When all is lost all is found

[CONCLUSA] MILO ONISHI & LAZAR STEFANOVIĆ KHABAROV - JUNICHI'S HOME - 14/03/2020 SERA (DALLE 22.00), TEMPO SERENO 19°C

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    MILO ONISHI
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    Erano oramai quattro giorni che non riusciva a contattare Junichi, e se per i primi due pensava che avesse più lavoro e impegni del solito, già al terzo le paranoie erano iniziate a crescere: pensava che quando si sarebbero dovuti incontrare quella sera, avrebbe chiesto spiegazioni visto come si stava iniziando ad agitare.
    Era un comportamento alquanto strano da parte dell'altro, sapeva quanto Milo andava in ansia se non riceveva sue notizie, e Junichi spesso gli lasciava qualche messaggio a qualsiasi ora oramai, per fargli sapere che stava bene, ma non era mai accaduto che per tre giorni di fila non avesse ricevuto risposta.
    Il telefono inoltre squillava a vuoto, e la cosa non aveva potuto far aumentare la sua ansia: si ripeteva di dover stare calmo, che sicuramente era stata un'incomprensione, e che si sarebbe sistemato tutto quella sera al loro appuntamento.
    Appena uscito da un turno extra di lavoro, si era diretto prima a casa sua per cambiarsi, mettendosi il suo solito completo in pelle ed era uscito con una fretta quasi del diavolo per poter arrivare al punto di incontro.
    Era arrivato in anticipo, quindi era normale non vederlo lì, si, assolutamente normale. Nell'attesa e per smorzare la tensione aveva dato fondo alle ultime sigarette che aveva di scorta per quei momenti di estremo nervosismo.
    Mentre lo attendeva, scorreva gli infiniti messaggi che gli aveva lasciato sullo schermo del telefono, ogni volta che pigiava con il dito su quella superficie di vetro, il tocco diventava più pensate, e poi più tremante.
    Aveva deciso di lasciargli un ultimo messaggio di avviso, qualcosa tipo ''Sono arrivato, ti aspetto'', o giù di lì: lo stomaco si attorcigliava ad ogni minuto che passava, sperava infatti che tutto si sarebbe sciolto una volta che lo avesse visto incamminarsi verso di lui con il suo solito sorriso spensierato.
    Quel momento però non era arrivato.
    Alle 21.00 si ripeteva come un mantra di stare calmo, che avrebbe fatto forse ritardo di qualche minuto, stessa cosa che si era ripetuto alle 21.15, poi alle 21.20.
    Alle 21.30 non ce l'aveva più fatta, e così aveva di nuovo alzato la cornetta del telefono: non avrebbe voluto essere così soffocante con la sua presenza, sapeva che ad una persona normale le sue paranoie avrebbero fatto uscire pazzi, ma Junichi lo conosceva bene, non gli aveva mai fatto pesare quell'aspetto di sè, sebbene temesse che ogni tanto fosse pesante anche per lui.
    Forse aveva fatto tardi a lavoro? Aveva avuto un imprevisto? Adesso però non voleva più aspettare, così senza neanche attendere un minuto di più si era diretto verso la moto: direzione appartamento di Junichi.
    Si mise il casco nero integrale, abbassando la parte della visiera sul davanti; tirò su, con il tacco del piede, il cavalletto che teneva ferma la moto, prima di girare le chiavi nel quadro e partire.
    Ci sarebbero voluti, traffico permettendo, circa 25 minuti, con i mezzi di trasporto ne avrebbe impiegati quasi 40; per fortuna quella sera non ne avrebbe avuto bisogno.
    La tensione, mista a rabbia, dovuta principalmente alle sue paranoie, la riversò sul manubrio della povera moto, che strinse così forte che se avesse avuto una forza da ghoul, probabilmente l'avrebbe frantumata come se niente fosse.
    Mentalmente c'erano innumerevoli scenari che si affollavano nella sua mente, dal più stupido al più grave, e più ci pensava, più aumentava la velocità sulla moto, avendo mille occhi attenti anche per strada: quella era una di quelle volte che, nonostante il rischio di andare oltre i limiti di velocità e prendersi una bella multa, non gliene poteva importare di meno.
    I sentimenti negativi avevano preso il sopravvento in quel momento.
    Era arrivato alla fine, qualche minuto più tardi del previsto nonostante tutto, davanti il palazzo in cui abitava l'altro: aveva parcheggiato, e quando era sceso si era sistemato meglio i mezzi guanti in pelle, poichè sentiva le mani indolenzite per la tensione nervosa.
    Si tolse il casco integrale, che decise di portarsi con sè prendendolo dalla parte di sotto del davanti, e appena un paio di ragazzi uscirono dal portone, ne approfittò per non far chiudere la porta ed infilarsi all'interno della struttura.
    Salì fino al piano giusto, e nonostante fosse preso da mille pensieri, cercò di pensare positivo.
    ''Forse si è addormentato e non ha visto l'orario''
    Dopotutto Junichi lavorava tantissimo, e il solo pensiero lo fece sentire in colpa: forse stava esagerando, avrebbe dovuto davvero darsi una calmata, alla fine erano cose che potevano succedere.
    Eppure, c'era una parte del suo cervello che non riusciva a stare in silenzio, la stessa parte che lo spinse a prendere la chiave di riserva che aveva con sè di quell'appartamento.
    Una parte di lui sperava davvero di aprire la porta e vederlo dormire sul loro divano: si, tutto in quella stanza si poteva reputare loro, per quanto non vivessero insieme, sebbene avrebbe voluto.
    Aveva messo la chiave nella toppa, decidendo di non alterarsi, di restare calmo: la girò e sentì lo scatto della serratura che indicava che si era aperta la porta.
    «Spero tu abbia un'ottima scusa per non esserti presentato...»
    Era entrato esordendo, e sospirando: la prima cosa che notò fu il buio in cui era immerso l'appartamento, ma non sapeva che non era solo quella sera, e che non si trattava di Junichi...


    «Parlato»
    ''Parlato''

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    Importante! No, non sto facendo powerplay, la scena è stata concordata con Cheshire!


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    Anche quella notte gli Yuurei si aggiravano per Tokyo, destinazione Shinjuku.
    Anche quella notte Echo si guardava con prudenza le spalle: cominciava a odiare quella dannata circoscrizione, nido di buona parte della crème de la crème della capitale giapponese. Ci era voluto più di un anno perché si convincesse che Opera avesse preso una decisione decente spedendoli nel territorio degli Zeiva. Per quanto Nekomata non fosse uno stinco di santo - qualità altamente improbabile in un mondo come quello dei ghoul se si mirava ad avere una vita lunga e priva di mutilazioni -, era comunque meglio di Raptor o Suzaku. Echo non avrebbe saputo dire chi tra i Kiriyama e i Raptors pesasse di più sulla bilancia della gente da cui stare alla larga, nel dubbio però si augurava di non incontrare né gli uni né gli altri.
    Almeno per ora, giacché il tempo della resa dei conti coi primi era ormai alle porte.
    Il piano era pronto, le tessere del puzzle quasi tutte al loro posto. Proprio per questo gli Yuurei si erano inoltrati nelle ombre di Shinjuku la notte del quattordici marzo, ma non in direzione della residenza dei Kiriyama: c’era ancora un tassello che andava trovato e posizionato, e su di esso era inciso il nome di Minami Junichi.
    Minami Junichi ha la chiave, l’unico enigma di Alexey che non erano riusciti a risolvere, e a giudicare da dove l’appunto era stato trascritto, doveva trattarsi di qualcosa relativo ai Kiriyama. C’era voluta una vita trovare l’archivio di Alexey, un’altra vita e mezza per decriptare il codice con cui aveva reso praticamente incomprensibili i documenti relativi alle indagini, ora non potevano permettersi di perdere altre due vite per capire che diavolo aprisse la chiave posseduta da Minami Junichi. Ma gli Yuurei erano stati allevati in un ambiente in cui la meticolosità è imprescindibile e nessuno di loro amava quel genere di sorprese che ribalta i piani, motivo per cui si erano dati un tempo limite entro cui rintracciare Minami Junichi e la famigerata chiave.

    «Qui non c’è nessuno.» il sospiro di Megitsune concluse il giro di ricognizione dell’appartamento; dopo aver raggiunto in salotto Echo e Nebula, incrociò le braccia al petto ed istintivamente cercò di avvolgersi una ciocca di capelli intorno alle dita, com’era solita fare quando sovrappensiero, ma la mascherina e il berretto glielo impedirono.
    Nebula, troppo concentrata sulle buste delle lettere su cui scorreva con gli occhi, non alzò neanche la testa. «Questo tizio dev’essere scomparso da diversi giorni, a giudicare dalla posta.»
    «Abbiamo cantato vittoria troppo presto...» i piedi di Echo non sarebbero dovuti essere appoggiati sul tavolo del salotto, così come la sedia in bilico su due delle gambe. «L’indirizzo era giusto, ma pare che qualcuno sia arrivato prima di noi…»
    «Non ci sono segni di effrazione né di colluttazione, ho già controllato.» lo interruppe Megitsune, con un cenno del capo in direzione della porta d’ingresso.
    Echo annuì. «... o che Minami se la sia data a gambe. La domanda è perché ora, dopo due anni? Forza, ricostruiamo i fatti.»
    «Ancora?» Nebula abbandonò la posta sul tavolo, esasperata. «Allora… a luglio di due anni fa Alyosha fa quel che sa fare meglio: ficcare il naso negli affari degli altri per non so quale missione da 007 russo. Ma purtroppo per lui gli “altri” sono i Kiriyama, notoriamente i meno sportivi di Tokyo, che lo prendono malissimo...»
    «Detta così suona davvero malissimo...»
    «E lo fanno sparire. Il suo archivio è rimasto intoccato da allora, il che ci fa supporre che i meno sportivi di Tokyo non sappiano che è un informatore, e quindi lo abbiano fatto fuori ancor prima che la sua scomparsa fosse nota ad Opera, oppure lo sappiano ma non siano riusciti a farlo parlare. Ma Alyosha sa che nel caso in cui le cose si mettessero male potrebbe contare sull’aiuto del Super Sentai, ed è qui che entriamo in gioco noi!»
    «Power Rangers!» le fece eco Echo.
    La situazione stava degenerando, ma neanche Megitsune, mentre si portava una mano alla fronte fingendosi disperata, poté nascondere lo sbuffo di una risata. «Sapete essere seri almeno una volta nella vita? E comunque cosa sono questi Super Sentai e Power Rangers?»
    «Siamo noi, Megitsu-... Mecchan!» Echo schioccò le dita, ridacchiando con Nebula prima di farle cenno di riprendere il discorso.
    «Dunque, incrociando le dita perché Alyosha sia riuscito a tenerli all’amo fino ad oggi, entra in scena lui, il misterioso, esotico Junichi abbronzato. Che connessione c’era tra Alyosha e Junichi? Che cosa apre la chiave? E dov’è finito Junichi? Possibile che anche lui, con quasi ben due anni di ritardo, sia caduto in mano ai Kiriyama? E se riguardasse la chiave?»
    «Troppe domande, Nebulochka.» Echo sventolò per aria la mano sinistra. «È chiaro che qualunque cosa sia accaduta, non è accaduta qui dentro. Io dico di dare un’occhiata approfondita a tutto l’appartamento e smammare il prima possibile, con o senza ogni chiave presente in questi metri quadrati. Vive da solo, nessuno dovrebbe venire a darci fastidio.»

    Le ultime parole famose. L’occhio clinico di Echo era impegnato ad analizzare i ripiani della cucina quando la serratura della porta d’ingresso scattò - e con essa scattarono anche Megitsune e Nebula dalle altre stanze, tutti istintivamente in posizione per saltare addosso all’intruso.
    Perché di certo non erano loro, che si erano introdotti dalla finestra, gli intrusi.
    “Spero tu abbia un'ottima scusa per non esserti presentato...”
    Il tono nervosetto non prometteva affatto bene. Da metà corridoio Echo alzò lo sguardo al nuovo arrivato, e poco importava che indossasse una maschera, sarebbero bastate le parole a far intuire quanto la situazione lo stesse divertendo.
    «Oh no, ci hanno beccati, Junichi!»
    L’attimo dopo la kagune di Megitsune scaraventò il povero malcapitato contro la parete, tramortendolo.
    Quando il fracasso si acquietò, Nebula corse ad assicurarsi che fosse ancora vivo, mentre Megitsune rivolgeva uno sguardo torvo ad Echo.
    «Talvolta potresti risparmiartele, queste pessime battute.»

    -------------------
    «Parlato Echo/Lazar.»
    «Parlato Nebula/Ninel'.»
    «Parlato Megitsune/Viktoriya.»

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    Edited by Yukari - 6/6/2020, 17:13
     
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    Quando aveva alzato lo sguardo, davanti a sè aveva trovato una figura scura, che nel buio non riuscì ad identificare, o meglio, neanche ne ebbe il tempo.
    Quella voce però non era assolutamente di Junichi.
    «What the f...»
    Decisamente, non si sarebbe mai aspettato di essere scaraventato contro la parete: il casco volò chissà dove, e quel colpo lo mise decisamente fuori gioco in pochi istanti.
    La botta contro la parete fece inoltre cadere un quadro che era appeso lì vicino, facendo non poco trambusto ma probabilmente nessuno sarebbe comunque venuto a controllare.
    Aveva abbassato la guardia, in altre occasioni una cosa del genere gli sarebbe costata la pelle, ma non poteva immaginarsi di ritrovarsi qualcuno che non fosse Junichi, e sopratutto, che fosse più di uno.
    Perdere i sensi non era di certo una cosa piacevole, ancora meno ritrovarsi legato su una sedia. Sentiva tutto il corpo ancora intorpidito, la testa gli faceva tremendamente male, ma non solo, la botta era stata abbastanza forte da farlo svenire e forse con qualche livido il giorno dopo, ma almeno era ancora vivo.
    Aprendo lentamente gli occhi, ciò che era davanti a lui era ancora sfocato, ma per adesso vedeva solo le sue gambe e il pavimento: ci mise qualche minuto per carburare, o quanto meno il tempo necessario che la sua vista rendesse più nitidi quei pochi dettagli che riusciva a vedere.
    «cazzo...la testa...»
    Si sentiva ancora stordito, l'ultima cosa che ricordava era una figura che diceva qualcosa come...
    ''Aspetta...che??''
    La frase, probabilmente detta in modo fin troppo divertito, lo aveva risvegliato: l'istinto fu muovere i polsi che però constatò essere bloccati, qualcuno l'aveva legato per bene come un salame, e poco importava quanto cercasse di liberarsi, non sarebbe servito a nulla, erano troppo strette.
    Sarebbe dunque costata solo fatica inutile...se solo avesse avuto a portata qualcosa di tagliante, o anche, la sua quinque...peccato che queste ultime non te le potevi portare dietro come souvenir anche se facevi Onishi di cognome.
    ''Ha l'amante???'' Pensò inizialmente, ma era ridicolo, perchè mai avrebbe dovuto? Si rese conto che era un pensiero stupido, senza contare che era letteralmente impossibile.
    Lo conosceva bene, non gli avrebbe mai fatto una cosa simile, si sentì un idiota anche solo per averci pensato.
    ''Devono essere i ladri!'' Fu il secondo pensiero, cosa forse più plausibile sebbene la figura principale non l'avesse vista in volto per via della ... ''...maschera?''
    Forse, ancora un po' stordito, ci mise qualche istante per fare il giusto collegamento. ''Ghoul?'' Non poteva essere altrimenti, ma perchè dei ghoul erano nell'appartamento di Junichi?
    Aveva finalmente alzato lo sguardo, rendendosi conto di essere legato in mezzo non ad uno ma ben tre ghoul.
    «La serata inizia proprio bene...»
    Sussurrò ironicamente, di certo non era sua intenzione morire: nonostante il buio, la luce della luna che proveniva fuori dalla finestra, gli dava modo di poter intravedere qualche dettaglio, e più riacquistava bene i sensi, più si rendeva conto che nessuna di quelle maschere apparteneva a Junichi.
    «Se sapevo che c'erano ospiti passavo più tardi» Di certo non ci teneva ad essere sbattuto nuovamente contro il muro, legato ad una sedia avrebbe fatto ancora più male, ne era certo, ma non voleva sperimentare.
    Tutt'ora aveva il corpo indolenzito ancora dalla botta, e ora che era sveglio lo poteva sentire maggiormente: non ci stava assolutamente capendo nulla, quella situazione era più assurda che altro.
    La domanda però che gli era sorta spontanea era...
    ''Dov'è Junichi?''
    Perchè se non era lì...
    Non voleva immaginare lo scenario peggiore, non voleva, la sua testa si rifiutava: la sua preoccupazione era schizzata alle stelle, insieme alla sua paranoia.
    Allo stesso tempo, non voleva che nessuno scoprisse il loro segreto, temeva però che oramai fosse saltato anche quello, come la spiegava la sua presenza lì? Non doveva farsi prendere dal panico, doveva distendere i nervi, magari non avevano alcun indizio e aveva qualche possibilità di giocarsi bene la cosa.
    E sopratutto, doveva trovare un modo per uscire fuori da lì, vivo possibilmente e con tutti gli arti addosso.

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    «E adesso?»
    Il tipo sembrava essere piuttosto comodo, a giudicare da come Nebula sedeva placidamente sulla sua schiena, le gambe piegate, i gomiti sulle ginocchia e le guance affondate nei palmi. Sorrideva, perché quel genere di cose tra loro tre erano da sempre graditi passatempo; Echo e Megitsune però non erano altrettanto rilassati, troppo abituati dagli insegnamenti dei capifamiglia per non considerare quel che inevitabilmente avrebbe comportato l’imprevisto appena piombato nell’appartamento.
    Chi diavolo era quell’uomo?
    Dopo essersi schiantato contro il muro si era accasciato privo di sensi sul pavimento, un quadro si era staccato e per poco non gli aveva aperto in due il cervello come un melone. Il colpo assestato da Megitsune era stato forte, ma non realmente pericoloso: sapere quali zone del corpo umano colpire con quale angolazione della kagune era essenziale per i cacciatori, i loro istruttori sarebbero stati molto fieri.
    Con pochi passi, Echo si aggiunse infine al quadretto; svettando con la sua notevole altezza sull’umano, assottigliò gli occhi in uno sguardo indagatore.
    «Adesso sediamo questa minaccia.»

    Il Secondo Grado Onishi Milo, investigatore della CCG, era stato legato alla bell’e meglio ad una sedia e da allora era tenuto sotto controllo da Megitsune, pronta a trapassarlo con la kagune al primo movimento sospetto.
    Mentre ella faceva il cane da guardia, Nebula si era premurata di requisire ogni oggetto addosso all’uomo, assicurarsi non indossasse cimici, spegnere lo smartphone ed analizzare i suoi documenti, portando così alla luce la sua identità. Con un incomparabile colpo di sfortuna, gli Yuurei non si erano semplicemente imbattuti in un agente della CCG, ma addirittura un Onishi - e da quel momento la voglia di ucciderlo era esponenzialmente aumentata in tutti e tre, ma purtroppo c’erano anche validi e numerosi motivi per tenerlo almeno per il momento in vita.
    Perché diavolo un Onishi senza quinque avrebbe dovuto avere la chiave dell’appartamento di un ghoul? Possibile che persino nella CCG ci fossero “corrotti” che avevano contatti coi ghoul? La risposta a questa domanda era in mano ad Echo, che riemerse dalla camera da letto di Junichi stringendo una fotografia proprio mentre Milo si svegliava.
    Quando Milo riebbe piena coscienza della situazione si trovò circondato da tutti e tre gli Yuurei: Megitsune alla sua destra, la kagune pronta a firmare l’accordo di divorzio tra la sua testa e il suo collo; Nebula seduta sul tavolo davanti a lui, con circa un metro a separarli; Echo alle sue spalle, unica testimone della sua presenza era l’ombra che si allungava su Milo.
    “La serata inizia proprio bene… Se sapevo che c'erano ospiti passavo più tardi”
    Nebula fece scorrere lo sguardo da Megitsune a Echo. «Ci sta davvero servendo su un piatto d’argento una battuta sulla cena?»
    «Che cosa hai fatto alla persona che abita qui, Onishi?» volendosi assicurare che l’investigatore capisse la sua posizione, Megitsune scartò qualche altro centimetro di distanza tra la kagune e il volto di lui.
    Fu il turno di Echo di parlare, interrompendo il botta e risposta tra la donna e il prigioniero. «Non hai proprio idea di cosa costui abbia fatto alla persona che abita qui… dimenticavo, non ha pulci addosso, vero?»
    «Pulci?» le sopracciglia di Nebula disegnarono un arco, subito dopo la risata della giovane riempì l’appartamento. «Volevi dire cimici? No, non ha cimici. Per le pulci non posso assicurare.»
    Oh. Echo alzò gli occhi al soffitto: maledetta barriera linguistica, dopo due anni capitava che si confondesse ancora.
    «Incrociamo le dita, allora. Sarebbe davvero disgustoso.» sospirò, prima di passare le braccia intorno al collo di Milo e, appoggiandosi alla sua schiena in modo da avere la bocca vicina al suo orecchio, mostrargli che tra le mani aveva niente poco di meno di una fotografia che lo ritraeva in compagnia di Junichi. «Che ne dici di parlarci di questo bel ragazzo? Sembrate molto... affiatati.»
    Al suo avvicinarsi troppo coincise l’abbassarsi della kagune di Megitsune all’altezza dello stomaco dell’investigatore, in modo da tenerlo comunque sotto tiro.

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    Non era assolutamente nella posizione di poter scherzare, ma per non farsi partire più emboli del necessario era uno dei pochi modi per poter dissimulare molte cose.
    I ghoul che aveva davanti non li aveva mai visti, ne pensava che fossero amici di Junichi, gliene avrebbe parlato quanto meno, e anche se avesse avuto modo di riconoscerli era certo che non sapessero di lui, o meglio di loro.
    Inoltre la kagune vicino al suo collo gli ricordava che aveva un viaggio con un biglietto gratis di sola andata a cui non voleva partecipare tanto presto, non così, senza sapere che fine avesse fatto Junichi: allo stesso tempo, temeva che quel giorno sarebbe arrivato, ma la sua testa si rifiutava ancora di crederci finchè rimaneva attaccata al collo.
    Non aveva nessuna intenzione di morire, ma allo stesso tempo, piuttosto che consegnare Junichi nelle mani di tre sconosciuti, avrebbe preferito che quella kagune facesse il suo lavoro più in fretta possibile.
    ''Sono proprio nella merda''
    Senza quinque per giunta, non aveva nessuna possibilità di combattere, l'unica opzione era cercare di liberarsi, scappare o ancora, buttarsi dalla finestra o meglio, usare le scale antincendio per darsela a gambe, se ancora le aveva.
    Lo sguardo andò al ghoul che gli fece inizialmente quella domanda che piuttosto avrebbe dovuto fare lui: sapevano chi era, ovviamente, dovevano aver rovistato tra la sua roba, e ciò non era buono. Gli Onishi non godevano di certo di molta fama tra i ghoul, e sopratutto anche agenti della CCG.
    Cercò di mantenere il sangue fermo, anche quando la kagune si avvicinò pericolosamente scartando dei centimetri: non voleva essere di certo un folle coraggioso, l'unica cosa che aveva nella sua testa era Junichi, ed era l'unico motivo per cui ancora non aveva ceduto ad isteria.
    Probabilmente quello era il karma, che dopo anni aveva deciso di bussare alla sua porta per quello che aveva fatto.
    «Non ho fatto proprio un accidenti di niente»
    Non aveva senso nè mostrarsi gentili, nè spaventati, quindi aveva optato per la ''trasparenza'', ovvero avere un diavolo per capello, come era di solito.
    E poi se proprio dovevano essere tecnici, aveva fatto ben altro, ma non era decisamente il caso di specificare quella parte: poco sapevano su di loro, più l'altro sarebbe stato al sicuro, anche se questo significava prendere quel biglietto di sola andata.
    In parte era sollevato che gli avesse fatto quella domanda, significava che c'era speranza che fosse ancora vivo in qualche modo, perchè non era lì in casa, o quanto meno era ciò che poteva supporre visto che anche loro lo stavano cercando.
    Possibile che allora fosse scappato? No, lo avrebbe avvisato in qualche modo, erano già passati in situazioni estreme in cui avevano comunicato al minimo o non si erano visti per un po' per calmare le acque. Junichi sapeva come fare in queste situazioni, ne avevano parlato più di una volta...l'unica cosa poteva essere che gli fosse accaduto qualcosa, o che fosse arrivato ancora più tardi all'appuntamento e che forse adesso lo stava cercando a casa sua.
    La situazione, da qualsiasi angolazione la guardava, era sempre negativa.
    Ci fu una terza voce che però non vide in faccia, ma si accorse dell'ombra piuttosto allungata dietro di lui, doveva essere la stessa che aveva fatto quella battuta infelice prima che perdesse i sensi.
    Se non avesse avuto una kagune proprio bella che puntata a staccargli la testa si sarebbe anche girato, ma piuttosto gli uscì un verso piuttosto spazientito e irritato da quella pessima battuta, come un ringhio piuttosto basso. Alla faccia dell'umano.
    Le pulci? Lui?
    Dall'accento marcato sembravano stranieri, sopratutto per quell'incomprensione di parole, nonostante non era certo che sarebbe uscito con le proprie gambe, in caso, avrebbe memorizzato ogni dettaglio che riusciva.
    Doveva restare calmo, ma proprio stava facendo un grosso sforzo, sebbene mentalmente stava già richiamando tutti i santi e gli insulti che conosceva sia in inglese che in giapponese, e la lista era piuttosto lunga.
    Si irrigidì, istintivamente nel sentire un braccio sconosciuto attorno al collo, sentendo come si appoggiava alla sua schiena: ciò che gli fu messo davanti era la prova schiacciante che era ufficialmente nella merda.
    Ancora più di prima.
    Altro che affiatati.
    «Quell'idiota...io lo ammazzo»
    Frase infelice da dire davanti a tre ghoul, ma se prima aveva trattenuto gli emboli, adesso decisamente erano partiti alla velocità della luce.
    Ecco perchè non voleva tracce alcune, anche una foto poteva essere fin troppo compromettente, e quel momento ne era la prova che con le sue paranoie aveva ragione.
    Aveva oramai capito che la sua copertura era saltata, tutto. In quel momento aveva visto come entrambe le loro vite si erano sbriciolate in pochi secondi: se anche avesse trovato una scusa assurda per essere lì, se anche avesse finto di non essere a conoscenza della sua natura di ghoul, cosa tra l'altro improbabile viste le competenze che tecnicamente aveva, non avrebbe potuto trovare una scusa plausibile per quella foto che non mandasse tutto alle ortiche.
    Ora si che era preoccupato.
    Anche se sapeva di essere stato praticamente scoperto, e di non avere nessuna freccia al suo arco, non voleva compromettere ancora di più Junichi in quella situazione.
    «E perchè? Vuoi essere rimborsato un biglietto di una serata?»
    Tra i tanti lavori dopotutto faceva il buttafuori, ma era certo che se erano risaliti al suo indirizzo dovevano sapere anche quello. Non era decisamente nella posizione di fare battute, per nulla, ne era perfettamente a conoscenza, ma allo stesso tempo era frustrato dal non poter fare niente.
    «Piuttosto che diavolo volete da lui?»
    Sapeva anche di non essere nella posizione di poter fare domande, sopratutto con quella kagune ancora puntata ad altezza stomaco, anche se forse avrebbe fatto prima il misterioso individuo a spezzargli il collo vista la sua posizione.
    Almeno, voleva provare a capirci qualcosa.
    Perchè tre ghoul erano nel suo appartamento e lo cercavano?
    Avevano qualche conto in sospeso con lui? Aveva combinato qualche guaio?
    Se fosse uscito vivo da lì, lo avrebbe trovato in capo al mondo e gliene avrebbe dette quattro.


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    IMPORTANTE! Anche qui mi sono messa d'accordo con Cheshire, non è powerplay... D: comincio a chiedermi se dovrò dirlo ad ogni post.

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    Erano tutti nella merda. Lo era Milo Onishi, la cui vita era appesa a un filo, così come lo erano gli Yuurei, che al minimo errore avrebbero rischiato la fuga di un prigioniero che si stava rivelando un pesce troppo grande.
    Se già normalmente sarebbe stato fuori questione risparmiare un investigatore - una di quelle bestie che sputavano sentenze su una giustizia ipocrita brandendo armi fatte col sangue -, in questo caso il loro ospite portava uno di quei cognomi che sul dizionario dei sinonimi compaiono alla voce “sentenza di morte”.
    Sin da subito era stato preso il silenzioso accordo che Milo Onishi non sarebbe uscito vivo da quella casa, per questo motivo Echo non si stava facendo problemi ad intervenire nella conversazione quando solitamente sarebbe rimasto in silenzio. Trattenersi dallo staccargli il collo dal resto del corpo era difficile, ma per il bene della missione dovevano mettere da parte l’astio e scucirgli quante più informazioni potevano. In gioco c’era la vita di Alexey e se tramite Milo Onishi avrebbe potuto scoprire informazioni utili, Echo non si sarebbe fatto scrupoli ad annientarlo: c’è chi per qualcuno è disposto a morire, e chi per qualcuno è disposto a uccidere.
    “E perchè? Vuoi essere rimborsato un biglietto di una serata? Piuttosto che diavolo volete da lui?”
    Il problema era che Milo metteva davvero a dura prova il suo autocontrollo, problema che fu evidenziato dal lieve tremolio che scosse le sue mani. Ciononostante Echo rimase immobile, a prendere inaspettatamente l’iniziativa fu invece Megitsune, la cui kagune scattò con fluidità attorno al busto di Milo, stritolando in una morsa tanto improvvisa quanto violenta l’uomo e la tutta la sedia.
    «Tieni per te la tua boria, Onishi, non hai la minima idea di quante persone siano state sterminate per i deliri di onnipotenza della tua famiglia. Vi riempite la bocca di giustizia, ma poi fate a pezzi i bambini e li usate come armi. La natura vi ha voluti inferiori, una creatura vile come te non dovrebbe neanche respirare la stessa aria di un ghoul.»
    Tipico di Megitsune, parlare dei ghoul come se fossero unicamente vittime di una società marcia, ma al contempo era anomalo che lo facesse con così tanta veemenza. La rabbia che tentava di reprimere era perfettamente percepibile dalla sua voce.
    I secondi passavano lentamente, scandendo la sofferenza dell’umano.
    «… lascialo andare.» la voce tremula di Nebula si sovrappose agli scricchiolii della sedia. «Non è così che otterremo risposte, avanti, lascialo andare!»
    Megitsune la mise a tacere con uno sguardo fulminante. Tutto il coraggio con cui Nebula aveva tentato di ribellarsi venne meno, la sua testa si abbassò finché l’Onishi non fu fuori dal suo campo visivo.
    A quel punto Echo, che per tutto il tempo era rimasto a fissare spietatamente l’investigatore, fece un cenno con la testa a Megitsune. «Basta così per ora.» quel tono perentorio, sorto in maniera fin troppo spontanea per i suoi gusti, era esattamente ciò che suo nonno avrebbe voluto sentire più spesso da lui.
    Trovarsi da sola contro gli altri due convinse Megitsune ad allentare la presa, lasciando libero l’uomo di tornare a respirare.
    «Tornando a Minami Junichi… se c’è qualcuno che vuole fargli del male, sicuramente non siamo noi. Perciò, te lo chiedo di nuovo, che ne dici di parlarci di questo bel ragazzo?»
    Avrebbe potuto avere la creanza di spostarsi, ma Echo decise che fosse il caso di appoggiarsi coi gomiti alle spalle di Milo, come se non fosse stato già abbastanza indolenzito. Voleva che gli fosse chiaro in ogni modo possibile che avevano pieno potere su di lui.
    L’ultima domanda giunse come un sussurro all’orecchio sinistro di Milo: «Tu sapevi che è un ghoul, vero? Lo hai usato per arrivare agli altri? Giocare coi sentimenti delle persone è veramente spregevole...»
    Tra sé e sé cominciava già ad avere qualche idea di cosa stesse davvero succedendo, ma era troppo presto per avanzarle.

    -------------------
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    «Parlato Nebula/Ninel'.»
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    MILO ONISHI
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    Le conseguenze delle sue parole arrivarono in poco tempo: non aveva modo di reagire infatti a quella presa violenta e improvvisa a cui la kagune lo stava sottoponendo.
    Si sentì stretto talmente forte da credere che sarebbe potuto soffocare: l'aria dai polmoni gli era stata tolta in poco, respirava praticamente a fatica, e il suono che aveva emesso lo indicò piuttosto chiaramente, come se fosse in apnea adesso.
    Di quel passo avrebbe perso nuovamente i sensi, o forse sarebbe morto: per quanto anche quella morte sarebbe stata piuttosto brusca, almeno non avrebbe dato alcuna soddisfazione ai suoi assalitori.
    Sentì piuttosto chiaramente le parole di disprezzo che gli furono rivolte, e anche se non poteva rispondere, sapeva che era vero: quel suo cognome aveva portato una spaccatura profonda da secoli oramai, qualcosa che lui stesso odiava, ma quale ghoul sarebbe stato disposto a credergli?
    Allo stesso tempo però, era a conoscenza del fatto che non tutti gli investigatori sembravano propriamente in linea con il pensiero generale, per quanto potesse risultare assurdo.
    Anche se non fosse stato stritolato da quella morsa, non avrebbe comunque potuto rispondere, non aveva modo di difendersi da quelle accuse che per lui erano vere, e nessuno avrebbe mai creduto che per fino lui ci soffriva a qualcosa del genere.
    Si era spesso chiesto in quegli anni di totale segretezza, come facesse Junichi a sopportare ciò che lui faceva, ma allo stesso tempo, stando all'interno di quel sistema corrotto, aveva modo di tenere la situazione sotto controllo e di tenere al sicuro Junichi se non faceva passi falsi.
    Più i secondi passavano, più Milo sentiva il corpo irrigidirsi, come se cercasse di ribellarsi e di aggrapparsi all'istinto di sopravvivenza per poter respirare: gli occhi sgranati e il boccheggiare non facevano di certo pensare che se la stesse spassando, così come i polsi istintivamente cercavano nuovamente di liberarsi, per quel poco di movimento che gli era concesso, trovando nuovamente l'ostacolo della corda.
    Fu stranamente salvato, inaspettatamente, da uno dei ghoul, che appoggiato dalla stessa voce misteriosa di cui ancora non aveva potuto associare chiaramente la maschera, avevano fermato il terzo dal finire ciò che aveva iniziato.
    Appena ebbe modo di respirare, i polmoni cercarono di assimilare più aria possibile, facendogli ancora più male, insieme al resto del corpo che era ancora indolenzito, e dunque ora, lo era ancora di più: volevano risposte, volevano informazioni su Junichi.
    Milo non voleva parlare, e sapeva che non lo avrebbe fatto: fu in quel momento, che ebbe la consapevolezza che non sarebbe uscito vivo da lì.
    Gli crollò tutto sulle spalle come un macigno: la sola idea di morire e di non poter vedere Junichi lo stava stritolando peggio della kagune di prima.
    La sua mente era affollata da molti pensieri, che affluivano tanto veloci da rischiare di annebbiargli il suo giudizio: l'unica soluzione che vide davanti a sè fu soltanto una.
    Probabilmente, come al solito, era sempre troppo estremo, vedeva sempre tutto così nero.
    Se proprio doveva morire, avrebbe portato con sè tutto ciò che sapeva pur di proteggere l'altro. Era già quasi morto una volta, sapeva quanto faceva male una kagune, aveva anche ucciso per tutto quello...e per quanto oramai morire lo spaventava relativamente, perchè sarebbe stato completamente solo, ciò che lo terrorizzava di più era Junichi, dove fosse, non potergli dire nulla, nè sapere cosa avrebbe fatto dopo.
    Di piangere non se ne parlava, sebbene per una volta avrebbe tanto voluto sfogarsi in un pianto isterico, di frustrazione, ma non avrebbe mai dato questa soddisfazione di sembrare ancora più debole di quanto già non si sentisse in quel momento.
    Era impossibile sopravvivere in una situazione del genere, e temeva che quei tre ghoul, volessero cercare Junichi per fargli del male, e probabilmente gli avrebbero riservato un trattamento peggiore, forse, se il segreto fosse morto con lui, l'altro avrebbe potuto restare al sicuro.
    Di nuovo, sentì il ghoul di prima, appoggiarsi nuovamente sulle sue spalle, con i gomiti questa volta, lasciandogli uscire un lamento per il dolore ai muscoli.
    Aveva ancora il fiatone, ma qualcosa aveva ancora da dire, eccome, sebbene non fosse ciò che desiderava probabilmente l'altro.
    «E dovrei crederci?» Disse, cercando di recuperare più fiato. «Certo, dopo una violazione di domicilio, un'aggressione e aver trattenuto qualcuno contro la propria volontà con tanto di aggressione aggravata...certo che non volete fargli del male» Be' messa così in effetti rendeva la cosa peggio, nè ai suoi occhi era un motivo per fidarsi, assolutamente, e poi non avrebbe spiattellato e consegnato la persona che amava a dei totali sconosciuti.
    Se il destino era venuto a riscattare ciò che gli aveva precedentemente dato, per quanto fosse contrario a restituirlo così presto, sarebbe morto; avrebbe solo voluto più tempo.
    Ciò che però che gli fu detto dopo lo colpì in modo peggiore della kagune di prima, non sopportava che lo si accusasse di una cosa simile, sopratutto di aver giocato con i sentimenti di Junichi, o di averlo usato.
    Non sapevano assolutamente niente, nè pensava avrebbero potuto capire a quel punto: istintivamente si morse il labbro inferiore per evitare di rispondere stupidamente e di negare tutto per urlargli che non capivano assolutamente niente.
    Voltò solo lo sguardò come se volesse sfuggire al parlare e mettere ancora più nei casini Junichi: era disposto a passare per quel tipo di persona, di far credere che quelle accuse fossero vere, piuttosto che parlare e venderlo, piuttosto che tradirlo.
    «Andate al diavolo»
    Sibillò, a denti stretti, aveva oramai assimilato l'idea che sarebbe morto quella sera, ma aveva dovuto per forza accettarlo se significava dare una possibilità all'altro di mettersi in salvo.
    C'era però solo una cosa che lo preoccupava.
    «Se proprio volete uccidermi, fatelo» Perchè tanto, non avrebbe detto nulla, era quello il messaggio implicito oramai. «Un Onishi in meno su questo schifo di terra è sicuramente meglio per voi» Se non per alcune eccezioni, anche lui avrebbe sterminato la sua famiglia, e dunque poteva ben capire il loro desiderio di farlo fuori, eccome se lo capiva...
    «Solo...solo non qui» La voce tremò appena, fu solo per un istante, per quella richiesta, non avrebbe voluto mostrare un segno di cedimento, ma non riuscì a controllarlo, sebbene si riprese poco dopo per poter continuare.
    Non aveva idea se avrebbero dato ascolto a quella richiesta, non erano tenuti a farlo, probabilmente non lo avrebbero fatto, trovandolo solo patetico o bizzarra come richiesta, ecco perchè sperò di appellarsi all'integrità del ghoul che prima l'aveva stritolato, visto come sembrava ''tenerci'' a tutto ciò che era accaduto alla sua razza.
    Poteva anche sbagliarsi, ma almeno ci avrebbe provato.
    Inoltre se dovevano mangiarselo, sperava che tutti i suoi emboli gli avrebbero portato acidità di stomaco per un mese, ma quello forse era meglio non dirlo.
    «Se anche solamente credete un minimo a ciò che è stato detto prima, allora non mettete un altro di voi nei guai...va bene ovunque, anche un lurido vicolo, non me ne frega niente, tutto tranne che qui»
    C'erano due motivi principalmente per quella richiesta: la prima era far evitare a Junichi lo spettacolo pietoso e probabilmente straziante di trovarlo morto nell'appartamento in cui avevano trascorso bei momenti insieme, costringerlo a buttare il cadavere da qualche parte o fare forse anche peggio.
    La seconda, era chiaramente il fatto che trovando un investigatore della CCG in quel posto, sopratutto un Onishi, se Junichi davvero si stava nascondendo o era scappato, non ci avrebbero messo nulla a ricollegare il nome dell'affittuario, e quindi in qualche modo arrivare a lui, iniziando una caccia al ghoul a cui questa volta probabilmente non sarebbe potuto scappare, mettendolo in trappola. E probabilmente sarebbe stato un destino peggiore andare in mano alla CCG.
    Probabilmente le paranoie di Milo stavano prendendo il sopravvento, portandolo a pensieri del tutto estremi: non poteva fidarsi ad occhi chiusi di quei ghoul, che neanche conosceva, per quanto ne sapeva poteva essere tutto un bluff.
    E quella volta non avrebbe potuto fare nulla: l'unica cosa che probabilmente poteva fare per farlo stare al sicuro, era morire. Non gli importava neanche se fosse stato ammazzato come un cane, per lui le priorità erano ben altre in quel momento.
    Si rese conto troppo tardi però, che forse quello che disse, aveva fatto trasparire più di quello che avrebbe realmente voluto, allo stesso tempo se non avesse detto nulla, avrebbero avuto una conferma e non le risposte che volevano, perchè di parlare ancora non aveva intenzione.


    «Parlato»
    ''Parlato''

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    “E dovrei crederci? Certo, dopo una violazione di domicilio, un'aggressione e aver trattenuto qualcuno contro la propria volontà con tanto di aggressione aggravata...certo che non volete fargli del male”
    Ancora una volta, sotto la maschera il ghigno di Echo si allungò finché una lieve sensazione di dolore non si diffuse attraverso le sue guance: quell’uomo era uno spasso!
    «Certo che dovresti crederci. Non siamo noi gli investigatori della CCG
    Suonava come la classica situazione in cui il bue dà del cornuto all’asino. Sebbene fosse vero che anche tra ghoul non mancavano omicidi - o, nel peggiore dei casi, cannibalismo di specie -, mai si sarebbe potuta paragonare la potenziale bellicosità di un ghoul a quella di un investigatore: erano nemici naturali, come due leoni che combattono per il ruolo di capobranco. E ad Echo andava sinceramente bene così, il retaggio dei cacciatori era radicato in lui fin nelle viscere perché non trovasse innaturale e utopica una eventuale coesistenza tra umani e ghoul.
    Recuperato un po’ di coraggio - ce n’era voluto decisamente troppo per ribellarsi -, Nebula alzò di nuovo la testa, ma evitò con scrupolosità qualunque contatto visivo con Megitsune. Accavallò le gambe, ostentando una sicurezza che le mancava.
    «Il semplice esistere ci rende fuorilegge, qualunque nostra azione, legale o illegale per un umano, è solo un’aggravante. Magari potresti parlarne alla prossima cena di famiglia, così la prossima volta potremmo invitarti a parlare davanti a un caffè.» il discorso andava a parare sullo stesso tema, ma con toni decisamente meno provocatori di quelli usati da Milo. «Non te ne faccio poi tanto una colpa, è normale che non abbiate la minima idea di cosa si provi a vivere come noi.»
    «Mostri senza possibilità d’appello, senza il diritto di vivere.»
    «Suvvia, io e Milo stavamo facendo un discorso serio e voi rovinate tutto con l’antropologia culturale!» sbuffò Echo, richiamando le altre due all’ordine.
    In realtà capiva il perché delle parole di Nebula, lo capiva in una maniera che Megitsune non aveva mai provato. Ma non erano lì per partecipare a un dibattito sui diritti fondamentali dei ghoul, la notte non sarebbe durata in eterno e prima o poi qualcuno si sarebbe accorto della scomparsa di Milo Onishi. Avevano poco tempo a disposizione, anche se aveva motivo di dubitare che qualcuno lo avrebbe cercato in casa di Junichi Minami: il cervello di Echo elaborava rapidamente informazioni, dipingendo un quadro sempre più plausibile a giudicare dalle successive reazioni dell’investigatore.
    Aveva scelto di rispondere col silenzio alla sua domanda, confermando così ad Echo di aver centrato il punto.
    Ucciderlo, eh? Un Onishi in meno sì? E magari anche ucciderlo in un vicolo lurido, lontano dall’appartamento di un ghoul che avrebbero altrimenti messo nei guai nella remota possibilità in cui il suo corpo fosse stato prima o poi rinvenuto? Lontano dall’appartamento di Minami Junichi.
    Era tutto così semplice da rasentare il ridicolo.
    Stavolta Echo non si limitò a sogghignare, la sua risposta nacque da una risata bassa e beffarda. Afferrò lo schienale della sedia e la ribaltò, mandando a tappeto l’uomo senza preoccuparsi della tonnellata di lividi che di quel passo avrebbe sfigurato la sua cena.
    Quando Milo fu sulla schiena, concluse l’opera piazzandogli un piede all’altezza del diaframma.
    «Suzaku. Hai mai sentito questo alias? È da lui e i suoi amici cannibali che dovresti proteggerlo, non da noi.»
    Avrebbe potuto chiedergli direttamente dei Kiriyama, sarebbe stato molto comodo spedire la CCG in blocco a casa dei suoi nemici se non avessero ancora probabilmente avuto Alexey sottochiave.
    Era troppo impegnato a mostrare la sua maschera a Milo per accorgersi di come Nebula e Megitsune lo stessero fissando con disappunto: tipico di Echo, stravolgere i piani in quel modo. Cosa diavolo stava facendo?

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    MILO ONISHI
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    Non poteva dire di non capire il punto di vista dei suoi stessi aggressori: lo vedeva ogni giorno con Junichi, e il pensare che non avesse alcun diritto di vivere proprio perchè alcuni, sopratutto la sua ''famiglia'', aveva deciso che non meritavano di stare su quella terra...be', non riusciva ad accettarlo.
    Avrebbe voluto poter vivere quella relazione alla luce del sole, e preoccuparsi di ben altro, ma non era concesso.
    «Oh certo, sicuramente...non vedo proprio l'ora di andare ad una di quelle stupide cene guarda» Senza contare che doveva essere piuttosto ottimista per credere che avrebbero ascoltato discorsi su uguaglianza e pari diritti, forse solo qualche persona, ma con la vecchia guardia e alcuni dei nuovi...be', la vedeva piuttosto dura.
    Senza contare aveva colto l'ironia e aveva risposto altrettanto, ma se proprio doveva morire almeno non si sarebbe tenuto i suoi sassolini nella scarpa.
    Era inutile oramai anche nascondere la sua mal sopportazione della sua stessa famiglia: ma lui l'investigatore non aveva mai voluto farlo, i suoi sogni erano stati ben altri, e mai come allora pensò che forse Junichi aveva avuto ragione.
    Sarebbero dovuti scappare, nascondersi, senza mai più voltarsi indietro e sperare che gli Onishi si sarebbero dimenticati di loro, forse le loro vite sarebbero state molto diverse, e lui non si sarebbe trovato su quella sedia a conversare con i suoi futuri assassini.
    Avrebbe voluto dire che in parte poteva quasi capirli, anche se non allo stesso modo, anche lui viveva una parte della sua vita nell'ombra, e osservava com'era invece quella della persona che amava, e non poteva non pensare che fosse anche colpa sua.
    Non poteva però dirlo, allo stesso tempo, non voleva suonare come se si giustificasse, nè altro.
    «Lo vedo ogni giorno»
    Disse solamente, anche se con un tono appena più basso, attraverso gli occhi di Junichi vedeva chiaramente come stessero le cose, ed era oggettivamente un mondo ingiusto: era una disgrazia sia se nascevi umano, sia se nascevi ghoul.
    Per quanto pessimista, alle volte pensava che era meglio non venire al mondo, era più sicuro.
    Milo sbuffò al modo di interrompere del misterioso ghoul che ancora non aveva visto in volto, aveva il tipico tono di chi se la stava ridendo fin troppo; non gli era infatti sfuggita quella risata, e quell'attesa di morire lo stava innervosendo solo maggiormente.
    Di nuovo, una risata, probabilmente era diventato un vero intrattenimento per almeno uno di loro: accadde tutto in una manciata di secondi.
    Quando si era ritrovato per terra, non era riuscito a tenersi un'imprecazione per sè: la botta alla schiena la sentiva tutta, e di certo si sarebbero formati dei lividi, ma poco importava al momento visto che non avrebbe visto il giorno dopo.
    Non si aspettava di certo un trattamento con i guanti, ma anche quell'attesa snervante stava iniziando a farlo arrabbiare anche più del necessario.
    Si concluse tutto in bellezza con bel piede sopra al petto: finalmente potè vedere in faccia, o meglio, la maschera, del misterioso ghoul che aveva parlato fino ad ora.
    «Lo trovi piuttosto divertente immagino...»
    Per quanto non potesse vedere ciò che si celava dietro la maschera, poteva quasi percepire quel sorriso che si estendeva da guancia a guancia, e come poteva immaginare, sfortunatamente non vi era nessun elemento ad aiutarlo a capire qualcosa di più su di lui, solo il suo accento marcato.
    Rispetto ad altri ghoul, erano decisamente più furbi nel mascherarsi.
    Sentì un formicolio alla schiena, come risposta al dolore della botta, che ancora sembrava pulsare e ricordargli che stava conciato piuttosto maluccio.
    Lo guardò perplesso a quelle parole: di che diavolo stava parlando? Eppure, aveva attirato la sua attenzione. Quel tipo sapeva chiaramente qualcosa che Milo ignorava, e per quanto li avesse praticamente invitati a staccargli la testa, se c'entrava Junichi voleva sapere.
    «No, mai sentito. Ma cosa c'entra con Junichi?»
    C'erano troppi elementi in quella frase che non gli erano piaciuti: un nuovo alias, quindi un nuovo ghoul, cannibali, proteggere.
    Già solo questo non portava a nulla di buono.
    Inoltre, non poteva mica ricordarsi tutti gli alias che incontrava o che gli passavano sotto gli occhi in ufficio, per quanto in realtà avrebbe dovuto.
    Non ricordava che Junichi gli avesse mai detto che aveva dei nemici, o qualche ghoul che lo aveva preso di mira, insomma, certe cose se le sarebbe ricordate, come tutto ciò che riguardava l'altro.
    In che guaio si era cacciato?
    Significava che questo Suzaku l'aveva catturato? Quindi Junichi non era libero? Se era così, avrebbe avuto senso la sua assenza di quei giorni.
    Ma questo, indicava che c'era un altro enorme problema all'orizzonte, e dunque ci fu un'altra domanda che gli sembrò piuttosto lecita.
    «E voi cosa c'entrate con questo Suzaku e Junichi?»
    Qual'era il collegamento?
    C'erano troppe cose che non sapeva, troppi tasselli che gli mancavano.
    Di certo però, ora Milo sembrava più aperto a parlare e aveva la sua piena attenzione; e sopratutto, questo cambiava totalmente le carte in tavola per l'investigatore.
    Se Junichi aveva bisogno di lui, non poteva più permettersi di morire.


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    Lo trovava piuttosto divertente? Sì, in tutta sincerità sì. Anche più di un semplice “piuttosto”. Era divertente sotto diversi punti di vista, soprattutto per le reazioni attraverso cui Milo Onishi lasciava trapelare sempre più la verità celata dal proverbiale velo pietoso; se lo facesse consapevolmente o meno Echo non poteva saperlo, ma immaginava di sì, dopotutto quanto utopista avrebbe dovuto essere per credere che sarebbe uscito vivo da quell’appartamento? Fronteggiare la morte libera dal peso delle conseguenze e rende più sinceri, anche quando si tratta di ammettere tra le righe di non essere entusiasti della famiglia in cui si è cresciuti.
    Quel che traspariva - al punto da cominciare ad emergere - era che Milo fosse un Onishi a dir poco anomalo, poco fiero di ciò che la sua famiglia aveva creato dando vita alla CCG giapponese, invischiato in una relazione a dir poco pericolosa e clandestina con un ghoul per il quale si stava palesemente sacrificando. Se aveva creduto anche solo per un momento di fregarli con la storia dello scaricarlo in un lurido vicolo per non mettere nei guai un loro simile, allora era anche stupidamente ingenuo. Proprio quello era stato il suo errore definitivo, ciò che aveva trasformato in realtà i sospetti di Echo: l’atteggiamento intimo della fotografia non era uno specchio per le allodole, Milo Onishi non stava facendo il doppiogioco per la CCG.
    Era dannatamente serio nella sua relazione con Junichi Minami, al punto da sacrificarsi pur di salvargli la pelle.
    E questo tornava tremendamente a suo vantaggio.
    Avrebbe davvero potuto fare l’abitudine alla sensazione inebriante dell’avere totale controllo su un essere umano.
    “No, mai sentito. Ma cosa c'entra con Junichi? E voi cosa c'entrate con questo Suzaku e Junichi?”
    Echo era diventato il centro dell’attenzione: sentiva addosso gli sguardi confusi di Nebula e Milo e quello gelido di Megitsune. Si scoprì lievemente infastidito dalla mancanza di fiducia delle altre due: non aveva alcuna intenzione di incasinare le cose, non aveva già dimostrato in più occasioni di essere degno di fiducia? Ma forse - voleva dar loro il beneficio del dubbio - era solo lo stress causato dall’essere estremamente vicini alla risoluzione del caso a cui lavoravano da così tanto tempo.
    «Suzaku e il suo gruppo spadroneggiano su una parte di Shinjuku poco distante da qui.» prima di proseguire infilò le mani nelle tasche dei pantaloni e si inclinò in avanti, così da avere una visuale migliore sulle espressioni di Milo. «Quale sia il nesso tra noi e lui non è affar tuo, ti basti sapere che ha pestato i piedi alla gente sbagliata. Crediamo che Minami sia prigioniero di Suzaku, e se è così… da quanto è scomparso, tre o quattro giorni? Dubito durerà ancora a lungo.» scrollò le spalle, ostentando disinteresse.
    L’infima strategia di Echo cominciava a venire a galla, la domanda era: avrebbe funzionato?

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    MILO ONISHI
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    Quelle poche informazioni che il ghoul gli aveva dato erano state sufficienti per lui a far scattare la molla, senza neanche pensarci, di reagire.
    Lo aveva guardato con sorpresa, eppure una parte di sè pensava che stesse dicendo la verità...troppe coincidenze, sopratutto con le stranezze della totale assenza del ragazzo, che non si era fatto sentire in quei giorni.
    Se era davvero così, Junichi era prigioniero, era scomparso da altrettanti giorni e non poteva lasciarlo nelle mani di questi pazzi: doveva necessariamente intervenire subito, ma ciò significava non permettere più a quei ghoul di ucciderlo, e non gli importava delle conseguenze, voleva solo tirare l'altro fuori da quella situazione.
    La cosa che sapeva però, era che non poteva farlo da solo: inesorabilmente era caduto forse in una trappola, che lo vedeva costretto ad un'unica soluzione.
    Una collaborazione.
    Aveva corrucciato lo sguardo, in un'espressione piuttosto seria: non avrebbe girato attorno alla questione, ne gli importava cosa avrebbero pensato, la priorità di salvare Junichi scavalcava di nuovo qualsiasi cosa.
    Forse così era una persona facilmente manipolabile, ma mise a tacere le sue paranoie.
    «Allora devo ritrattare, perchè se le cose stanno così, non ho nessuna intenzione di lasciarlo nelle mani di questo Suzaku e il suo gruppetto»
    Forse se lo avesse liberato e rimesso in piedi avrebbero potuto parlarne decentemente, anche se sentiva ancora tutti i muscoli doloranti e probabilmente sarebbe durato così a lungo se fosse riuscito in quello che stava pensando.
    Lo aveva messo con le spalle al muro e ora Milo se ne rendeva conto.
    «E sopratutto, non ho intenzione di perdere tempo» Aggiunse. «Non ho idea di che cosa vogliate da questo tipo, e oramai neanche mi interessa più; ma se hanno Junichi, non ho intenzione di tirarmi indietro»
    Aveva il sospetto, oramai chiaro da come si fossero scomodati di indagare anche su Junichi, che avevano un conto in sospeso con quei ghoul.
    Che fosse tutta una trappola? Forse, ma doveva rischiare.
    «Sono un investigatore della CCG, sfruttatemi...ma voglio Junichi Minami fuori dalle loro grinfie e vivo»
    Stava forse proponendo quello che sembrava? Oh si. Probabilmente era un pazzo a sacrificare così la sua vita, o ad offrirsi come carne da macello, ma se il prezzo era quello, era disposto ad accettarlo di rischiare la pelle. Non lo aveva già dimostrato poco prima dopotutto?
    Il suo era molto un ''permettetemi di tirarlo fuori da lì'', che gli dessero quell'opportunità però non era una cosa così scontata.
    Inoltre quella posizione a terra iniziava ad essere piuttosto dolorante per la sua schiena e i suoi muscoli.
    Milo Onishi sembrava voler tenere a freno i suoi emboli e fare una specie di trattativa...per quanto potesse essere fattibile, l'opzione era ritrovarsi a pezzi di lì a poco.
    Se poteva anche solo sperare che il ghoul fosse disposto ad un patto, non era così sicuro che gli altri due ghoul lo fossero, sopratutto quello che l'aveva stritolato poco prima.
    Doveva sperare di essere abbastanza utile da vendere il suo aiuto per salvare attualmente la sua pelle così da salvare poi quella di Junichi.
    Se era ancora vivo...ma al momento pensare all'alternativa peggiore sarebbe stato solo peggio.


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    All’iniziale sorpresa sul viso dolorante di Milo Onishi subentrò la determinazione, una meravigliosa sequenza che per Echo aveva il sapore della vittoria. Che fosse l’investigatore facilmente raggirabile o lui abbastanza astuto da incastrarlo non faceva alcuna differenza: l’importante era ottenere ciò che voleva. Un bravo stratega sa come raggiungere il fine nascondendo i mezzi.
    Doveva ammetterlo: era stato più facile di quanto pensasse, ma l’amore era o non era un’arma a doppio taglio? Nel caso di Milo Onishi e Junichi Minami, tuttavia, neanche sforzandosi riusciva a trovare dei lati positivi in quella presuntuosa intromissione nelle leggi della natura incarnata nella relazione tra un investigatore e un ghoul. Capiva il gusto del proibito e forse, se non avesse avuto cucita addosso l’identità di Echo, avrebbe persino detto che erano carini, ma era ovvio che prima o poi sarebbero stati beccati. Poteva solo immaginare da quanto tempo andasse avanti quella farsa.
    Chissà se Milo si era accorto della subdola tattica con cui Echo lo aveva messo alle strette; in ogni caso non aveva alcuna importanza.
    Stavolta nessuno lo interruppe mentre pronunciava parole pesanti.
    Sequestrato, picchiato e umiliato, Milo stava offrendosi come carne da macello per conto dei suoi aguzzini.
    Avrebbe davvero potuto fare l’abitudine a quella sensazione di controllo.
    Senza neanche voltarsi, sentiva addosso lo sguardo di fuoco di Megitsune, contrariata dall’assurda idea di stringere un’alleanza con un investigatore. Era in effetti qualcosa che neanche Echo avrebbe normalmente fatto, ma non avendo un’idea chiara di chi fosse il loro nemico non poteva esimersi dal prendere ogni precauzione possibile. E avere un investigatore da usare come esca era un’ottima precauzione. Doveva solo maneggiarlo con cura.
    «Una collaborazione, huh?»
    La punta della scarpa cominciò a ticchettare sullo sterno di Milo, ad enfatizzare un falso processo di elaborazione della proposta. Una mano sul fianco e l’altra chiusa sotto il mento, emise il tipico mugolio prolungato di chi è assorto nei suoi pensieri.
    «E perché dovrei fidarmi di te? Potresti solo volere un pretesto per salvarti la vita e poi darci la caccia, dopotutto perché un investigatore della CCG dovrebbe mettersi in pericolo per salvare un ghoul? Che garanzia mi dai che non sia così?»
    Come peggiorare ulteriormente la propria posizione: nonostante fosse ormai palese la relazione tra Milo e Junichi, Echo voleva che affrontasse la gogna pubblica mettendo a nudo i suoi segreti. Non si trattava (solo) di semplice sadismo, ma era ancora troppo presto per rivelarsi.

    -------------------
    «Parlato Echo/Lazar.»
    «Parlato Nebula/Ninel'.»
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    Era oramai conscio di essere caduto appieno nella trappola del ghoul, ma non gli poteva importare di meno.
    Il suo orgoglio, il suo nome, neanche le sue condizioni avevano importanza per lui: tutto agli occhi di Milo passava in secondo piano quando si trattava di Junichi, e cinicamente sapeva quanto potesse essere distruttivo per lui.
    Ma era dell'idea che se già in passato avevano rischiato tutto, non avrebbe avuto problemi a farlo ancora, forse anche per questo aveva sviluppato certe paranoie ed ansie che non si sarebbero formate se avessero agito diversamente in passato.
    Oramai però era lì, e non si poteva tornare indietro.
    «Mi prendi per il culo?»
    Ah, se solo avesse potuto vedere i suoi emboli come erano schizzati in un solo secondo e ora cercava nuovamente di trattenersi. Be', era già tanto che non fosse scoppiato prima.
    Evviva la sobrietà di Milo, che di certo non era quel tipo di persona, allo stesso modo però si rendeva perfettamente conto di non avere lui il coltello dalla parte del manico, sarebbe stato da idiota oramai negare ciò che era evidente.
    Era stato scoperto alla fine, il suo peggiore incubo si era palesato sotto forma di ghoul, di cui neanche sapeva il nome.
    «Che senso avrebbe darvi la caccia? Oramai siete a conoscenza di cose in cui non avreste dovuto neanche ficcare il naso. Ci tengo ancora a preservare la mia vera vita intatta se posso...e di certo non la manderei al diavolo dando la caccia a qualcuno che può rigirarmi contro qualcosa. Sarebbe decisamente poco furbo da parte mia»
    Commentò, e con vera vita intendeva con Junichi, per quanto la vivessero nell'ombra era quella che lui considerava la più sincera o quella che avrebbe voluto essere la sola e unica, la menzogna era dover essere un investigatore.
    Avrebbe dormito sonni più tranquilli se tutti quei ghoul fossero morti con il suo segreto, era innegabile, ma la situazione si era complicata a tal punto che era impossibile contemplare una soluzione diversa in quel frangente.
    Voleva che ammettesse in pubblico qualcosa che aveva oramai capito fosse alla portata dei suoi aguzzini? Milo per quanto sembrasse sempre schivo e sulle sue, aveva anche una bella faccia tosta quando voleva.
    Non aveva nessuna intenzione di essere totalmente inerme e sopraffatto: l'istinto infatti di sferrare un calcio era piuttosto forte, ma, ancora, sapeva che non era una buona idea vista la sua situazione.
    Il tacco che picchiettava sullo sterno poi non aiutava l'investigatore a rilassarsi, già malconcio com'era. Si, era fastidioso e lo innervosiva ulteriormente.
    «E poi, non mi fido a lasciare il mio fidanzato nelle mani di sconosciuti» Voleva che affrontasse la realtà? Lo aveva fatto, e lo sguardo era piuttosto serio: fu però stranamente un sollievo, qualcosa che non provava da molto, era infatti la prima volta che ammetteva pubblicamente la sua reale situazione con Junichi.
    Per quanto ne sapeva, avrebbero potuto lasciarlo nelle mani di questi altri ghoul senza minimamente prestare attenzione alla sua vita o ad aiutarlo, dunque era compito suo assicurarsi che Junichi uscisse vivo, da qualunque posto si trovasse.
    Anche arrivando a stringere un'alleanza con i suoi attuali aguzzini.


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    “Mi prendi per il culo?”
    «Senza offesa, ma non sei il mio tipo.»
    La risposta, pronunciata con tono compiaciuto come se quella di Milo Onishi fosse stata davvero una proposta oscena, fu seguita da un sospiro: la pazienza di Megitsune cominciava a sfiorare il limite, Echo percepiva lungo la schiena il suo sguardo di fuoco - forse era per quello, e non per il mix di ansia e agitazione che gli arrovellava lo stomaco, che aveva più caldo del solito. Adesso ne era sicuro, tornati a casa niente lo avrebbe salvato da una bella lavata di capo. Non poteva comunque darle torto, sapeva benissimo che Megitsune non amava gli imprevisti, ma continuava comunque ad agire di propria iniziativa, arrogandosi il diritto di decidere per tutti e tre senza aver prima discusso un piano di battaglia.
    Un’eco provvisto di libero arbitrio non può che essere incontrollabile.
    Ma lui non stava brancolando nel buio nella speranza di ottenere qualcosa, aveva tastato il terreno prima di procedere passo dopo passo, con prudenza, verso il suo obiettivo. Dovevano avere ancora un po’ di fiducia in lui. Ora come in poche altre occasioni, sperò che le ragazze capissero che per niente al mondo avrebbe messo a repentaglio la missione di salvataggio del suo migliore amico.
    Se Junichi Minami era veramente prigioniero dei Kiriyama, allora una collaborazione sarebbe stata un’opzione win-win. Viceversa, investigatore della CCG o ghoul non faceva differenza, ai suoi occhi Milo Onishi era solo preziosa carne da macello in una guerra contro l’ignoto.
    Per riportare a casa Alexey non avrebbe guardato in faccia nessuno.
    «Molto bene.» sibilò in risposta al breve monologo dell’investigatore, annuendo lentamente.
    Finalmente venne il momento di girarsi verso Megitsune e Nebula, che, come statue, erano rimaste immobili durante le trattative. Nessuna delle due disse o fece alcunché, ma lui non avrebbe saputo dire se perché avevano fiducia in lui o reputavano la missione ormai troppo compromessa dal più piccolo e inesperto degli Yuurei. Poteva solo immaginare quali emozioni si celassero sotto le loro maschere, il solo pensarci gli dava i brividi.
    «Spero tu sappia cosa stai facendo.» disse in un sussurro Megitsune.
    Lui annuì. Non voleva deluderle, doveva andare tutto bene. Tutto bene.
    Altrimenti sarebbe stata solo colpa sua.
    Tornò a fissare Milo, ancora disteso per terra inerme; non poteva liberarlo infilando la kagune tra le corde e il legno della sedia, avrebbe rischiato di ucciderlo stritolandolo. Se non voleva ferirlo, la soluzione migliore era agire con la precisione chirurgica guadagnata negli anni di allenamento da cacciatore. Pochi secondi più tardi, un filamento scarlatto della rinkaku di Echo serpeggiò accanto alla sedia, allineata alla spalliera. Si alzò a meno di un metro, nella penombra, e con uno schiocco simile a quello di una frusta tagliò l’aria, recidendo le corde poco sotto le spalle di Milo.
    Libero.
    Tolse il piede dal suo sterno e gli porse la mano per aiutarlo a rialzarsi, la prima azione vagamente umana nei suoi confronti.
    «Benvenuto a bordo, Onishi Milo. Io sono Echo.»
    Dire o non dire il proprio alias? Ci aveva riflettuto abbastanza mentre Milo parlava, ma alla fine aveva optato per la verità. Tornato alla CCG avrebbe comunque avuto modo di risalire con facilità alle loro identità, quanti ghoul registrati con un nome collettivo potevano esserci a Tokyo? Ma non si trattava solo di questo. Mostrando quell’apertura Echo mirava a far capire a Milo che erano seri nel voler collaborare.

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    Era rimasto interdetto da quella risposta detta così di getto, e gli sarebbero anche partiti altri 5 emboli tutti insieme se non fosse che aveva ben altro a cui pensare a quel momento: la faccia che fece però valeva molto più di mille parole e che potevano ben esprimere cosa avrebbe voluto dire in quel momento.
    Nonostante la risposta affermativa che aveva sentito provenire dal ghoul, non seppe fino all'ultimo se il suo obbiettivo e le trattative fossero andate a buon fine, dopotutto era ancora legato come un salame, dolorante e sebbene non fosse nelle condizioni migliori per combattere fosse stato per lui sarebbe subito corso a liberare Junichi.
    Dentro di sè però sapeva che serviva un piano, restare vivo era solo il primo passo.
    In pochi secondi sentì i muscoli rilassarsi all'improvviso, come se potesse finalmente respirare dopo una lunga apnea, e appoggiò istintivamente la nuca contro il pavimento, sospirando quasi sollevato.
    Era andata bene, per adesso si poteva dire che avevano un accordo, una tregua.
    Avrebbe voluto decisamente sfogare tutto quello stress, ma non era il momento, aveva oramai l'adrenalina ancora a mille: quasi non gli sembrava vero di essersela cavata...per adesso.
    Guardò la mano dell'altro e dopo pochi istanti la afferrò per potersi rialzare, anche per suggellare in qualche modo quel patto che avevano appena fatto.
    Se doveva fare da esca, lo avrebbe fatto senza pensarci, l'obbiettivo era tirare fuori Junichi da tutta quella storia.
    Sorrise appena a quella presentazione, quasi divertito, probabilmente era il modo migliore per non sbroccare completamente dopo tutta quella serata che era decisamente andata in un modo che non avrebbe mai potuto prevedere.
    Ora si ritrovava legato a doppio filo con tre ghoul, e la sua paranoia sarebbe stata messa a durissima prova.
    «Piuttosto rumoroso per un nome del genere»
    Aveva risposo senza pensarci e aiutandosi grazie all'altro a rialzarsi: non aveva scelta dopotutto, doveva fidarsi e quell'apertura nei suoi confronti era un modo per poterlo fare.
    Sentì tutti i muscoli indolenziti e gridare di poter avere una pausa, e quasi non gli parve vero di riuscire a rimettersi in piedi, però era accaduto, era lì e ora necessitavano di organizzarsi.
    «Allora...da dove iniziamo?»
    Non avrebbe mai pensato che da quel preciso incontro, la sua vita avrebbe acquistato un nuova piega.


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