Time to Fly!

[CONCLUSA] Fuyuko Enaga & Tsukiko Kurosawa Ruota Panoramica Daikanransha- 06/02/2020 Pomeriggio (DALLE 15.30), TEMPO SERENO 6°C)

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    ''Daikanransha...ok, ci sono''
    Pensò Yuko, leggendo la lista delle cose da fare: quello era uno dei punti aveva deciso di visitare nella sua famosissima lista di cose da fare prima di quel fatidico compleanno.
    Ecco perchè si era armata di buona volontà ed uscita da casa quando nessuno c'era o poteva vederla: non era sicura di trovare familiari che le avrebbero impedito di uscire, o comunque, che si potevano lamentare, motivo per cui aveva optato per una fuga strategica dalla finestra di camera sua dopo aver chiuso la porta a chiave.
    Si sentiva come una di quelle adolescenti che aveva visto in qualche film americano che si era comprata e aveva visto a ripetizione: l'adrenalina un po' la sentiva diciamo, sebbene aveva intenzione di tornare prima di sera.
    Aveva preso con sè i fogli spillati per non perderli, in una tasca del cappotto: insomma, erano sparsi con tutte le cose che le venivano in mente mano a mano, avrebbe dovuto riscrivere tutto su un taccuino in effetti, cosa che aveva portato per sicurezza nella borsa, se le veniva altro in mente e non aveva più spazio sui fogli volanti.
    Appena si allontanò dalla casa sospirò sollevata, guardandosi attorno: usò una mappa turistica che aveva preso tempo prima per arrivare a destinazione, cercava di non usare il telefono per non scaricare la batteria, e sopratutto voleva godersi appieno la sensazione di perdersi completamente in quella città che nonostante i suoi 22 anni conosceva davvero poco.
    Si era persa circa 3 volte, ma alla fine era arrivata a destinazione ed era anche evidente: non riusciva a tenere il volto basso per poter vedere quanto alta fosse quella ruota panoramica.
    Aveva letto che fosse alta circa 115 metri, ed era rimasta a bocca aperta, sarebbe voluta rimanere fino a tardi per poterla vedere illuminata dalle luci al neon che aveva letto dal suo pc su un articolo online...doveva essere davvero uno spettacolo bellissimo!
    Era rimasta così a bocca aperta a guardare tutto, che per un secondo si dimenticò di fare una fotografia, ecco che a scoppio ritardato, aprendo la borsa prese una macchina fotografica piccolina e iniziò a scattare un paio di volta, riguardando dopo sul display com'era venuta, sorridendo appena.
    Sarebbe stato bello non andare da sola in quei posti, ma conoscendo qualcuno, un amico, o un familiare...già, un familiare! Lì vedeva così tante famiglie che le venne un po' di tristezza nel pensare che lei non avrebbe mai potuto avere tutto quello, non ci pensava neanche ad un futuro del genere, ma neanche nel passato, non è che avesse avuto così tante dimostrazioni o esperienze simili.
    Forse era destinata a vivere quei momenti da sola...ma intanto doveva ricordarsi di segnare di essere stata lì: era stata fortunata almeno con il tempo che era sereno, sebbene il tempo era piuttosto freddo per lei così abituata a stare in casa.
    Si strinse appena nel capotto color crema: era per fortuna abbastanza pesante per le temperature, ed arrivava fino al ginocchio, così era lasciata scoperta solo una porzione di gamba, coperta anche essa dalle calze scure, e poi dagli stivali neri con un tacco molto basso.
    Istintivamente, sentendo il naso più freddo, con una mano si alzò il maglione nero a collo alto e a righe, per poterlo riscaldare, quasi coprendolo dal venticello che era arrivato in quel momento.


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    Nemmeno la sveglia, quel giorno, riuscì a riportarmi alla realtà. Ero andata a caccia, la notte prima, e, come facevo di solito, avevo deciso di prendere la giornata successiva per riposarmi. Lo facevo quasi sempre, a meno che non avessi deadlines incombenti o lezioni, ma avevo scelto apposta quel giorno per la mancanza d'impegni lavorativi e non vedevo l'ora di dedicare un po' di tempo a me stessa. Mi svegliai a un orario imprecisato e, sentendomi ancora stanca, decisi di rimanere tra le coperte, senza far niente, per un tempo indefinito. Uscii dal letto verso le 10:50, stando a quello che disse la sveglietta appoggiata al mio comodino, per poi andare in cucina a prepararmi il caffè del buongiorno, quello che, conoscendomi, sarebbe diventato il primo di una lunga serie.
    Presi la tazza con la Union Jack che mi ero comprata a Londra e, mentre ci versavo il liquido caldo, pensai a quanto fossero state belle le tre settimane che avevo passato lì. Avevo trovato un appartamento in affitto, avevo fatto i bagagli quasi un mese prima ed ero partita per il Regno Unito, per girare quella città in lungo e in largo. Fare un viaggio così lungo, per me, era una novità, ma l'avrei presto ripetuto: la bellezza del freelancing online era la possibilità di poter diventare nomadi digitali e, per quanto io avessi scelto di non farlo, almeno per il momento, ritrovarmi in una città completamente nuova, nella quale l'inglese non era più una dote, ma la norma, mi aveva fatto quasi dimenticare di quanto insignificante fosse l'esistenza. Ero stata sul London Eye, avevo visto il Big Ben dal vivo e, seppure avessi lavorato sei mattine su sette, avevo avuto modo di vedere dal vivo la città che ogni laureato in lingua inglese dovrebbe vedere almeno una volta nella vita. Certo, se non fossi andata, niente sarebbe cambiato: se niente avesse avuto significato, allora anche la mia esistenza sarebbe stata insignificante. Però avevo intenzione di continuare a leggere, a disegnare e a scoprire dettagli trascurabili del pale blue dot nel quale vivevo: semmai niente avesse avuto senso, me ne sarei, almeno, andata col sorriso dopo aver vissuto un'esistenza, almeno per quelli che erano i miei standard, felice.
    Decisi di non bere quel caffè subito, ma di portarlo con me nel letto, appoggiarlo sul comodino e riprendere a leggere. Ero arrivata a metà di un libro niente male su un gruppo di amiche che, con le loro famiglie, si ritrovano a passare una vacanza in un castello in aperta campagna. Un assassino ancora doveva essere smascherato e, per come quella storia era stata narrata fino a quel momento, avevo deciso di arrivare fino in fondo. Passai così le successive tre ore, interrompendo la lettura solo per prepararmi un'altra tazza di caffè.
    Quel tempo passò in fretta e i dettagli sull'assassino, a poco a poco, stavano iniziando a emergere, ma decisi, comunque, di terminare la lettura, per quel giorno, e di rifarmi finalmente il letto, concedermi una doccia e vestirmi. Avevo voglia di uscire e disegnare un paesaggio di Tokyo, nonostante fuori, stando al meteo, non ci fossero nemmeno dieci gradi. Tuttavia, le temperature non mi avrebbero fermata. Mi vestii con un maglione rosso porpora, un paio di jeans neri e un paio di polacchine marrone scuro. A essi abbinai uno zaino nero, con dentro un album da disegno A4, una scatola di matite colorate, una bottiglietta d'acqua, una gomma, un portafoglio, una power bank carica e il mio cellulare, nonché le mie chiavi di casa e un paio di auricolari bluetooth. Presi, poi, una piccola tracolla nera con dentro un cavalletto pieghevole che avevo comprato per poter disegnare all'aperto. A esso, di solito, aggiungevo una tavola di legno poco più grande di un foglio A4, che si trovava nel mio zaino. L'unica cosa che mi mancava, ormai, era qualcosa che mi proteggesse dal freddo. Optai per un cappotto nero, al quale aggiunsi una sciarpa e un paio di guanti dello stesso colore. Tenni, inoltre, i capelli lisci, ma mi portai un elastico per capelli appresso, in caso di emergenza.
    Dopo essermi spazzolata i capelli, per averli più ordinati, uscii di casa, diretta al distretto di Koto. Avevo scelto quel quartiere per il parco divertimenti di Daikanransha. Forse avevo un po' di nostalgia del London Eye e della sua vista dall'alto, ma decisi di voler assolutamente ritrarre la ruota panoramica che lì si trovava. Avevo intenzione di fare una coppia di disegni, uno di giorno e uno di notte, ma avevo intenzione di cominciare dalla versione diurna per poter vedere meglio i dettagli della struttura e lasciare a casa la mia cuffia con annessa lampada a LED, quella che usavo per disegnare all'aperto di notte.
    Arrivai al parco divertimenti senza troppi problemi: non c'ero mai stata, ma Google Maps mi aveva suggerito la strada, mentre io pensavo a come mi sarebbe piaciuto disegnare la ruota panoramica. Alla fine, lasciai perdere i propositi fatti durante il viaggio e girai intorno alla ruota panoramica da lontano, alla ricerca del mio punto di vista ideale. Lo trovai mettendomi leggermente di sbieci rispetto alla ruota, che non volevo risultasse troppo dritta rispetto al resto degli edifici. L'avrei disegnata guardandola dal basso, in modo da renderla ancora più imponente e cercando di far risaltare il rosso della ruota sul cielo sereno e azzurro.
    Dopo aver aperto il cavalletto e averci adagiato sopra la tavola di legno e il foglio A4, mi misi gli auricolari bluetooth e, ascoltando un po' di musica rilassante, iniziai a disegnare e mi persi nella mia opera. Molte persone andavano e venivano: mi sarei dimenticata di loro e loro si sarebbero dimenticati di me. In fondo, mi ero messa in modo da non dare fastidio a nessuno nemmeno col cavalletto aperto. Il continuo viavai delle persone mi permetteva comunque di guardare il paesaggio senza problemi, in quanto esse si muovevano abbastanza rapidamente da ostruire il mio campo visivo solo per qualche breve istante, passato il quale tutto mi sarebbe tornato sott'occhio. Solo una ragazza, arrivata dopo un po' di tempo, sembrava agire diversamente. Lei mi dava le spalle e si era fermata perfettamente davanti a me, nel punto perfetto per ostruire la mia visuale. All'inizio non ci feci caso, pensando che se ne sarebbe presto andata, poi mi resi conto che non sembrava intenzionata a muoversi, almeno da quello che mi sembrava di capire. Decisi, quindi, d'intervenire. Mi tolsi gli auricolari, senza spegnerli, e cercai di richiamare l'attenzione con un semplice «Salve.» diretto alla ragazza davanti a me. Sfoggiai un educato sorriso, non troppo ampio, ma pur sempre gentile, e gentile ed educato fu anche il tono con cui mi rivolsi a lei. Dopo tutto, lei avrebbe anche potuto dirmi di no, se fossi stata scortese, e sarebbe stato un suo diritto rimanere al suo posto. Volevo essere educata con lei e, prima di chiederle di spostarsi, avrei preferito darlo a intendere, nella speranza che lo capisse da sola, possibilmente senza offendersi.




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    Era rimasta così immersa nei suoi pensieri che nulla l'avrebbe riportata a galla, o quasi.
    Sentiva che qualcosa le mancava, l'ansia di voler fare tutto quello che c'era sulla lista le premeva sul cervello come un tarlo insistente: e se non fosse riuscita a completare la lista per tempo?
    Nel suo cuore sapeva che non era possibile, che probabilmente sarebbe stato così, ma lei voleva assolutamente fare tutto: all'inizio voleva scrivere un diario con tutte le cose che avrebbe fatto, con tutto ciò che avrebbe provato, ma poi pensò che non avrebbe avuto materialmente tempo per farlo, e che avrebbe fatto meglio a viverle che scriverle le cose.
    Quindi ogni minuto era assolutamente prezioso, ogni attimo era fondamentale per lei e i suoi ricordi, perchè le sarebbero rimasti solo quelli alla fine: non aveva però nessuno con cui condividerli e questa cosa la faceva sentire ancora più sola di quello che era abituata a sentire.
    Le persone sembravano passare sempre più velocemente, come se lei non se ne accorgesse, o forse, come se fosse lei stessa un fantasma: nessuno sembrava mai notarla, o almeno quello credeva, era abituata ad essere invisibile per la maggior parte delle persone, per questo si trovava bene nell'anonimato...no, bugia, non ci si trovava per nulla bene: non si sarebbe tinta così i capelli, non avrebbe dovuto scappare di nascosto ogni volta che aveva necessità, cioè sempre...
    No, meglio rettificare, all'anonimato ci era abituata, ma non le piaceva, si sentiva decisamente vuota: ecco perchè voleva riempirlo con tanti ricordi, sperando di sopperire a quella mancanza.
    Allo stesso modo, in alto sulla sua lista aveva delle cose che ancora sembrava non aver raggiunto, e le dispiaceva tanto, sarebbe stato dopotutto bello poter condividere tutto quello.
    Una voce sembrò riportarla alla realtà, sobbalzò appena, tenendosi stretta la sua macchinetta fotografica, e girandosi verso la voce: una ragazza davanti a lei, aveva un sorriso gentile.
    L'aveva colta di sorpresa, decisamente Yuko sembrava cadere dalle nuvole: istintivamente si guardò indietro...no, stava proprio parlando con lei!!
    Era davvero contenta, qualcuno che parlava con lei! Una persona nuova e che non aveva mai visto!!
    Era elettrizzata.
    Il sorriso si allargò, contenta.
    «Salve!!»
    Rispose, forse con troppa energia...no, decisamente non era abituata a parlare con le persone.
    «Posso aiutarla???»
    Chiese, in parte sperava di si: oddio, non è che ora risultava ancora più strana? Be', troppo tardi, era così contenta di poter parlare con qualcuno!
    Nel mentre tra l'altro, dopo aver tenuto fin sopra al naso il maglione a collo alto, per il troppo entusiasmo calò, lasciando completamente il volto scoperto della ghoul, che arricciò il naso leggermente rosso per la ventata di freddo pungente.


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    Edited by »¢hë§hî®ë - 28/3/2020, 14:16
     
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    «Salve!!»
    La risposta della ragazza mi colpì, più che altro perché non me la sarei mai aspettata. Era stata euforica ed esplosiva. Per un istante, non seppi nemmeno che cosa pensare e, istintivamente, assunsi un'espressione lievemente sbigottita. Evidentemente, lei mi aveva colta di sorpresa.
    «Posso aiutarla???»
    Mi ricomposi, sperando di non esserle parsa troppo strana, riprendendo a sorriderle con calma.
    Stavo per chiederle di andarsere, quando lo sguardo mi cadde sul suo volto, ora libero dal maglione. La cosa che più mi attirò furono i capelli evidentemente tinti, che andarono a coprire, secondo il mio sguardo, la parte inferiore della ruota alla giusta angolazione per fare da contrasto al rosso del suo anello inferiore. Inoltre, il sorriso della ragazza mi piaceva: era energico quanto la sua risposta di poco prima ed emanava gioia di vivere, almeno secondo me.
    Solitamente, disegnavo paesaggi inanimati, togliendo qualunque persona o animale da compagnia, mentre altre volte le rappresentavo un po' sfocate, come per mostrarne il movimento verso qualcosa di temporaneo, che non avrebbe resistito al passare del tempo quanto i luoghi intorno alle loro vite, nonostante anch'essi fossero destinati a crollare, qualche battito di ciglia più tardi. La voglia di disegnare persone o personaggi mi era passata quando, nonostante il colloquio di lavoro di un anno prima, il manga di Megumi si era rivelato un nulla di fatto, lasciandomi a mani vuote e con il dubbio che le mie abilità nella rappresentazione dei paesaggi non fossero state ben trasferite al disegno di esseri antropomorfi. La cosa mi aveva rattristata e ciò si era riflettuto sulla mia arte, dato che le bozze che avevo presentato in quel bar erano rimaste le mie ultime opere di quel tipo. Eppure non volevo perdere quel sorriso così energico, che mi aveva fatto dubitare del fatto di voler davvero mandare via quella ragazza.
    Sì, avrei provato a chiederglielo. Che cosa avrebbe potuto andar male? Se lei mi avesse respinta, probabilmente, se ne sarebbe andata da sola per non venir ritratta senza permesso, lasciandomi libera di completare il mio paesaggio in pace, senza nessuno tra me e il mio soggetto. Chiedendoglielo, avrei potuto solo guadagnarci.
    «A dire la verità, sì.» Le dissi, col tono educato e gentile che avevo usato poco prima. «Stavo disegnando il paesaggio dietro di Lei...» Indicai il cavalletto, dicendo quelle parole. «... E Lei si trova in una posizione nella quale il blu dei Suoi capelli fa da contrasto col rosso della ruota panoramica. Se vuole e se ha un po' di tempo da dedicarmi restando ferma lì, mi piacerebbe includerLa nell'opera. È d'accordo?»
    Forse in altre occasioni, avrei pensato "O la va, o la spacca" o qualcosa di simile, ma lì non si trattava di una questione di vitale importanza. Certo, niente poteva davvero considerarsi importante in senso stretto, ma la presenza di quella ragazza nel disegno lo era ancora meno: avevo iniziato il disegno senza né lei, né l'intenzione d'includerla, e lo avrei concluso in ogni caso. Avrei solo dovuto capire come. Tuttavia, Tokyo era una città molto popolosa e, così come io e lei non ci eravamo mai viste prima, avremmo potuto anche non rivederci mai più. Non sarebbe cambiato niente in ogni caso, ma la presenza di un essere così visivamente interessante, arrivato proprio nel momento in cui avevo i colori in mano e un soggetto da rappresentare perfetto per lei... Sì, perdere un'occasione del genere, più unica che rara, mi sarebbe dispiaciuto.
    Tuttavia, non l'avrei ritratta senza il suo consenso, in quanto sarebbe stato scorretto, oltre che illegale. Feci un passo alla mia sinistra, allontanandomi dal cavalletto giusto il tanto che bastasse a vedere la ragazza più chiaramente e a far sì che anche lei riuscisse a vedermi meglio, senza il cavalletto che mi coprisse. Il disegno sarebbe stato finito in ogni caso, ma, più che a me, ora toccava a lei dirmi come avrei dovuto continuare da quel momento in poi. Per quanto insignificante fosse ciò su cui era chiamata a decidere, era tutto nelle sue mani. A me spettava solo il ruolo proprio dell'artista e della vita che avevo scelto: osservare lo scorrere degli eventi, rappresentandone, alcune volte, le conseguenze su carta.




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    Sperò vivamente di non averla spaventata, forse ci aveva messo troppo entusiasmo? Non lo sapeva, ma forse avrebbe dovuto immaginarlo dall'espressione dell'altra ragazza...un po' le dispiaceva, non voleva che se ne andasse subito, le mancava parlare con qualcuno, non che avesse grandi e lunghe conversazioni con la sua famiglia.
    «Tutto bene?»
    Chiese, vedendo dunque il cambio di espressione, sistemandosi il colo alto del maglione, non poteva più metterselo fin sopra, doveva parlare, aveva già fatto una magra figura, meglio fermarsi lì prima che la ragazza scappasse a gambe elevate dalla ragazza stramba che era probabilmente ai suoi occhi.
    Si voltò appena quando le disse che stava disegnando il paesaggio dietro di lei, rimanendo incantata: gli occhi quasi le brillarono.
    «Disegnare??È un'artista??»
    Che fortuna! Non ne aveva mai incontrata una, che emozione! Chissà come doveva essere saper disegnare cose meravigliose! Era su di giri per quella scoperta! Se sola fosse uscita prima e più spesso in quegli anni...forse avrebbe incontrato molte più persone, avrebbe conosciuto più cose.
    «I miei...capelli?» Se li toccò istintivamente, le punte rovinate forse dal colore, ma lei cercava sempre di prendersene cura per quanto dovesse fare tutto in casa, le dicevano sempre che visto ciò che l'aspettava non doveva essere bella per nessuno, non doveva preoccuparsi di cose così frivole.
    «I-Includermi...?Significa....disegnarmi?»
    Quasi non ci credeva, davvero era stata così fortunata? Non aveva mai fatto nulla del genere, certo non era nella sua lista di cose da fare, ma non disegnare fare qualcosa di mai provato! Per nulla!
    «SAREI ONORATA!»
    Disse, esplodendo di entusiasmo, e sorridendo, per poi tapparsi la bocca, in imbarazzo...forse aveva esagerato? Sorrise, in imbarazzo, facendo un profondo inchino di ringraziamento...non sapeva bene come ci si dovesse comportare in un contesto del genere, forse aveva sbagliato anche quello?
    Si alzò di scatto, leggermente arrossita per la figura fatta, non voleva farla scappare via con le sue stranezze, o semplicemente per il fatto che fosse inadeguata a vivere nel mondo esterno. Yuko si impegnava davvero tanto!
    «I-Insomma...si!»
    Disse, come se non si fosse capito.
    «Ma...cosa devo fare?» Chiese istintivamente, dubbiosa. «Non ho mai fatto nulla del genere!»
    Ammise, aspettando indicazioni della ragazza. Era decisamente emozionata!


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    Non conoscevo quella ragazza, ma credevo già di poterla definire particolare: le sue reazioni alle mie parole sembravano davvero incontrollate per modo e intensità. Inoltre c’era qualcosa nelle sue parole che non riuscivo a identificare. Non era stato il suo «Tutto bene?» ad attirare la mia attenzione, dato che non le risposi anche per mancanza di un modo abbastanza educato per farlo, ma la frase subito successiva mi colse impreparata.
    "... Sì?" Pensai, chiedendomi il perché di quella domanda. Era quasi retorica, secondo me, ma mi sembrava detta con un tono troppo… energico per essere ironica. Non riuscivo a capire da dove venisse tutta quell’allegria nel chiedermelo e lei sembrava davvero interessata a una risposta, che le diedi sorridendole. «Esatto.» Mi limitai a dire, tenendo per me le mie considerazioni. Per me era ovvio che fossi un’artista, così come lo era chiunque fosse impegnato in una qualunque attività artistica, come il disegno. Il mio cavalletto, abbastanza visibile, avrebbe dovuto parlare per me. Eppure in lei l’associazione sembrava non esserci stata. C’era, però, anche da dire che avrei potuto interpretare la domanda diversamente. Dopotutto la maggior parte del mio reddito era dovuta alla mia attività da traduttrice e potevo identificarmi solo con un significato del termine: ero impegnata in un’attività artistica, ma ciò non mi pagava ancora le bollette. Decisi, però, di tacere una seconda volta. Avrei lasciato a lei l’interpretazione, dato che ero stata abbastanza incuriosita dalla sua domanda. Magari avrebbe detto qualcosa capace di giustificare tale ragionamento, dato che, per quanto l’avessi incontrata solo poco prima, lei non sembrava di certo una ragazza riservata, a differenza della sottoscritta, che mai avrebbe posto quella domanda, al suo posto.
    Mi piacque pensare che, oltre che poco riservata, la ragazza fosse anche abbastanza genuina nel modo di porsi. Poco prima, infatti, l’avevo vista girarsi nuovamente verso il paesaggio di fronte a me per ammirare ciò che avrebbe potuto star guardando fino a poco prima che la chiamassi. In quel momento. inoltre, lei si stava toccando i capelli, forse per via dell’imbarazzo dovuto alla mia richiesta. Inutile dire che ciò la rendesse abbastanza curiosa ai miei occhi: sembrava essere piuttosto estroversa fino a un attimo prima, considerando quello che mi aveva chiesto e come aveva reagito alle mie parole fino a quel momento. Quell’imbarazzo mi sembrava quasi fuori posto, ma lei lo corresse poco dopo con una nuova esplosione di entusiasmo, più intensa delle altre, quando capì che non stessi scherzando.
    Avrei dovuto aspettarmi da lei una simile reazione, stando al modo con cui si era rivolta a me, ma riuscì comunque a cogliermi impreparata. Lei si tappò addirittura la bocca, in segno di quello che doveva essere imbarazzo, mentre io iniziai a rendermi conto di quanto il suo carattere fosse... particolare. Era il mio esatto opposto: se io cercavo di contenere le mie emozioni, lei le esternava in maniera eclatante e senza controllo. Questo suo lato mi sembrava curioso quanto strano, ma valeva la pena di approfondire, considerando il fatto che lei ormai avesse accettato di farsi ritrarre.
    «Mi fa piacere.» Le dissi, sorridendole gentilmente dopo che lei riformulò una risposta più... pacata.
    Apprezzai, inoltre, la sua richiesta d'indicazioni. Il fatto che non avesse mai fatto niente del genere era palese, ma almeno aveva dimostrato di non essere una di quelle persone che finge di sapere ciò che non sa. «Non si preoccupi, è semplice. Deve solo rimanere immobile lì dov'è almeno finché non avrò finito di ritrarLa.» Dicendolo, tornai verso quella che era la mia postazione, pronta per riprendere il mio lavoro, non prima di aver detto come ultima cosa un semplice «Dimenticavo: io sono Kurosawa Tsukiko. Piacere di conoscerLa.»




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    Per fortuna stava bene, era sollevata da questo, non era dunque neanche colpa sua se l'aveva messa a disagio, questa cosa poteva dire che l'aveva tranquillizzata moltissimo.
    «Fantastico!»
    Una vera artista! Wow! Uscire le stava provocando un sacco di incontri interessanti, rimaneva sempre stupita come se fosse sempre qualcosa di nuovo per lei...il che era vero alla fine, quindi le sue reazioni erano più che genuine.
    Rimase stupita di come si rivolse a lei: era così formale...sembrava come se....fosse importante? Non si era mai sentita importante, insomma, le avevano sempre fatto intendere che lei non meritasse un tale trattamento e questa cosa la emozionò, sebbene, allo stesso tempo non era abituata a tutto quel rispetto che non credeva di meritare.
    «Va bene! Non la deluderò!»
    Disse, e ci sperava davvero, ci sarebbe rimasta troppo male nel caso non fosse riuscita in quell'intento: prima però di iniziare, credeva fosse giusto presentarsi.
    Forse a lei non importava? Non poteva saperlo, ma pensava fosse giusto. La sorprese però l'altra, si era presentata lei!! Il suo sorriso si allargò ancora di più, era contenta.
    «Io sono Fuyuko, ma anche Yuko va bene» Iniziò dunque con un sorriso sincero. «È un piacere fare la vostra conoscenza» Sembrò giusto anche a lei assumere quel tono, sebbene temeva non sarebbe durato a lungo, rischiava subito di ricadere nella confidenza senza che lei se ne rendesse conto.
    «Adesso...adesso mi metto in posizione si...»
    Commentò, forse più per se stessa, e cercò di seguire le istruzioni dell'altra: sperava di non fare nulla male, una parte di se premeva per sapere se stava andando bene o meno, ma temeva di disturbarla...gli artisti che vedeva nei film di solito erano sempre così concentrati! Non voleva rovinarle l'ispirazione!
    Non poteva crederci che avrebbe fatto un quadro con lei dentro...era bello a pensarci, perchè era un modo per testimoniare che lei esisteva, che camminava anche lei su quella terra, anche se ancora per poco.


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    La ragazza era molto allegra, mentre parlava, e continuava a sorridermi. Certamente non doveva essere abituata a tali trattamenti, ma un po’ la capivo: quanto spesso poteva capitare a una persona di essere fermata da un’artista di strada? In quante di quelle poche volte poteva l’artista chiedere a costei di farsi ritrarre? Il pensiero che quello fosse il suo primo ritratto era quasi evidente, anche perché i ritratti erano perlopiù modi d’immortalare nobili e potenti e non a tutti poteva capitare di poter dire di essersi fatti ritrarre per il semplice gusto di finire in un’opera d’arte altrui che avrebbero potuto non rivedere mai. Se fossi stata al posto di quella ragazza avrei di certo apprezzato la coincidenza incredibile del suo passare lì e di essere proprio la persona giusta, fermatasi proprio nel posto giusto al momento giusto e davanti all’artista giusta.
    A quanto pare, però, avevo trovato anch’io la persona giusta: quante persone si sarebbero fatte ritrarre da una sconosciuta per motivi che avrebbero potuto non sapere mai, senza chiedere nemmeno un compenso? Lei non aveva avanzato richieste del genere: sembrava eccitata all’idea di essere inclusa in qualcosa che di suo aveva solo l’immagine, filtrata dalla mia visione e dalla mia mano. Il suo non volermi deludere, detto in maniera così genuina, mi piaceva. Ormai mi ero convinta di aver fatto la scelta giusta, chiedendole di rimanere per quel poco tempo che mi sarebbe effettivamente servito per ritrarla.
    La ragazza, rispondendomi, si presentò come Fuyuko. In contrasto alla sottoscritta, che aveva usato il suo nome e cognome per presentarsi, lei non aveva detto quale fosse il nome della sua famiglia, dandomi, però, l’opzione di chiamarla per soprannome. Decisi di usare questa possibilità, non tanto per confidenza quanto per metterla più a suo agio. Non mi piaceva avvicinarmi troppo alle persone: mi dava un’idea di confidenza eccessiva e, spesso, finivo per provare più fastidio io, comportandomi in quel modo, che la persona alla quale mi approcciavo. Tuttavia lei era la mia modella, ormai, e aveva detto lei che avrei potuto usare quel nomignolo. Magari ne sarebbe stata contenta.
    «Il piacere è mio, Yuko-san.» Dissi, accennando un inchino senza sapere se lei lo vedesse. «Puoi chiamarmi Tsukiko, se vuoi. E possiamo anche far cadere le formalità, dato che ci stiamo chiamando per nome. D’accordo?» Era stata Fuyuko a iniziare ad abbattere le barriere tra noi. Io non avrei mai iniziato, ma, dato che avremmo dovuto iniziare un lavoro che sarebbe durato un po’, il fatto che lei fosse disponibile e rilassata sarebbe stato importante. In fondo era stato il suo sorriso genuino ed energico a convincermi che lei potesse essere l’eccezione al mio voler disegnare quasi solo paesaggi inanimati. Tanto valeva conservare quella sua allegria per non ritrarre qualcosa di finto.
    «Adesso...adesso mi metto in posizione si...» «Perfetto. Sii naturale, d’accordo?» Lo dissi sempre educatamente, alzando la voce solo quel tanto che bastava a farmi sentire. Da quel momento in poi importava solo il ritratto. Iniziai a disegnarla a matita sulla tela, cancellando e tracciando nuovamente le linee del suo corpo e, soprattutto, del suo volto. Mi concentrai su di lei, lasciando perdere momentaneamente qualunque punto dell’ambiente che stavo ritraendo non abbastanza vicino da influenzare la mia rappresentazione di Fuyuko o da non venir influenzato da essa. Dopodiché mi concentrai sul disegnare il resto dell’ambiente in maniera piuttosto veloce. Non l’avrei fatta andare via almeno fino al completamento del disegno generale. Se fossi stata fortunata, l’avrei tenuta in posizione fino al completamento della colorazione della sua figura e dell’ambiente subito circostante. Dopotutto, poi non mi sarebbe più servita. Avrei solo dovuto colorare cose immobili e non influenzate dalla mia modella.
    Il processo del ritratto fu piuttosto silenzioso e procedette senza intoppi esterni. La ragazza non mi rivolse mai la parola ma, guardandola, la trovai sempre dove l’avevo lasciata, immobile e sorridente. Interpretai il suo comportamento come un volermi aiutare a terminare in fretta la parte dell’opera che la riguardava e il che mi mise di buon umore. Di certo la ragazza non stava scherzando quando aveva detto che non mi avrebbe delusa e ciò andava a suo favore.
    Quando terminai la colorazione della prima parte del dipinto, la mia modella smise di essermi utile. Avrebbe potuto anche rimanere lì, se avesse voluto, ma non sarebbe cambiato niente, quindi decisi di liberarla dall’obbligo di rimanere in posa per altro tempo. Dopotutto, non stava di certo facendo quell’esercizio di ginnastica a corpo libero di cui, al momento, il nome mi sfuggiva.
    «Abbiamo finito, Yuko-san. Se vuoi puoi venire a dare un’occhiata.» Spostai la testa da dietro il cavalletto per poterla guardare in faccia senza problemi, e sorrisi educatamente mentre parlavo alla ragazza col tono che avevo usato fino a quel momento. «Grazie mille per aver accettato di farti ritrarre.» Aspettai un po’ prima di continuare, perché mi sarebbe piaciuto dirglielo senza che la distanza e un cavalletto si frapponessero tra noi due.
    Se lei fosse venuta verso di me, avrebbe sicuramente visto un disegno in prospettiva comprendente una parte piuttosto ampia del paesaggio.
    L’opera era disposta coi lati più lunghi in orizzontale e comprendeva tutta la ruota panoramica e l’ambiente circostante. Avevo utilizzato il mio punto di vista, quindi ero riuscita a rappresentare tutto ciò che si trovava nel mio campo visivo più o meno con le stesse proporzioni con cui lo osservavo. Così facendo ero riuscita a rendere visibile anche la mia modella, giustificando così l’attesa di Fuyuko, senza però sacrificare tutto il resto del disegno, di cui lei era solo una parte. La colorazione era stata completata solo in parte: era stata completata solo in parte, vicino alla sua figura e in tutti gli oggetti che la sua presenza aveva influenzato, includendo il marciapiede su cui si trovava. Il cielo e la parte superiore della ruota panoramica erano ancora da completare, ma lei avrebbe potuto vedere comunque le linee a matita che tracciavano i contorni dei vari oggetti, insieme a qualche altra, più sottile, che indicava la direzione della luce e fungeva da linea guida approssimativa per i vari colori che avrei presto utilizzato.
    «Come ti sembra?» Dopo qualche istante, se lei si fosse avvicinata, si sarebbe sentita rivolgere questa domanda con un sorriso.«Manca ancora un po’, ma almeno sono riuscita a finire la parte che ti riguarda in un tempo decente.»
    Ormai Fuyuko era libera di fare ciò che avesse voluto. Se avesse voluto andarsene, io non l’avrei fermata, come non l’avrei scacciata se avesse voluto rimanere. Dipendeva tutto da lei, ormai, e io, avendo ottenuto ciò che volevo, sarei stata contenta in ogni caso.




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    Edited by Antoil69 - 1/6/2020, 19:14
     
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    A quanto pare non aveva trovato difficoltà a chiamarla per il suo soprannome, era bello sentire che veniva usato da persone diverse, le dava quasi una parvenza di normalità nella sua vita: si chiedeva infatti, come sarebbe potuto essere, sentirsi chiamare così magari da un amico, dava una sensazione di calore e di sollievo in qualche modo, ma temeva che non avrebbe mai potuto provarla.
    «Certo, mi farebbe piacere!»
    L'entusiasmo che ci mise e il suo sorriso, potevano far bene capire che era genuino ciò che diceva, non era una bugia, era davvero felice, era incredibile come per una come Yuko bastasse davvero così poco per sentirsi così: essere soli di certo non era una cosa bella e che non augurava a nessuno.
    Si sforzò di rimanere di buon umore, non voleva sbagliare, nè deludere l'altra che le aveva chiesto tanto gentilmente quella cosa, le aveva dato un'opportunità che avrebbe ricordato per sempre nella sua lista dei buoni propositi, non aveva idea di quanto fosse importante per lei quella cosa.
    Per questo si rifiutò di essere triste, per quanto il solo vedere tutte quelle famiglie così felici attorno a lei avrebbe potuto farle oscurare il suo sorriso.
    No, non poteva farlo.
    Avrebbe voluto chiederle così tante cose, tartassarla di domande, ma ebbe paura di poter fare qualcosa di sbagliato o di distrarla, o forse poteva non farle piacere.
    Per cui, si limitò a restare ferma, cercando di concentrarsi, ma di rimanere rilassata...sarebbe rimasta lì tutto il tempo necessario, voleva davvero rendersi utile.
    «Davvero?? Arrivo!»
    Sorrise e si avvicinò immediatamente alla ragazza, voleva assolutamente sapere e vedere con i suoi occhi com'era venuta, se era riuscita nel suo intento sopratutto.
    «Devo ringraziarti io! Non avrei mai potuto fare questa esperienza senza di te»
    Ammise, contenta e sorridendole, cercando di fare un inchino: ora, lei non usciva spesso, o meglio, solo negli ultimi anni aveva iniziato a farlo, questo significava che non era abituata ad avere a che fare con le persone, non le avevano insegnato certe cose, anche perchè le dicevano che era inutile per lei saperlo visto che sarebbe presto morta.
    Quindi aveva cercato di essere autodidatta, e si sentiva a disagio nel sapere che una giapponese come lei non sapeva come comportarsi con gli inchini, o a salutare, o altre cose.
    Non aveva avuto nessuno ad insegnarle, era stata lasciata sola a se stessa.
    Sperò quindi di aver fatto bene e non una figuraccia, lì ci sarebbe rimasta effettivamente male, vergognandosi.
    «wow...»
    Disse osservando finalmente ciò che era uscito dalla mano di Tsukiko, magari ad avere un talento del genere...ma probabilmente neanche se fosse stata brava in qualcosa il suo destino sarebbe potuto cambiare in nessun caso.
    Si avvicinò al dipinto senza però toccarlo per paura di rovinarlo: era così dunque che la vedeva Tsukiko? Certo non era finito, ma le sembrò ...molto vicino a lei.
    «È davvero bello...grazie» Sussurrò, sentiva la voce tremare, perchè sentiva gli occhi lucidi, avrebbe voluto piangere ma si costrinse a trattenersi: non sapeva cosa aveva fatto Tsukiko, non poteva saperlo giustamente.
    Quel dipinto però, era la prova che lei era lì, che esisteva.
    Era una prova che c'era stata, se mai a qualcuno fosse importato di ricordarla.
    Era una cosa importante.
    Sentiva la gola quasi chiudersi per i singhiozzi che sta voleva trattenere a tutti i costi, non ci avrebbe fatta bella figura a piangere, e sopratutto come avrebbe potuto dire la verità? Come avrebbe potuto spiegare?
    Non le avrebbe probabilmente creduto, e forse, quella sarebbe stata anche l'ultima volta che si sarebbero mai viste, era doloroso a pensarci.
    Non erano amiche, nè si conoscevano, ma sapeva che di quel passo il suo più grande desiderio non si sarebbe mai avverato, forse avevano ragione ...forse non avrebbe dovuto provare a vivere per davvero.
    «Posso...posso restare ancora qui? Vorrei vedere come va a finire...» Le chiese, con voce più calma, ma non la guardò negli occhi, non perchè non voleva, ma perchè sapeva che poi non avrebbe potuto trattenere le sue emozioni e quindi si ritrovò ancora a fissare l'immagine che la ritraeva.
    Per una volta le sembrava di avere il controllo della situazione, di qualcosa che la riguardava. Era una strana sensazione.


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    Fuyuko si avvicinò subito a me, quasi come se fosse impaziente di vedere la mia opera terminata. Ormai era chiaro che fosse la sua prima esperienza: potevo leggerlo dai suoi modi molto irrequieti e dalla sua voglia di scoprire che cosa ci fosse dietro la tela. Quella voglia poteva non passare mai, certo, ma si vedeva chiaramente il fatto che quell’eccitazione così mal celata non fosse il frutto di anni passati a posare. C’era da dire, però, che anche se fosse stato il caso, la mia reazione non sarebbe cambiata: l’esperienza poteva rendere un modello più o meno bravo a posare, più fermo e meno rigido nello stesso tempo, ma non per quello non avrebbe meritato modi cortesi o un sorriso di ringraziamento per avermi dedicato del tempo che non sarebbe più tornato indietro, soprattutto se senza compenso, come in quel caso.
    In fondo, la mia modella non mi aveva chiesto niente in cambio della sua performance, ringraziandomi addirittura per averle concesso di essere ritratta. Poche frasi avrebbero potuto farmi pensare con più insistenza di quella che avessi dipinto il primo quadro con la ragazza all’interno, ma non era un problema. L’importante era che la mia opera potesse giungere a compimento quanto prima, anche se la definizione d’importanza, in quel caso come in tutti gli altri, era ben lontana dall’essere assoluta.
    Un inchino maldestro accompagnò le sue parole, cosa un po’ strana per una ragazza che mi era parsa giapponese. Guardandola, convenni che non potesse essere così piccola da non conoscere le buone maniere. Che non fosse giapponese, nonostante il suo nome e la sua pronuncia, che non mi era parsa esotica rispetto a quella di Tokyo, la stessa che, dopo anni di vita in quella città, si era fatta sempre più largo nella mia parlata senza sostituire un leggero accento derivato dal mio unire la cadenza del kyō-kotoba al giapponese durante la prima metà della mia vita? Non era un problema. Certo, quella ragazza aveva qualcosa di strano ed era riuscita a incuriosirmi, ma non gliel’avrei chiesto, non così.
    Mi sarei limitata a ricambiare l’inchino, sorridendole educatamente a mia volta. Era stata gentile e rispettosa con me, quindi, indipendentemente da tutto, ricambiare tale modo di fare sarebbe stato il minimo. Era bello avere una modella simpatica. Pensai per un momento al fatto di essere stata fortunata ad aver trovato una modella così educata senza neanche averlo voluto, poi tornai a concentrarmi sulla mia interlocutrice, che, nel frattempo, aveva deciso di concentrarsi sul quadro.
    Vedere i suoi occhi lucidi e il suo tentativo di mascherare l’emozione fu speciale. Ormai ero abituata ai complimenti e tutti erano bravi a farli, a parole, ma era la prima volta che una mia opera, per giunta incompleta, scatenava questa reazione. Non conoscevo Fuyuko, ma mi era sembrata genuina e ciò mi bastava. Le sfuggirono solo alcuni complimenti a parole, di cui il primo strozzato, e un altro ringraziamento, seppur non sapessi per cosa.
    In fondo, per che cosa mi stava ringraziando? Per averle mostrato un corpo che conosceva meglio di me in un’opera incompleta? Non importava, perché ero riuscita a emozionarla e, da artista, ciò mi sarebbe bastato.
    «Sono davvero contenta che ti piaccia.» Dissi, scaldando un po’ il mio tono di voce senza volerlo. In fondo, l’arte rispondeva a due necessità: soddisfare il bisogno di creare dell’artista e suscitare emozioni in chi avesse visto l’opera. Avevo molto spesso pensato solo alla prima parte, soddisfacendo egoisticamente il mio bisogno di creare ignorando il fatto che le mie opere potessero anche avere un effetto positivo, seppur transitorio, sulle persone. Era bello sapere che un proprio elaborato non fosse apprezzato solo da sé stessi. Ciò non avrebbe cambiato il perché del mio rappresentare, ma sarebbe stato un semplice incentivo, di cui forse avevo più bisogno di quanto mi sarebbe piaciuto ammettere, dopo aver perso il mio primo progetto su commissione ancor prima di averlo iniziato.
    «Posso...posso restare ancora qui? Vorrei vedere come va a finire...»
    «Certamente.» Le risposi, amichevolmente, senza pensarci due volte. Cercai il suo sguardo, ma non lo trovai: lei era impegnata a guardare la mia opera, stando a quanto mi sembrava di capire. Le sorrisi comunque, ritenendo poco importante il fatto che lei mi vedesse o no, poi tornai a concentrarmi sulla mia opera: dovevo cogliere l’attimo prima di essere costretta a completare l’opera affidandomi alla memoria.
    «Ci vorrà un po’, ma mi fa piacere che tu voglia vedere il lavoro finito.»
    Ripresi la colorazione, avendo la massima cura nel curare ogni singolo dettaglio nel modo migliore possibile: a qualcuno importava che la mia opera venisse completata bene e, per quanto ciò non fosse importante, era un ulteriore motivo per terminare al meglio il mio lavoro.
    «Ti è mai capitato prima di posare per qualcuno?» La mia era una domanda retorica: ero più che convinta che quella fosse davvero la sua prima esperienza, ma ormai il silenzio sarebbe stato inutile: ero abituata a disegnare in luoghi pubblici, quindi lei non mi avrebbe dato fastidio. Perché non renderla ancora un po’ più partecipe, quindi, e provare a rendere migliore la sua esperienza come mia modella attraverso un dialogo amichevole?




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    Fuyuko fu davvero contenta di sapere che poteva restare lì a guardare, forse già con il suo sguardo sembrava essersi persa in quel dipinto: avrebbe voluto anche toccarlo per constatare che fosse reale, che lei fosse lì.
    Non le sembrava però carino e trattenne quel gesto, nonostante quel dipinto fosse l'unica prova della sua reale esistenza, perchè si...Yuko non esisteva a conti fatti, sapeva di avere dei documenti, ma non li aveva usati, non poteva viaggiare, nè chissà dov'era andata in quegli anni, solo ultimamente le erano tornati utili.
    Di conseguenza, neanche a casa vi erano foto sue, era proprio come un fantasma, un morto che camminava.
    «Non importa, ho ancora un po' di tempo»
    Disse, prima di dover tornare di corsa a casa, avrebbe fatto tutto di fretta e furia se necessario, ma non voleva perdersi tutto quello: guardava infatti con attenzione, come se non volesse perdersi il minimo dettaglio di quell'opera.
    «No...non mi è mai capitato»
    Ammise, leggermente in imbarazzo prima di poter replicare. «È qualcosa che dovrebbe capitare spesso?» Aggiunse, volgendole finalmente lo sguardo, incuriosito.
    Ma forse era lei quella che non aveva avuto così tante esperienze normali, e poteva essere, visto come non era uscita di casa per tutti quegli anni, non aveva fatto esperienze come tutte le altre.



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    Non appena finii di porre quella domanda, tornai a concentrarmi sulla mia opera, che era, in effetti, il vero motivo per il quale mi trovavo lì in quel momento. Non potevo dire che essa fosse l’unica cosa sulla quale mi stessi concentrando, dato che anche la mia conversazione con Fuyuko richiedeva che dessi anche a lei un po’ di attenzione, ma la mia priorità non era lei. Non al momento, almeno. Avrei dovuto finire il quadro prima di potermi dedicare completamente a lei, sempre che ne fosse valsa la pena. Per il momento ero convinta che quella conversazione meritasse di continuare, ma avrei deciso davvero che cosa fare una volta terminato il mio lavoro. «No...non mi è mai capitato» Ammise lei, con un po’ troppo imbarazzo per quella che era stata una domanda banale. Non le avevo fatto i complimenti per la sua performance, né avevo detto altro che, almeno secondo me, avrebbe potuto scatenare tale reazione.
    «È qualcosa che dovrebbe capitare spesso?» Quella sua domanda, invece che chiarire la sua reazione, leggera ma comunque eccessiva, acuì i miei dubbi sul perché del suo comportamento.
    Era fin dal primo istante di quella nostra conversazione che qualche comportamento della mia interlocutrice mi faceva pensare che in lei potesse esserci qualcosa di strano. Certo, poteva essere semplicemente il suo modo di porsi, ma tutti quei piccoli dettagli, uniti a quell’ultima domanda, mi fecero pensare di essermi ritrovata davanti una persona particolare, seppure non potessi dire né perché, né se ciò fosse o no positivo. La risposta a quella domanda avrebbe dovuto essere subito chiara anche per esperienza personale. Chiunque avrebbe potuto dire un semplice “non proprio” e avere ragione ma, per qualche motivo, lei non l’aveva fatto. Tuttavia, per quanto la cosa mi sembrasse strana e lei mi sembrasse un po’... esuberante, non avevo motivo di preoccuparmi per lei. Potevo avere a che fare con una ragazza semplicemente molto estroversa e un po’ infantile con mille motivi per pormi quella domanda. In fondo, come artista, ero tenuta a sapere più di una persona comune sulle questioni riguardanti il come dell’arte.
    «Dipende.» Le dissi, sorridendo. Non appena ebbi finito un tratto che stavo al momento colorando, mi voltai e feci sì di guardarla negli occhi, almeno per la parte successiva della risposta. «Io sono una paesaggista: molti dei miei modelli neanche sanno di essere ritratti, anche perché, non essendo il soggetto vero e proprio della mia attenzione, non ha importanza che lo sappiano.» Dopo aver controllato un’altra volta il paesaggio che stavo ritraendo e aver cambiato il colore per passare al prossimo elemento dell’opera, tornai a guardare Fuyuko e continuai la mia risposta. «Insomma, se sto disegnando una vista dall’alto non posso scendere da eventuali passanti a chiedere loro se posso ritrarre il loro intero corpo in uno schizzo grande quanto un’unghia, giusto?» Cercai di restare educata con quella battuta: per quanto volessi farle notare quale fosse il mio rapporto coi modelli, di cui lei era un’eccezione che confermava la regola, non volevo di certo che pensasse di aver detto una stupidaggine. In fondo, lei non aveva detto niente di male. Inoltre, mi sarebbe dispiaciuto se lei si fosse sentita presa in giro da quelle parole. Si era comportata bene con me, quindi perché avrei dovuto rovinare tutto?
    «Tu sei un’eccezione, Fuyuko: eri troppo vicina per essere ignorata o ritratta troppo vagamente, quindi mi è sembrato giusto chiedere il tuo permesso.» Feci una pausa, guardandola per un attimo negli occhi senza smettere di tenere quell’espressione amichevole, poi tornai a colorare: avrei potuto parlare liberamente con lei a opera conclusa, ma per il momento era necessario completare il tutto.
    «Altri artisti, invece, ...» Continuai a dire, senza distogliere lo sguardo da dove la mia mano aveva ripreso a muoversi «… chiamano dei modelli apposta per le opere. È il caso dei ritrattisti, per esempio, o di chiunque rappresenti scene ponendo il centro dell’attenzione sui personaggi. Vale anche per gli studenti di varie accademie, ma lì i modelli sono chiamati dall’istituto.» Con quello avevo finito la spiegazione della scelta dei modelli. Pensavo che lei potesse trarre le sue conclusioni da ciò che le avevo detto, ma decisi comunque di riassumere il tutto e di darle la risposta che mi aveva chiesto. «Quindi, appunto, dipende. Questo potrebbe essere il primo paesaggio con te al suo interno come potrebbe essere il decimo. L’unica cosa certa è che è il primo di cui sei a conoscenza.»
    Non dissi altro, continuando a concentrarmi sul paesaggio che non avevo indicato, in quanto ero stata troppo impegnata a continuarlo. La colorazione aveva la priorità, poi sarebbe arrivato il momento di una conversazione faccia a faccia decente. Non sapevo se ciò dispiacesse a Fuyuko, ma lei avrebbe solo dovuto aspettare un altro po’ e il suo fastidio sarebbe stato solo un ricordo.




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    Ascoltò con attenzione ciò che le veniva mano a mano detto, acquistando ulteriori informazioni e consapevolezza che quello che le era capitato non era un caso comune, e ciò la fece sentire più importante, come se fosse una di quelle cose che capitava solo una volta nella vita...e forse nel suo caso sarebbe stato realmente così: quella sensazione, le scaldò il cuore, sebbene ne accentuò la malinconia che sentiva.
    «Immagino di si»
    Ma per una come lei, anche avere l'altezza di un'unghia sarebbe bastato in un quadro del genere: quella tela poteva essere la prova che esisteva, che c'era anche lei su quella terra.
    Che poi l'avrebbero dimenticata, e nessuno avrebbe sentito la sua mancanza...be', era un altro discorso.
    Quelle ulteriori parole le fecero uno strano effetto: non era in senso negativo, quella volta, essere un'eccezione sembrava essere qualcosa di positivo, e la guardò come se le avesse appena detto qualcosa di meraviglioso; Tsukiko non poteva sapere quanto quelle parole, seppur dette accidentalmente, potessero migliorarle la giornata, farla sentire un po' più felice.
    Il sorriso si ammorbidì, ma non volle dire altro, perchè non voleva che scaturissero ulteriore domande...alcune delle quali avrebbero portato a capire la sua reale situazione, o che forse qualcosa non andava, non voleva rattristare nessuno.
    «Mi piacerebbe essere in altri...»
    Non nascose infatti quel desiderio, sarebbe stato come una foto in fondo, ma appunto, non poteva saperlo, anche se era quasi certa che quello fosse il primo, aveva iniziato ad uscire relativamente da pochi anni, non c'erano state molte probabilità di apparire altrove.
    Non staccò gli occhi dalla mano della ragazza che continuava nella sua opera: sarebbe stato bello avere qualche talento piuttosto che una maledizione, le sarebbe piaciuto poter lasciare qualcosa al mondo.
    «Tu ricordi tutti quelli che hai ritratto?»
    Chiese all'improvviso: sebbene non fosse una ritrattista come lei stessa aveva affermato, le sembrava di aver capito che le era capitato in passato di ritrarre anche persone oltre i paesaggi...chissà se quelle persone erano rimaste nella sua memoria.
    In un certo senso, sarebbe stato rassicurante, sentire che forse sarebbe rimasta nei ricordi almeno di qualcuno, invece che completamente dimenticata: era qualcosa di davvero importante per lei, e mai come in quel momento nè fu più che consapevole.


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    Di solito non avevo qualcuno con cui parlare mentre dipingevo. Era passato molto tempo da quando avevo ritratto il mio ultimo modello e, non essendo stata ricontattata per il progetto Megumi, mi ero presto abituata all’avere in sottofondo solo il rumore dei passanti o la musica. Tutto ciò mi aiutava a concentrarmi totalmente su quello che stavo facendo e a guardare solo la tela o il paesaggio che avevo di fronte. Con Fuyuko accanto a me, però, le cose si complicavano: il dover far cadere ogni tanto gli occhi anche su di lei, oltre al doverle rispondere, mi avrebbe fatto rallentare coi lavori, a patto che volessi mantenere la mia stessa precisione.
    Tuttavia, era bello parlare con lei. L’avevo etichettata come una a cui spiegare tutto e capace di emozionarsi per poco. Sembrava un po’ infantile in alcuni suoi atteggiamenti, ma era comunque simpatica e la curiosità, se non eccessiva, era un tratto che ritenevo positivo in una persona. In fondo, essere curiosi era un simbolo d’intelligenza e apertura mentale, cose la cui mancanza sapeva come repellermi.
    «Mi piacerebbe essere in altri...» Disse lei, quando non la stavo guardando. Il suo tono di voce, però, fu più eloquente delle sue parole: non stava mentendo. Farmi da modella doveva esserle piaciuto, a quanto pareva. Non sapevo, però, dove volesse andare a parare: non sarei diventata una ritrattista solo per lei ed entrare più di una volta in un quadro dello stesso paesaggista era solo questione di fortuna. Inoltre, per quanto potesse accadere di nuovo, quante erano le probabilità che lei acquistasse un ruolo di rilievo in un altro dei miei paesaggi, quando già ottenerlo in uno era quasi impossibile? Non volevo rattristarla, ma neanche prometterle il falso. Certo, avrei potuto non rivederla mai più, ma che senso avrebbe avuto farle una promessa che non sarei riuscita a mantenere?
    «Chi ha detto che non possa accadere?»
    Certo, avevo detto che non le avrei mentito, ma non ero l’unica artista di Tokyo: qualcun altro avrebbe potuto trovare in lei la sua musa, ma per me era molto difficile, vista la frequenza con cui mi cimentavo nei ritratti.
    «Potresti provare a informarti su come diventare una modella. Non ne so molto, a dire il vero, ma è sempre meglio di essere ritratte con qualche piccola pennellata o dover aspettare un’occasione eccezionale come questa.»
    Le mie parole avrebbero potuto essere male interpretate, senza il giusto tono, perciò cercai nuovamente di apparire il meno canzonatoria possibile. Tuttavia lei doveva sapere che avrei potuto non prestarmi a ritrarla spesso: non era il mio genere e il non essere stata richiamata per lavorare a Megumi ancora m’infastidiva, nonostante ormai la cosa non fosse più così recente. Certo, sapevo ritrarre, ma preferivo i paesaggi, soprattutto se inanimati o giusto con qualche persona abbastanza lontana da far capire la mia visione del mondo: tutti siamo formiche, nessuno di noi è importante. Eppure la successiva domanda di Yuko sembrava volermi spingere ad ammettere il contrario.
    «Tu ricordi tutti quelli che hai ritratto?»
    Mi sentii come se lei mi avesse letto nei pensieri. Per quanto sapessi che la telepatia esistesse solo in alcuni romanzi la cui traduzione mi era fruttata una buona ricompensa, non potei fare a meno di pensare alla casuale ironia della sorte. La sua era una buona domanda, dati i miei generi preferiti. Avevo avuto meno esperienze di altri, in fondo, ma non ero una novizia.
    Sospirai leggermente, concentrando per un attimo lo sguardo su Fuyuko. «Non posso ricordarmeli tutti.» Dissi, interrompendo subito dopo il contatto visivo per sciacquare il pennello che avevo in mano. «Molte persone che finiscono nei miei dipinti non sanno nemmeno di esserci. Altre nemmeno vengono ritratte perché credo che il paesaggio stia meglio senza, mentre certe volte ne metto io di fittizie dove credo che stiano bene.»
    Nel mentre avevo cambiato colore e ripresi a guardarla negli occhi. «E per quanto riguarda i ritratti, tra persone e personaggi ne ho fatti abbastanza da perdere il conto. Ormai solo quelli davvero particolari sopravvivono: i migliori, i peggiori, i più belli o quelli che hanno avuto modo di lasciare il segno.»
    Non avevo dato un nome a tutti i personaggi nelle opere ispirate a qualche manga yuri che avevo fatto da adolescente, né avevo mai visto un motivo per farlo. Alcuni personaggi sarebbero rimasti senza nome per sempre perché darglielo non avrebbe avuto importanza, così come ricordarsi di tutte le persone che avevo ritratto. Per quanto ne sapevo, potevo aver immortalato persone ormai decedute, sfigurate o totalmente diverse dai volti che avevo disegnato e non reputavo importante sapere come stessero. Certo, alcuni erano rimasti vividi nella memoria, ma quasi mai per l’opera in sé. A meno che si trattasse dei miei capolavori o delle mie opere peggiori, ricordavo solamente chi era stato particolare come persona e aveva meritato quel trattamento. Era vero, per me, che le persone dimenticassero tutto tranne come qualcun altro le avesse fatte sentire.
    Mi sarei ricordata di Yuko? Solo il tempo avrebbe potuto dirlo. In fondo, il dipinto in cui l’avevo inserita mi piaceva era nella media tra i miei lavori, ma la sua curiosità e i suoi modi energici avevano qualcosa di unico, sebbene non sapessi ancora dire che cosa. Non era però quello il momento di trarre conclusioni, bensì di concentrarsi sia sull’opera ancora da completare, sia sulla mia interlocutrice, ancora vicina a me.
    «Neanche tu ti ricordi i volti di chiunque incontri per strada, a meno che non siano particolari, giusto?»




    «Parlato»
    "Pensato"
    «Parlato di Fuyuko»

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    Si sorprese: poteva accadere di nuovo? Be' quello era forse, questione di fortuna, e lei per certi versi ne era sprovvista.
    «Sarebbe divertente» Rispose con un sorriso, non aveva idea di come fare o dove chiedere in realtà, ma da una parte, temeva di avere sempre meno tempo.
    Non voleva rattristare la ragazza che era stata così gentile con lei, poi magari se avesse saputo della sua maledizione sarebbe scappata via...e voleva evitarlo.
    Le persone avevano sempre paura di cose del genere, ed era stata convinta che fosse così ovunque e sempre, ecco anche il perchè Yuko non andava a dirlo in giro con facilità.
    Non era però certa che l'avrebbero mai presa, insomma...era una dilettante, una sconosciuta...chi avrebbe voluto prenderla come modella? Un po' la cosa la rattristava, ma allo stesso tempo era contenta di essere riuscita ad apparire in un quadro dell'altra, forse sarebbe rimasta nella sua memoria.
    «Capisco...» E aveva la sua dose di ragione, eppure per Yuko il ricordo era qualcosa di così importante, che quasi si sentiva stupida, perchè qualcuno avrebbe dovuto ricordarla?
    Non era stata praticamente nessuno di importante, o almeno, era quello che continuavano a dirle.
    «Be'...è vero...non li ricordo tutti...ma cerco di sforzarmi» Ammise, timidamente, non che ne incontrasse così tante di persone, certo negli ultimi anni aveva visto così tante persone che quasi si chiedeva se fosse possibile essere così tanti in quel mondo, e di certo non poteva ricordarli tutti...ma se c'erano incontri particolari, come quello, allora per Yuko era tutta un'altra storia.
    «Io credo che mi ricorderò di te» Le sorrise, con tranquillità e serenità, e non era una bugia, alla fine, ai suoi occhi era stata una persona gentile, che si era messa a parlare con lei, che in qualche modo si era sforzata, che non era scappata via, che l'aveva addirittura immortalata come in una foto.
    In qualche modo, era esistita, seppur per poco tempo.
    Era una cosa importante per lei, sebbene Tsukiko non poteva saperlo.


    «Parlato»
    ''Pensato''


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