A foot on the tiger's neck

[CONCLUSA] Hedvig Forsberg & Victor Krieger - @KOISHIKAWA KORAKUEN GARDEN - 27/03/2020 dalle 21.30 - TEMPO SERENO (19°C)

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    Se non fossi stata già di pessimo umore, la risposta del mio interlocutore mi avrebbe divertita. Sarebbe stato bello stuzzicarlo per divertimento e notare a poco a poco cambiamenti di mood di quel gigante fino a un suo crollo nervoso. Sarebbe stato bello vedere la sua reazione, nonostante, essendo ormai stata colpita dalle parole che lui mi aveva rivolto prima, avrei preferito punzecchiarlo con le code abbastanza in profondità da fargli pentire di essere nato. Tuttavia l’area era troppo affollata, alcune pietanze mi conoscevano e non sarebbe stato quello il momento di farla pagare a chi avevo davanti. Avrei aspettato e scavato nella vita di chi avevo davanti, poi, una volta trovata l’occasione giusta per farlo, io e lui ci saremmo rincontrati e ci saremmo divertiti alla mia maniera.
    Tuttavia, quelle dovevano rimanere fantasie, almeno per il momento. Per quanto il signor «E anche se fosse, non ti riguarda.» stava avendo su di me lo stesso effetto di un fazzoletto rosso sventolato in faccia a un toro, aveva ragione: ormai ero andata da lui e avevo sprecato abbastanza tempo da potermene andare senza fare la figura di chi si tira indietro. Avevo vinto, alla fine, ma niente mi avrebbe impedito di togliermi un’ultima soddisfazione, neanche il fatto che mi avesse rivolto un ghigno e se ne stesse per andare.
    Ricambiai il suo sguardo con un sorriso, la cui educazione era più un modo per farlo arrabbiare che qualcosa di genuino, poi, prima di voltarmi e camminare a passi lenti verso le mie pietanze da compagnia, mi lasciai andare a un «Che delusione!» a voce abbastanza alta da essere certa che il messaggio potesse essere arrivato al mio interlocutore. Ero rimasta calma nel dirlo, quasi canzonatoria, con un tono che avrebbe lasciato intendere chiaramente che il problema fosse lui. Lo lasciai andare, segnandomi mentalmente una sua descrizione il più vividamente possibile: ormai si era scavato la fossa e, presto o tardi, mi sarei concessa un lauto pasto con tutto ciò che quel corpo grande e grosso avrebbe potuto offrirmi.
    «So what?» Disse Keira, non appena tornai da lei e dalle altre umane. «What an asshole!» Risposi io, facendo il verso in parte a lei e in parte a Inés. Tuttavia, in confronto a quello che aveva cercato di rimorchiare la spagnola, c’era da dire che quell’elegantone da cui mi avevano mandata si sarebbe mangiato Saki, se fosse stata lei ad andare da lui. Sarebbe stata certamente una bella scena da vedere. Peccato che non potessi approvarla, dato che era mia intenzione ritornare affidabile e responsabile agli occhi della nipponica. "In due time, Astrid..." Pensai, come per consolarmi, ricordandomi che entrambi gli eventi a cui stavo pensando potessero comunque succedere. Nessuno aveva detto che non potessi trovare un modo per non far fare qualche figuraccia alla giapponese per divertimento restando impunita… e nessuno aveva detto che non avrei avuto l’appuntamento che desideravo con quel gorilla di poco prima. Ormai quel tipo mi doveva un invito a cena e, come in tutti gli appuntamenti mordi e fuggi, il suo nome non mi sarebbe nemmeno importato, se non mi fosse servito per rintracciarlo.
    Per il momento, però, avevo cose più immediate a cui pensare, come a fare la mossa successiva per lo stupido gioco a cui stavo giocando con quelle tre. Mi sarebbe convenuto tener fede alla mia parola e mandare Keira contro un caso umano anche peggiore di quel gorilla, cercare qualcuno per Saki o terminare il tutto? Anche l’idea di mandare Saki a rimorchiare una donna non era male, data la reazione che avrebbe potuto avere, ma avrei dovuto essere responsabile se avessi voluto riconquistarmi la sua fiducia.
    «What happened?» Chiese la spagnola, con un po’ troppa invadenza, distraendomi dai miei pensieri quasi subito dopo che essi avevano iniziato a elaborare le mie azioni successive. Le raccontai un riassunto un po’ modificato del mio approccio al tipo, enfatizzando quanto lui fosse stato burbero con me e omettendo con cura il fatto di aver chiesto direttamente a lui di essermi complice e farsi approcciare, con scarsi risultati. In fondo, ero lì per ristabilire la mia reputazione con una di quelle umane, non per perderla con le altre due.
    «What now, Hedvig?» Disse la spagnola, dopo che ebbi finito di raccontare come mai il gorilla fosse uno skitstövel e io una povera ragazza in cerca di un uomo da rimorchiare. «The show must go on!»
    «Wait, what?» Disse Saki, abbastanza restia a partecipare al gioco di Keira anche prima del mio racconto. Era palese che le ragazze non fossero unanimi sul continuare o meno quella challenge, e la cosa non mi andava molto a genio: da una parte c’era in gioco la mia reputazione con due delle tre ragazze che formavano il mio gruppo dell’università, mentre dall’altra c’era l’unica che sarebbe rimasta dopo la sessione d’esami di quel semestre. Soddisfare Saki e giocarmela sul lungo termine, dato che era lei quella capace di aiutarmi nello studio, sarebbe stata l’opzione migliore, ma perché cercare un compromesso quando avrei potuto ottenere entrambe le cose? Bastava solo temporeggiare finché non avessi capito che cosa fare. Tanto l’intero gioco era un mio modo per temporeggiare ed essere tenuta il più possibile lontana da quel disgustoso cibo che le altre volevano per forza mangiare.
    Mi guardai intorno come se stessi cercando qualcosa, osservando con attenzione tutti i presenti. Forse non avevo intravisto casi umani interessanti o, forse, neanche li avevo cercati. Il mio sguardo si era soffermato su tutti e su nessuno. Tanto avevo già deciso che nessuno di quegli esseri valesse più del tempo che mi avrebbero tenuta lontano dalla zona ristoro. Dopo un po’, però, dovetti tornare a concentrarmi su chi mi aveva portata lì. «I don’t see anyone ugly enough for you, Keira.» Dissi, poi, facendo l’occhiolino all’americana.
    Purtroppo anche questo piano aveva dei punti deboli: facendo così avrei implicato la possibilità di dovermi muovere e avrei dovuto prendere le giuste precauzioni per non finire a sprecare soldi nella zona ristoro.
    Alla fine, con la scusa di non sapere l’orario di chiusura della zona souvenir e di volere un piccolo ricordo dell’esperienza, riuscii a deviare le ragazze lì e non nel troppo vicino ristorante. Loro accolsero bene l’idea, per fortuna. Ne avrei approfittato per temporeggiare un po’ anche lì e allontanare per quanto possibile il cibo del mio cibo dal mio stomaco. Dovevo solo trovare il modo per restare lì senza destare sospetti, ma fu ciò che cercavo a trovare me, palesandosi con un «Chiedo scusa.» detto timidamente dalla giapponese.

    «Parlato»
    "Pensato"
    «Parlato di Victor»
    «Parlato di Inés»
    «Parlato di Keira»
    «Parlato di Saki»


    Edited by Antoil69 - 28/8/2020, 10:57
     
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    Victor era furioso. Non erano passati nemmeno venti minuti da quando aveva lasciato l'area rosa del parco ed aveva già spento il mozzicone consumato della seconda sigaretta sotto la suola della propria scarpa, abbandonandolo per terra manco fosse metafora del filo di Arianna. Peccato che lui sarebbe sicuramente stato il Minotauro, in caso. Victor era anche rigido ed intransigente: lo era stato fin da ragazzino quando aveva coltivato la cattiva abitudine di malmenare la gente che si azzardava a fargli un torto, ed allora c'era stato chi aveva imparato a temerlo ed aveva capito che era meglio stargli lontano e chi aveva preferito fare la parte dello zerbino nascondendosi dietro le sue spalle pur di trovarsi al sicuro. No, Victor non aveva mai frequentato belle compagnie, almeno non finché suo nonno non lo aveva spedito in accademia, ed anche lì ci sarebbero state parecchie digressioni da fare, ma questo non è il posto adatto. Ad ogni modo, se c'era qualcosa su cui i pochi che lo avevano conosciuto un poco più in profondità avrebbero potuto concordare era senza dubbio quello strano cambio d'umore che subiva non appena veniva menzionata sua sorella. Come se divenisse mansueto.
    Ovviamente Victor non si era mai interrogato sulla questione perché, come tutti i profili psicologici degli Analisti, ad interpretare le emozioni - che fossero sue o meno - era un danno e nemmeno se ne rendeva conto della differenza con cui trattava lei e gli altri.
    Se si poteva dire qualcosa, omettendo spiegazioni e ragioni tecniche, era che Momo aveva come lo strano potere di amplificare i suoi stati d'animo positivi e di tenere a bada la sua rabbia repressa quasi fosse una specie di calmante in grado di agire direttamente sul suo cervello. Per cui era ovvio che nel momento in cui esso veniva a mancare Victor tornava il solito essere umano irritato di sempre.
    Il problema che al momento non avesse altro che il fumo su cui sfogarsi si stava ripercuotendo sui suoi nervi: alla fine, Momo, aveva chiuso la chiamata. C'era ben poco da scavare per trovare il motivo, Victor lo sapeva: ansia sociale. Ed era totalmente normale che nel momento in cui lo aveva sentito parlare con una persona che non conosceva essa avesse avuto la meglio su di lei. Momo aveva paura delle persone, non cambiava che ci fosse lo schermo di un computer di mezzo, era lo stesso motivo per cui non riusciva ad usare i social: il solo pensiero che dall'altra parte ci fosse qualcuno che ipoteticamente poteva ridere di lei la terrorizzava, per cui non aveva potuto far altro che nascondersi.
    E poi c'era Victor che, dopo aver scacciato la bionda che lo aveva interrotto, si era ritrovato ad assistere ad un patetico e debole tentativo di Momo che cercava di convincerlo di voler metter giù la chiamata solamente perché era stanca e avrebbe preferito andarsene a dormire, quando dai suoi occhi lui aveva chiaramente visto che non era così.
    Che delusione. Sì, impotente, mentre i suoi tentativi di convincere Momo che andava tutto bene andavano a vuoto, un'eco gli era risuonato in testa: Victor lo aveva trovato estremamente fastidioso, ma non sicuro di dove l'avesse sentito, l'aveva rimosso poco dopo.
    Aveva girovagato a vuoto per un po', ripercorrendo a ritroso le vie del parco e facendo le tante agognate foto che la sorella gli aveva chiesto, troppo nervoso per tornare direttamente a casa senza niente in mano ed era stato quando era passato nei pressi dell'area ristoro che gli era balenata in testa l'idea di comprarle qualcosa. Qualsiasi cosa, pur di vederla sorridere la mattina dopo quando glieli avrebbe fatti trovare sulla scrivania.
    Le bancarelle dei souvenir erano piene zeppe di roba, si andava da accessori per capelli, cibo confezionato, adesivi, candele profumate, portachiavi ed orecchini fino ad arrivare a cose più complesse come bicchieri in alluminio, tazze, tessen decorativi (e si spera anche finti) o soprammobili di bambole giapponesi. Tutto a tema hanami ovviamente, quindi essenzialmente rosa e decorato con fiori di ciliegio: in poche parole, per Victor, nauseante.
    Detestava il rosa, tuttavia, se c'era una cosa su cui era ancora in grado di ragionare nonostante gli girassero i coglioni, quella era senza dubbio la qualità del modo di vestire della gente. Aveva girato un po' a vuoto fra le bancarelle prima di soffermarsi davanti ad una dove aveva scorto una felpa nero-rosata dalla fantasia quasi astratta. L'acquisto perfetto.
    Lo sarebbe stato. Se la sorte non avesse deciso che per quella sera non poteva ancora riposare in pace(?).
    Qualcuno gli urtò la schiena. Una vocina flebile.
    "Chiedo scusa". «Chiedi scusa a tua madre per essere nata, Scheiße ringhiò Victor, voltandosi di tre quarti verso la giapponese. La squadrò con i suoi occhi dorati e sottili. Non si era nemmeno reso conto d'aver usato il tedesco come intercalare. Ah, lasciar fluire la rabbia era proprio una meraviglia.


    Edited by Ryuko - 3/9/2020, 18:25
     
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    Per un istante non mi curai minimamente di ciò che stesse succedendo. Saki avrebbe potuto aver urtato una qualunque persona e tutto avrebbe potuto finire lì. In fondo, eravamo lì per cercare qualche ricordo, almeno ufficialmente, e la giapponese era sicuramente quella che avrebbe evitato ogni conflitto possibile, debole e ingenua come aveva dimostrato di essere. Ignorando l’accaduto, cercai il souvenir perfetto, qualcosa che potesse giustificare una lunga ricerca e che potesse allontanarmi dall’area ristoro fino alla sua chiusura. Tuttavia avevo visto solo oggetti di dubbio gusto, magneti, portachiavi e qualche bambola. L’unica cosa che davvero mi attirava era un tessen decorativo, ma il suo design a tema hanami non mi piaceva molto. Sarebbe stato un ottimo regalo di cortesia per Adam*, se non fosse stato per il prezzo e per il fatto che finalmente mi ero liberata di lui, ma per me ne avrei preferito uno vero.
    Proprio quando mi ero arresa all’idea che, alla fine, avrei comprato qualcosa solo per giustificare il mio temporeggiare, la vidi. Era una felpa bellissima, nera e rosa, con un design che anche da lontano sembrava meraviglioso. Nonostante le mie aspettative, avevo trovato qualcosa che mi piacesse davvero. Sì, ne avrei presa una immediatamente e, al massimo, avrei continuato a vagare tra le bancarelle in attesa di qualche altra cosa che avrei potuto non trovare.
    «Chiedi scusa a tua madre per essere nata, Scheiße
    “Helvetes. Jävlar. Skit.”
    Era passato troppo poco tempo da quando avevo sentito quella voce per la prima volta: non potevo averla già dimenticata. Il coglione di prima era nel negozio, ce l’aveva con Saki e, soprattutto, era troppo vicino alla mia nuova felpa.
    Feci qualche passo indietro, lentamente, sperando che il voltarsi di quell’idiota potesse aver coperto il mio avvicinarmi di pochi passi. Presto Inés e Keira sarebbero accorse, ma io avrei preferito non essere presente. Mi nascosi dietro una bancarella, facendo finta di niente, ma tendendo l’orecchio per eventuali sviluppi della discussione. Quell’energumeno mi aveva aiutato a scavargli la fossa con quella parola palesemente tedesca. Magari avrei potuto usarla per trovarlo prima e rimediare al torto subito più in fretta, se avessi cercato tra i tedeschi attualmente a Tokyo, unendo la ricerca a coloro che erano stati all’hanami. Avrei potuto trovare qualcosa d’interessante già sui social, con un po' di fortuna. Per il momento, però, conveniva nascondersi: Saki sarebbe presto andata via e tutto sarebbe tornato alla normalità. Avrei anche potuto attendere e prendermi la felpa senza prob-
    «Va tutto bene?» chiese una voce tremula dalla postazione che stavo tenendo d’occhio di nascosto.
    Avrei voluto ucciderla. Non stavo aspettando altro che quel gorilla se ne andasse e lei lo stava addirittura trattenendo? In certi momenti odiavo la sua gentilezza e la sua bontà. Non poteva farsi gli affari suoi, invece che chiedere domande così stupide?
    Era molto utile conoscere qualcuno disposto a farsi carico dei problemi di tutti. Ascoltarla e farmi ascoltare si era rivelata una buona strategia per alleggerire il mio stress, ma in quei momenti avrei preferito che fosse stata zitta. Con un po’ di fortuna, l’energumeno l’avrebbe zittita con un’altra frase a effetto e i due si sarebbero divisi. Con un altro po’ di fortuna, la mia presenza non sarebbe stata notata e ne sarei uscita pulita, magari facendo la figura dell’amica comprensiva che avrebbe consolato la giapponese che era uscita con lei. Per il momento era importante far finta di niente, stare alla larga e sperare che le cose andassero nel migliore dei modi almeno per me.

    «Parlato»
    "Pensato"
    «Parlato di Victor»
    «Parlato di Inés»
    «Parlato di Keira»
    «Parlato di Saki»


    *Adam Nyström, il fratello minore di Astrid. Coming soon non appena trovo un codice per gli NPC


    Edited by Antoil69 - 29/8/2020, 15:38
     
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    No. Non andava tutto bene. Quella sera, sembrava che le ritardate trovassero tutte lui. Prima la principessa Sissi, poi una che nemmeno guardava dove metteva i piedi. Quindi, come si diceva, se la fortuna era cieca, apparentemente la sfiga ci vedeva benissimo, perché beccava sempre lui. E non andava mai bene quando qualcuno interrompeva i flussi di coscienza di Victor. Avete mai provato ad aprire una pentola a pressione prima del tempo? Non ve lo auguro.
    Maledetta cortesia dei musi gialli.
    Se Victor avesse saputo di avere Astrid alle calcagna, per giunta appostata dietro una bancarella come la peggiore delle stalker, sarebbe certamente scoppiato a ridere di gusto, probabilmente dandole persino della codarda, giusto per condire il tutto con un altro po' di antipatia gratuita. Per fortuna, o sfortuna sua, si era dimenticato dell'esistenza della bionda dieci minuti dopo averla incontrata.
    Anche perché, se si fosse concentrato su di lei e le sue amiche qualche attimo di più, grazie alla memoria che si ritrovava, avrebbe riconosciuto Saki in un battere di ciglia. Quando invece la timida voce tremolante della giapponese raggiunse l'udito del neo-investigatore e quest'ultimo la squadrò da capo a piedi, vedendo in lei solo la figura anonima di un'orientale che forse non aveva capito di trovarsi in una pessima situazione, ad attraversargli la testa fu un solo pensiero.
    Ma davvero? Davvero la prima cosa che ti veniva in mente di chiedere ad uno che ti ha appena dato dello scarto umano senza nessun apparente motivo era se "andava tutto bene"?
    Victor inspirò.
    Così non c'era nemmeno soddisfazione. A guardarla, ebbe quasi l'impressione che una tipa come quella se la sarebbe potuta mangiare a colazione.
    E non era nemmeno un ghoul.
    Strano come gli venissero in mente quei paragoni quasi per caso da quando aveva finito l'accademia, considerando che aveva ignorato l'esistenza di quegli esseri per quasi la totalità della sua vita fin'ora.
    «Ah? — le fece eco, le iridi dorate ridotte a due fessure. — Che cazzo te ne frega.»
    La sua voce suonò sibilante. L'irritazione palpabile, ma con quello Victor considerava chiusa anche quella conversazione.
    Piegò appena indietro la testa, guardando l'altra ancora più dall'alto in basso, gettando su di lei tutto il proprio sdegno, e poi si voltò, tornando a volgere lo sguardo alla bancarella.
    Chiamò il proprietario - il quale tuttavia gli fece cenno di attendere, poiché stava per l'appunto concludendo un'altra vendita - ed indicò la felpa.


    Edited by Ryuko - 3/9/2020, 18:25
     
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    Vedere quel gorilla prendersela con Saki era… divertente. Forse Inés e Keira sarebbero state più belle da vedere, ma anche quello spettacolo non era male. Peccato che non avessi qualche strano surrogato dei pop-corn per accompagnare la vicenda. Magari qualche occhio, nonostante a Hive costassero una fortuna. In quel momento sarebbero stati perfetti.
    Era un quadretto interessante: lui la guardava con sempre più rabbia malamente repressa, lei si faceva sempre più piccola e la loro differenza d’altezza, ancora più marcata rispetto alla mia con entrambi, rendeva la scena molto più carina. Peccato, però, che il clown principale sapesse sempre come fare battute talmente brutte da rovinare lo sketch.
    Il mio piano era andato alla perfezione, anche troppo. Lui aveva zittito Saki con una frase a effetto e lei si era persa nella balbuzie, abbozzando una risposta che non vide mai la luce del giorno, se non per un «Ecco… io...», non ero stata notata e i due si erano allontanati. Saki aveva deciso di andarsene via, forse a cercare altro o a trovare il primo viso amico che avesse visto e sfogarsi un po’, ma lui... Lui aveva deciso di rovinarmi la serata per l’ennesima volta.
    Non appena si era voltato, aveva chiamato il proprietario indicando la mia felpa. Non sapevo se lui l’avesse visto, ma per me era stato evidente. In futuro avrei preso quel braccio e gli avrei fatto fare una fine esemplare, ma per il momento avevo altri piani, tra cui impedirgli di prendere quel souvenir, mio di diritto e visto prima da me.
    Non. Potevo. Permetterglielo.
    Ormai sarebbe stata questione di pochi attimi. Non potevo sapere quanto l’attuale cliente avrebbe impiegato a comprare quello che aveva intenzione di prendere, ma dovevo assolutamente tenere quel cretino lontano dalla bancarella quanto bastasse per far desistere il proprietario ad accontentarlo. Dopodiché mi sarei messa in fila davanti a lui e gli avrei comprato quella felpa sotto il naso, magari indossandola prima di andarmene, fregandomene del pessimo contrasto che avrebbe avuto con la mia gonna gialla. Ormai era una questione personale e mi sarei presa una piccola vendetta in quell’esatto momento.
    Per quanto la cosa non mi entusiasmasse, era il momento di farmi vedere. Per temporeggiare il più possibile avrei dovuto mettermi a litigare con lui o attirare la sua attenzione per abbastanza a lungo. Sfortunatamente per lui, anche questa iterazione si sarebbe conclusa con la sua fuga, ma questa volta avrei ottenuto ciò che volevo.
    Percorsi i pochi passi che mi separavano da lui, mentre il cliente prima di lui ancora faceva le sue compere.
    «Certo che ti piace prendertela con le ragazze, eh?» Dissi, entrando nel suo campo visivo, con un sorriso educato e un tono che avrebbe fatto capire a chiunque quanto lo volessi prendere in giro. «Lavora sui tuoi modi se non vuoi restare single tutta la vita per scelta d’altri.»
    Come facevo a sapere che fosse single? Ovviamente non lo sapevo. Tuttavia quante donne avrebbe potuto avere intorno un uomo del genere? Da quel poco che avevo visto, non lo avrei sopportato neanche se fossi stata sua madre e, se fossi stata sua sorella, avrei cercato di andare via di casa quanto prima. Figuriamoci se quel cretino avrebbe mai trovato una ragazza o se si fosse addirittura sposato!
    Lo conoscevo poco, ma mi sembrava possibile centrare il segno in quel modo. Indipendentemente dal mio aver indovinato, però, sapevo bene che toccare la virilità di un uomo e le sue capacità nella sfera romantica potesse essere devastante per alcuni. E lui non mi sembrava di certo uno dei tanti gender-fluid comuni in Svezia quasi quanto gli immigrati. Bastava guardarlo e sentirlo parlare per capire che fosse un uomo e che s’identificasse con il cavernicolo peloso armato di clava, piuttosto che con una donna.
    Era quella, in fondo, la parte di lui che volevo che saltasse fuori: il cavernicolo troppo preso a cacciare via un eventuale invasore per accorgersi che la sua preda gli stesse sfuggendo di mano. Povero piccolo grande uomo, inconsapevole che nel grande schema delle cose lui non fosse nemmeno il cacciatore…
    «Ah, dimenticavo. Ben ritrovato.»

    «Parlato»
    "Pensato"
    «Parlato di Victor»
    «Parlato di Inés»
    «Parlato di Keira»
    «Parlato di Saki»


    Edited by Antoil69 - 31/8/2020, 16:08
     
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    C’erano volte in cui Victor conduceva volontariamente le persone al nervosismo, per le più varie motivazioni: poteva tornargli utile la tensione negli altri, era bello destabilizzare la gente, o anche perché era una buona giornata e provava il desiderio di divertirsi un po’, ovviamente a modo suo.
    Beh, no. Quello non era uno di quei momenti.
    Ora era semplicemente nervoso per i cazzi suoi.
    E l'intervento della giapponese non aveva contribuito a migliorare la situazione. Situazione che precipitò dalla padella alla brace non appena l'investigatore udì quella fottuta voce alle sue spalle.
    Doveva restare calmo. Sarebbe dovuto restare calmo. Peccato che la parola "calma" non facesse esattamente parte del vocabolario di Victor. Inspirò, ed un ghigno che trasudava pura soddisfazione gli si dipinse in viso. Scoccò un'ultima occhiata alla sua futura felpa: i suoi acquisti avrebbero dovuto attendere, perché di "ben ritrovato" lì non c'era proprio un cazzo.
    Cosa voleva da lui quella smorfiosa?
    Ancora non aveva trovato l'info-point all'ingresso?
    Ah no già, era venuta a cercarlo per la scommessa. Come si chiamava quello? Stalking?
    Poi, infastidire le ragazze? Ma di cosa stava parlando? L'unica persona che stava infastidendo qualcuno lì era unicamente lei e-- ah.
    Victor sollevò lo sguardo, si voltò e scrutò la folla. Non vide la strana giapponese di prima, ma fu certo di una cosa: sì, era una delle sue amiche e complici della scommessa che gli aveva rovinato la serata. Ad averlo realizzato prima...
    Solo a quel punto concesse un'occhiata alla svedese. Le sue iridi dorate raggiunsero la sua figura quindici centimetri più in basso constatando come la sua faccia da schiaffi fosse sempre lì, assieme a quell'arroganza ed a tutta quella dannatissima superbia e presunzione con cui osava parlargli. «Sembra che la mia vita sentimentale t'interessi parecchio.» replicò, una punta - nemmeno troppo lieve - di cinismo nella voce.
    «Mi chiedo se non sia tu quella frustrata.» Era raro che Victor si lasciasse sfuggire più di una frase ben articolata, ma quella donna aveva appena osato mettere in discussione la sua autorità su altre donne e non era una cosa che aveva intenzione di permettere.
    Con un carattere dominante come il suo, Victor aveva sempre avuto difficoltà nel porre le domande: modo carino per dire che non lo aveva mai fatto, non lo faceva e non avrebbe certo cominciato adesso. In un modo o nell'altro, quando e se voleva qualcosa, finiva sempre per prendersela, senza tanti se o ma.
    Volendo dimostrare qualcosa a sé stesso era certo che sarebbe potuto riuscire sul serio a rimorchiare sia lei sia tutte le sue amiche, non importava quante fossero. Ma considerando che probabilmente quella ragazzina era vergine, non la riteneva meritevole di altre parole.
     
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    Il gorilla sembrò esserci cascato. Per quanto avessi appurato che la sua capacità d’attenzione fosse simile a quella di un pesce rosso, in quel momento si stava concentrando su di me. Non avrei avuto troppo tempo, ma avrei potuto averne abbastanza per distrarlo dalla felpa. Con un po’ di fortuna si sarebbe presto concentrato sul successivo oggetto scintillante e avrei avuto campo libero. Avrei dovuto solo riuscire a sviare la sua attenzione o a farlo innervosire abbastanza da lasciare la mia felpa in pace.
    Lo vidi guardare prima la folla e poi concentrarsi su di me. Non sapevo che cosa stesse cercando, ma avendo parlato di ragazze e avendo lui parlato con una fino a poco fa, non potei escludere che Saki fosse stata il suo oggetto scintillante del momento. Poco male. Ormai aveva cambiato obiettivo, per il momento.
    O, forse, stava solo cercando un modo per andarsene? Non potevo saperlo, ma prima non aveva certo usato giustificazioni. In ogni caso, se l’avesse fatto di nuovo dimenticandosi della felpa sarebbe stato abbastanza fortunato da non vedermi più per un po’.
    «Sembra che la mia vita sentimentale t'interessi parecchio.»
    “It’s getting colder, kärlek.” Pensai, divertita. Non m’interessava troppo che cosa facesse a letto. Dopotutto, se esistevano associazioni ghoul anche abbastanza grosse, chi avrebbe impedito a un uomo di trovarsi una prostituta?
    «Mi chiedo se non sia tu quella frustrata.»
    Continuai a sorridergli come se le sue parole non mi avessero toccato, ma il nervosismo di cui ero quasi riuscita a dimenticarmi riaffiorò impetuosamente. Il valore di una buona identità di copertura mi era stato insegnato fin da piccola, ma in quel momento avrei voluto mandare all’aria tutto quanto e staccargli la giugulare a morsi. Se solo non ci fossero state conseguenze…
    Non se la sarebbe cavata impunemente. Avevo già in mente di trovarlo e fargli molto male, ma dopo quell’affermazione avrei fatto di lui un esempio. Avrei pensato a come una volta libera dalla rabbia, ma gli avrei fatto desiderare il morso alla giugulare che mi stavo tanto trattenendo dal dargli. Forse l’avrei trasformato, senza passare per la cucina e senza ucciderlo, negli omogenizzati con cui mia madre aveva nutrito me e Adam dopo lo svezzamento. Sembrava un buon piano, ma per il momento mi sarei limitata alle parole.
    «Dipende dai punti di vista.» Dissi, senza cambiare né tono né espressione facciale. «Io sono venuta qui con qualche amica. Tu sei venuto qui da solo. E scommetto che non stessi telefonando alla tua ragazza, quando sono venuta da te, giusto?»
    Altre supposizioni, basate sul fatto che lui stesse telefonando e sul fatto di non averlo visto in compagnia né quando ero andata da lui, né in quel momento. Tuttavia, ero convinta di aver centrato il bersaglio con quelle precedenti. Il tono del gorilla si era fatto cinico e lui era diventato abbastanza loquace da avermi dedicato addirittura due frasi di senso compiuto. Forse il mio piano stava funzionando.
    «Questo è un posto per coppiette o per gente che prova a rimorchiare. Ti hanno dato buca a un appuntamento, per caso?»
    Di solito avrei usato più logica per cercare le motivazioni dietro un’azione, ma non era quello il mio scopo. M’importava solamente di usare qualcosa di plausibile per fargli male, per ferirlo nell’orgoglio talmente tanto da impedirgli di riprendersi del tutto. Lo avrei fatto andar via da quella discussione con lo sguardo triste di chi si era scontrato con una realtà più dura della sua testa. Tuttavia quel gorilla avrebbe potuto anche decidere di stupirmi e andarsene direttamente. In virtù della felpa che mi sarei presto presa, gli avrei concesso di morire prima di mangiarlo, al nostro successivo incontro.

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    Era divertente, Victor non doveva niente a quella tipa, non la conosceva e non l'aveva mai incontrata prima. Con ogni probabilità non l'avrebbe mai nemmeno più rivista ed era divertente come, nonostante tutto, lei si stesse permettendo di sindacare sulla sua vita.
    Victor si chiese se ne fosse cosciente, ma si rispose da solo. No, era una viziata e completa idiota.
    Per quale motivo le interessava sapere con chi stesse parlando? Perché si doveva impicciare? C'erano mille motivi per cui aveva ragione di essere lì da solo e tre quarti di essi non riguardavano nemmeno l'aver una compagna a cui far riferimento; ma d'altronde... cosa poteva aspettarsi? Per le femmine girava tutto attorno a quello, no?
    Voleva farsi spaccare la faccia a forza di provocarlo, per caso? Perché era sulla strada giusta.
    Victor era un essere inquieto. Inquieto ed arrabbiato. Emozioni che si portava dietro da anni: si poteva dire che avesse un fuoco dentro che probabilmente non si sarebbe mai spento. Fuoco e fiamme che bruciavano di rabbia, ma anche... d’intensa fatale passione. Stava semplicemente agli altri scegliere da quale fuoco farsi scottare. Le aveva avute le sue storie ovviamente, ma parlargli di relazioni fisse o altre smancerie simili era equivalente a lanciarsi contro un muro e sperare fosse morbido.
    Astrid aveva ragione, Victor era single e celibe, ma la cosa non gli pesava più di tanto. Non vedeva l'utilità d'imbarcarsi in una scocciatura come una relazione e non c'era nemmeno nessuna milf donna che riteneva degna del suo interesse. Per giunta, non trovava le giapponesi particolarmente attraenti, parevano fatte con lo stampino: occhi scuri, capelli neri, basse e zero curve. E davano tutte l'impressione che si potessero rompere se gli metteva le mani addosso.
    Nel caso ve lo steste chiedendo, no, Victor non era un tipo delicato. Era sicuro di sé; era sicuro di emanare sufficienti vibes da maschio alfa, tali che il carattere per una notte poteva passare inosservato. In sintesi, era certo di potersi permettere di trovare una donna occasionale di tanto in tanto se lo desiderava. Senza pagarla, chiaro. Quello lo sapevano fare tutti.
    Ad ogni modo non credeva di dover rispondere alla sua interlocutrice facendogli il resoconto delle donne con cui era stato a letto, né tanto meno di dovergli fornire la lista dei contatti nella sua rubrica.
    Victor alzò gli occhi al cielo, per metà oscurato dalla luce rosa dei ciliegi. Infilò la mano destra in tasca e tirò fuori un pacchetto di sigarette, ne estrasse una e se la accese, sbuffando immediatamente una nuvola di fumo tossico davanti a sé. A quel punto, diciamo che aveva capito che non sarebbe stato lasciato in pace a breve. E se quello era il caso non voleva essere l'unico a perdere della pazienza che non aveva. Era da prima che la ragazza bionda si comportava come se le sue frasi non lo tangessero minimamente, ma Victor - per quanto facilmente irritabile - non era stupido e li sapeva riconoscere quelli come lui.
    Dato che c'era, tanto valeva premere ancora un altro po' sull'acceleratore: rischi, sfide, battaglie, qualunque fosse la loro natura, tutto era pane per i suoi denti.
    «Se è un modo per chiedermi se sono libero la risposta è no.» ghignò, senza dilungarsi oltre.
    E la sua frase non era un modo per sviare i discorsi iniziati da Astrid - o meglio, anche, ma era, sapete, quella che chiamano privacy - era una provocazione bella e buona, proprio per riallacciarsi al discorso che avevano avuto dinanzi: "non sei abbastanza per me, sparisci". Poco male se le intenzioni della bionda erano tutt'altre; altrimenti, non sarebbe stata una provocazione.
     
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    Quel gorilla aveva attuato una tattica difensiva proprio da animale: farmi sparire tra una cortina di fumo che aveva il suo stesso odore. Avevo visto tattiche di fuga stupide, durante le mie cacce, attuate da ghoul e umani ormai morti da tempo, ma quella le superava tutte. Infatti, subito dopo essere stata colpita dal suo alito cancerogeno, trattenni il fiato per un po’ ma rimasi dove mi trovavo prima. Qualcosa del genere non sarebbe bastata a farmi sparire, non con quella felpa ancora in mostra nella bancarella.
    «Se è un modo per chiedermi se sono libero la risposta è no.» Ormai era chiaro: quel tizio era anche più stupido di quanto sembrasse.
    Quelle parole riuscirono a strapparmi un genuino sorriso di divertimento, che fui ben felice di mostrargli. Non era stato bello sentire di essere stata rifiutata, ma il tutto era bilanciato da quanto quello sciocco credesse che davvero fosse stato lui per primo a rifiutare me.
    «Allora avevo ragione prima. Ti sarebbe piaciuto sentirtelo chiedere.»
    Quella, per me, era una piccola vittoria. Poco prima gli avevo fatto quella domanda e lui non aveva risposto. Avevo ipotizzato il perché, ma ora lo sapevo quasi per certo: avrebbe preferito che lo prendessi in giro fingendo che lui m’interessasse. Ne ero certa, dopotutto, così com’ero certa di un’altra cosa: avrei sempre ottenuto ciò che volevo, se fossi stata abbastanza furba da farmelo dare dagli altri senza dover chiedere esplicitamente. Non mi era mai importato di lui e le cose non sarebbero cambiate. Tuttavia avevo trovato un altro modo per ferirlo e ciò valeva più dell’informazione in sé.
    «Tuttavia c’è un motivo per cui delle amiche si sfidano in competizioni di seduzione, non credi?»
    Il mio tono si era fatto leggermente più altezzoso. Non era lui a rifiutare me: ero io ad averlo rifiutato ancor prima di andare a parlargli! Ero visibilmente inarrivabile per lui e nettamente superiore alle poche che avrebbero potuto assecondarlo una o due notti per disperazione. Probabilmente avrei potuto anche essermene mangiata qualcuna.
    «Senza non ti avrei nemmeno considerato: puzzi troppo di fumo e se apri la bocca danneggi l’immagine elegante che ti sei costruito, che forse è il tuo unico tratto positivo. Non ti ho mica detto per niente di lavorare sui tuoi modi.»
    Ero tornata al tono canzonatorio di prima, alla fine. Dopotutto, il messaggio era sicuramente passato. Forse aveva anche capito che quella avrebbe potuto essere la sua occasione di poter parlare da vicino con una donna bella quanto me e che lui la stesse sprecando. In fondo, quale altra donna sarebbe rimasta, se non per quella felpa che ancora lì si trovava?
    Come tutte, alla fine, nemmeno io ero lì per lui.


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    Edited by Antoil69 - 12/10/2020, 08:42
     
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    Un lungo sospiro di sollievo fumo dalla sigaretta. Ah, che meraviglia. Ne aveva bisogno, non c'era niente di più piacevole e tossico della nicotina per distendere i nervi. Scrollò le spalle.
    Victor non era un tipo che rifiutava delle avances per partito preso, per carità, è che la maggior parte delle volte capitavano nel momento sbagliato.
    E con la persona sbagliata, sì.
    Stava facendo una cosa per la salute di Momo, non era in uno squallido pub americano a rimorchiare, quindi sì, magari in un'altra situazione gli sarebbe piaciuto sentirselo chiedere e forse sarebbe anche stato meno scostante, ma no, non in quella. Al momento, il suo unico desiderio proibito era liberarsi di lei, prendere un souvenir per la sorella minore e tornarsene a casa. Il suo ghigno non accennò comunque a sparire o ad affievolirsi di un briciolo, anzi, Victor si portò due dita alle labbra, scostando la sigaretta appena accesa e chinò le sue iridi ambrate verso la bionda.
    «Non lo so. Voglia di cazzo?» replicò, schietto.
    Onestamente era l'unico motivo sensato che gli veniva in mente. Non gli importava poi molto, nel senso, che facessero quello che volevano, lui voleva solo essere lasciato in pace. Anche perché scegliere uno come lui come soggetto, palesemente più grande e fuori dalla loro portata come età e maturità sessuale, poteva essenzialmente significare tre cose: o essere preparati a ricevere un sonoro due di picche, o che una di loro aveva dei seri daddy issues, o sperare che lui fosse un tipo pseudo-pedofilo e dicesse di sì.
    E onestamente Victor preferiva non indagare.
    Ad ogni modo, per quanto Victor fosse perfettamente consapevole di essere ben poco lontano dallo stereotipo del rude uomo tedesco-olandese, gli parve che quella tizia lo stesse interpretando unicamente per mezzo di essi, altrimenti tutta quella convinzione nel suo tono di voce non aveva il minimo senso.
    Victor si ritrovò ad aggrottare le sopracciglia, truce. Non capiva il senso del suo discorso: lui non aveva costruito proprio niente. Si vestiva bene unicamente perché gli piaceva farlo, e si comportava in quel modo unicamente perché quello era il suo carattere. Non c'era niente di stranamente articolato dietro, e l'ex-soldato ebbe la conferma che quella, di lui, non aveva capito niente. Meglio così, forse.
    C'era comunque una grande falla nel suo discorso, e l'uomo non se la fece sfuggire. Era piacevole scoprire che senza la scommessa non se lo sarebbe nemmeno filato, altrimenti avrebbe avuto seri problemi, come detto prima. Tirando a caso, Victor avrebbe ipotizzato di avere sì e no dieci anni in più di lei. Da parte sua, in una situazione normale non l'avrebbe neanche vista, non considerata.
    «Quindi perché sei tornata da me?» chiese, infilando la mano che non stringeva il mozzicone della sigaretta nella tasca nera del cappotto.
    Un po' curioso del motivo per cui gli aveva di nuovo rivolto la parola era. Doveva difendere la sua amica, che neanche sopportava apparentemente, a spada tratta per fare la figura della bella paladina? Non poteva semplicemente prendere e trascinarsela via? Victor avrebbe scommesso diecimila yen che con loro quella facciata che aveva mostrato a lui non la faceva spuntare manco di striscio. Santo cielo, era falsa da morire. Dire che non la sopportava era dire poco.


    Edited by Ryuko - 18/11/2020, 18:58
     
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    Voglia di cazzo? Davvero?
    Dopo tutto il discorso che avevo fatto quella era l’unica ragione che gli fosse venuta in mente? No, ne ero sicura. Certo, non avrei potuto aspettarmi un granché da lui, come avevo già potuto notare, ma ero certa che quella fosse una provocazione. Dopotutto, non era la prima. Quando gli avrei aperto il cranio, al nostro prossimo incontro, mi sarei accertata del fatto che il suo cervello fosse più grande della mela che dimostrava di avere al suo posto, ma per il momento mi sarei accontentata delle speculazioni.
    O forse avevo davanti qualcuno che non riusciva ad accettare la realtà? Avrebbe potuto star attuando un meccanismo di difesa. Probabilmente il suo orgoglio stava risentendo dei miei colpi, anche se lui non accennava ancora a volersene andare.
    «Non sei un buon detective, vero?» Dissi, dopo aver ricambiato il suo commento con uno sguardo perplesso. «Per soddisfarmi cercherò qualcuno o qualcuna che mi piaccia, non credi?» Quella frase implicava qualcosa di molto specifico: il mio approccio precedente non era stato di quel tipo, quindi lui non mi piaceva.
    «E non mi trascinerei le mie amiche dietro, se volessi andarmene senza di loro. Non è così, Sherlock?»
    … A dire la verità, no. Loro erano un’ottima scusa per entrare in qualunque posto in cui qualcun altro facesse comodo, ma averle accanto quando dovevo uscire era qualcosa di cui avrei volentieri fatto a meno. Era per quello che uscivo in gruppo: per avere la libertà di decidere quando andarmene senza ritrovarmi ragazzine piagnucolone a dirmi di no.
    In quel momento, infatti, nessuna ragazzina sola se la sarebbe presa con me per la mia assenza, a parte Saki, come al solito, che però aveva altre due persone a cui pensare. Quello era, in fondo, uno dei motivi per cui potevo permettermi di temporeggiare col gorilla davanti a me, nella speranza che il nostro incontro finisse quanto prima e dopo averlo alterato il più possibile.
    Quell’armadio, però, era riuscito a stupirmi. La sua domanda successiva mi fece rivalutare la sua intelligenza, anche se di poco. Ormai era chiaro che fosse capace di cogliere i dettagli, nonostante non riuscisse a porre al proprio interlocutore domande che avessero a che fare con la realtà. Forse aveva davvero un bias di conferma sul fatto che io fossi tornata da lui. Avevo davvero scavato abbastanza a fondo nella sua psiche da far emergere la sua parte più patetica? In tal caso, sarebbe stato il momento di continuare a colpire.
    Lo lasciai finire, poi ripresi a guardarlo negli occhi non con la sua espressione truce, ma con una che avrebbe dovuto fargli capire inevitabilmente quanto mi fosse inferiore.
    «Non sono stata io a tornare da te.» Dissi come se stessi cerando di chiarire un suo dubbio piuttosto stupido. «Sei stato tu a metterti in mezzo.»
    Quella volta non stavo mentendo. Se non si fosse messo tra me e la mia felpa mi sarei dimenticato della sua esistenza fino a quando non mi fosse tornato l’appetito. Inoltre era davvero in mezzo e malvoluto. Se se ne fosse reso conto avrebbe potuto andarsene, ma ero una donna e, come aveva dimostrato, quando si trattava di donne e di seduzione c’era ben poco che lui capisse. Non aveva capito che aspettavo che se ne andasse e che l’unico motivo per cui non glielo avessi detto subito era il fatto che non meritasse la mia gentilezza? In fondo non volevo vederlo, se non solo e sanguinante in un vicolo lurido. Tuttavia, dato che avevo intenzione di pareggiare i conti trasformandolo in omogenizzato, perché non iniziare a urtarlo solo per il gusto di farlo?
    Quell’ultima frase sarebbe servita esattamente per quello. Sapevo molto bene come dare fastidio a persone calme come Adam, quindi col mio interlocutore sarebbe stato una passeggiata. Dare fastidio a un cretino, farlo andare via, prendere il mio premio e andarmene. Il piano era semplicissimo. Ora toccava al mio interlocutore far cadere il suo re e lasciarmi in pace e vincitrice. Io, nel frattempo, continuai a guardarlo negli occhi. Mi sarei goduta il momento esatto della sua realizzazione. Sarebbe stata la mia ricompensa per essere stata insultata da quell’essere inferiore e sarebbe stata solo colpa sua.


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    Edited by Antoil69 - 28/11/2020, 12:12
     
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    Per un lungo, lunghissimo secondo, Victor si ritrovò a ricacciare dentro di sé l'impulso di afferrare la ragazza per il colletto della maglia, attaccarla al muro e dirle che sì, adesso aveva tutte le ragioni per sostenere che fosse nel mezzo. Non lo fece non per pietà, ma perché gli mancava il muro.
    Chiarito il malinteso sui gusti sessuali suoi e delle sue amiche, Victor decise che era il momento di chiuderla lì. Non gli fregava assolutamente nulla dell'opinione che la principessa Sissi si era costruita di lui, perché se una cosa come il pensiero altrui avesse potuto intaccare la sua autostima, in quel momento sarebbe stato a piangersi addosso in qualche anfratto ben lontano da lì. Sfortunatamente, era più che conscio delle sue capacità e sapeva di sapere il fatto suo in fatto di donne, che ad Astrid piacesse o meno.
    Poteva pagarsi un gigolò la prossima volta, al posto di venire a rompere i coglioni a lui, tanto per cominciare. Anzi, se era così fissata con l'avere chissà che gusto ricercato e raffinato quasi si sarebbe potuto offrire di pagarglielo, purché la finisse di fare la gatta attaccata alle palle.
    «Senti. Hai rotto i coglioni.» sbottò Victor, ormai esaurita tutta la sua pazienza, gettando il mozzicone della sigaretta a terra e schiacciandolo sotto la suola della scarpa, immaginandosi la faccia della bionda al suo posto. «Sono tre cazzo di ore che parli per enigmi e la vedi quella? — continuò, indicando lo stand alle sue spalle, quello dove aveva intenzione di fare i suoi acquisti prima di essere interrotto. — Ti insegno, è una cazzo di bancarella e io sono in fila. Non me ne frega un cazzo di te e non ho tempo per farti il babysitter, quindi sparisci ringhiò. Un paio di persone gli sfilarono accanto e si voltarono in loro direzione, forse chiedendosi se stesse andando tutto bene, ma Victor se ne infischiò.
    Raddrizzò la schiena, e lanciò alla ragazza un'ultima occhiata di sdegno, prima di cominciare a voltarsi di nuovo verso lo stand e controllare se il negoziante fosse disponibile. Non lo era, stava parlando con una coppia. Sebbene Victor fosse in procinto di esalare un sonoro "che palle", ben deciso a tapparsi le orecchie qualunque cosa avesse deciso di dire o fare la tizia, le successive azioni a cui assistette lo tagliarono fuori dal mondo, completamente.
    Il ragazzo della coppia indicò la sua felpa. La ragazza annuì. Il negoziante la prese. E meno di cinque minuti dopo l'aveva venduta. Victor non ci vide più. Rimase calmo e impassibile, desiderando solo troncare il collo alla tizia che gli aveva fatto perdere tempo, ma prese e si allontanò, sgomitando in mezzo alla folla - o sarebbe meglio dire che la folla si fece quasi da parte per lasciarlo passare - per raggiungere il negoziante. Non si sarebbe arreso comunque.

    ---

    Victor mise piede in casa propria solo a mezzanotte inoltrata. Sua sorella dormiva già ovviamente, la trovò rannicchiata sul divano stretta al suo cuscino preferito e non ebbe nemmeno cuore di spostarla.
    Le aveva detto di non aspettarlo sveglio, ben conscio che avrebbe visto le sue aspettative infrante, ma d'altronde Momo aveva problemi ad addormentarsi col pensiero di essere da sola in casa, e solo per quello Victor si sentì un verme. Posò una busta ai piedi del divano, si tolse la giacca e si sbottonò la camicia, per poi lasciarsi cadere sui cuscini non occupati dalla minuta figura di sua sorella.
    Era stata una serata infernale, forse Momo non aveva tutti i torti a non voler uscire di casa. Non solo aveva perso tempo grazie ai capricci di una ragazzina, ma a causa di quello Momo si era addormentata da sola e lui aveva dovuto passare due ore a girare a vuoto fra le bancarelle a cercare qualcosa che sostituisse la felpa. L'aveva trovato? Sì, un'altra maglia, simile, ma non bella quanto la prima. Era meglio che sotterrasse i ricordi di quella giornata da qualche parte perché meno ci pensava meno rabbia gli saliva addosso.
    Victor si accese un'altra sigaretta e rimase a fissare la piccola brace scintillare nella penombra del salotto.
    Chiuse gli occhi e si spostò i capelli dal viso, lasciando che la nicotina lo aiutasse a distendere i nervi. Sì, probabilmente Kaede li avrebbe trovati così la mattina dopo.
     
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    Finì esattamente come avevo previsto. Il mio interlocutore si era preso il suo tempo, ma sapevo ottenere sempre ciò che volevo. L’avevo spezzato, umiliato e reso inferiore, e lui non aveva potuto che guardarmi con quegli occhi che avrebbero fatto capire che cosa mi avrebbe voluto fare, se ne fosse stato capace. Era impotente, condannato a sfogare la sua rabbia verso l’esterno perché non sarebbe mai riuscito a sfogarla verso di me. Era patetico, come volevasi dimostrare. Quanto gli sarebbe costato resistere alla mia presenza per dieci minuti, nei quali mi sarei comportata da brava ragazza e lo avrei anche ringraziato per la pazienza e la collaborazione? Lo avrei lasciato andare contento di avermi aiutata, anche perché l’avrei ricompensato con una falsa ma rassicurante gentilezza. E invece no: lui mi era andato contro. “E nessuno va contro Astrid Nyström e vive per raccontarlo.” Avrei inasprito quella serata e, forse, anche quella notte, nella quale avrei dormito come un agnellino godendomi la mia vittoria. E le sue sofferenze sarebbero state solo all’inizio...
    Per la fortuna di entrambi, però, il gorilla decise di piagnucolarmi addosso e andarsene, esattamente come aveva fatto andare via la giapponese poco prima. Così facendo, non avrei nemmeno dovuto nascondere quanto la cosa mi stesse facendo piac-
    “Var går du?”
    In quella frazione di secondo, capii verso dove il mio interlocutore si stesse dirigendo. Aveva deciso di non rinunciare al suo acquisto in quella bancarella, ma non potevo permettere che prendesse la mia felpa. Avrei dovuto arrivare lì prima di lui. Era una questione di vita o di morte. Lui sarebbe morto comunque, ma sarei stata molto più tranquilla o violenta a seconda del risultato, quindi gli sarebbe convenuto che arrivassi prima io.
    Invece, arrivammo tardi tutti e due. La mia felpa, la mia meravigliosa felpa, era stata comprata da una stupida coppietta e sarebbe finita in mano a una ragazzina prima che io potessi attrarre l’attenzione del venditore, già concentrato su di lei.
    Era tutta colpa di quel maledetto energumeno, che mi aveva trattenuta prima che io potessi fare qualunque cosa, togliendomi ciò che era mio di diritto. Era innegabile il fatto che, avendola vista io per prima, quella felpa mi spettasse. Vedermela soffiare davanti agli occhi così non mi era piaciuto. Per niente.
    Quel gigante si era allontanato non appena aveva visto la mia felpa andare perduta. Era visibilmente alterato, mentre io dovetti utilizzare tutta la mia compostezza per non dare un altro spettacolo simile, anche se avrei volentieri strappato braccia e gambe a quel gorilla e alla coppietta che si era appropriata di qualcosa di mio davanti a me. Se solo avessi avuto la maschera…
    Tuttavia non ce l’avevo. Ed ero anche con tre pezzi di carne che, per un motivo o per l’altro, avevano deciso di non farsi vedere. Se prima avessi semplicemente preferito essere altrove, in quel momento era palese che tale mio desiderio fosse aumentato. Quelle bancarelle, inoltre, non avevano più niente da offrirmi. Era il momento di levare le tende, ma prima avevo altri tre esseri insulsi da rintracciare.

    ~~~


    Avrei detto che fosse stramazzato al suolo, ma non sapevo nemmeno io se quello potesse ancora considerarsi un essere umano. Il sangue aveva presto coperto il suo odore d’alcol, rendendolo quasi invitante, seppur non della migliore qualità. Poco male. Era riuscito a far sparire il sapore di vomito che nemmeno due lavaggi dei denti erano riusciti a far sparire.
    Quelle tre dementi con cui ero uscita avevano deciso di approfittare della mia assenza per dirigersi alla zona ristoro, non prima di aver pensato di prendere qualcosa anche per me. Avevo fatto il possibile per rimandare quel pasto, ma mi ero distratta a parlare con quel maledetto gorilla e, oltre al danno della mia felpa, avevo ricevuto la beffa di dover mangiare del cibo umano. Che schifo.
    Ero riuscita ad andarmene prima, lasciando le mie tre umane da compagnia a godersi il resto della notte. Ero sull’orlo di una crisi di nervi e più le stavo a sentire, più avevo voglia di saltar loro addosso e sfogarmi su di loro. Tuttavia, nemmeno quello era bastato.
    Mi conoscevo, ormai. Sapevo bene che non avrei riposato se mi fossi addormentata con tutta quella frustrazione. Ormai era necessario trovare un modo per riprendermi e sapevo bene che cosa avrebbe potuto fare al caso mio.
    Mi feci una doccia e preparai gli abiti da caccia. Sapevo bene che ormai fosse tardi e che sarebbe stato molto difficile, per me, trovare qualcuno in strada, ma ne avevo bisogno. Mi sarebbe andato bene chiunque, quella notte, purché potessi metterlo sotto i denti e fosse ancora vivo.
    Trovai quell’uomo quasi per fortuna. Aveva attirato la mia intenzione inveendo in maniera goffa contro un locale dal quale si trovava fuori, poi aveva deciso d’incamminarsi lontano. Spingerlo in un vicolo buio fu molto facile. L’odore del suo vizio era anche più forte dell’odore di fumo del gorilla che mi aveva irritata qualche ora prima. Fu facile per me scambiare consciamente le due persone. Fu difficile trattenermi una volta riuscita a farlo.
    Fui contenta di aver trovato un umano. Solitamente avrei preferito un ghoul, ma quella notte avevo proprio bisogno di lasciarmi andare a qualcosa che mi facesse stare bene. La sua carne non era di qualità, ma era comunque migliore di quella di un mio simile, almeno per quanto riguardasse il palato. In fondo, quante prede buone sarebbero andate in giro per i vicoli alle due del mattino?
    Non fui gentile con lui. Mangiai finché ne ebbi voglia e lasciai andare il resto, chiedendomi se gli effetti dell’alcol che gli sentivo addosso si potessero trasmettere anche a me. Me ne sarei accorta di lì a poco. Sarebbe stato bello rimanere lì a scoprirlo, ma era meglio godersi quella pace dei sensi a casa, lontana da potenziali predatori. Inoltre, quanto alcol avrebbe dovuto bere per farmi sentire qualcosa? Il mio sangue scandinavo si sarebbe fatto sentire comunque.
    Tuttavia, dopo quel buon pasto, iniziai a provare un senso di relax. Non era l’alcol, lo sapevo, ma la quiete dopo la tempesta. Molta della rabbia che avevo provato fino a qualche istante prima era sparita, ma era facile, guardando ciò che rimaneva della testa fracassata di quell’uomo, ricordarmi che non me la fossi presa con la radice dei miei mali di quella notte. Poco male. Il suo turno sarebbe presto arrivato.
    Finii di distruggere la testa dell’uomo con la kagune, lasciandone i pezzi dove andarono a finire, poi me ne andai. Mi ero sfogata abbastanza. La mia corsa verso il potere sarebbe ripresa al mio prossimo risveglio. Sarei stata inarrestabile e, nella mia foga, avrei travolto e ucciso anche chi aveva osato infastidirmi poco prima. Avrei solo dovuto capire come arrivare a lui, dato che non si era di certo presentato. L’avrei trovato comunque, prima o poi. Ormai il suo destino era stato scritto.


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