To be or not to be...an Onishi?

[CONCLUSA] MILO ONISHI & SHINSUKE ONISHI - HOOTERS (PUB AMERICANO) - 12/04/2019 MATTINA (DALLE 13.00), TEMPO SERENO 20°C)

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    Una nuova giornata estenuante in quello che sembrava essere il suo perenne incubo: la cosa che rendeva Milo ancora più nervoso? La compagnia di un suo parente. Aveva sempre avuto un rapporto molto conflittuale con tutta la famiglia Onishi, ma si sarebbe dovuto aspettare che si sarebbe ritrovato qualche parente addirittura nella stessa squadra.
    Si chiedeva infatti, perchè continuassero a crescere come famiglia, ma non si doveva sorprendere visto come insistevano con domande scomode alle '''riunioni''' di famiglia riguardante la sua vita privata, come se si aspettassero che in quanto primo figlio del suo defunto padre, portasse già felici novelle su un matrimonio.
    Gli veniva il nervoso solo a pensarci.
    Ah! Se avessero saputo...no, meglio che questo non accadesse mai, aveva una vaga idea di come sarebbe andata a finire.
    ''TGIF'', pensò il ragazzo, massaggiandosi una tempia: il suo lato americano non cessava di influenzarlo nella maggior parte delle cose che faceva, era decisamente anomalo come giapponese, per quanto ci fosse nato in quella nazione, si sentiva molto più affine alle radici americane della madre newyorkese.
    Meno male davvero che era venerdì, non vedeva l'ora di correre da una certa persona...e passare un bel weekend lungo in sua compagnia, si, la sola idea lo rilassava maggiormente.
    Quei verbali poi, erano una vera spina nel fianco, noiosi da morire, e se avesse potuto, Milo li avrebbe bruciati tutti...la carta era un ottimo modo per fare calore, ma non era quello il giorno purtroppo viste le alte temperature all'esterno.
    Aveva alzato qualche volta, nel corso della mattinata, lo sguardo su quello che era suo cugino Shinsuke Onishi: più grande di lui di quattro anni, quel tipo aveva qualcosa di strano, era solo una sensazione...o forse semplicemente, il fatto che nonostante tutto fosse sempre gentile con lui lo straniva: oltre un altro suo cugino, suo fratello e sua sorella, di solito aveva sempre scontri con quasi tutti gli altri Onishi.
    Avrebbe dovuto comprendere, forse, che non tutti gli Onishi erano da bruciare vivi.
    La cosa che però rendeva la situazione per lui più strana ancora, era che quella non era stata la prima volta che in passato aveva incontrato il cugino, c'era sempre stata una strana atmosfera quando parlava con lui.
    Il suo sguardo poi, cadeva più volte sull'orologio presente in quella stanza: c'era silenzio, Milo parlava solo se interpellato o se necessario, come suo solito. Era quasi ora di pranzo, non vedeva di avere lo spacco per poter mangiare qualcosa! Come sempre, sarebbe andato fuori a mangiare, più tempo passava fuori da quella gabbia di matti, più ne guadagnava la sua salute mentale.
    Non ci teneva a fare comunella con i suoi compagni di squadra, per quanto Junichi gli avrebbe potuto dire che invece, si sarebbe dovuto aprire di più: e lui, ogni volta, gli ricordava che non aveva voglia di avere a che fare con persone che uccidevano quelli come lui...un controsenso che lui ne facesse parte. Era tutto così dannatamente complicato.
    Nel momento esatto in cui l'orologio scoccò l'una, segno della pausa pranzo, Milo si alzò dalla sua postazione, riordinando in pila il lavoro che aveva fatto e lasciando quello che avrebbe finito una volta tornato.
    «Vado a pranzo, ci vediamo dopo»
    Non lo avesse mai detto! Anche perchè non sapeva cosa era successo, quali congiunzioni astrali o quale strano karma, lo avesse fatto ritrovare poco dopo ad uscire con suo cugino Shinsuke per pranzo: c'era da dire che lo aveva bloccato subito, proponendogli di andare a pranzare fuori insieme, facendo ritrovare Milo in una di quelle scomode situazioni, imbarazzanti e familiari, che cercava sempre di evitare con tutto se stesso.
    Avrebbe voluto dire un secco ''no'', ma alla fine si era trasformato in un ''si'', si stava ancora chiedendo come fosse stato possibile, forse era stata anche la curiosità celata dentro Milo verso lo strano cugino ad averlo influenzato.
    Inoltre, sembrava gentile.
    Un elemento che turbava profondamente Milo, convinto fin dentro le viscere di poche cose carine sulla sua intera famiglia. Non era abituato a giocare all'allegra famiglia, nè aveva intenzione di farlo.
    Eppure per quanto sembrasse assurdo, anche l'altro aveva avuto le sue motivazioni per accettare alla fine quella situazione: aveva dunque proposto di andare da Hooters, un pub di impronta americana e che era nel loro stesso quartiere. Avevano abbastanza tempo per andare comodamente e tornare con altrettanta comodità, necessitava urgentemente di quelle ore d'aria.
    Di nuovo, sentiva il disagio iniziare a salire prepotentemente, insieme ad un nodo allo stomaco: sperò che un panino o delle ribs gli avrebbero aperto lo stomaco tanto da farlo anche parlare...sarebbe stato ancora più imbarazzante rimanere in silenzio, Milo non era uno timido, per nulla, era solo molto diffidente.
    «Ecco, quello è il posto...spero ti piaccia la cucina americana» Commentò, era qualcosa di completamente diversa dalla cultura giapponese o cinese, ma era allo stesso modo molto diffusa in tutto il mondo.
    Aveva un gran bisogno di alcol, una birra bella fredda...peccato che fosse comunque in servizio, sebbene in pausa, non ci avrebbe fatto una così bella figura, dunque gli toccava rimanere lucido per tutta la durata della situazione.
    Spinse la porta del locale, per poter entrare, sentendosi già un po' più a casa.


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    Era stato bravo, era stato paziente, aveva mantenuto sempre quel profilo basso che aveva scoperto essere bene portarsi addosso da appena ufficialmente imposto il suo destino, quello che colpiva inesorabilmente ogni portatore del cognome. Non gli era mai pesato, in effetti, aveva goduto dei benefici che portava sin da piccolo e scontato il prezzo che veniva richiesto. Era, dopotutto, la vita di ogni Onishi, giusto?
    Quel mantra in realtà non gli era mai piaciuto, però aveva capito presto che era bene non rivelare mai il proprio pensiero personale, in particolar modo se diverso.
    Sii bravo, sii paziente, mantieni un basso profilo, studia, osserva, dimostra e guadagnati il tuo posto.
    In un certo modo il suo personale mantra si sposava abbastanza bene con le richieste della zia (e del nome di famiglia), ma era il caso di non far sapere quanto quelle richieste potevano portare anche ad un risultato ben diverso da quello sperato. I perfetti burattini, talvolta, non sono veri burattini.
    Studia, preparati, impara a combattere, fai carriera. Seguendo il percorso tracciato da altri per lui, aveva anche studiato con attenzione i volumi conservati nella biblioteca di villa Onishi, alcuni con attenzione quasi religiosa, per capire e imparare.
    I tanto desiderati progressi di carriera non erano però giunti in maniera repentina: veniva fatto quanto andava fatto, veniva prestata attenzione al dovere e alle regole, veniva dato rispetto e il giusto quantitativo di socializzazione, mai troppa, mai invadenza della vita personale altrui, neppure quella dei parenti. Fino a quel momento.
    Era stato riservato nell'osservare Milo al lavoro, senza dargli in effetti un'attenzione diversa da quella dedicata agli altri della squadra e appena più alta rispetto a quella dei componenti degli altri team e del resto della CCG. La normalità, insomma, che sarebbe continuata ad essere tale anche in seguito.
    Di diverso però aveva chiesto a Milo compagnia per la pausa pranzo, magari non in mensa, magari fuori dall'edificio della CCG, magari in un posto scelto proprio dal parente. In conclusione erano finiti in un locale americano, di una catena che si era spinta fino a Tokyo, come altre, con la sua atmosfera informale e le cameriere in maglietta aderente e shorts. A suo modo era affascinante, come il menu, ma non era così strano visto che ormai da tempo immemore occidente e oriente si erano mescolati e cercavano a vicenda di allargare la conquista, soprattutto con la cucina.
    «Non mi dispiace cambiare ogni tanto, è una valida alternativa.»
    L'accenno di sorriso era rimasto per tutto il tragitto, alla fine non c'era neppure ragione per affrontare strada facendo le tediose argomentazioni di circostanza: entrambi sapevano come era il tempo, entrambi sapevano come era stato il lavoro la mattina, entrambi sapevano che cosa avrebbero dovuto fare al pomeriggio. Insomma che senso aveva dire cose ovvie e dare l'obbligo ad un altro di rispondere cose ovvie? Meglio pazientemente aspettare di trovarsi comodi per affrontare quella che era in effetti la vera ragione per cui Shinsuke aveva lanciato quella proposta di pranzo insieme.
    Il locale poi non sembrava troppo affollato, forse perché a pranzo la maggioranza dei lavoratori della zona prediligevano qualcosa di più tradizionale e rapido, senza doversi cimentare con un bell'hamburger o una montagna di patatine.
    Trovare posto quindi non fu difficile, una volta seduto e menu alla mano, c'era l'indecisione solo di mostrare quanto già conoscesse di quelle pietanze e quanto invece fosse per lui sconosciuto.
    «Ogni volta l'indecisione è tanta, tu sai già cosa prendere?»
    All'interno delle mura del loro posto di lavoro si respirava il rispetto, profumato fino alla nausea con gradi e attenzione del caso. A villa Onishi era il caso di non parlarne neppure, l'aria era proprio satura di regole e rispetto, tranne in quegli incontri in biblioteca, quando scopriva che ad un'altra persona interessava un particolare diario e che questo gli era costato un tempo incalcolabile per studiarlo.
    Educato, gentile, ovviamente i toni usati allora erano gli stessi del presente per Shinsuke, così come si permetteva senza tanti preamboli di usare modi colloquiali per parlare con il cugino, soprattutto quando si trovavano fuori dall'ufficio e dall'aura del loro cognome. Lì erano solo due colleghi a pranzo insieme, casualmente parenti.


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    C'era qualcosa di non detto nell'aria, o forse era solo Milo a sentirsi in tensione, a disagio, con un parente? Già i pranzi a villa Onishi li odiava, e finivano sempre con lui la maggior parte delle volte ubriaco e arrabbiato che litigava con qualcuno di loro sotto lo sguardo divertito dei più anziani...sperava di non arrivare a quei livelli, non poteva neanche bere, era comunque in servizio... ogni volta che si parlava della sua famiglia infatti cercava di andare con i piedi di piombo.
    L'altro però, gli dava una strana sensazione, non sapeva cosa fosse, era stata quasi istintiva come cosa... non aveva intenzione però di chiederglielo direttamente, o di iniziare qualche discorso con le solite frasi convenevoli ma...di cosa poteva parlare con lui?
    Già il fatto che non fosse restio a provare la cucina americana era un punto a suo favore: di solito nessuno sembrava apprezzare quella parte di sangue misto che era in circolo nel corpo di Milo e dei suoi fratelli.
    Lui era rimasto neutrale, o quanto meno ci provava, non voleva far vedere quanto in realtà fosse teso: il sorriso tranquillo dell'altro però un po' poteva dire lo mettesse in soggezione.
    Appena erano entrate le ragazze in pantaloncini e maglietta aderente li avevano accolti e fatti accomodare ad un tavolo: sembrava anche conoscere alcune di loro visto che non era la prima volta che veniva in quel posto.
    Aveva infatti salutato con cenno prima di sedersi, in silenzio, dando ogni tanto delle occhiate al cugino...odiava quella situazione imbarazzante, si, perchè lui non era proprio il parente giusto con cui andare a pranzo fuori, non credeva neanche di essere di compagnia, ma invece era accaduto.
    Aveva preso il menù quasi perchè distratto dall'osservare i movimenti del cugino, come se temesse di essere attaccato da un momento all'altro, anche se sapeva già bene cosa prendere, e fu lui infatti a prendere la parola, risvegliando Milo dalla sua troppa concentrazione.
    «BBQ Ribs» Aveva detto istintivamente, forse non era esattamente la migliore presentazione con un parente farsi vedere mentre divorava della carne in quel modo, o imbrattato di salsa bbq, ma aveva avuto quel pensiero fisso per tutta la settimana, non si sarebbe trattenuto per quella ragione.
    Di solito infatti mangiava da solo, e trovarsi in quel locale con qualcuno era alquanto strano...
    «E una coca cola...la carne qui la fanno davvero bene» Suggerì sforzandosi di scacciare via il disagio e comportarsi quanto meno come una persona educata invece di ignorare qualsiasi conversazione come avrebbe desiderato: infatti in quel momento avrebbe voluto correre via a gambe levate.
    Il cugino d'altro canto, sembrava tranquillo, però proprio perchè era un parente non lo faceva sentire a suo agio.
    «Pensavo anche a delle patatine da prendere prima» Per quanto fosse magro come un chiodo, Milo era un tipo che mangiava davvero tanto e anche molte schifezze, dunque non si sarebbe trattenuto dal mangiare anche le patatine...sebbene avrebbe optato anche per gli anelli di cipolla e le wings piccanti, ma forse era meglio andare per gradi, sennò rischiava di addormentarsi sulla scrivania e avevano ancora una miriade di cose da fare dopo!
    «Non hai mai provato quindi questo tipo di cose?»
    Gli venne da chiedere, nonostante tutto, più per curiosità personale, era anche un modo di capire meglio che tipo fosse, come si sarebbe posto nei suoi riguardi: aveva delle strane sensazioni verso l'altro, non se l'era tolte di dosso da un momento in particolare in cui si erano incontrati in passato...forse dalla prima volta che si erano visti, e non sapeva spiegarsi perchè, ne a togliersi quella sensazione di dosso.
    Apprezzava dell'altro però, nonostante Milo fosse diffidente di natura oramai, la gentilezza, e il modo informale che usava con lui, finalmente non doveva usare toni troppo formali...era davvero difficile per lui seguire quel tipo di regole, forse davvero troppo influenzato dalla parte americana della madre, e dalla sua educazione: gli avevano rimproverato spesso di essere poco giapponese e troppo americano, ma che non era colpa sua, ma della donna che nonostante tutto aveva provato a crescerlo in quell'inferno di famiglia.
    E quella era davvero una delle cose che lo facevano incazzare più di tutte.
    Non sembrava quella l'occasione però, Shinsuke, da quel poco che aveva capito, sembrava una persona più...moderata? Riservata? Anche lui lo era, forse troppo. Milo aveva eretto un vero e proprio muro e di questo ne era perfettamente consapevole.

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    Il drammatico momento della scelta era giunto, il menu aperto e l'elenco di alternative scorreva sotto lo sguardo attento dei nostri eroi.
    Un tripudio di pietanze dall'origine estera, ciascuna con i suoi pro e i suoi contro. Ciascuna capace di tentare con suadenti note di gusto, sapori e profumi invitanti (o magari per nulla).
    La cosa che ancora Shinsuke non aveva rivelato era che non era del tutto neofita del luogo e della cucina proposta, ma domandare cosa l'altro avrebbe preso era sia un modo per alleggerire la palpabile tensione nell'aria che sperare in una sorta di suggerimento.
    «Ah, le costolette...»
    Ricoperte di deliziosa salsa barbeque, con quell'aroma speziato e glassato.
    Aveva annuito nel ripetere con altre parole la pietanza scelta da Milo. Comprendeva pienamente quella decisione e, viste le origini in parte americane, supponeva che già fosse un accanito frequentatore di posti simili, se non altro per non soccombere totalmente al regime giapponese a cui la famiglia era piuttosto fedele. Quel cognome, in patria, era pur sempre forte.
    Per quanto lo riguardava la questione era diversa, ma rientrava in quella corrente giapponese più moderna e capace di uscire dalla sfera estremista e tradizionale.
    «C'è un locale di questa catena anche a Ginza, mi è capitato di andare in quello un paio di volte.»
    Più che altro nei giorni liberi, in quelli lavorativi frequentava quasi sempre la mensa della CCG, salvo in occasioni particolari in cui anche lui aveva bisogno di prendere fiato e respirare aria diversa.
    «In effetti la prima mi sono cimentato con le ribs, però cerco ad ogni occasione di provare qualcosa di nuovo, a meno che non abbia gole particolari.»
    In effetti l'occhio era alla fine giunto sulla pagina dei dolci, prima ancora di aver trovato la portata principale da affrontare. Il salato poteva aspettare, magari così l'indecisione sarebbe stata meno ampia.
    «E di sicuro proverò la pumpkin cheese cake oggi...»
    Compresa di gelato alla vaniglia ad accompagnarla.
    Sollevò lo sguardo dal menu, come sentisse il bisogno di mostrare quanto ritenesse importante, al punto di cercare il contatto visivo diretto, le parole che stava per dire.
    «Ho sempre pensato che prima di avere una valida opinione su qualcosa, è bene conoscerla almeno in parte per esperienza diretta.»
    Non solo nel cibo, naturalmente, che senso aveva parlare in generale qualora l'argomento fosse stato solo alimentare? C'era di più in quella frase, molto di più.
    Tornò a squadrare con intensità le voci nel menu, fino ad un cenno di soddisfazione col capo e un sorriso convinto.
    «Oggi penso proverò il sandwich in stile texano con carne e formaggio, deciso.»
    Prima o poi avrebbe provato anche il pretzel con la salsa al formaggio, ma aveva già il dolce e prevedeva le patatine ad accompagnare quel panino, già si sarebbe trovato ad affrontare troppe cose. Le occasioni per togliersi qualche altra gola ci sarebbero state in futuro.
    Ah, e una cola naturalmente, come poteva evitarla? Non era sicuro di quanto le vere tradizioni americane fossero rispettate in quel posto, ma quelle commercialmente riconosciute si potevano seguire.


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    Rimase sorpreso quando apprese che non era la prima volta che andava in quel locale, sebbene in un luogo diverso, non lo faceva un tipo che provava altro che non venisse propinato dalla cultura giapponese o proprio dagli Onishi stessi, che rimanevano piuttosto legati alla cultura del posto.
    Quel tipo gli dava strane sensazioni, e la cosa non sapeva come interpretarla.
    Non erano a lavoro era vero, erano in pausa fuori dagli uffici, ma era pur sempre un altro Onishi con cui stava parlando: loro che avrebbero dovuto portare avanti la politica di sterminio ghoul, e non era certo di riuscire a trattenere il fastidio se si fosse rivelato come tutti gli altri della famiglia...era diciamo normale per Milo diffidare subito dell'altro.
    Non poteva fidarsi di nessuno, sopratutto se quel qualcuno aveva il cognome Onishi...come minimo, lo avrebbero ucciso e fatto passare come incidente piuttosto che far uscire che uno di loro frequentava un ghoul, quanto disonore avrebbe portato altrimenti...con stronzate simili ci conviveva da anni oramai.
    Ancora, pensò che sua madre avesse fatto bene a darsela a gambe appena aveva potuto.
    «Non lo avrei mai detto»
    Ammise, candidamente, e senza nascondere la sua sorpresa di quello che aveva appreso: era però vero, o forse era un modo per cercare di far abbassare la sua guardia? Quell'eventualità lo metteva ancora piuttosto sul chi va là, che cercava di far passare come semplice riservatezza..non poteva mica mostrare il suo odio sviscerale per la sua stessa famiglia come se niente fosse.
    Gli venne istintivo sorridere, con una punta quasi di malinconia a ciò che disse: non potè controllarlo, perchè gli riportò un bel ricordo in mente, uno dei pochi che aveva avuto nella sua infanzia e con sua madre tra l'altro. La pumpkin cake, insieme ad altre ricette, era passata tra le mura di casa sua visto che sua madre ci teneva a far tenere in vita alcune delle tradizioni della sua parte americana.
    Sua madre gli ripeteva spesso che era fiera di essere Americana e che nulla lo avrebbe cambiato, così come lui doveva essere fiero di ciò che era, perchè se solo avesse potuto, avrebbe potuto prendere il meglio di entrambi i mondi: belle parole, peccato che non era realizzabile secondo Milo stesso. Sua madre lo sopravvalutava.
    «Mia madre la cucinava spesso quella torta... credo l'avesse portata qualche volta a qualche pranzo di famiglia, ma non l'hanno mai apprezzata molto...»
    Disse, ricordando come sua madre aveva cercato di integrarsi in una famiglia così tradizionalista come la loro, ma che era sempre stata in qualche modo respinta. Ricordava di aver sentito alcuni chiamarla ''l'americana'' o figlia dei fiori, cosa che perfino da piccolo gli aveva sempre dato fastidio.
    Dunque con quell'affermazione si riferiva alla torta o alla madre? Ad entrambi probabilmente.
    Alzò lo sguardo a ciò che disse poco dopo: stava cercando di dirgli qualcosa? Istintivamente fu scettico con quelle parole: voleva proprio vedere se sarebbe rimasto dello stesso avviso se avesse conosciuto la verità su di lui.
    Il ragazzo ne dubitava fortemente.
    Proprio non si fidava eh?
    «Sempre se sei disposto a farla l'esperienza diretta» Commentò, forse era una frecciatina alla loro famiglia? Forse. «Molti lo dicono ma poi quando viene il momento si tirano indietro, dimostrando esattamente ciò che realmente pensano...è facile parlare» Aggiunse, prima di sorridere placidamente. «Ovviamente immagino che tu sia l'eccezione» Ironia velata? Forse.
    Voleva metterlo alla prova? Probabile. Era sulla difensiva ? Assolutamente si.
    Non si sentiva al sicuro, gli stava scomoda quella situazione.
    Sentiva che c'era più di una cosa non detta, e forse con quel suo atteggiamento passivo-aggressivo non rendeva facile la situazione.
    Quando il cugino espresse la sua preferenza su ciò che avrebbe voluto mangiare, ecco che Milo era già pronto ad ordinare, tanto da far cenno ad una delle cameriere, ed elencando ciò che volevano, per il dolce ci sarebbe stato tempo dopo, perchè ora anche a lui era venuta di pumpkin cheesecake...dannazione.
    «Mi ha sorpreso il tuo invito a pranzo»
    Ammise, mettendo in tavola una velata domanda, ovvero ''perchè?''. Cos'era che in realtà c'era sotto? Cosa voleva da lui? Pensava di fare comunella con lui? Avrebbe trovato pane per i suoi denti, visto il livello di allerta che lo stesso Milo aveva, andava d'accordo davvero con pochi, teneva buon viso a cattivo gioco in famiglia, nascondendo ciò che realmente pensava...forse era esagerato anche per lui fare di tutta l'erba un fascio: inconsapevolmente stava agendo come la sua famiglia, non voleva conoscere i dettagli, non pensava che qualcuno potesse essere diverso.
    Stava facendo lo stesso errore forse al contrario? Fino ad ora però, lo stesso Milo non aveva avuto nessuna prova di doversi ricredere.


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    Non avrebbe mai percepito come offesa quando qualcuno che, conoscendo la famiglia in cui era cresciuto, trovava particolare che fosse aperto anche alle altre culture. In realtà dava per scontato che quel cognome creasse in generale la convinzione che tutto per loro doveva essere perfetto, ligio a regole e doveri, affine alle convinzioni comuni di bene e male.
    In effetti erano state ben presenti le dimostrazioni in cui le diversità non erano accettate, al massimo sopportate.
    «L'importanza delle tradizioni, dimenticando sempre che anche quelle dovrebbero evolversi con il resto del mondo.»
    Era una delle cose che, nel concreto, infastidivano maggiormente Shinsuke della famiglia e non solo. Rimanere ancorati a vecchie credenze o solo a parti di esse, quelle che si reputano le uniche degne, senza valutare l'insieme delle cose, senza concepire evoluzione e progresso. Come si poteva andare avanti se non si era disposti ad andare davvero avanti?
    Senza contare il fatto che non poteva esistere un'unica verità in un mondo così vario. Motivo per cui preferiva osservare, studiare e possibilmente provare personalmente le cose, prima di maturare un'opinione degna di tale nome e, soprattutto, prima di esprimerla.
    In generale, ma anche nel mangiare.
    «Non mi piace definirmi eccezione, non credo di essere l'unico. Semplicemente non mi piace giudicare cose e persone solo in base ad una sensazione a pelle o a quanto gli altri mi dicono.»
    Già, il fatto che altri decidessero cosa doveva lui trovare giusto o sbagliato era insopportabile, ma per anni era rimasto in silenzio, senza ribellarsi, ma senza davvero accettare le imposizioni. Per un obiettivo superiore era necessario sacrificare qualcosa, di questo ne era convinto, ma non aveva avuto modo di mostrare a nessuno che questa era la sua idea.
    Avendo entrambi deciso cosa ordinare, Milo si premurò di richiamare l'attenzione di una delle ragazze e tutte le varie voci furono segnate.
    Avevano l'attesa da ingannare, prima per le bevande e poi per avere le pietanze servite. Era davvero un pranzo diverso dal solito e Shinsuke comprendeva quanto quella proposta avesse sorpreso il cugino.
    «E ti chiederai come mai ora, anche se per anni ai pranzi di famiglia sono sempre rimasto in disparte e non sono mai stato l'emblema della socialità.»
    Ai pranzi, come in biblioteca, dove al massimo si era esposto con qualche commento criptico su quanto i diari dell'avo Onishi fossero interessanti. In effetti voleva anche riparlare proprio di quell'argomento, più limpidamente stavolta.
    Non era l'unico scopo in realtà, ce n'era uno più ampio e altrettanto complesso da affrontare con qualcuno che dimostrava ampia diffidenza in chiunque.
    «Penso che la cosa migliore da fare in questo lavoro sia creare almeno una decente collaborazione con qualcuno della squadra, visto che lo spirito di gruppo non rientra nella tanto amata tradizione ed è palese sia piuttosto fittizia.»
    Non era passato inosservato che Milo tendesse a starsene sempre in disparte, comunicando solo l'indispensabile e inerente al lavoro, che evitasse di frequentare per svago i luoghi della CCG. Insomma era palese che fosse solo l'obbligo di famiglia a tenerlo lì, ma questo poteva essere controproducente sotto molti punti di vista.
    E poi c'era da chiedersi il perché lo facesse, ma qualche ipotesi, osservando, Shinsuke anche se l'era fatta. Una semplice in realtà, ovvero il non condividere l'opinione di famiglia sul mondo in cui vivevano. Se vero, sarebbe stato un punto in comune tra loro due.
    «Il fatto che siamo parenti non è importante in questo, semmai può esserlo il fatto che abbiamo entrambi provato particolare interesse per certi diari, quelli più ignorati da tutti. Mi stupisce che non siano ancora stati bruciati, visto cosa contengono e quanto possono minare le tanto amate tradizioni.»
    Era un argomento spinoso e di certo non intendeva alzare troppo la voce nell'esprimerlo. Il tono era rimasto inalterato frase dopo frase, tranquillo e pacato, quasi il discorso fosse interamente sul bel tempo che splendeva fuori dal locale e il sole caldo della primavera.


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    ''Dillo alle alte sfere...'' Pensò Milo: era d'accordo sul fatto che le tradizioni dovevano essere svecchiate, come tipo tutta la loro famiglia e il mondo che avevano creato...dicevano che il fuoco purificava, così, tanto per dirne una.
    Era meglio che il cugino non sapesse quali pensieri percorrevano la mente del ragazzo, anche perchè non sarebbero stati affatto lusinghieri per loro famiglia, ma era ben consapevole di doverseli tenere per sè.
    Rimase stranito da quella frase però...voleva forse far intendere che lui non approvava certe tradizioni di famiglia? Parlava in modo criptico, difficile da far intendere le reali intenzioni...poteva pure essere un modo per mettere alla prova la fedeltà stessa di Milo come membro effettivo della famiglia, si sentiva quasi in gabbia.
    «In effetti si, me lo stavo giusto chiedendo» Ricordava come l'altro fosse in disparte, un po' come cercava di fare lui, anche se spesso con scarso successo, la maggior parte delle volte finiva ubriaco o comunque mostrava la sua aggressività litigando o anche facendo a cazzotti con qualche cugino. Per fortuna veniva sempre vista come ''sono ragazzi, lasciateli sfogare'', ma se avessero saputo le vere intenzioni del ragazzo dubitava che lo avrebbero detto con facilità nuovamente.
    «E quindi io sarei il fortunato vincitore di questa tua oculata scelta?» Commentò ironicamente, a braccia conserte, no, decisamente non gli piaceva la cosa, non si fidava per niente.
    Poteva scegliere chiunque altro, certo due Onishi in una squadra era piuttosto significativa come cosa, se solo avessero voluto con quel cognome in due avrebbero potuto dettar legge o spaventare i novellini, ma non era ciò che interessava a Milo.
    Anzi, meno aveva a che fare con quel posto e con la sua famiglia meglio per i suoi poveri emboli, che sembravano pronti ad esplodere, ma erano in un locale pubblico, anche questo limitava lo stesso Milo da reazioni esagerate.
    In parte oltre al già programma di andare lì, pensava che un luogo pubblico fosse in qualche modo una sicurezza ulteriore, non potevano fare passi troppo falsi, scomodo per entrambi forse, ma necessario per avere una protezione in più.
    Quando poi tirò fuori i diario, Milo si irrigidì: aveva forse fatto qualche passo falso? Eppure sapeva bene di quali diari stesse parlando, sopratutto uno in particolare... qualcosa che gli Onishi avevano ben pensato di non divulgare, se non solo le parti che facevano comodo a loro, una verità scomoda per il loro regno di terrore, o almeno era come lo considerava Milo.
    Per lui non era un regno pacifico dove loro erano i paladini della giustizia, da tempo Milo credeva di essere dalla parte sbagliata della guerra.
    Perchè era quello che era: una guerra, e sarebbe finita, secondo la sua buia visione delle cose, in qualcosa di tragico, dove probabilmente si sarebbero distrutti a vicenda, e in parte pensò che se lo meritavano davvero.
    Fu però a quelle parole che scattò sulla difensiva più di prima: le parole di Shinsuke erano pericolose, insieme a ciò che aveva detto prima creava un quadro che sarebbe stato anche troppo bello per essere vero.
    «Mi prendi per il culo?» Sibillò, non proprio felice, era nervoso adesso, e lo stomaco gli si stava chiudendo inesorabilmente. Stava odiando quella situazione e addio alla finezza in quel frangente. Non poteva mettersi in pericolo così, davanti a delle costolette di salsa bbq. «Che cos'è? Un test?» O almeno quella era la prima cosa che gli venne in mente, non poteva insinuare ciò che stava realmente pensando Milo, sarebbe stato come ammettere che forse non tutti gli Onishi erano da bruciare vivi.
    «Ti rendi conto di quello che stai dicendo?» Disse, a voce bassa, quasi a denti stretti, insomma, si stava iniziando ad esporre? E se era un modo per ricattarlo poi?
    Ah, come pensava bene dei propri parenti!
    «Cosa ti aspetti che risponda? Sono solo dei diari? Se stai cercando di fregarmi questa cosa non mi piace ti avverto» Come avrebbe potuto fidarsi così su due piedi? Non poteva negare però che avvertiva una strana sensazione provenire dall'altro, e di solito, il suo istinto non sbagliava.
    Ciò però significava fidarsi un pochino dell'altro e Milo non era ancora pronto a farlo.
    Ammettere qualcosa del genere poteva significare la sua fine, voleva proteggere Junichi ad ogni costo e di certo non si sarebbe fidato del primo parente che inneggiava a cambiamenti di tradizioni.
    Avrebbe dovuto chiudere gli occhi e fidarsi? Per com'era paranoico Milo? Cercò di capire dal suo sguardo se mentiva, come se cercasse dentro di sè una disperata conferma che infondo, tutto ciò fosse vero, di aver trovato qualcuno che avesse un punto in comune con lui, anche se non lo avrebbe ammesso così facilmente.


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    Per quanto gli dispiacesse essere causa di quelle scariche di nervosismo, riteneva necessario affrontare l'argomento e soprattutto in terreno neutrale: un locale pubblico era di gran lunga meglio delle cene in famiglia o del luogo dove lavoravano.
    Soprattutto essendo solo in pausa e con in previsione un pomeriggio di lavoro, nessuno dei due si poteva dare all'alcol ed era una fortuna. Milo aveva dato negli ultimi raduni Onishi dimostrazione di quanto la sua resistenza dipendesse anche da quella componente. Non che fosse poi così esagerato, persino Shinsuke sapeva esistere gente peggiore, ma non si risparmiava neppure troppo.
    Chi poi non avrebbe avuto di una buona dose di gradi in corpo per resistere a tutta l'ipocrisia che girava in quella casa? Le falsità, le parole vuote, le credenze distillate per essere solo quanto al capofamiglia e a chi reggeva il trono della CCG al momento andava bene.
    La differenza tra Milo e Shinsuke era, secondo lui almeno, che a differenza del cugino aveva imparato a fingere e tacere, ascoltare e non mostrare quali fossero davvero i pensieri. Aveva imparato da giovane a fare buon viso a cattivo gioco, da quando si era reso conto che non c'era modo di scappare da quella prigione dorata e liberarsi di quel nome. Shinsuke si era ripromesso di farlo diventare un'arma da impugnare per cambiare le cose.
    Utopia ed illusione, probabilmente, ma anche speranza. Il problema era che essere soli non era una buona carta da giocare, soprattutto in quella famiglia.
    Non si era scomposto per le reazioni, più che giustificate, di Milo. Non si era offeso e la sua espressione era rimasta quasi inalterata. Troppi anni a fingere di essere il discendente perfetto, diligente, studioso, uno che voleva impegnarsi e che ripeteva fin troppo quanto per lui fosse importante dimostrare di meritare quel cognome.
    «Lo dirò una volta sola, perché entrambi sappiamo che parlare troppo chiaro di queste è rischioso soprattutto per noi.»
    Già, gli Onishi, quelli che da tempo erano in prima linea contro i mostri, sempre pronti a combattere la grande piaga dei ghoul.
    Prese un respiro, soppesando le parole. Non aveva bisogno di assicurarsi che Milo gli prestasse attenzione, era visibilmente teso ed era impossibile che perdesse anche solo un sospiro.
    «Trovo sbagliata la definizione che viene sbandierata dei ghoul, sono mostri tanto quanto lo siamo noi. Non sopporto il fatto che vengano nascoste al resto del mondo le pagine in cui anche il capostipite si rendeva conto che non era giusto definire tutti in un unico modo. Le basi della nostra famiglia poggiano su mezze verità e sono convinto di non essere l'unico a pensarlo.»
    Con la coda dell'occhio vide la cameriera avvicinarsi con le loro bevande e concluse la frase rapidamente per rivolgere un sorriso e un ringraziamento alla ragazza.
    Ora sarebbero passati altri preziosi minuti prima dell'arrivo del cibo e andava sfruttato ogni istante disponibile per riuscire ad arrivare in fondo all'argomento piuttosto spinoso e se non altro rispondere alla domanda vera e propria: che risposta si aspettava davvero da Milo?
    «Tu hai letto quelle pagine, molto spesso. Mi hai reso un'impresa studiarle, come ho fatto con tutti i diari, dato che sono ciò su cui si basa l'organizzazione in cui lavoriamo e che sembrano essere il testo sacro della famiglia. Non mi sono mai accontentato della versione data da altri.»
    Lo aveva detto che preferiva verificare di persona ed erano anni che manteneva quel mantra un punto fermo nella sua vita. Se quei diari erano così importanti per la famiglia e all'interno il capostipite aveva descritto le sue esperienze e racchiuso i suoi pensieri, conoscerli affondo gli poteva permettere di capire meglio la base degli obblighi imposti ai portatori del nome Onishi. Eppure molte cose suonavano diverse da come veniva riferite, oltre al fatto che nei diari erano presenti cose che venivano rigorosamente taciute dai parenti o addirittura ne veniva negata l'esistenza.
    «Agli incontri della famiglia ormai è piuttosto palese quanto ti infastidisca l'ipocrisia che aleggia sempre, soprattutto quando si parla delle tradizioni, della carriera e dell'impegno che ciascuno di noi giovani leve deve tributare al passato che ha forgiato la famiglia.»
    Già, gli alcolici non erano così d'aiuto a trattenere fino in fondo il vero pensiero di una persona, in qualche modo qualcosa sfuggiva, anche fosse solo con gli atteggiamenti.
    Non voleva essere certo un'accusa, ma solo far intendere che lui, dal suo posto tranquillo e in silenzio, se ne era accorto e lo aveva osservato con discreta attenzione.
    «La verità è che non mi aspetto nessuna risposta, soprattutto non ora. Al massimo ti chiedo di pensarci sopra.»
    E gli aveva dato anche qualche arma per mettergli fastidio in famiglia, anche se non ci sarebbero state prove dell'avvenimento di quella conversazione.
    Prese il suo bicchiere, tracciando una piccola riga sulle goccioline di condensa che imperlavano il vetro.
    «Spero di non averti rovinato troppo l'appetito, purtroppo non sei una persona facile da avvicinare e dovevo cogliere l'occasione.»
    Emise un piccolo sbuffo, quasi fosse divertito da quella ammissione, ma era anche sincero: l'argomento non era leggero per nessuno dei due, non serviva certo un genio per capirlo.


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    Lo stava prendendo in giro, per forza, non poteva dire sul serio: credeva che era nato ieri? Eppure, la voce non vacillava, nè si era scomposto per come si era posto Milo, sembrava intento a continuare su quella strada.
    Lo sconvolgeva anche solo pensare che ci fosse qualcuno che la pensasse così, significava avere un alleato dentro quel covo di vipere, e non era una cosa da poco.
    Non poteva fidarsi, magari era una finta. Magari voleva testare la sua pazienza e fedeltà al clan, non sarebbe sembrato stupido come piano mandare avanti il parente che appariva meno minaccioso.
    Sapeva che aveva letto i diari, così come sapeva che Milo li aveva letto altrettanti, sopratutto uno in particolare, il suo preferito, la dimostrazione che quell'impero era basato sulla menzogna e l'ipocrisia.
    Sarebbe bastato solo quel diario per poter screditare in parte tutti gli Onishi davanti al mondo: o almeno in un mondo utopico sarebbe andata così...ma non era il loro caso.
    Avrebbero detto che era un falso, che non era vero, avrebbero distrutto le prove se necessario, nessuno avrebbe mai creduto a quella storia, per l'idea radicata che il mondo aveva dei ghoul..ma se fosse stata la CCG stessa a cambiare forse qualcosa si sarebbe potuto fare.
    Non era dopotutto la prima volta che ci pensava, ma allo stesso tempo, il suo pensiero fisso era Junichi e la sua sicurezza: non gli importava di morire, se non per il fatto che non sarebbe potuto restare insieme a lui, la vita del ghoul era più importante della sua, si sarebbe sacrificato per salvarlo, di certo non avrebbe mai parlato neanche sotto tortura.
    Sapeva di avergli rovinato la vita, di avergli fatto fare una scelta che aveva segnato le loro vite per sempre. Credeva fosse quindi suo compito difenderlo, perchè nessun altro lo avrebbe mai fatto: nessuno avrebbe protetto un ghoul, doveva pensarci da solo.
    Certo, se avesse avuto un alleato, non gli sarebbe dispiaciuto...possibile che potesse essere Shinsuke?
    «Perchè lo stai dicendo proprio a me?»
    Fu istintivo, di nuovo, diffidenza: era più forte di lui, non poteva sapere se stesse dicendo la verità. Il suo istinto però per una volta gli disse che non mentiva, che lo pensava davvero, quasi ci voleva disperatamente credere: ma era troppo poco, non potevano bastare solo le parole, aveva bisogno di prove.
    Non poteva rischiare di esporsi così apertamente: se le parole di Shinsuke erano vere, doveva avere parecchio fegato per dirlo davanti ad un altro Onishi come lui.
    Milo poteva anche essere uno di quegli ipocriti, perchè allora rischiare e dirgli quelle cose? A meno che non volesse farlo uscire allo scoperto.
    Nella sua mente più che la sua incolumità rimbombava ancora quella di Junichi.
    Non riusciva a non pensare a tutti i peggiori scenari.
    Non si accorse neanche delle bibite fino ad un certo punto: era rimasto a fissare con occhi sgranati il cugino, ed era tornato alla realtà solo quando il ragazzo aveva ringraziato la cameriera, mentre Milo sembrava uno spirito perso in chissà quale mondo.
    Guardò la sua coca cola ghiacciata, e Dio, se aveva bisogno di bere.
    Prese il bicchiere per fare un lungo sorso. «Questa sarebbe l'occasione giusta per dell'alcol» Si lasciò scappare, ma era vero, decisamente non gli sarebbe dispiaciuto, ma era in servizio e un richiamo per essere ubriaco a lavoro proprio non gli serviva nella sua già precaria vita.
    Quasi rischiò di strozzarcisi appena udì le parole successive...ah giusto, i diari...quei dannati diari. Possibile che fosse stato beccato per aver sempre letto uno in particolare? Era l'unico decente della collezione a suo avviso, perchè si, l'aveva studiata anche lui da adolescente, in cerca di risposte per capire ...o almeno provare a farlo, ma aveva compreso molto presto che la sua famiglia non lo avrebbe mai appoggiato.
    «Che fai adesso mi stalkeri? Ho solo preso in prestito qualcosa da leggere» Risposta banale, fragile, ma che poteva dare, purtroppo per Milo, un indizio: non aveva negato, per quanto avrebbe voluto con tutto se stesso, ma non aveva neanche confermato...probabilmente per la paura che lo bloccava.
    Non poteva neanche chiedergli delle prove per dimostrare che non mentiva, perchè sarebbe significato ammettere tacitamente che era d'accordo con lui e con quella linea di pensiero.
    Era davvero un macello.
    Come ne usciva adesso?
    Quel pranzo si stava rivelando, per un paranoico come Milo, un incubo.
    Lo punse parecchio il fatto che Shinsuke avesse notato il suo malcontento, se l'aveva notato lui, possibile che qualcun altro di apertamente contrario e ligio al dovere lo avesse fatto?
    Sarebbe stato un enorme problema, sopratutto perchè ultimamente, più cresceva, più gli risultava difficile mentire. Sperava solo di apparire antipatico.
    «Oppure semplicemente non mi piacciono i pranzi in famiglia e l'arrosto con le patate, lo fanno sempre troppo bruciato di lato» Commentò, guardandolo fisso negli occhi. «E poi, non è che mi devono stare simpatici tutti sai? Non amo quando a quei maledetti pranzi cercano di entrare nella mia vita privata, ma credo darebbe fastidio a chiunque» Buttarla come se fosse solo un contrasto adolescenziale a scoppio ritardato poteva essere, o semplicemente anche auto accusarsi di essere permaloso sarebbe andato bene, pur di non ammettere la verità.
    Era tutto che lo infastidiva, le persone, l'ambiente, le tradizioni, l'odio.
    «Il tuo cos'è? Un avvertimento? Cosa vuoi che ti dica? Quello che hai detto potrebbe farti anche saltare la testa lo sai?»
    Aveva così scarso istinto di sopravvivenza ? Ancora, non sapeva se fidarsi, ma ciò che aveva detto lo avevano colpito molto, e turbato profondamente: avrebbe voluto disperatamente credergli.
    Sarebbe stata una speranza e un sollievo dopo tanti anni della sua vita a nascondersi, eppure non poteva cedere a quella facile felicità, doveva essere sicuro che dell'altro poteva fidarsi.
    E purtroppo Milo non aveva più fiducia in nessuno da molto tempo, o comunque era difficile conquistarsela: quello però poteva essere un inizio, un qualcosa che iniziasse a far aprire Milo verso l'altro...se davvero quelle erano le sue opinioni forse si sarebbe sentito finalmente meno solo contro il mondo.
    «Di certo non era un argomento che mi aspettavo di affrontare a pranzo» Commentò, inevitabilmente lo stomaco si era chiuso, ma voleva comunque mangiare, fare finta di avere una parvenza di normalità, anche perchè non poteva stare senza forse...doveva sforzarsi e mangiare.
    «La maggior parte delle persone non mi piace, non vedo il problema» Disse, esasperato, come se fosse un buon motivo per giustificare i muri che emergeva: la verità era che non odiava tutti, ma non sopportava il mondo che si era venuto a creare, perchè sapeva che lo avrebbero giudicato senza neanche farlo parlare.
    Per una volta si sentiva messo seriamente in difficoltà, come mai prima: lo avvertiva che quello era un momento importante, uno di quelli che avrebbe poi cambiato il corso degli eventi, lo percepiva...solo che sperava in meglio.
    Finalmente arrivarono anche i piatti, e al vedere le sue amate costolette un po' gli si riaprì lo stomaco, ma ancora stava ripensando ed elaborando la bomba che Shinsuke aveva appena sganciato.
    Milo voleva fidarsi, ma non poteva farlo così facilmente: era come se una parte di lui urlasse disperata di dargli delle prove per potergli credere.
    Per la prima volta non sapeva cosa fare, se non ascoltarlo.


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    Milo continuava a restare sulla difensiva o almeno era la sensazione che dava. Aggressivo, per quanto potesse permettersi senza dare nell'occhio in un locale pubblico, ma sulla difensiva.
    Shin però non demordeva, non era sua intenzione attaccarlo e anzi si stava in un certo modo esponendo molto a possibili conseguenze. Era però sicuro di ciò che aveva percepito negli anni di osservazione: Milo non era come gli altri. Insofferente a certi discorsi, si rifiutava di commentarli anche a costo di risultare tra i più inadeguati appartenenti alla famiglia, cosa di cui facilmente veniva data responsabilità al suo sangue misto; la lettura quasi ossessiva di un diario specifico, tra tanti libri disponibili nella biblioteca della villa, doveva avere un significato particolare, visto soprattutto il contenuto di quelle pagine, che anche Shinsuke conosceva bene.
    Forse peccava di arroganza, ma era piuttosto sicuro delle conclusioni a cui era giunto: potevano essere alleati.
    Non reagì a quel tentativo di accusa di stalking, in un certo senso era anche vero ma si allargava a tutti gli appartenenti della famiglia e non solo quelli, commentando solo a voce più bassa.
    «Certo, una scelta casuale in un mare di libri.»
    Non voleva opporsi a quella giustificazione, al massimo far notare quanto era debole come coincidenza, soprattutto se ripetuta.
    Senza contare che non era l'unica cosa ad aver fatto decidere a Shinsuke di avvicinarlo, dopo anni di quasi silenzio e quasi ad ignorarsi. Anche se, riguardo alle adunate di famiglia intorno al tavolo, non si aspettava esattamente quel genere di risposta.
    Ci aveva provato a restare serio, ascoltando sia quanto forse quel malcontento potesse essere causato solo dal cibo non gradito o dalle insistenti pressioni delle generazioni più grandi della loro: fare carriera, mettere su famiglia, generare eredi... Ne sapeva qualcosa anche lui, ma non per questo allungava la mano verso la bottiglia e non si chiudeva in risposte piccate.
    La serietà era vacillata nel soffermarsi su una parte del discorso...
    L'arrosto bruciato di lato. Non riuscì a trattenere una risata di gusto, anche se coprendosi la bocca con la mano chiusa a pugno. Non era certo educato farlo in modo sguaiato, per quanto la visione nella sua mente se lo sarebbe meritato.
    «Scusa... ho immaginato l'arrosto bruciato a tavola e l'espressione contrariata dei capi famiglia.»
    Soprattutto la carissima zia Takako, in tutta la sua fierezza, storcendo il nasino. Umorismo americano, non poteva essere altro ad aver influenzato le parole di Milo, vista anche la portata scelta nell'espressione.
    «Però hai ragione, a chi non darebbe fastidio quando gli altri ti dicono cosa devi fare della tua vita e si aspettano che tu obbedisca, rinunciando a scegliere.»
    Sempre senza alterazioni di voce, una ulteriore esternazione di un concetto su cui aveva riflettuto e che condivideva. Perché era palese non fosse solo una ipotesi per giustificare il comportamento di Milo in quelle occasioni, quanto una semplicissima verità.
    Tutto però si riconduceva a monte alle tradizioni di famiglia, che portavano chi comandava a far pressione sui giovani per rispettare quelle imposizioni. E tutto alla fine si poteva ricondurre a quei diari, a quella base creata estrapolando solo alcune parti, quelle che andavano bene per continuare un monopolio che, almeno per Shinsuke, era profondamente sbagliato.
    Ammetterlo in maniera troppo chiara era impensabile, troppo presto e si era preso tempo per capire di chi, forse avrebbe potuto fidarsi per condividere quell'utopia che aleggiava nella sua mente e per cui alla fine aveva abbandonato la villa. Era tempo di smettere di osservare e pianificare, ma non poteva agire in maniera scellerata e solitaria. Sarebbe stato stupido.
    «Siamo in un locale pubblico e stiamo parlando in maniera abbastanza tranquilla. Non vedo come altri potrebbero sapere di quanto ho detto a parte noi due.»
    Il che significava, per Shinsuke, che solo uno di loro poteva mettere a rischio l'altro e che, di conseguenza, il tutto si sarebbe risolto nel famoso concetto "la tua parola contro la mia". Eventuali altri rischi erano stati ritenuti insignificanti.
    Già, un locale pubblico in cui dovevano anche pranzare e di lì a poco arrivarono proprio le loro ordinazioni, dall'aspetto invitante e il profumo intenso.
    Prese un sorso della coca, lasciando scemare la punta di serietà e sperando sinceramente di riuscire a concludere il discorso in maniera almeno accettabile per poter alleggerire il nervosismo che percepiva insistente in Milo, nei suoi toni e nel suo atteggiamento. Sapeva di esserne responsabile e ne era dispiaciuto, ma prima o poi quel discorso andava fatto, non poteva aspettare oltre.
    «Come potrebbe piacerti qualcuno di cui non sai praticamente nulla, che tende a starsene in disparte, non condivide nulla della sua vita e sembra solo l'ennesima pedina della famiglia?»
    Era vagamente divertito da quella definizione, ma sapeva calzargli perfettamente addosso come un abito fatto su misura da un sarto esperto.
    «Per questo non mi aspetto nessuna risposta, non ti chiedo di confermare o negare di pensarla allo stesso modo. Spero solo tu voglia rifletterci sopra e darmi la possibilità di dimostrare che non ho mentito e che possiamo collaborare.»
    Di nuovo serio nel dirlo, ma con il leggero sorriso sincero sulle labbra. Aveva con attenzione evitato di usare il termine fiducia, perché riteneva che bisognava guadagnarsela nel concreto e non a belle parole. Collaborare era per lui una alternativa più semplice e concreta da raggiungere, prima della fiducia vera e propria.
    In più, naturalmente, anche Shinsuke voleva essere certo di potersi fidare e con ciò che aveva detto al cugino, privatamente, avrebbe scoperto presto se poteva farlo o meno.



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    Non poteva fidarsi con così tanta facilità, eppure il dubbio rimaneva: se diceva la verità, poteva per una volta pensare di essere compreso da qualcuno della sua famiglia? Possibile? Ok, forse correva troppo, c'era un abisso tra essere accettati per avere idee rivoluzionarie e stare con un ghoul, non credeva avrebbe mai rivelato a nessuno ciò che lo legava a Junichi, e di questo ne soffriva incredibilmente, sebbene lo avesse accettato da tempo: avrebbe voluto camminare nel mondo senza avere paura, senza doversi nascondere, perchè lui non si vergognava, ma non avevano la possibilità di potersi mostrare, sopratutto se l'altro non aveva nessun diritto neanche di vivere in quella società.
    Fu punto nel vivo: sapeva che era stata una protesta quasi debole la sua, che era troppo casuale che avesse preso proprio quel diario, ma era anche vero che era l'unico in cui ritrovava qualcuno, come la sua antenata, con cui poteva dire di capirne i pensieri o di poter essere capito a sua volta, anche se quella donna non c'era più da secoli. Forse le cose sarebbero andate diversamente se certe cose fossero sorte a galla prima.
    Non rispose a quell'insinuazione, che in realtà sembrava essere accurata. Probabilmente mai come allora si era sentito tanto vulnerabile, perchè, come sempre, il suo pensiero non andava alla sua vita, ma a quella strettamente connessa alla sua.
    Quella risata, nonostante tutto, non lo tranquillizzò, lo fece solo osservare meglio: quel tipo...era proprio strano. Si chiedeva se anche lui fosse nervoso in quel momento, sembrava troppo sicuro di sè, ma forse, a differenza di Milo non aveva molto da nascondere...anche se quelle idee, quelle opinioni, gli sarebbero potute costare care: come poteva sapere che Milo non sarebbe andato in giro a spifferare tutto? Certo, era la sua parola contro quella dell'altro, ma gli Onishi, sapeva bene, prendevano molto seriamente questioni del genere, sopratutto se riguardavano l'onore della famiglia.
    Non lo avrebbe mai fatto, era ovvio, ma come poteva fidarsi di qualcuno che praticamente non conosceva? Era folle, quello sicuro, lui non si sarebbe mai azzardato a fare un passo del genere per primo, proprio perchè forse aveva troppo da perdere.
    Riflettè però su ciò che gli venne detto, si, aveva bisogno decisamente di tempo, doveva capire, doveva essere sicuro di potersi fidare, ma probabilmente già il fatto che fosse così sulla difensiva aveva detto molto senza che lui parlasse davvero: la paranoia di Milo sarebbe andata alle stelle, se fosse stato solo, o con Junichi, probabilmente gli sarebbe venuto da piangere per il nervoso, per il peso che si portava sulle spalle.
    Non avrebbe mai voluto farsi vedere così da Junichi, sapeva che ci avrebbe sofferto a vederlo così, ecco perchè tendeva a tenersi tutto dentro, per sè. Voleva essere forte per entrambi, voleva proteggerlo, sentiva che era l'unico a poterlo fare, perchè nessuno avrebbe preso le sue difese, doveva combattere per entrambi giorno per giorno.
    «Chi nasce nella nostra famiglia rinuncia a scegliere appena viene messo al mondo» Disse, era una pura verità, ma poi c'erano persone come lui e forse Shinsuke che si ribellavano a quel principio, e sceglievano per loro stessi? Quello però inesorabilmente portava a delle conseguenze.
    Rimase in silenzio a ciò che disse, non sapeva che dire, temeva che qualsiasi cosa dicesse potesse essere usata contro di lui, ma forse poteva fare anche lui per vedere quanto le sue parole fossero vere.
    Arrivò finalmente da mangiare, e lo stomaco per fortuna si riaprì, per la fame, doveva mangiare, altrimenti chi avrebbe potuto affrontare ciò che li aspettava dopo? Sicuramente gli sarebbe venuto mal di testa.
    «Questa conversazione non è mai avvenuta, se può farti stare tranquillo» Disse solamente, prima di guardarlo nuovamente negli occhi: non era una spia comunque, non sarebbe andato a spifferare nulla, e lo avrebbe scoperto solo più avanti.
    Quella frase non era una conferma nè una negazione di quanto supposto dall'altro, semplicemente, pensava di comportarsi da decente essere umano e non mettere nei guai il cugino.
    Gli avrebbe dimostrato che poteva fidarsi? Che diceva la verità? Lo facesse, sarebbe stato in attesa.
    La sua fiducia non era una cosa facile da avere, e se anche si fosse confermato veritiero ciò che diceva, comunque non avrebbe detto di Junichi...era una questione troppo delicata e non voleva coinvolgerlo.
    «Ora mangiamo, o si fredda tutto»
    Commentò: avrebbe probabilmente ricordato per molti anni quel giorno, e sperò di potersi davvero fidare, che un giorno forse, qualcosa sarebbe finalmente cambiato...ma era troppo bello per essere vero...
    Allo stesso tempo, non voleva perdere la speranza: quel giorno avrebbe segnato l'inizio di qualcosa di nuovo, e nessuno dei due avrebbe mai potuto immaginarlo.



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