senso di nausea.
    Come se non bastasse, c'era un odore tenue che non riconosceva. Doveva concentrarsi per sentirlo, e nonostante ciò rimaneva comunque poco chiaro. Come se si fosse cercato forzatamente di coprirlo, ignorando completamente non si può coprire tanto facilmente l'odore personale. Non per una bestia.
    Ringraziando, almeno seguendo le teorie di Yako, non avesse usato il profumo per coprire tutto quello schifo la gente si portava normalmente addosso.
    Ma tutto quello era abbastanza sospetto da richiamare indagini approfondite. Passando di tetto in tetto con passo leggero, come una volpe estremamente dispettosa che sapeva bene i passi di quella danza.
    Così Yako poté fare la conoscenza di Fyra da un punto privilegiato, dall'alto. Non doveva averlo notato, troppo presa dalla sua vittima. Yako invece non avvertiva alcuna puzza di umano, neanche attenuata, e nonostante la pioggia l'odore di sangue era sempre troppo forte.
    Non era un buon momento per essere una bestia, ma aspettò il momento propizio per neutralizzare quella minaccia a dir poco invadente. I Kiriyama erano territoriali, e quella ghoul non era di sicuro della zona, né era membro dei Raptors. Non aveva nessun tipo di benestare.
    Per il momento, però, rimase in attesa del momento in cui l'altra ghoul sarebbe stata più vulnerabile. Quello in cui la troppa sicurezza in se stessi, di solito, segnava la propria fine.
    Quella tizia era arrivata a cacciare fino a Shinjuku, non ci voleva di certo uno psicologo per capire avesse arroganza da vendere a pacchi.
    Bastava attendere il momento in cui la ghoul si sarebbe più concentrata sul suo pasto, quello dove l'arroganza faceva gioire per la propria fortuna.
    Un vero peccato le yako fossero volpi maligne, oltre che dispettose, e pianificava di interromperle la cena prima ancora cominciasse a banchettare.
    Fu fulmineo, estremamente accorto a nascondere la sua presenza fino all'ultimo, e a quel punto sarebbe stato troppo tardi.
    Volevo solo spaventarla, finché c'era il dubbio quella tizia fosse solo un'incosciente, ma l'avrebbe spaventata in grande stile. Anche la paura aveva un odore meraviglioso.
    Fosse riuscito nel suo attacco a sorpresa, Yako avrebbe puntato ad attaccare alle spalle per immobilizzare. Il momento in cui l'avrebbe presa per il braccio, buttandola a terra senza la minima eleganza, coincideva con quello in cui i quattro tentacoli della rinkaku si sarebbero fatti strada strappando il solito punto della felpa. Un colpo secco della rinkaku avrebbe allontanato il cadavere della vittima, così che Fyra non ci potesse pensare minimamente.
    Aveva puntato a buttare la ghoul a terra, contro l'asfalto fradicio, senza troppe cerimonie. Né troppe preoccupazione per la botta che avrebbe subito Fyra cadendo, o il braccio che Yako le teneva premuto contro la schiena con tanta forza da non preoccuparsi di averglielo probabilmente slogato.
    La presa di Yako era su un punto sensibile del polso, comunque, una sola mossa falsa di Fyra ed era pronto a spezzarglielo. Come avvertimento.
    Forse sarebbe bastato quello per tenerla tranquilla, altrimenti poteva sempre passare dalla poca eleganza alla cieca forza bruta. La rinkaku aveva proprio quello scopo, e non si sarebbe limitato a una presa un po' troppo forte come adesso.
    Ringhiò, in un suono basso e ben poco umano. La fortuna di Fyra era finita, aveva trovato una bestia.
    Che, incredibile, fosse riuscito davvero a immobilizzare la ghoul si sarebbe anche sforzato di parlare.
    «Non dovresti essere qui.»
    Un sibilo più serpentino che da volpe, in effetti. Perché Yako era sicuramente un signore francese.

    Burn the father, feed the child

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    Guardare quella ghoul morire mi aveva riempita di soddisfazione: ce l’avevo fatta di nuovo. Recuperai il fiato mentre lei esalava i suoi ultimi respiri, sentendomi forte quanto avevo appena dimostrato di essere. E non era finita: il corpo della mia preda mi avrebbe resa ancora più forte e temibile. Ero diventata più forte da quando avevo lasciato Hive e sarei diventata ancora più potente mangiando anche quell’altra mia simile, ottenendo ancora più cellule RC, che mi avrebbero resa in grado di essere temuta da chiunque. Sarei stata in grado di uccidere ghoul ancora più potenti e mangiare anche loro! Avrei presto potuto addentrarmi anche in quartieri più pericolosi, come Shinjuku e la leggendaria ventiquattresima circoscrizione, di cui avevo solo sentito parlare fino a quel momento. Oh, sì! Sarei diventata abbastanza forte da poter cacciare là dentro e avrei raggiunto livelli di forza talmente alti da non avere più bisogno di una vita miserabile da dipendente di Hive o di qualcun altro. Tutti avrebbero tremato al solo sentire il mio nome, come io avevo tremato al sentire quello di Chef fin dal giorno della mia nascita. Sarei diventata abbastanza importante da ottenere qualsiasi cosa desiderassi, diritto per cui avevo iniziato a combattere già a Stoccolma, quando avevo iniziato a compiere quel rituale, che ero in procinto di ripetere. Sorrisi, guardando gli occhi senza vita del mio pasto un’ultima volta, per poi girarlo di schiena. In quel momento avrei potuto solo mangiare quell’essere debole, ma presto avrei avuto ghoul molto più potenti alla mia mercé. Il prezzo da pagare sarebbe stato alto: mangiare quegli esserini a centinaia, ma non avrei smesso finché non sarei stata in grado di puntare più in alto. Non era quello, però, il momento di perdersi in chiacchiere: avrei di lì a breve sezionato la schiena della mia preda, per trovare il suo kakuhou e mangiarlo per primo. Tuttavia, come mi aveva insegnato mia madre anni prima, non era mai una cattiva idea, una volta ottenuta la merce, controllare i dintorni per essere certi di poter agire in sicur-
    Avevo appena fatto in tempo a girarmi e, riflessivamente, a cercare di parare il braccio che avevo visto proteso verso di me, scoprendo troppo tardi di aver fatto il gioco del mio ospite indesiderato. Come attirato dall’arto, un altro ghoul, che fino a poco prima non si trovava nell’area, prese ciò che gli avevo porto e cercò di buttarmi a terra. Con l’altro braccio riuscii a parare il colpo quanto bastava ad attutire un eventuale colpo alla testa e a fare abbastanza leva da vincere la sua forza e cadere di schiena. Non riuscii, però, a impedire che il mio ospite indesiderato lanciasse via la merce, cosa che mi fece arrabbiare più di quanto non lo fece il solo fatto che quel miserabile esistesse. Da ex-jägare, il fatto che la merce fosse stata toccata era imperdonabile: sarei stata pagata di meno a ogni danneggiamento e avevo vissuto troppo in quell’ambiente per pensare che in quel caso le cose potessero essere diverse. Quel corpo era MIO e NESSUNO avrebbe dovuto toccarlo se non la Sottoscritta.
    Tuttavia avevo altro a cui pensare: quel maledetto era riuscito a mettersi comunque in posizione vantaggiosa. Ero riuscita a ottenere una visuale su di lui, ma ero pur sempre a terra, bagnata ancor più di prima grazie a quel maledetto, che, come se non bastasse, era riuscito a prendermi il polso destro e ora rischiava di fratturarmelo.
    Calma. Dovevo rimanere calma a tutti i costi, ma non mi piacevano il suo tono di voce, le sue parole e quella specie di verso che doveva aver fatto per spaventarmi. Non avrei dovuto farmi impressionare. Avrei solo dovuto mettermi al sicuro e avrei pensato dopo a fare domande riguardo a quale parte di Nakano fosse diventata da un giorno all’altro il territorio di qualcuno. Per il momento avevo un bel rinkaku puntato addosso e avrei preferito che da lì a qualche istante si trovasse nel mio stomaco, non attraverso di esso. Avrei chiesto il tutto una volta al sicuro, ossia da abbastanza lontana da non essere più a portata di kagune.
    Ad Hive veniva dato valore al ragionamento freddo anche sotto pressione e il mio cervello concordava coi miei istinti sul mio piano provvisorio: pensare in fretta, liberarmi in fretta, calcolare subito dopo.
    «Non ho molta scelta se non mi lasci andare.» Dissi, con calma, cercando di pulire il più possibile il mio accento dalle influenze svedesi con cui ero solita sporcarlo mentre recitavo con Hedvig. Il mio tono non aveva intenzione di sfidarlo o di mostrarmi sottomessa: volevo dargli l’impressione che il suo attacco a sorpresa e il suo ringhio non mi avessero impressionata. Avevo i nervi saldi e non gli avrei lasciato il controllo della situazione così facilmente. Lui era in vantaggio, in quel momento, ma io avrei dovuto mostrarmi calma: ”Chi non ha paura è più temibile di chi cerca di spaventare.”
    Il mio era stato un ragionamento quasi istantaneo e, non avendo il tempo per formulare idee migliori, potevo solo sperare di ottenere gli effetti sperati e che fingermi terrorizzata non fosse una scelta migliore. L’idea sarebbe stata quella di attendere qualche istante, dissimulando le mie intenzioni il più possibile. Gli avrei dato un attimo per metabolizzare le mie parole, poi mi sarei mossa. Lui mi teneva un braccio e le sue mani erano concentrate sul mio polso: avrebbe potuto rompermelo in pochi istanti e la mia priorità era fargli mollare la presa. Avrei alzato il busto di scatto per permettermi di ruotare con tutta la forza dei miei muscoli. Il mio obiettivo era impiegare il meno tempo possibile per far sì che quel maledetto si squilibrasse abbastanza da permettermi di annullare la leva articolare che mi bloccava il braccio. La mia stessa rotazione mi avrebbe aiutato ad allineare il braccio al polso e la mia mano sinistra, che si sarebbe messa in modo da ostacolare un’eventuale reazione del ghoul, avrebbe completato il lavoro. Nel frattempo avrei approfittato dello squilibrio anche per liberare le code da sotto il mio corpo e spingermi il più lontano possibile da lui. Avrei curato, poi, l’atterraggio non appena fossi stata abbastanza libera da poterci pensare, senza mai perdere di vista chi mi aveva attaccata di sorpresa. Che cosa fare dopo sarebbe stato un ulteriore paio di maniche, ma non potevo permettermi di attaccare dalla posizione in cui mi trovavo: ero troppo vulnerabile e il suo rinkaku avrebbe potuto rappresentare una minaccia troppo grave per tentare un eroismo che io stessa avrei definito stupido.
    Se fossi riuscita nel mio intento, sarei rimasta in attesa di una sua mossa. Quelle sue parole, il suo cercare di allontanarmi da lì, suonavano sospetti, ma non potevo permettermi di distrarmi di nuovo. L’avermi attaccata alle spalle non significava che lui non potesse attaccarmi frontalmente, ma forse avrebbe potuto cambiare strategia, ora che non aveva più l’effetto sorpresa dalla sua parte.
    «Come mai non dovrei essere qui?» Avrei chiesto, con la calma di prima, se non fossi stata attaccata. «Sai forse qualcosa che non so?»
    Sapevo di essere stanca dallo scontro precedente e la mia cena mi sarebbe servita. Se non fossi stata attaccata, il mio piano sarebbe stato studiare il mio avversario e cercare di dissuaderlo dall’attaccarmi, magari scoprendo informazioni sulla zona che mi sarebbero tornate utili in futuro. Magari, approfittando del fatto che volessi perlopiù recuperare le mie energie, avrei potuto considerare la sua vita di pari importanza rispetto alle sue informazioni, se lui non si fosse distratto.



    «Parlato»
    "Pensato"
    «Parlato di Yako»

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    Edited by Antoil69 - 20/6/2020, 18:36
     
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    Doveva ucciderla.
    Sarebbe stata una soluzione rapida e indolore, e qualcuno che avrebbe apprezzato del sano cannibalismo l'avrebbe trovato. Suzaku e gli Ayakashi, tanto per dire qualcuno. Perché il cibo non si spreca, lo insegnano persino ai bambini umani.
    Ci voleva impegno per sembrare tanto cretini da violare i territori di caccia, al punto poteva sembrare che essere sottovalutata era proprio l'obiettivo della ghoul. Non che a Yako importasse, non avrebbe abbassato la guardia finché non avrebbe risolto quel problema.
    Al massimo la morte dell'intrusa sarebbe stata da esempio per i nemici del clan.
    Voleva accertarsi la ghoul non avrebbe creato ulteriori problemi, ma aveva già i suoi dubbi di star solo perdendo tempo. Poco male, prima si liberava di tutto quello -si disse- e prima avrebbe potuto pensare alle cose più importanti.
    Fyra non avrebbe dovuto essere lì sin dal principio, perché bisognava ricordare anche regole così elementari?
    «Non ho molta scelta se non mi lasci andare.»
    Giusta osservazione. Sapeva fare ragionamenti molto semplici, era già qualcosa.
    C'era sempre stata la possibilità non sapesse fare manco quelli.
    Ma voleva comunque spezzarle il polso. Per non dire che voleva ammazzarla, dove avrebbe volentieri sopportato la puzza del sangue.
    Però intanto un polso spezzato sembrava un buon benvenuto a Shinjuku, sperando fosse anche un addio.
    Non aveva sentito il profumo tipico della paura, però. Non sapeva se ne era più infastidito o altro. La ghoul aveva anche parlato in modo strano, ma sul momento non capì bene perché.
    Come qualcosa di leggermente fuori posto, ma troppo indefinito per poterlo davvero cogliere.
    Ma perché darle ascolto, comunque? I morti non parlano, avrebbe dovuto saperlo bene.
    Ma visto aveva fatto un ragionamento giusto poteva concederle (ma davvero?) il liberarsi dalla presa con cui l'aveva bloccata prima.
    Yako non sembrò comunque perdere compostezza, come se avesse pianificato tutto sin dall'inizio.
    In realtà no, non l'aveva fatto, non era così temibile.
    Ma se aveva del talento nel non mostrare punti deboli, dimostrandosi padrone della situazione sempre e comunque, doveva solo ringraziare Tsukasa. Per lui era praticamente un lavoro 24/7, perché tutti contavano sulla sua immagine seria, composta e affidabile, anche nelle situazioni più disperate. Soprattutto nelle situazioni più disperate.
    Ormai era un'abitudine.
    Comunque.
    Che Yako non si fidasse di Fyra era ovvio, ma che quest'ultima si fosse allontanata il più possibile diceva più di qualsiasi altra cosa. Ma non era abbastanza perché Yako abbassasse la guardia, e la rinkaku era un chiaro segnale era ancora pronto ad attaccare.
    Se si aspettava un momento di debolezza potevano passare pure tutta la notte a fissarsi, non ne avrebbe ricavato nulla.
    A parte che lui l'avrebbe voluta ancora più morta, perché tutta quella perdita di tempo consumava la sua già molto corta pazienza. Allo stesso modo con cui si consuma la miccia di una bomba.
    «Come mai non dovrei essere qui?»
    ...
    ...
    Aveva sentito male. In qualche modo, perché in realtà il suo udito era buono, anche troppo, ma doveva aver sentito male.
    Per forza.
    Dai.
    Non poteva essere così idiota, no?
    «Sai forse qualcosa che non so?»
    Per l'amor dei kami tutti, se non lo era fingeva molto bene.
    Peggio ancora, Yako odiava parlare. Fosse stato per lui, aveva già detto tutto il necessario con le poche parole di prima.
    Fine. Vattene. Ora.
    Via. Di. Qui.
    Subito.
    Era così difficile da capire?
    Niente, doveva proprio fare quello sforzo.
    Così il primo verso fu più un lamento, quasi gutturale, simile al ringhio di poco prima. Molto poco umano, insomma, come quando si costringeva una bestia a fare qualcosa trovava ben poco piacevole.
    Come comunicare.
    «Sei nel territorio di Suzaku.»
    Ah, il clan Kiriyama!
    Non era da tutti ricevere un benvenuto a Shinjuku così, da parte di uno dei clan con una pessima reputazione persino tra i ghoul.
    Ma quella tizia almeno sapeva che Suzaku era il capoclan? Bah, in ogni caso quello era il territorio di qualcuno e Yako, a quel punto, stava chiaramente facendo da sentinella.
    «Non fingere di avere il suo permesso, non ce l'hai.»
    Quindi sparisci e risolviamola così, grazie di nulla.

    Burn the father, feed the child

    Ghoul
    Rinkaku
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    Kiriyama Tsukasa



    Edited by Cattleya - 1/9/2020, 16:21
     
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    «Sei nel territorio di Suzaku.»
    “Nel territorio di Suzaku?”
    Impossibile. Mi trovavo a Nakano, non a Shinjuku. Non mi sarei mai addentrata nel territorio dei Kiriyama, non ancora almeno. L’idea di mangiare qualche membro di un clan di cannibali era sempre stata allettante, ma ero la prima a sapere che non sarei stata ancora in grado di tentare di attaccare qualcuno di loro. Un attacco a un Kiriyama sarebbe stato da pianificare bene e ancora mi mancavano elementi per addentrarmi in un territorio tanto pieno di pericoli. Avrei fatto tutto con cura, ma non era quello il giorno.
    «Non fingere di avere il suo permesso, non ce l'hai.»
    Dunque il mio interlocutore non era solo il primo cretino troppo vigliacco per un attacco frontale: era un Kiriyama troppo vigliacco per un attacco frontale. Altrimenti come avrebbe fatto a sapere se io avessi o meno un inutile permesso che non mi aveva certamente impedito di cacciare in quel territorio?
    C’era però un’altra opzione: avrei potuto avere a che fare con un bugiardo. Dopotutto, aveva dimostrato da prima di preferire approcci più discreti alla semplice forza bruta. Ciò che non sapeva era il fatto che anche io fossi dello stesso avviso. Era per quello, forse che il suo rinkaku era rimasto in guardia e, muovendomi verso la mia cena, avevo ricambiato con le mie code. Suzaku o meno, nessuno si sarebbe messo tra me e la mia cena. Nemmeno Chef ci era riuscito e dubitavo che qualcun altro potesse farcela.
    Indubbiamente, avendo combattuto fino a poco prima ed essendomi appena tirata fuori da una rottura del polso più che probabile, un terzo round non sarebbe stato il massimo, ma le mie code erano anch’esse pronte per attaccare. Io e il presunto Kiriyama ci stavamo studiando. Non avevo cambiato espressione facciale nemmeno dopo le sue parole e certamente non avevo paura. Avrei dovuto essere fredda e concentrata se avessi voluto uscire da quella situazione.
    «Prendo ciò che è mio e me ne vado.» dissi, con lo stesso tono non impressionato di prima. Non avevo ancora ben chiaro chi mi trovassi davanti e quanto lui potesse essere una minaccia senza l’effetto sorpresa. Scoprirlo sarebbe stato ottimo, ma avevo già un’idea in mente. Tuttavia non sarebbe convenuto sottovalutarlo, in quanto avrei potuto sbagliarmi.
    Inoltre, decisi di tenere per me quanto poco m’importasse di chi fosse a comando nell’area, nel caso in cui fosse stato davvero un Kiriyama. Non ero ancora diventata abbastanza forte da uccidere chiunque non mi andasse a genio, quindi mi sarebbe convenuto fare buon viso a cattivo gioco, almeno per il momento.
    Le sue avrebbero potuto essere tattiche di terrorismo psicologico, ma non avrebbero avuto effetto su di me. I Kiriyama non erano gli unici cannibali a Shinjuku quella notte. Per questo, mentre mi dirigevo verso dove quel cretino aveva spedito la mia cena, camminando con fare sicuro, non smisi di puntarlo né con gli occhi, né con le code.
    Da lì le mie mosse sarebbero state semplici: raggiungere la mia cena e trasportarla di peso al sicuro. Avrei finto di andarmene per vedere come avesse reagito, cercando un posto sicuro in zona e, una volta lì, controllando la mia posizione su Google maps tramite il mio cellulare. Al minimo segno di una sua menzogna gli avrei fatto vedere come uccidere davvero qualcuno di sorpresa.



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