From the Dead

[CONCLUSA] Akari Katagiri & Ryoga Hasegawa @Baia | 21 Maggio 2020, 01.00 AM | Piovoso, 15°C

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    Il muro d’acqua si aprì con un’esplosione nelle sue orecchie. Annaspando alla ricerca di ossigeno, Ryoga riemerse dall’ennesimo tentativo di cancellare l’odore della putrefazione dalla sua pelle; aveva fallito, constatò accostando il viso al braccio ed inspirando il rivoltante olezzo che sembrava essere diventato parte costitutiva del suo corpo.
    Esalò tutta l’aria inscatolata nei polmoni con un sospiro a metà tra l’esasperato e il disperato, appoggiando infine la nuca al bordo della vasca. Le ciocche bagnate che coloravano di biondo il suo campo visivo furono scacciate con la mano sinistra - non che ci fosse granché da osservare nel bagno imbiancato dal vapore.
    Niente da fare, ancora una volta non c’era niente da fare, non importava quanto tempo passasse a strofinare il lato ruvido della spugna sulla sua povera pelle ormai irritata e screpolata, quella maledetta puzza non se sarebbe mai andata. E sinceramente non ne capiva il motivo: se era possibile che un morto camminasse tra i vivi, per quale motivo non era altrettanto possibile che suddetto morto profumasse di aloe vera? Non era abbastanza intelligente - e Ryoga non mancava di ripeterselo ogni giorno - per capire perché nessuno a parte lui se ne rendesse conto, ma, almeno per quanto riguardava Risa e sua madre, sospettava mentissero pur di non ammettere l’atroce verità. Non poteva dar loro torto, anche lui avrebbe fatto lo stesso.
    Ma quel modo di fare non avrebbe portato benefici a nessuno: né a loro che si illudevano di vivere in un sogno, né a lui che prima o poi avrebbe dovuto salutarle. Per il momento gli bastava che nessuno notasse la puzza di decomposizione, altrimenti avrebbe perso il lavoro.
    Impugnò con un gesto secco la spugna: si sarebbe comunque dato un’altra sfregata prima di uscire. Cacciò fuori un sospiro irritato.
    Le macchie di umidità sul soffitto avevano più voglia di vivere di lui in quel momento.

    Ryoga uscì dal bagno ben trenta minuti più tardi, accompagnato da una scenica nube di vapore che si dissolse dopo pochi passi.
    Era mezzanotte e un quarto ed a breve sarebbe dovuto uscire per incontrare un gruppo di Spazzini nei pressi della baia. Non era difficile immaginare che Ueda-san gli avesse affidato una semplice missione di scorta, per di più a fianco di Akari Katagiri, per reinserirlo con dolcezza nel giro dopo la traumatica esperienza con Nagamine. Sebbene le fosse grato, non poteva nascondere a se stesso una punta di amarezza: davvero non poteva essere più utile di così? Ad ogni modo, rifiutare l’offerta non era tra le opzioni disponibili, quindi se lo sarebbe fatto andare bene.
    Abiti scuri, in netta contrapposizione col suo personale stile appariscente, ottimi per passare inosservati e nascondere il rossore allarmate che aveva scatenato sulle braccia con la famosa ultima sfregata. Stranezze dell’essere ghoul ma avere comunque una pelle delicata.
    Aveva appena infilato lo smartphone nella tracolla - già contenente berretto, divisa e maschera - quando un lieve zampettare di piedi lo avvisò della presenza di Risa. Non poteva che essere lei, a quell’ora loro madre era troppo stanca per essere ancora sveglia.
    Si voltò, rivolgendole un sorriso ancor prima di vederla. «Scusa, non volevo svegliarti. Sto uscendo.»
    «A quest’ora?» ribatté nella penombra Risa arricciando il naso, prima di attraversare con passo felpato il corridoio ed essere accolta tra le sue braccia già protese. Dopo un breve abbraccio, Risa prese tra le mani il viso di Ryoga e gli accarezzò gentilmente le guance coi pollici. «Mi raccomando, fai attenzione, bruh.»
    In tutta risposta Ryoga strofinò le guance contro le sue dita, come un bambino. «Hm-hm!» annuì, raggiante, infine salutandola salutandola con un bacio sulla fronte. «Anche tu, bruh.»
    Senza che l’ombra di un’emozione le solcasse il volto, la ragazzina ribadì sottovoce «Sei tu bruh...»

    Fare il bagno prima di uscire era stata un’idea davvero molto stupida, ragionò mentre si infilava i guanti e tirava su il cappuccio impermeabile. Pioveva a dirotto da una settimana, avrebbe dovuto immaginare che neanche quella sera il tempo sarebbe stato clemente; anzi, proprio notti del genere erano l’ideale per reclamare cadaveri passando facilmente inosservati, probabilmente Ueda-san aveva fatto lo stesso ragionamento.
    Appena messo piede fuori dal condominio aprì l’ombrello e si incamminò verso il punto d’incontro, un vicolo forse troppo stretto persino per circolare in auto. Non era neanche troppo distante da casa, stava giocando troppo safe per i suoi gusti di persona con un briciolo di orgoglio. Attraverso l’unico auricolare indossato ascoltava Beneath the Mask, un brano della OST di Persona 5 scoperto grazie a Risa; adorava quella OST, era proprio il genere di musica che preferiva.
    Se qualcuno lo avesse visto lo avrebbe probabilmente scambiato per un poco di buono, perciò quando raggiunse il punto d’incontro si rifugiò sotto una tettoia e chiuse l’ombrello, in modo da mescolarsi meglio alle ombre. Scoccò un’occhiata all’orologio da polso: l’una in punto.
    Era in perfetto orario.
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    Edited by Yukari - 18/10/2021, 17:33
     
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    Akari Katagiri
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    La richiesta di Yasuko fu un po’ una sorpresa, quella di portare Ryoga con loro alla prossima uscita dedita alla raccolta. Di solito al loro team di Spazzini non serviva una Sentinella come scorta, insomma bastava e avanzava Akari stessa, no? Ma comprendendo la situazione, avevano acconsentito di buon grado. Mal che andava avrebbero avuto della manodopera in più da sfruttare.
    Comunque sia, la notizia che il ragazzo fosse stato coinvolto in uno scontro brutale con una colomba, rischiando quasi di perdere la vita, aveva raggiunto anche le orecchie di Akari. O meglio, le era stato spiegato quando aveva notato l’agitazione nei giorni in cui era scomparso. Poteva solo immaginare cosa aveva passato, aveva solo le sue esperenza personalii come confronto ma già quelle le bastavano per farsi un’idea e il solo pensiero la terrorizzava.
    Per cui, un graduale ritorno alla normalità non poteva che fargli del bene, giusto? Di solito i loro giri erano abbastanza noiosi anche se, beh, dipendeva anche dalla zona. Sarebbe stato divertente! E rilassante! O qualcosa del genere, si.
    Il giorno della scampagnata non sarebbe toccato a lei chiudere la caffetteria, per cui era tornata a casa prima e se credete abbia passato il pomeriggio a fare qualcosa di produttivo, beh, vi state sbagliando di grosso. La signorina aveva ben deciso di passare quelle ore a giocare ai videogiochi (aveva un’isola da mantenere e animaletti da accontentare!) fino a quando sua sorella Megumi non era tornata a casa.
    Dopodiché aveva passato il resto della serata a guardare un film con lei, come era diventata loro usanza. Ora che lavoravano entrambe il tempo che a loro disposizione per stare un po’ insieme si era considerevolmente ridotto per cui avevano iniziato a pensare a qualche cosa da fare insieme. I film erano uno di questi e quella sera, era il turno della maggiore di scegliere cosa guardare.
    Problema fu che, nemmeno a metà film, Akari si era addormentata. Si svegliò qualche ora dopo al suono della suoneria del suo cellulare e di sua sorella che la stava strattonando pur di svegliarla.
    Oh no.
    Ruzzolando a terra e cercando di districarsi dalla coperta sotto lo sguardo preoccupato di Megumi, Akari afferrò il suo cellulare, rispondendo alla chiamata: un Kazu molto incazzato gli stava urlando di sbrigarsi perchè lui e Chizu la stavano aspettando ormai da quasi un quarto d’ora, per poi chiudere la chiamata. Oh no.
    Akari si alzò in tutta fretta, correndo prima in bagno a lavarsi il volto (era forse bava quella sul suo mento?) e pettinarsi i capelli, per poi tuffarsi in camera per cambiarsi in qualcosa di più adatto e comodo per quello che doveva andare a fare ovvero un completo sportivo che, fortunatamente, aveva già preparato!
    Zainetto in spalla, si diresse poi all’ingresso per mettersi gli stivali e dopo aver abbracciato sua sorella, annuendo alla sua raccomandazione di stare attenta, uscì. Per poi tornare subito dentro per prendere l’ombrello che stava quasi per dimenticando. Megumi scosse la testa, un sorrisetto stampato sulle labbra nel mentre la salutava di nuovo.
    Con il cappuccio ben saldo in testa e l’ombrello a coprila, Akari si diresse correndo verso il luogo dove si era data appuntamento con i suoi due colleghi, a qualche via di distanza da dove si trovava il condominio in cui viveva, considerando che erano loro quelli con l’auto, mica lei! In fondo, lei la patente nemmeno ce l’aveva! I mezzi pubblici erano la sua vita, peccato che a quell’ora... non girassero.
    Trovò la loro auto parcheggiata di fronte ad un conbini ancora aperto, seduti comodamente al riparo nel mentre sorseggiavano un caffè aquoso e probabilmente schifoso ma, in fondo, a quell’ora dovevano accontentarsi. Battendo sulla portiera di fronte, si fece aprire quella dei sedili posteriori e salendo, si scusò sonoramente con i due ragazzi promettendo loro che non sarebbe successo di nuovo.
    I suoi due sfortunati compagni di squadra sospirarono sconsolati per poi scoppiare a ridere. Sapevano che quella non sarebbe stata di certo l’ultima volta che sarebbe arrivata in ritardo. La lista dei suoi sgarri era lunga e forse per la volta successiva avrebbero dovuto proprio concordarsi per un orario diverso, così almeno sarebbe arrivata in orario. Beh, non è che alla fin fine a loro cambiasse qualcosa ma quella sera erano comunque accompagnati da un quarto ghoul e che figura avrebbero fatto arrivando in ritardo? Beh, ormai il danno era fatto, ora dovevano solo premere sull’acceleratore.
    Considerando che a quell’ora il traffico era praticamente inesistente, alla fin fine impiegarono solo poco più di un quarto d’ora per raggiungere Minato e, una volta nei pressi del luogo dell’incontro, Akari scese dall’auto e, coperta dal suo ombrello, prese una delle due tracolle dal portabagagli, salutando i due, per poi dirigersi verso il punto d’incontro che si era data con Ryoga.
    Una nei pressi del punto concordato, guardandosi intorno, non ci mise molto a trovarlo. Non che ci fosse qualcun’altro giro, per cui si sbrigò a raggiungerlo sotto la tettoia, abbassando per il momento l’ombrello.
    «Ryoga-senpai!» gli disse andandogli vicino, con aria dispiaciuta e una mano dietro la testa «Sono in super extra ritardo! Perdonami!».
    In ritardo, si, di ben 15 minuti belli tondi, era quello che gli aveva comunicato lo schermo del suo cellulare poco prima. Comunque sia, si riprese in fretta anche se, il rossore sulle guance causato dall’imbarazzo che stava provando, le era rimasto. Sperò che Ryoga non lo notasse.
    «Andiamo?» aggiunse poco dopo, ritornando sotto la pioggia. Avrebbero dovuto camminare un po’ prima di raggiungere un luogo adatto per potersi cambiare con la loro divisa e iniziare la loro “caccia al tesoro”. Gli altri due avrebbero controllato una zona differente, sempre a Minato, con la speranza che almeno una delle due coppie quella sera avesse un po’ di fortuna.

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    Edited by alyë - 6/6/2020, 20:39
     
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    Non credeva che da quel muro d’acqua sarebbe uscito con altrettanta facilità: il tempo continuava a peggiorare e lui avrebbe dovuto lavorare il giorno dopo, sperava proprio di non prendersi una bella influenza.
    Ciononostante, la situazione non gli risultava affatto spiacevole: Ryoga apprezzava la pioggia - in particolare il ruggito dei temporali -, e quella sarebbe stata probabilmente una delle ultime settimane uggiose prima dell’inizio dei torridi mesi estivi movimentati da sporadici brevi acquazzoni, dunque voleva godersela. Vivere l’attimo era sempre stata una sua prerogativa, ma ora era addirittura una necessità, del resto niente gli assicurava che sarebbe stato ancora lì l’autunno successivo.
    Gli occhi cominciarono ad abbassarsi sull’orologio digitale dello smartphone con maggiore frequenza: cinque, otto, dieci minuti dallo scoccare dell’orario dell’appuntamento, ma ogni sguardo con cui dardeggiava nelle vicinanze gli confermava che non c’era ancora nessuna traccia degli Spazzini.
    Dando per scontato che la colpa di un possibile fraintendimento fosse sua, all’una e undici Ryoga cedette alla paranoia. Possibile che avesse capito male? Interruppe la riproduzione della versione estesa di Beneath the Mask e aprì la app dei messaggi, scorrendo col dito finché non trovò quello in cui veniva concordato il punto d’incontro. No, pensò sospirando di sollievo, era stupido ma non al punto da dimenticarsi dove andare.
    Ma la paranoia era molto più forte di una semplice rassicurazione di essere nel posto giusto al momento giusto, e questo Ryoga lo sapeva fin troppo bene da quando Nagamine Saburo non gli aveva quasi fatto saltare il cervello. Archiviato il sospetto di aver fatto un errore, fu subito assalito dalla paura che gli Spazzini si fossero imbattuti nella CCG - che fossero in pericolo. E lui, invece di fare qualcosa, stava lì ad aspettare come un idiot- no.
    “Controllati.”
    Alzò a dismisura il volume, preferendo rimanere sordo piuttosto che permettere al suo cervello di lasciar passare paure che sapeva essere superflue e sciocche, ma che non riusciva più a frenare. Quel genere di paura lo assaliva ogni volta che Risa metteva il naso fuori di casa, non era umanamente possibile vivere in uno stato di perenne ansia. Nonostante l’impegno con cui stava sforzandosi di controllarsi, senza accorgersene il suo corpo cominciò a cedere a più di un tic: la punta del piede destro picchiettava con fare spazientito sull’asfalto lurido, la mano che non reggeva il telefono grattava il tessuto del pantalone attraverso la barriera dei guanti.
    Fu una vera fortuna che Akari Katagiri entrasse nel suo campo visivo prima che Ryoga perdesse la testa. Il suo volto si illuminò di un sorriso sinceramente sollevato, mentre si liberava degli auricolari riponendoli nelle tasche.
    «Akari-san!» esclamò quando la ragazza lo raggiunse, bloccando le sue scuse con una mano aperta e distesa. «L’importante è che tu sia qui, cominciavo a preoccuparmi fosse accaduto qualcosa...»
    In fondo il ritardo era stato solo di un quarto d’ora, ma aveva comunque rischiato l’esaurimento nervoso.
    All’invito a muoversi sorrise e annuì, affiancandola. «Come stai?»
    Non conoscendo la strada, sarebbe rimasto sì al suo fianco ma un passo indietro, così da seguirla.
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    Edited by Yukari - 18/10/2021, 17:34
     
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    Akari Katagiri
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    Akari gli sorrise, l’aria un po’ imbarazzata causata dal suo ritardo ancora non l’aveva abbandonata completamente. Prima d'iniziare a camminare, nella direzione di uno dei luoghi che sapeva fosse sicuro, lo avrebbe comunque aspettato al riparo sotto il suo ombrello. Diciamo, nel caso, non sarebbe stata la prima volta che era partita a razzo lasciando i suoi compagni indietro ma, ecco, si era fermata giusto in tempo per non fare un’altra brutta figura.
    «Sto benissimo! Sana come un pesce! Te invece?» disse lei in risposta alla sua domanda, il tono allegro e colloquiale, per poi andare ad aggiungere, con un leggero broncio e con una mano al fianco «Ryoga-senpai! Ti avevo detto che solo Akari va benissimo» scuotendo infine la testa, simulando un finto rimprovero.
    Ridacchiò poi, continuando con un «Almeno non mi hai chiamata per cognome, è un passo avanti!» lanciandogli infine qualche fugace occhiata da sotto la sua frangia.
    Non lo conosceva da moltissimo, o almeno non ci aveva interagito molto in precedenza, ma Akari voleva stringerci amicizia. Era curiosa di scoprire qualcosa di nuovo su di lui ma era restia dal fargli troppe domande e sembrare troppo una ficcanaso. Ecco, un passo alla volta e sarebbe andato tutto bene. Vero?
    Comunque sia, dopo aver analizzato un po’ meglio la precedente frase pronunciata dal ragazzo, arrivò per lei l’attimo di realizzazione. Così fulmineo che la povera Akari si fermò di botto, portando una mano in tasca per andare a recuperare il suo cellulare, scorrendo poi tra i suoi contatti e andando a leggere gli ultimi messaggi della sua chat con Ryoga stesso.
    «S-senpai, n-non ti ho avvertito?» balbettò lei e questa volta il suo tono non era solo esitante ma anche sconfortato. Insomma, c’era un’enorme differenza tra far aspettare qualcuno avendolo avvertito che non. Oddei.
    E così partì la sua seconda sequela di scuse. E disagio. Che figura! AHHH!
    Si riprese poco dopo, consapevole che se lei non si fosse mossa quella sera non avrebbero combinato molto. Per cui, a testa bassa, riprese a camminare. In silenzio, perché in quel momento stava morendo dalla vergogna e stava pregando gli dei che Ryoga non l’avesse già categorizzata come quella irresponsabile.
    Akari sospirò. Non sarebbe stata la prima volta. Almeno, aveva ormai realizzato che il ragazzo non l’avrebbe giudicata troppo. Secondo la sua personalissima opinione, era proprio una brava persona! Il suo giudizio non si sbagliava mai! Era quello che voleva pensare ma, beh, sappiamo tutti com’era andata a finire nel suo passato.
    Quel quartiere diventava proprio un mortorio a quell’ora, eh. Pensò lei. Non girava praticamente anima viva e loro sembravano quasi dei fantasmi che vagavano in certa di qualcosa. O qualcuno. Che, in un certo senso, erano proprio quello che stavano facendo.
    «Ci siamo quasi» commentò mogia, dopo pochi minuti, indicando con un dito un vicolo pochi metri più avanti «Possiamo cambiarci in quell’area».
    Una volta raggiunto quel luogo, Akari si spinse un po’ più dentro, giusto per sicurezza, fermandosi sotto una tettoia. Lei e la sua squadra andavano spesso in ricognizione in quella circoscrizione e Kazu era andando a fare l’ennesima perlustrazione quella stessa mattina. Perché non si sa mai, ormai lo aveva imparato sulla sua pelle. Ci potevano essere trappole in agguato, aveva commentato ironicamente Chizu, sotto lo sguardo preoccupato di una Akari di ormai più di un anno prima, quando si era unita alla loro squadra.
    Come di consuetudine, appoggiò la sua tracolla per terra, infilando in uno scomparto sicuro le sue cose più importanti, per poi tirare fuori il suo impermeabile, la sua visiera e la mascherina, pronta a trasformarsi con la spilla al petto in A! Alias Apple, la piccola Nube! Very cute e di sicuro non pacchiana come Peregrine! O quasi.
    Chiudendo l’ombrello e riponendolo in una tasca esterna, Akari si girò poi verso Ryoga incitandolo a fare lo stesso e fu li che si rese conto di una cosa, come un flash: oddio, quella situazione sembrava quasi un appuntamento! Si come quelle scene nei manga dove un ragazzo e una ragazza camminavano da soli di notte, l’area intorno a loro tesa ma allo stesso tempo romantica! Wow! Beh, il loro sarebbe stato un appuntamento un po’ macabro ma sempre un appuntamento! Poi Ryoga era proprio un bel ragazzo! Eheh.
    Oh no, calmati Akari, please, ritorna alla realtà.
    «La baia non è lontana» commentò con un leggero imbarazzo dopo essersi morsa l’interno della sua guancia, cercando nel mentre di rifocalizzarsi sulla realtà e non sul suo irrealizzabile mondo di fantasia. Si, quello dove era una bellissima principessa in certa del suo principe azzurro. O principessa rosa, si dice? Beh, sia mai si mettesse in imbarazzo di nuovo borbottando qualcosa d'inopportuno o che mettesse l’altro a disagio.
    Auch.
    «Vogliamo iniziare da uno dei ponti o più dalla costa? Qualcosa dovremmo pur trovare...» commentò, cercando i portare avanti il discorso, in attesa dell’input dell’altro. In fondo, non voleva decidere tutto lei. Voleva coinvolgerlo un po’, anche se la Spazzina tra i due fosse lei.

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    Il sorriso disteso di Akari spazzò via ogni preoccupazione, come se la paura che la CCG avesse intercettato la squadra di Spazzini non avesse mai sfiorato la sua mente. In realtà Ryoga sentiva ancora un lieve nervosismo annodargli lo stomaco, ma era solo questione di qualche minuto perché scivolasse del tutto via.
    Il ritorno alla normalità si prospettava sempre più arduo e a lungo termine, ammesso che fosse mai riuscito a tornare a com’era prima dell’omicidio, e sinceramente ne dubitava.
    Ciononostante non si lasciò scoraggiare, adesso che non era più solo la paranoia era meno feroce e la solitudine meno paralizzante. Grazie ad Akari. Chissà se sarebbe stata felice di sapere che con la sua piccola presenza era capace di infondere un così grande coraggio negli altri.
    “Ryoga-senpai! Ti avevo detto che solo Akari va benissimo. Almeno non mi hai chiamata per cognome, è un passo avanti!”
    Benissimo, era stato rimproverato in meno di tre scambi di battute: nuovo record. Eppure la cosa lo divertì abbastanza da strappargli una risata, mentre inclinava la testa per incontrare lo sguardo di Akari sotto la frangetta.
    «E se lo avessi fatto perché trovo carine queste reazioni?» quello che fino a un momento prima era stato un normale sorriso di cortesia si arcuò solo da un lato, trasformandosi in uno malizioso. Il brusco cambio di tono durò però solo un attimo, in seguito al quale Ryoga recuperò la solita aura angelica, lasciandosi andare a una breve risata. «Sto scherzando, non preoccuparti. È solo che temo sempre di mancare di rispetto. Comunque anch’io sto bene, ti ringrazio, forse sembrerà strano ma questo tempo mi rilassa.» rispose camminandole a fianco, non troppo sicuro che si trattasse della verità.
    Non fino in fondo, almeno. Tutto sommato in quel momento stava bene.
    Proseguirono qualche altro metro prima che Akari fosse colta da una realizzazione fulminea, che la paralizzò dalla testa ai piedi. Un paio di passi più avanti Ryoga si voltò a guardarla, sperando non avesse dimenticato qualcosa in auto… e in effetti qualcosa aveva dimenticato, ma non in auto.
    «In effetti no-»
    Non lo avesse mai detto.
    Il resto della strada lo passarono lei scusandosi e lui tentando di rassicurarla. In certi momenti Akari sembrava davvero uscita da un manga, se non avesse testimoniato quanto forte picchiasse l’avrebbe forse paragonata alle protagoniste dei majokko alla Sailor Moon maniera, un po’ sbadata e sempre in ritardo col famoso toast imburrato in bocca.
    Così finalmente giunsero in un altro vicolo, stavolta per cambiarsi. Mentre Akari si trasformava in Sailor Apple, con la nonchalance di chi è abituato alle divise Ryoga indossò la sua, voltandosi verso la collega solo quando fu certo avesse finito. Non che Akari dovesse spogliarsi, ma un po’ di privacy gli sembrava cosa buona e giusta.
    «Uhm… che ne dici di cominciare dall’alto? Non sono pratico di questo lavoro, ma la costa è vasta e penso servirà un po’ per setacciarla.»
    Mise una mano sul fianco, spaziando con lo sguardo in direzione dell’uscita dal vicolo.
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    Edited by Yukari - 18/10/2021, 17:34
     
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    Akari Katagiri
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    Ecco, alla battuta di Ryoga, la nostra cara eroina quasi non si strozzò con la sua stessa saliva. Le gote ormai erano tinte di quel colore troppo simile a quello dei suoi capelli. Era diventata proprio una mela rossa matura, dunque. Va detto, però, che mentalmente stava urlando ma doveva essere forte, come sua sorella, e mantenere il sangue freddo oltre che darsi un contegno.
    ”Senpai, non dire queste cose, anche solo per scherzo! Il mio cuoricino non regge” pensò lei, simulando un colpo di tosse per poi ridacchiare leggermente ascoltando le successive parole del ragazzo, tornando infine al mutismo di poco prima. Ancora imbarazzata dalle sue precedenti gaffe. Si, meglio non commentare, altrimenti si sarebbe scavata (di nuovo) la fossa da sola e chi l’avrebbe più rivista. Di sicuro non Ryoga.
    Si diede mentalmente una pacca sulla spalla per il controllo appena dimostrato.
    Dopo una breve pausa, che usò per effettivamente riprendersi da quel momento di estremo batticuore, Akari annuì, prendendo in considerazione il commento del suo collega. Quella sarebbe stata la prima volta in, beh, molto tempo, da aveva iniziato a svolgere quel ruolo, che era accompagnata da qualcuno che fosse al di fuori del suo team. Per cui, non poteva comportarsi come al solito e seguire l’abituale routine senza commento alcuno.
    Si spremette dunque le meningi, cercando di ricordare cosa aveva fatto lei quando era ancora una sentinella, a parte mantenere le distanze e finire alla fine lei nei guai? O quando era appena diventata una spazzina, cosa avevano fatto Chizu e Kazu per introdurla al ruolo? Ah, l’avevano semplicemente portata con sé spiegandole mano a mano quello che il loro gruppo (nello specifico) faceva. Insomma, lei era più brava a imparare con esempi pratici che teorici. Le era sempre stato più facile capire come funzionava qualcosa vedendolo effettivamente in azione.
    Bene, avrebbe fatto anche lei così! Akari sorrise, anche se sotto la sua mascherina non si poteva di certo vedere.
    «Va bene! Dall’alto possiamo avere una visione migliore dell’area, così puoi farti un idea! E non farti problemi a fare domande» disse dunque lei, rompendo il mutismo di poco prima, guidandolo poi verso la fine di quel vicolo e dopo qualche svolta, fu finalmente visibile loro l’intera area della baia stessa.
    Con attenzione Akari si avvicinò al parapetto, osservando per bene cosa li circondava. Da quel punto c’era una buona visuale libera e non oscurata. Luci in lontananza a parte, c’era solo una solitaria barca che stava passando per la baia. Forse avrebbe dovuto accompagnarlo in cima a un palazzo ma, secondo lei, sarebbe stata una perdita di minuti preziosi.
    «In questa area non si trovano spesso corpi servibili nei vicoli ma non ti preoccupare, per quelle aree ci stanno pensando CZ e C2» commentò Akari, usando i due pseudonimi interni dei suoi due compagni, per poi voltarsi nella direzione di Ryoga, o meglio, di quello che al momento era F4 in modo da continuare la sua corta (e sperò chiara) spiegazione. Non era granché brava a spiegarsi, in fondo.
    «A noi interessa di più la baia e non ti preoccupare, controllarla tutta in una sera è effettivamente impossibile! L’area che ci spetta questa sera è quella della 3°» aggiunse poi. In fondo, loro tre non erano l’unico gruppo di spazzini attivi e, in quegli stessi istanti, altrove (per Tokyo e d’intorni) altri loro colleghi erano al lavoro.
    In lontananza era facilmente distinguibile il Rainbow Bridge, illuminato come ogni sera. Era un’area piuttosto frequentata ma era anche vero che fosse uno dei luoghi più comuni nella zona per tentare un suicidio. Nonostante fossero stati presi provvedimenti, ahimè, c’era chi riusciva comunque a compiere l’atto. Al resto ci avrebbe pensato la corrente.
    «Se stasera ne troviamo almeno uno, stiamo apposto! Nel caso c’è sempre domani» disse dopo qualche secondo di silenzio, per poi guidare Ryoga per un pezzo di strada, tenendo il parapetto sulla sinistra, cercando con lo sguardo un pezzo di sotto che fosse buono per poter camminare indisturbati e lontani dalla vista altrui.
    «Non mi piace molto la pioggia ma per questo tipo di lavoro può tornare utile» bastava non fosse un temporale, se la corrente dei fiumi fosse aumentata sarebbe stato un problema! Ma comunque sia, oltre al loro abbigliamento scuro, la pioggia aiutava a rendere le loro figure meno evidenti.
    «...spero non ci tocchi dare un’occhiata anche nei tunnel» commentò sottovoce. Non si sa mai, pensò lei, balzando giù dalla balaustra, atterrando in un appezzamento di cemento, facendo in fine segno a Ryoga di raggiungerla. Non si sa mai cosa avrebbero potuto trovare.

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    Edited by alyë - 21/9/2021, 17:04
     
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    Più che non essere pratico di quel lavoro, in realtà Ryoga non sapeva niente di quel lavoro.
    Setacciare una zona alla ricerca di cadaveri non sembrava un compito particolarmente impegnativo; dubitava richiedesse alcunché se non buon occhio e, ovviamente, un’abbondante dose di attenzione. Eppure lo faceva sentire come un pesce fuor d’acqua, in procinto di commettere un qualunque errore anche solo muovendo un passo in avanti.
    Normalmente sarebbe stato assai più rilassato e loquace - non che fosse un gran chiacchierone, ma reputava che la tensione fosse grande nemica dell’efficienza -, tuttavia dopo la recente esperienza con Nagamine Saburo aveva ancora seriamente paura di mettere il naso fuori di casa nelle sue vesti di ghoul. Il rischio di imbattersi in quel mostro lo atterriva senza sosta, gli annodava lo stomaco e percuoteva le tempie. Non era mai stato iperattivo quanto in quel periodo, preda di un continuo bisogno di muoversi per scaricare il nervosismo; persino i pochi minuti impiegati per cambiarsi bastarono a ricaricarlo di agitazione e paura di deludere le aspettative di Akari, di White e di sua sorella.
    Non essere da solo era al contempo una benedizione e un’ulteriore fonte di stress: preoccuparsi per gli altri gli veniva fin troppo spontaneo, anche quando sapeva di essere l’anello debole della catena. Forse aveva una reputazione fin troppo pompata di Akari, ma gli aveva fatto una buona impressione.
    “Va bene! Dall’alto possiamo avere una visione migliore dell’area, così puoi farti un idea! E non farti problemi a fare domande”
    «D’accordo.» optò per un approccio sincero e spontaneo, da quel poco che aveva capito di Akari pensava sarebbe stato molto apprezzato. «Non ti nascondo di essere un po’ in ansia, perciò mi rimetto nelle tue mani. Spero di non deluderti, senpai
    Sorrise, e anche se le labbra erano nascoste dalla mascherina sarebbero bastati i lineamenti del viso a renderlo palese anche ad Akari. L’onorifico con cui l’aveva battezzata era stato pronunciato in modo giocoso, ma era innegabile che in quel momento Akari fosse davvero il senpai tra i due.
    Uscirono dal vicolo, raggiungendo un parapetto da cui potevano godere di una vista soddisfacente sulla baia di Tokyo. Appoggiatosi di fianco ad Akari con un gomito, facendo attenzione ad evitare i residui di acqua piovana, Ryoga spaziò con lo sguardo fin dove le luci permettevano; in lontananza il Rainbow Bridge pitturava d’arcobaleno il mare buio.
    Proprio una bella nottata per procacciare cadaveri.
    Comunque era ancora convinto che l’area fosse troppo estesa per passarla al vaglio in maniera del tutto soddisfacente. Chissà se oltre la loro v’erano altre squadre di Spazzini all’opera in quelle stesse ore-
    “... L’area che ci spetta questa sera è quella della 3°”
    Okay, sì, c’erano probabilmente altri Spazzini in giro. Akari evidentemente gli leggeva nel pensiero, quindi era meglio non pensare cose compromettenti.
    Annuendo ad ogni istruzione ricevuta, il biondo si mise in moto subito dopo di lei, seguendola ma al contempo pattugliando i dintorni con la coda dell’occhio. Non voleva che ci fossero spiacevoli sorprese - o meglio, a non volerlo era la paranoia che gli alitava sul collo.
    «Davvero ne basta uno solo?» domandò, piuttosto sorpreso, prima di saltare dalla balaustra.
    La famiglia Hasegawa riceveva aiuto dalla Coltre delle Nubi da anni, ma Ryoga non si era mai informato sul lavoro di chi aveva sostanzialmente salvato la vita a lui, madre e sorella. Sapeva solo che la carne che finiva sulle loro tavole apparteneva a chi si era spontaneamente tolto la vita.
    «A volte...» fu sul punto di dire, con un filo di voce e lo sguardo basso tipico di chi è indeciso se fare o meno una confidenza; alla fine decise di rendere Akari partecipe dei suoi pensieri. «Ammetto che a volte mi fa paura la quantità di vittime che questa città riesce a mietere.»
    Forse era un discorso troppo deprimente, si disse, meglio metterlo da parte.
    Affiancò la ragazza, cercando di esprimere più attraverso la voce che l’espressione il suo dispiacere.
    «Perdonami, non è certo il momento adatto. Mi metto subito al lavoro.»
    Detto ciò, avrebbe instaurato qualche metro di distanza tra sé e Akari, cominciando a guardarsi intorno con attenzione. Da quel momento in poi non cercavano i vivi, ma i morti.
    ------------------------
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    Edited by Yukari - 19/10/2021, 11:14
     
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    Ryoga-senpai l’aveva chiamata senpai. Gasp!
    L’uso di quell’epiteto l’aveva presa un attimo contropiede, non aspettandoselo, ma era anche vero che in quel momento era effettivamente lei la “senpai” tra i due. Nonostante ciò, le faceva un po’ strano essere chiamata senpai, specialmente da parte sua. Aveva insistito varie volte anche con le nuove reclute di farsi chiamare semplicemente con il suo alias interno della Coltre anche perché essere chiamata in quel modo le ricordava il tempo che aveva passato tra le fila dei Raptors.
    Tuttavia, perché quello che aveva di fronte era Ryoga e non qualcun altro, sotto la maschera Akari non poté che arrossire dall’emozione.
    «Tranquillo! Non c’è niente da preoccuparsi se stiamo attenti e ci guardiamo le spalle a vicenda» fu quello che gli disse dopo qualche secondo che usò per recuperare del contegno, il tono di voce sicuro e fiducioso. Se doveva essere la sua “senpai” quella sera, allora doveva comportarsi come tale! Almeno un poco, si. Dai che ce la fai, Akari!
    Una volta atterrata su quel pezzo di terreno che dava sul fiume con un sonoro splash su una pozzanghera, quell’appezzamento ancora in cemento che si trovava direttamente sotto la balaustra dove si erano esposti poco prima, Akari si guardò prima intorno per poi sollevare lo sguardo nella direzione del suo compagno, in attesa che la seguisse.
    «Anche due non sarebbe male ma sarebbero più difficili da trasportare» commentò quindi quando lui la raggiunse «Non siamo l’unico team fuori questa sera e ogni giorno c’è sempre qualcuno in giro!» continuò, pensando ad alcuni dei suoi colleghi al momento anche loro al lavoro nelle altre circoscrizioni o nei dintorni direttamente fuori la metropoli, nella speranza di trovare qualcosa di, beh, usabile per la loro causa. Per quanto macabro in realtà quel pensiero potesse essere.
    Non sempre andava bene ma riuscire a trovare qualcosa sarebbe stato un bene per tutte le persone che aiutavano e che ne avevano bisogno. Non tutti i ghoul potevano cacciare per diversi motivi come, per esempio, essere troppo deboli per farlo da soli o anche impauriti dal prendere una vita umana. O anche perché tale atto, se scoperto, avrebbe potuto mettere a rischio la loro vita di tutti i giorni, quella che avevano faticato tanto per costruire.
    Fare parte della Coltre era un lavoro rischioso ma aiutare i loro simili, secondo Akari stessa e molti altri nell’organizzazione, era un nobile fine, non solo per aiutarli a nutrirsi ma anche per aiutarli a iniziare una nuova vita più sicura. In fondo, quello era anche il motivo per cui la Coltre era stata inizialmente creata decenni prima. Non solo per proteggersi dalla persecuzione della CCG.
    Si voltò dunque verso di lui non appena lo sentì sul procinto di dire qualcosa. Con tutta calma Akari aspettò che continuasse, curiosa dal tono che la sua voce aveva preso di cosa voleva rivelarle. E alle sue parole, di conseguenza, lei non poté che rattristarsi. In sostanza, quelle parole erano la cruda realtà «Vero? È molto triste, la pressione di questa metropoli a volte è davvero...» iniziò a dire per poi interrompersi e scuotere la testa.
    Giunse quindi le mani in preghiera, gesto che aveva ripreso e iniziato ad imitare da White, per poi continuare a parlare «Quello che noi possiamo fare è dare onore e un nuovo scopo più a fin di bene alla loro morte, così da aiutare altre persone» quello era in fondo un concetto che le era stato spiegato da delle Nubi più anziane a cui che lei aveva iniziare a credere profondamente per quanto innocente fosse, anche se molti non la pensavano allo stesso modo. Per altri, quel sacrificio di quelli umani era solo un mezzo per un fine a loro più importante di una semplice vita.
    «A volte mi fermo a pensare cosa li abbia portati a fare un gesto così estremo, alle persone che hanno lasciato e a cui mancheranno… mi fa paura» aggiunse poi, con una mano al petto che strinse poi in pugno sollevandola verso il cielo stellato «Quindi, forza! Forse potremmo anche salvare qualcuno se non è troppo tardi per loro!» disse con il sorriso nascosto sotto la mascherina, piena di energia e nuova motivazione di fare. Avevano persone da aiutare, non solo ghoul, e di scorte ancora ne avevano ma non potevano mai sapere quando la situazione sarebbe potuta peggiorare per la comunità ghoul. Lei, tuttavia, non era una così grande pessimista e vedere il positivo nelle cose era ormai seconda natura.
    Prese dunque a camminare, stando attenta al fiume e al canale, in cerca di quello che doveva sembrare qualcosa che galleggiava. La luce di alcuni lampioni e in generale di quella metropoli aiutava nella loro visuale anche se allo stesso tempo la pioggia e le nuvole che coprivano la luna, non aiutava di certo.
    In quel momento loro due erano dunque diventati una sorta di pescatori ma non di pesci, di corpi.

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    L’osservazione preliminare di Ryoga della zona che per quella notte sarebbe stata il loro territorio di caccia fu stroncata dal tonfo di un corpo che atterrava su una pozzanghera. Dardeggiò con gli occhi in direzione di Akari, adesso dritta su un quadrato di cemento grondante fango accanto all’argine del fiume. Dopo aver sondato le vicinanze, la giovane collega incontrò il suo sguardo e Ryoga, che di giapponese aveva solo il nome, invece di mostrare un minimo di ritegno distogliendolo, la fissò con malcelata curiosità.
    Aggrottò le sopracciglia e assottigliò gli occhi; non era un mistero che stesse sfidando lo scroscio insistente della pioggia per registrare ogni parola che usciva dalla bocca di Akari. Ebbe la conferma che sì, un solo cadavere sarebbe stato più che sufficiente: ci avrebbe poi pensato la Coltre stessa a compiere il miracolo della moltiplicazione della carne.
    Annuì in una maniera quasi impercettibile nell’oscurità della notte, quindi aggirò a sua volta la balaustra per raggiungere Akari. Atterrando, percepì distintamente la sgradevole sensazione degli schizzi di fango sui vestiti - una sottigliezza che in genere non avrebbe preoccupato un ragazzo della sua età, ma Ryoga doveva fare i conti con una ristrettezza economica che gli imponeva di preservare ogni quadrato di stoffa che poteva indossare. Unica nota positiva: l’odore pungente della pioggia e quello penetrante del fango avrebbero coperto meglio il suo fetore di decomposizione, il naso di Akari era salvo.
    “Non siamo l’unico team fuori questa sera e ogni giorno c’è sempre qualcuno in giro!”
    «Ottimo-» il commento terminò all’improvviso, senza che l’intonazione della voce si abbassasse a suggerire che Ryoga aveva finito di parlare.
    Si era, infatti, morso la lingua prima di aggiungere un infelice “almeno, se mai volessi suicidarmi avrei la certezza di non marcire a tempo indeterminato”. In questo modo il suo commento sarebbe risultato strano, ma non di cattivo gusto.
    Quello non era il momento adatto al sarcasmo. Non esisteva un momento adatto a fare del sarcasmo su un lavoro che consisteva nel recupero dei cadaveri, e ne ebbe la prova quando Akari giunse le mani in segno di preghiera: prendeva molto sul serio il suo ruolo, perciò non poteva che ammirarla.
    Ryoga avrebbe voluto sentire propri gli ideali della Coltre, ma la verità era che era solo cresciuto a stretto contatto con l’organizzazione e, di conseguenza, aveva finito per diventarne parte più per ripagare il debito che gli Hasegawa avevano nei loro confronti. Per quanto lo riguardava, gli esseri umani erano solo la preda naturale dei ghoul, ed era profondamente ingiusto che i suoi simili venissero perseguitati solo perché nati predatori.
    Ma, così come non era adatto al sarcasmo, quel momento non era adatto neanche alla politica.
    Semmai era il momento adatto a levare un pugno verso il cielo, gesto un po’ infantile che suscitò in Ryoga una breve risata divertita.
    «Agli ordini, senpai, farò del mio meglio per non deluderti.»
    La conversazione si era fatta cupa in maniera preoccupante, dunque Ryoga non poteva che essere grato ad Akari per aver spazzato via la negatività.
    «Dovrei seriamente apprendere un po’ di ottimismo da te.» commentò a cuor leggero e voce bassa mentre si incamminavano.
    Nonostante le apparenze, infatti, Ryoga era tutt’altro che una persona ottimista; prodigarsi per altri gli veniva spontaneo, ma quando si trattava di se stesso faticava a trovare un motivo, anche blando, per impegnarsi. Forse avrebbe davvero potuto imparare qualcosa dalla positività di Akari.
    Passò diverso tempo, Ryoga non avrebbe saputo quantificare quanto nello specifico, persino i minuti sembravano dilatarsi quella notte, prima che qualcosa attirasse la sua attenzione. Proseguì per qualche metro lungo la sponda del canale, distanziandosi da Akari al punto che fu costretto ad alzare la voce quando la chiamò.
    «Credo ci sia qualcosa, lì?»
    Era difficile affermarlo con certezza, la scarsa illuminazione metteva a dura prova persino la vista di un ghoul, eppure era abbastanza sicuro che qualcosa stesse venendo lentamente trasportato dalla corrente.
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    Con i loro discorsi, si era creata un’aria inaspettatamente cupa. Questo lo aveva notato perfino lei, per cui, con i suoi gesti e parole si era prefissata l’obbiettivo di risollevare un po’ l’umore di entrambi e spazzare quell’atmosfera tesa e, a detta sua, quasi deprimente. E per sua personale soddisfazione, sembrava esserci riuscita. Non che poteva interpretare quella leggera risata divertita di Ryoga in altro modo, come le seguenti parole del ragazzo.
    «Ma senpai! Come potresti mai deludermi» gli disse lei, ridacchiando appena, il tono quasi giocoso. Perché, insomma, lo pensava veramente. Non riusciva proprio a immaginarsi Ryoga fare qualcosa che l’averebbe irreparabilmente delusa, lo stimava in fondo.
    «Eh? Non credo di essere una persona così ottimista...» commentò poco dopo, con un aria un poco imbarazzata, una mano dietro la testa.
    Akari non si considerava tale e nel corso del tempo aveva solo iniziato a cercare di vedere il positivo nel mondo che la circondava invece di rimuginare troppo su ogni piccolo o grande evento avverso che poteva succedere. Secondo lei, non bisognava mai dare troppo spazio alla negatività o nemmeno farsi prendere troppo da essa, non portava mai a niente di buono. Anche solo trovare un motivo per andare avanti, per lei era importante. Come anche solo vivere un altro giorno per le persone a cui teneva e per dire loro “buon giorno” con un sorriso ogni mattina.
    La sua attenzione fu poi richiamata da Ryoga, che nel mentre camminavano lungo la banchina si era un po’ distanziato da lei, precedendola.
    «Dove?» domandò, all’improvviso seria, una volta che si era avvicinata a dove Ryoga si era fermato. Forse erano riusciti a trovare qualcosa in largo anticipo, che la fortuna fosse dalla loro parte?
    Akari si sporse in avanti, assottigliando lo sguardo nel tentativo di scrutare meglio l’acqua con la scarsa luce che li circondava. Ci mise un po’ ma riuscii poi a scorgere e riconoscere la sagoma famigliare di un corpo che veniva trasportato dalla corrente.
    Akari si issò dunque nuovamente, rilasciando poi in qualche istante la propria kagune. Con gesti studiati, la estese nell’acqua, recuperando poi quel corpo. Era una cosa che si era allenata molto nel fare, l’essere precisa senza usare troppa forza e con poca foga. Era una cosa che prima di essersi unita alla Coltre, non si era mai curata di fare. Da rapace doveva essere solo brava ad attaccare e a ferire senza darsi un limite.
    Lo appoggiò quindi accanto a loro, per poi ritirare nuovamente la propria kagune. Fu qui che, tuttavia, notò un dettaglio che la fece fermare di botto, una sensazione di apprensione che stava lentamente prendendo forma: il corpo che avevano appena pescato, stava indossando una mantellina molto simile a quella che stavano indossando loro due. Con un groppo in gola, Akari girò il corpo con l’intenzione di scrutarne meglio il volto. La maschera che il corpo indossava era anonima per cui, almeno a lei, non disse niente ma quella spilla tuttavia, quella attaccata sul tessuto della mantellina, la fece esitare di nuovo: era quella della Coltre.
    Con un groppo in gola, Akari tolse con delicatezza la maschera. Ciò che vide la fece sussultare, perché quello era un viso a lei famigliare, un viso di un uomo con cui in passato aveva interagito spesso.
    «Yamashiro...-san?» mormorò, le mani alla bocca dallo shock. La maschera che aveva in mano cadde sul cemento con un sonoro tonfo.

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    Edited by alyë - 30/10/2021, 19:59
     
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    Tutta la tensione che con fatica avevano dissipato era tornata a stringere i loro colli come cappi, facendo sprofondare Ryoga in uno stato di allerta molto vicino alla paranoia. La cosa alla deriva fu trasportata dalla corrente nella loro direzione con tale rapidità da essere presto riconoscibile come cadavere.
    Ryoga sentì un brivido corrergli lungo le braccia e la schiena: non importava a quale razza si appartenesse o quale lavoro si svolgesse, la vista di un corpo morto galleggiante rimaneva sempre profondamente disturbante. E lui negli ultimi tempi la morte l’aveva incontrata così spesso da averne un po’ la nausea.
    Peccato non essersene reso conto prima di accettare quell’incarico. Conoscendosi non avrebbe comunque rifiutato - il debito che sentiva di avere con la Coltre lo guidava nelle sue scelte più della sua stessa volontà -, ma avrebbe evitato volentieri di rendersene conto nel momento meno adatto.
    Era proprio vero che ovunque andasse trovava solo morte, con una frequenza esagerata persino per un ghoul.
    Come Akari, anche Ryoga si sporse nella speranza di vedere meglio, lottando contro la persistente oscurità che le torce non riuscivano a fendere con l'efficienza che avrebbe desiderato. Cercò di accompagnare i movimenti del corpo con la luce, perdendolo un paio di volte prima che fosse abbastanza vicino da poterlo raggiungere e trascinare a riva con un sapiente uso della kagune di Akari. Non era il momento giusto per essere colpiti, ma Ryoga fu comunque colpito dall’abilità dalla sua collega; per quanto lo riguardava, non pensava di poter fare qualcosa del genere con la sua ukaku, soprattutto perché dosare l’energia per non rischiare di danneggiare il corpo doveva essere tutt’altro che semplice.
    Una volta che il morto fu adagiato sulla banchina ed entrambi si furono avvicinati per esaminarlo, però, gli occhi di Ryoga si sbarrarono. Quell’uomo indossava senza dubbio la loro stessa mantella, una maschera e una spilla che non lasciava dubbi sulla sua identità.
    Il cadavere era stato un membro della Coltre, e Akari non faticò a riconoscere in lui un certo Yamashiro.
    La tensione di Ryoga degenerò definitivamente in paranoia.
    Gli occhi dardeggiarono dal corpo gonfio d’acqua e coperto di tagli e contusioni - probabilmente dovuti a qualche botta contro gli argini del torrente - ai dintorni ancora neri di oscurità. Non sembrava esserci nessuno, ma la sua mente era già pronta a vedere la CCG emergere dalle tenebre come mostri nella camera di un bambino in piena notte.
    «A.» la chiamò, senza riuscire a nascondere la tensione nella voce. «Dobbiamo dirlo a W.» e nonostante questo, il suo tono non ammetteva repliche.
    Gli dispiaceva strappare Akari al cordoglio in maniera tanto brutale, ma non sapevano da quanto tempo Yamashiro fosse morto o se qualcuno ne avesse usato il corpo come esca.
    «È troppo pericoloso stare qui» proseguì mettendosi in ginocchia davanti a lei, gli occhi chiari fissi in quelli di lei, oltre la maschera. «potrebbe essere diventato territorio di qualcuno.» e per questo motivo Yamashiro visto come una minaccia da eliminare.
    Le possibilità erano troppe, ma avevano come minimo comune denominatore un rischio troppo alto per attardarsi in quel tunnel. Se Akari non avesse avuto rimostranze, Ryoga si sarebbe fatto carico del corpo grondante di Yamashiro, pronto a marciare dove avrebbero ritrovato l’auto.
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    A quella rivelazione, tra loro era caduto un silenzio tombale. La pioggia continuava a scrosciare ed Akari ancora non riusciva a capacitarsene, di chi aveva appena tenuto il freddo e bagnato corpo tra le braccia. Era una persona che conosceva, una persone con cui aveva chiacchierato non troppo tempo prima. Certo, non era così famigliare con Yamashiro ma come membro della Coltre, lo conosceva abbastanza bene da essere amichevole con lui, in fondo lo aveva conosciuto la prima volta quando era ancora una Sentinella fresca fresca di reclutamento. Quando ancora quella sensazione di perpetuo malessere e rabbia le permeava l’anima.
    Un flash troppo famigliare, il suo incubo peggiore, le balenò in testa. Il terrore di tenere sua sorella un giorno tra le mani in una maniera molto simile la terrorizzava nel profondo. Ci era già andava abbastanza vicina una volta, non si sarebbe mai permessa succedesse di nuovo. Era cambiata per quello dopotutto. Trattene il respiro, lo sguardo quasi vacuo.
    Fu destata dal suo stato di stupore e angoscia dal richiamo di Ryoga. Akari chiuse dunque gli occhi, facendo un lungo respiro dopo aver stretto le mani a pugno. Incrociando poi lo sguardo con il collega che si era chinato di fianco a lei, annuì, alzandosi poi in piedi. Averlo accanto le dava forza e sicurezza, senza di lui in quel momento non avrebbe saputo cosa fare. Si sarebbe di nuovo persa.
    Dovevano agire e in fretta, poteva percepire la tensione nell’aria.
    Con ritrovata sicurezza e con un nuovo obbiettivo appena prefissato, si guardò dunque intorno, scorgendo l’entrata del sistema fognario a poca distanza da dove si trovavano. Non dovevano perdere tempo, non sapevano nemmeno se quella casualità fosse fresca o meno. Akari non sapeva come poterlo appurare con sicurezza ma sapeva che tra le fila della Coltre c’erano figure esperte nel campo che lo avrebbero svelato per loro. Inoltre, in agguato potevano ancora esserci i colpevoli. O peggio, anche la CCG.
    «Spostiamoci lì sotto, dovrebbe esserci un passaggio per la 24° da qualche parte, è più sicuro» gli disse indicando il tunnel per poi prendere un altro respiro, una mano al petto nel mentre aspettava che l’altro si prese in carico il corpo.
    «Avverto subito gli altri» gli disse infine con più fiducia.
    Una volta pronti e aver raggiunto la copertura, prima di avviarsi per il tunnel, Akari andò prima a recuperare il proprio cellulare dalla tracolla che aveva con sé, in modo da mandare un messaggio ai suoi due compagni di squadra per spiegare loro la situazione e mobilitare gli altri per quella emergenza, oltre che chiamare ed informare W stessa. Avevano appena perso un loro compagno e non sapevano nemmeno bene il perché o il quando, la situazione era grave. Qualcuno aveva osato toccare un membro della Coltre, un membro pacifico.
    La piega che aveva preso quella notte era stata inaspettata, portando ad un nuovo mistero da aggiungere a tutti quelli della metropoli giapponese. Al pensiero, le si era formato un groppo in gola.

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