How small the world is!

Kasumi Yonaga & Evelyn Tiffany Applegarth @ teamLab Borderless, 14/02/2021 dalle 15:50 in poi, soleggiato (13°)

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    Evelyn Tiffany Applegarth
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    Il mondo era davvero piccolo.
    Evelyn si era iscritta a quel genere di evento soltanto perché le sarebbe piaciuto conoscere qualcuno. Non aveva riposto grandi speranza sul lato romantico: era difficile prendersi cura di se stessa, figurarsi dover prendersi cura di una relazione. Se fosse capitato qualcuno che avrebbe potuto cambiarle la vita, di certo non avrebbe sbuffato o alzato i tacchi, ma di sicuro non si aspettava che la sua partner sarebbe stata Yonaga Kasumi, la stessa ragazza a cui aveva fatto il regalo durante il Secret Santa. Non poteva che essere una coincidenza, però realizzare con chi dovesse passare il suo San Valentino la fece sorridere. Avrebbe cercato di far sentire a suo agio quella ragazza, in tutti i modi possibili.
    Il "love bot" aveva dato loro un luogo per l'appuntamento: il teamLab Borderless nella circoscrizione di Koto. Ne aveva sentito parlare, ma fortuna volesse non ci fosse ancora stata e ciò segnava l'inizio di una nuova esperienza. Poter visitare un museo del genere con qualcun altro poteva essere davvero divertente, perciò fu piuttosto felice del luogo d'incontro.
    I giorni precedenti al loro "appuntamento al buio", Evelyn e Kasumi avevano avuto modo di conversare un po', per definire i particolari dell'appuntamento e stabilire un luogo e un orario di incontro. Appurato che il pomeriggio fosse ideale e segnatasi l'appuntamento per le 15:50, Evelyn si impegnò particolarmente per cercare di fare anche una sorpresa carina alla ragazza. Aveva chiesto consigli ad una sua compagna di corso circa un marchio di cioccolatini che potesse fare al caso suo, e finì per questo a comprare una scatola di cioccolatini assortiti Lindt. Per ovvi motivi non li aveva mai assaggiati e non aveva neanche provato ad aprire la scatola: sapeva che ad attenderla ci sarebbe stato un odore quasi nauseabondo.
    Per cui, cioccolatini pronti per essere regalati alla sua piccola amica, cercò di vestirsi in maniera comoda ma elegante, perché per quanto non si aspettasse nient'altro che un pomeriggio piacevole, ci teneva ad essere curata nell'aspetto. Per cui una blusa bianca, dei pantaloncini paperbag in velluto rosso, collant neri, stivaletti neri e trench grigio topo, un cappello basco in testa dello stesso colore dei pantaloncini, una sciarpina bianca e dei piccoli guanti coordinati, qualche accessorio per completare il tutto, una serie di spruzzate di profumo ed era ufficialmente pronta per incontrare Kasumi.
    Forse avrebbe dovuto vestirsi leggermente più pesante, ma non stava patendo il freddo come poteva immaginare: le brevi folate d'aria fredda le provocavano qualche brivido, ma tutto sommato la temperatura era piacevole. Guardò l'orologio che aveva al polso destro, che segnò le 15:47. Era, ovviamente, in anticipo.

    «Parlato.»
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    Edited by yumæchu` - 22/2/2021, 17:00
     
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    Yonaga Kasumi
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    Era, ovviamente, (a un passo dall’essere) in ritardo.
    Da quando aveva avuto l’età per parteciparvi, quindi molto piccola, la vita di Kasumi si era scandita tra un concerto per pianoforte e l’altro.
    Se quel mondo insegnava qualcosa, a parte quanto fosse mostruosamente elitario, doveva essere il rigore. La compostezza, l’importanza di essere puntuale e poi boh, non ne aveva idea perché non ci aveva mai pensato.
    A Kasumi bastava suonare e comporre, tutto il resto lo trovava di poca importanza. Persino le graduatorie, che sua madre guardava con un’apprensione non le invidiava per nulla.
    Quindi.
    La puntualità te la insegna per forza.
    E, come suo solito, Kasumi quando insegnavano queste cose aveva le cuffie e la musica alta, boh. Per fortuna non abitava nemmeno così tanto lontano dal luogo dell'appuntamento, altrimenti ciaone proprio.
    NON era così in ritardo, però! Di quel passo sarebbe arrivata giusto in tempo, qualcosa che se fingi di aver programmato sin dall’inizio -come faceva durante i concerti, del resto- allora ti puoi ancora salvare.
    Teoricamente non era in ritardo, ecco.
    Si sarebbe impegnata anche per non esserlo, perché far aspettare Evelyn le sarebbe dispiaciuto un casino.
    Non era colpa sua se il tempo faceva un po’ come voleva lui. Cioè, non era possibile che -tanto per fare un esempio- tu ti giri un secondo e da che stavi mangiando gli avanzi del ramen a mo’ di pranzo improvvisato è già ora di partire.
    Ma insomma.
    Comunque, Kasumi aveva avuto buone intenzioni. Avrebbe voluto prepararsi bene, essere carina -nonostante non fosse l’appuntamento romantico in cui un po’ sperava, ma trovare Evelyn era stata una coincidenza BELLISSIMA e di certo non ci andava col pigiama con i procioni.
    Ecco, e poi evidentemente si era ricordata di avere la femminilità di un tronco abbattuto. La vita era dura a volte.
    Quindi aveva finito col mettersi in felpa, pantaloni scuri e stivaletti neri. Il cappotto, di un vivace rosso, la rendeva -oltre che una versione povera di cappuccetto rosso- una macchia di colore vivace visibile anche da chilometri di distanza.
    I guanti a mezze dita, invece, erano arcobaleno. I ciuffi di capelli che andavano sempre ovunque erano stati disciplinati con delle mollette, quelle carine con le stelline e la luna, e sperava di non perderle come le succedeva spessissimo.
    E aveva messo la collana, ovviamente, quella che le aveva regalato Evelyn. La amava, best portafortuna dell'esistenza tutta.
    Suo padre aveva già detto che, se non fosse per la paura di rovinarla, ci avrebbe pure dormito. Ed era vero.
    In ogni caso.
    Alla fine arrivò giusto in tempo, brava lei.
    Evelyn era già lì ed era bellissima, proprio come lo era stata al Secret Santa.
    «Sono qui! Non aspetti da tantissimissimo, spero.»
    Essere ritardatari cronici era una tortura, ma rendersene conto lo era tipo venti volte di più. Poi però se ne scordava, e quindi in realtà di tortura lì ce n’era molto poca.
    Se non per i poveri sfigati che dovevano aspettarla, continuando a guardare l’orologio magari. Per colpo di fortuna, Evelyn non faceva parte di quel gruppo.
    Il sorriso che le rivolse fu radioso.
    «Come stai?»
    Il posto dove il bot le aveva suggerito di andare era al teamLab Borderless. Che non aveva mai sentito nominare e non conosceva, o forse l’aveva sentito nominare e se n’era scordata. O forse con Kasumi riuscivano a essere valide entrambe le cose.
    Chi poteva dirlo.
    Non si era stupita, perché non conosceva praticamente nulla. L’amico internet di conseguenza era stato veramente amico e, ora, Kasumi poteva dire quel posto sembrava proprio essere una figata incredibile.
    Avere la possibilità di visitarlo in compagnia per lei era cosa rara e bellissima, si voleva divertire un sacco.
    Aveva addirittura contato i giorni, cosa che ormai non faceva più nemmeno per il compleanno.
    Quindi wow.
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    Kasumi poteva ritenersi fortunata: Evelyn non era il tipo di persona che si spazientiva davanti ai ritardi, neanche se grossi. Beh, forse un po' ci rimaneva male ad aspettare, ma era una persona coscienziosa e sapeva perfettamente che vivere a Tokyo equivaleva anche a fare ritardo sulla tabella di marcia: troppo traffico, troppa gente, troppe persone che correvano, una vita talmente frenetica che se ritardavi ad un appuntamento l'altra persona ti avrebbe quasi sicuramente risposto «figurati, sono appena arrivato!»
    ... purtroppo Evelyn non avrebbe potuto rispondere così, perché si era premurata di arrivare persino in anticipo, tanta era l'ansia di fare ritardo, però questo non equivaleva necessariamente a far pesare il ritardo a Kasumi. Anzi, quando la vide arrivare le sorrise dolcemente, alzando il braccio per aria e salutandola con vigore, fino a che la ragazza non accorciò la distanza che le separava.
    Non sapeva perfettamente come avrebbe dovuto comportarsi: quello doveva essere un appuntamento, ma di fronte a lei c'era una ragazza quasi coetanea di sua sorella minore e l'idea di uscire in senso romantico con qualcuno che aveva l'età di sua sorella non era tra le cose che apprezzava di più. Ma quello non doveva essere necessariamente visto come un romantico appuntamento al limite della galanteria, no? Potevano semplicemente passare una giornata come tante altre. Poteva comportarsi come si comporterebbe con sua sorella minore, quindi fare la brava sorella maggiore che si preoccupava del divertimento altrui. Avrebbe fatto il possibile perché alla fine dell'appuntamento entrambe rincasassero soddisfatte e divertite per aver passato una bellissima giornata assieme, in un posto che aveva tutta l'aria di essere qualcosa di assurdamente eccezionale. Aveva solo sentito parole buone per il luogo designato e quindi non vedeva davvero l'ora di addentrarsi e lasciarsi affascinare da ciò che le avrebbe catapultate in un universo completamente alternativo e distante da quello che vivevano ogni giorno. Era sicuramente un'esperienza da fare almeno una volta nella propria vita.
    «Non preoccuparti, Kasumi-san, non è stata una lunga attesa~» aveva cinguettato in tono pacato, chinando leggermente il capo per salutarla come si deve: il rispetto prima di ogni altra cosa, aveva davvero combattuto un sacco con la severa educazione di suo nonno, non poteva venir meno ad una simile forma di rispetto.
    «Sto molto bene, ti ringrazio! Spero sia lo stesso anche per te.»
    Era effettivamente uno di quei rari giorni in cui riusciva a stare serena, senza mille fisime mentali e crisi perché la sua vita faceva molto schifo. Che detto da una a cui i soldi non mancavano e aveva praticamente tutto ciò che potesse desiderare dalla vita, beh, non era proprio il massimo. Ma fintanto che nessuno lo sapeva, poteva stare serena e non preoccuparsi di niente. Erano solo sue paranoie, niente di più, niente di meno.
    Erano solo nella sua testa, e da lì non sarebbero dovute uscire. Si sarebbe goduta quell'appuntamento in totale tranquillità, cercando di non far pesare la differenza d'età a Kasumi e di divertirsi con lei quanto più poteva.
    Con la coda dell'occhio notò ciò che pendeva dal collo della ragazza e questo fu motivo di grande vanto: era il ciondolo che le aveva regalato come suo personale Secret Santa! Le faceva davvero piacere lo indossasse, al punto che non le passò nemmeno per la testa potesse averlo indossato solo per farle un favore. Kasumi sembrava una persona estremamente onesta nelle emozioni che mostrava agli altri, Evelyn si era convinta fosse una persona davvero sincera e pura, non avrebbe mai potuto fingere che qualcosa le andasse bene quando non era così. Voleva davvero crederci.
    «Domanda: tu ci sei mai stata qui?» decise di rompere il ghiaccio con una domanda tranquilla, indicandole l'ingresso del museo. Se la risposta fosse stata positiva, avrebbe potuto chiederle di parlargliene un po', in caso contrario sarebbe stata la prima esperienza di entrambe, a suo parere ancor più bello perché avrebbero potuto condividere le forti emozioni che una "prima volta" poteva scaturire in loro. E l'idea, doveva ammetterlo, la elettrizzava. «Io ne ho solo sentito parlare, ma è la prima volta che ci vengo, perciò non sono espertissima.»
    Era una tappa che avrebbe voluto spuntare nell'elenco di cose da fare prima di morire, ma che per un motivo o per un altro si ritrovava a spuntare soltanto in quella giornata. La vita sapeva donare strane coincidenze.

    «Parlato.»
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    Kasumi era elettrizzata.
    Il che, per chi non la conosceva, significava non era molto diversa dal solito. Era sempre su di giri, tanto che se avessero trovato un modo per convertire le emozioni in energia Kasumi avrebbe potuto dare luce elettrica minimo minimo al suo quartiere.
    Non a Tokyo, però, perché Tokyo era enorme. C'era un limite a tutto.
    Nel periodo che aveva preceduto il suo appuntamento al teamLab Borderless era stata persino più su di giri del solito, di base perché non le capitava spesso di uscire con qualcuno.
    Non in senso romantico, non l'aveva mai pensata in quel senso a dispetto del love bot e dell'iniziativa a cui si era iscritta.
    Probabilmente non l'avrebbe visto in senso romantico nemmeno con un altro match, quindi insomma.
    Kasumi era così.
    Un disastro umano.
    Un disastro umano super emozionato, che ricambiò il saluto di Evelyn con altrettanto vigore e arrivò quasi a correre per raggiungerla, rallentando solo verso l'ultimo tratto di strada le separava. Giusto per evitare di investire la povera Evelyn, anche se si parlava di abbracciarla non era esattamente un buon biglietto da visita.
    Pur essendo Kasumi estremamente espansiva, quindi era un peccato, ma anche lei aveva del buonsenso ogni tanto. Il che significava era proprio ovvia, come cosa.
    A distanza Kasumi poteva sembrare una coccinella iperattiva, da vicino le differenze non erano comunque poi così tante.
    Ora sperava solo una cosa, perché era arrivata lì quasi volando, nei limiti di quanto volavano i mezzi pubblici e cioè per niente perché non erano nel futuro (che noia), e adesso aveva paura di aver fatto comunque ritard-
    «Non preoccuparti, Kasumi-san, non è stata una lunga attesa~»
    Evviva!
    A fare attenzione al linguaggio del corpo, più di quanto ne faceva Kasumi con gli altri almeno, si sarebbe notato la posa era diventata molto più rilassata. Non che prima fosse esattamente tesa, ma era comunque qualcosa.
    Più che un appuntamento romantico, quello sembrava la sorellina che tentava di rendere fiera di sé la sorella maggiore. E Kasumi nemmeno aveva una sorella maggiore, era leggermente figlia unica, ma ok.
    Era una sorellina confusa, però, il che fu tristemente palese da quei pochi momenti di ritardo prima che anche Kasumi salutasse con un cenno del capo.
    Era cresciuta in Austria e di giapponese aveva solo il nome e una buona conoscenza della lingua, ma tutto quello che sapeva della cultura del Giappone era messo insieme alla meno peggio.
    Gli attimi di silenzio le erano serviti per collegare un attimo i puntini, far girare i piccoli cricetini obesi per il poco lavoro, e quindi agire.
    Bene, ma non benissimo.
    Anche perché, insomma, in realtà persino sentire i suffissi giapponese alla fine del suo nome continuava a destabilizzarla un pochino. Abituarsi non era facile.
    «Sto molto bene, ti ringrazio! Spero sia lo stesso anche per te.»
    «Sìsìsì!» quanto esagerata, aiuto «Mai stata meglio, eheh.»
    Il che, in un certo senso, era pure vero.
    Era difficile per Kasumi descrivere una giornata come davvero brutta, ma era anche vero era la stessa ragazzina che si era spinta all'esaurimento nervoso senza accorgersene. Che stava lottando con quello che ancora ne rimaneva, dell'esaurimento, senza accorgersene del tutto.
    Succede, quando non sai distinguere lo stress.
    In quel caso, complice anche il fatto sua madre non l'aveva chiamata per metterle altra pressione, si poteva davvero definire tranquilla.
    Aveva anche passato i momenti dopo pranzo non esattamente suonando il piano, ma facendo finta di premerne i tasti sul tavolo mentre canticchiava tutt'altro.
    In quella dissonanza, che avrebbe potuto notare solo lei, forse si capiva perché l'orario le era del tutto saltato di mente.
    «Domanda: tu ci sei mai stata qui?», le chiese Evelyn mentre le indicava l'ingresso del museo.
    «Io ne ho solo sentito parlare, ma è la prima volta che ci vengo, perciò non sono espertissima.»
    Al che fu molto probabile Kasumi interpretò non male, ma di più, perché lei cominciò ad avviarsi. In sua difesa, lo fece camminando e con calma, quindi starle dietro non era difficile per una volta.
    Ancora più in sua difesa, se Evelyn non l'avesse seguita si sarebbe fermata. Nessuna fretta.
    Anche se era abbastanza impaziente e pensava che non potevano passare tutto il tempo lì, ecco.
    «Risposta! Assolutamente no, non sapevo nemmeno esistesse.»
    E non conosceva nessuno nemmeno per poterlo sentire nominare, ma quello era un po' triste da dire. Quindi evitò, ridacchiando.
    «Però ho visto alcune foto su google, è fighissimo! Secondo te finiremo col perderci? Anche ritrovarsi sarebbe divertente!»
    La prendeva davvero molto bene.
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    L'entusiasmo di Kasumi poteva quasi essere contagioso: il modo genuino di approcciarsi alla situazione, fosse questa del tutto nuova o familiare, la sua vitalità, i suoi sorrisi, il suo entusiasmo... un po' Evelyn doveva ammettere che la invidiava. Non era mai stata una persona tanto genuina e trasparente, solo una di quelle che cercava in tutti i modi di essere gentile, ma che evitava fin troppo spesso di mostrare i propri sentimenti, troppo spaventata dal mondo per lasciarsi veramente andare anche con persone in cui riponeva una cieca fiducia.
    Kasumi era, al suo contrario, un grillo pieno di gioia. Non si sarebbe fatta trascinare dai suoi modi alquanto singolari di conversare, ma li apprezzava. Sicuramente una compagnia come la sua non l'avrebbe tenuta in silenzio, avrebbero avuto modo di passare del tempo di qualità insieme senza annoiarsi e stancarsi ― o meglio, forse stancarsi sì, ma non era necessariamente da considerare un lato negativo. Rincasare stanca ma consapevole di aver trascorso una bella giornata era sicuramente piacevole, ma era una sensazione che raramente poteva provare sulla sua pelle. La sua routine era quasi sempre fatta di lavoro e studio, lezioni universitarie alternate tra quelle in presenza e quelle online quando non poteva permettersi di muoversi da casa, troppo impegnata ad organizzare il lavoro nell'agenzia di moda del nonno per potersi allontanare dall'edificio.
    Una giornata in cui staccava la spina e pensava solo a divertirsi, una volta ogni tanto, ci voleva. Non era il solito shopping in solitaria, non si trattava nemmeno delle feste a cui veniva costantemente trascinata da nonna Kasumi ― la coincidenza con il nome della giovane ragazza la fece sorridere un po' ― perché «hai bisogno di conoscere altre persone, quindi vieni con me», ma si parlava di un'esperienza del tutto diversa, in un posto a lei sconosciuto, con una persona che aveva avuto modo di incontrare soltanto una volta, in una circostanza un po'... particolare.
    «Mi fa davvero piacere, Kasumi-san.»
    Sapere che la ragazza era così emozionata e contenta non poteva che suscitare in Evelyn un senso di gratitudine. Il pensiero del costante terrore di essere un peso o di rovinare tutto, purtroppo, rimaneva, ma l'energia di Kasumi sembrava fungere da ammortizzante, come se stesse repellendo ogni pensiero negativo nella sua testa. Si sentiva più rilassata, avvertiva le spalle meno tese e il gentile sorriso che le aveva curvato le labbra, per una volta, non sembrava il solito sorriso di cortesia che si sforzava di indossare ogni giorno. Per una volta in vita sua stava riuscendo a sentirsi viva e rilassata come lo era stata in pochissime, rare occasioni.
    Quando Kasumi cominciò ad avviarsi all'interno dell'edificio, Evelyn non si fece domande e la seguì, rimangiandosi la voglia di dare la scatola di cioccolatini Lindt alla ragazza fin da subito. Sarebbe stata una sorpresa che le avrebbe donato più tardi, ora dovevano pensare ad entrare e a comprare i biglietti.
    Una risata sfuggì dalle labbra di Evelyn quando la ragazza le disse che non c'era mai stata prima, domandandole se secondo lei si sarebbero perse, sottolineando però come l'idea di doversi ritrovare fosse divertente. Kasumi era divertente e piena di vita, quindi sicuramente qualsiasi situazione le si sarebbe posta davanti avrebbe certamente avuto modo di trovare come renderla più leggera e divertente. Evelyn, dopo pochi istanti passati in compagnia della più giovane, ormai aveva pochi dubbi.
    «In effetti sembra un posto in cui perdersi sarebbe fin troppo facile» aveva commentato la corvina dopo aver varcato la porta d'ingresso del museo, guardandosi intorno nel vano tentativo di trovare qualche cartello che indicasse la biglietteria, che indicò poco dopo a Kasumi, ma facendole cenno di aspettare. Evelyn era uscita di casa con l'intenzione di offrire l'ingresso al museo alla più giovane, perciò non avrebbe sentito scuse in caso Kasumi avesse voluto fare pressioni per pagare almeno il suo biglietto.
    Raggiunta la biglietteria, comunque, riuscì ad acquistare i biglietti e poco dopo tornò trionfante con i due pezzi di carta tra le mani, porgendone uno a Kasumi.
    «Pronta a perderci e a ritrovarci?»
    La domanda retorica di Evelyn fu accompagnata da un sorriso cortese e tranquillo. Evitò di ridere alla sua stessa battuta, però, concentrandosi piuttosto sul cercare dove fosse la porta che le avrebbe condotte all'interno del museo. Solo dopo averla trovata si sarebbe avviata, affiancando Kasumi in una lenta camminata. Aveva voglia di godersi la giornata e la visita, perciò non sarebbe andata di fretta per nessuna ragione al mondo.

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    Edited by yumæchu` - 26/3/2022, 11:24
     
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    Yonaga Kasumi
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    Era, neanche poi molto modestamente perché la modestia era per i mediocri e gli insicuri, un genio della musica, l'erede spirituale di Mozart destinata a una carriera luminosa quanto il sole. Che avrebbe preso ogni aspetto della sua vita proprio come il sole, una volta arrivato alla fine del suo ciclo, avrebbe inglobato la terra.
    Non era chissà quale tragedia per Kasumi, era una vita che si preparava a quel futuro. C'erano stati incidenti di percorso, come quella pausa forzata, ma erano irrilevanti se si pensava alle prospettive sul suo futuro.
    Neanche quel periodo di pausa era una tragedia, a dire il vero. Solo la madre lo vedeva come tale, cosa che la faceva sentire tremendamente in colpa, ma voleva comunque trarne il meglio.
    Aveva passato tutta la sua vita ignorando il mondo esterno, pur di buttare il sangue nel suo molto più piccolo, privato e fatto di bianco e nero.
    Non aveva molto tempo, ma voleva vedere più cose possibili. Assaggiare più cibi possibile. Conoscere un sacco di persone, preferibilmente non musicisti che con loro non finiva a botte per miracolo, con cui andare d'accordo.
    Non era una scelta esattamente razionale, ma era tipico di Kasumi buttarsi nell'ignoto senza la minima esitazione. Se si pensava troppo si rimaneva fermi e non andava bene, il movimento era molto meglio.
    La risata di Evelyn fu tanto bella quasi le scaldò il petto. Aveva proprio un buon suono, così tanto fu felice di esserne stata la forza scatenante.
    Aveva la tenue intuizione non ridesse troppo spesso, anche perché era sempre così posata e bellissima come una dea meravigliosamente eterea, quindi le sembrò quasi di avere scoperto un tesoro.
    Un tesoro dal valore inestimabile, c'era pur sempre una leggenda che diceva le fate nascevano in quel modo, ma dalla durata effimera.
    Non era un difetto, però. Era proprio il bello dei suoni: avevano un momento di massimo splendore e poi sparivano, smettevano del tutto di vibrare nell'aria circostante.
    Varcarono le porte del museo -un museo interattivo, per fortuna, altrimenti ammettiamolo Kasumi non sarebbe stata così emozionata-, e alla più giovane venne più che naturale provare l'acustica.
    Un breve colpo di tacco sul pavimento, decidendo subito il rumore le piaceva. Chissà se il rumore dei loro passi sarebbe cambiato di sala in sala.
    Non era una cosa che specificavano nelle recensioni, strano.
    Evelyn si fermò, così si fermò anche lei. Prese a guardarsi attorno anche a lei, anche se non sapeva esattamente cosa stesse cercando.
    Si era dimenticata una parte quasi insignificante di ogni gita a un museo: che bisognava prendere i biglietti in biglietteria.
    Che se ne era dimenticata fu ovvio, nel momento in cui Evelyn le indicò la biglietteria e finalmente poté connettere i puntini.
    Al cenno di aspettarla lei si limitò ad annuire, aspettandola canticchiando sottovoce a bocca chiusa e dondolandosi sui talloni. No, non sapeva stare ferma un singolo momento della sua vita.
    Si era chiesta perché dovesse aspettare, eh. Del resto pure a lei serviva il biglietto, quindi era strano non lo andasse a prendere anche lei.
    Però si fidava di Evelyn. Magari era andata a chiedere se erano finiti, per quel giorno? Sarebbe stato un po' imbarazzante, ma in quel caso potevano sempre contare sulle alternative.
    «Pronta a perderci e a ritrovarci?»
    Poi Evelyn le provò di essersi sbagliata. Ricambiò il suo sorriso tranquillo con uno raggiante, prendendo il biglietto.
    Alla fine di quella giornata sarebbe sicuramente finito stropicciato, ma l'avrebbe anche conservato nel portafoglio fino alla fine dei tempi.
    «Oddio! Graziegraziegrazie, non dovevi! Ti voglio bene!»
    L'aveva presa di sorpresa. Di solito, perché del resto la sua famiglia era straricca, era lei che comprava cose per gli altri.
    Sì sarebbe emozionata anche solo per il pensiero.
    Il suo istinto sarebbe stato quello di correre, ma fece uno sforzo e seguì il ritmo di Evelyn. Si concentrò sull'armonizzare il rumore dei loro passi.
    Anche perché ci sarebbe stato comunque da aspettare, considerato la fila per controllare i biglietti.
    All'inizio studiò bene bene il proprio biglietto, mentre si dondolava sul posto con cadenza ritmica, facendo notare a Evelyn che era proprio bello, lo amava.
    Poi, invadente come solo lei poteva essere, aveva preso a studiare gli altri che aspettavano in linea.
    «Sai, sono un sacco felice di poter essere qui con te.»
    Cominciò, comunque a bassa voce per non dar fastidio agli altri.
    «Qui c'è un sacco di gente, ma nessuno sembra essere qui da solo.»
    Rise, questa volta un po' troppo forte e abbastanza da guadagnarsi qualche sguardo di troppo.
    «Ops.»
    Disse, un po' in ritardo.
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    L'abitudine era veramente troppo dura a morire: non c'era mai stata occasione in cui Evelyn si fosse fatta offrire qualcosa, dai biglietti d'ingresso ad una cena. Vivere con la consapevolezza di potersi permettere anche il più stupido ed inutile degli sfizi era, ovviamente, una sicurezza che le consentiva, quelle volte in cui era più tranquilla, di stare serena almeno sotto il punto di vista economico, il che era l'unica cosa che, al giorno d'oggi, non la faceva preoccupare inutilmente, causandole una serie infinita e quasi indistruttibile di pensieri negativi, paranoie e tanto altro.
    I soldi, fortunatamente, non erano mai stati motivo di ansie varie, e sperava che sarebbe stato così per sempre.
    Per questo fu naturale per lei chiedere a Kasumi di attenderla lì dov'era. Evelyn non era assolutamente il tipo di persona che si lasciava sfuggire l'occasione di offrire, anche perché era uno degli unici modi che conosceva per dimostrare la sua gratitudine o, in casi più specifici, il suo affetto. Si poteva benissimo dire che la lingua dell'amore di Evelyn fosse proprio il donare. Fare regali era, per lei, la più grande forma d'amore che potesse esercitare. Con le parole non era bravissima, e spesso s'incespicava nei suoi stessi pensieri, incapace di formulare discorsi che potessero avere senso e non risultare, come dire... cringe.
    Forse era così anche perché aveva vissuto da sempre circondata da persone fortemente materialiste, e questo aveva influenzato in maniera decisamente drastica il suo modo di vedere le cose. E poi, per quanto anche solo passare il tempo con le persone che amava fosse per lei motivo di gran gioia, niente poteva battere i viaggi nei ricordi che cominciavano ogni volta che si buttava lo sguardo su un oggetto in particolare. Erano solo oggetti, ma quando erano associati a particolari eventi, avevano un valore del tutto diverso.
    Come quel pezzo di carta che stringeva tra le dita della mano sinistra, mentre attendeva il loro turno al controllo biglietti. Era banalmente un pezzo di carta con una grafica carina, completamente fine a se stesso: non l'avrebbe potuto riutilizzare, né avrebbe potuto usarlo per appuntarsi qualcosa, eppure dopo quella giornata sarebbe stato associato al tempo speso all'interno di quel particolare museo in compagnia della stravagante ed allegra Kasumi. Da pezzo di carta, quel biglietto avrebbe assunto un valore decisamente più grande.
    «Figurati, l'ho fatto con piacere.»
    Un po' perché si sentiva come, in quanto più grande, offrire qualcosa ad una persona più piccola le assicurasse la cura e la tutela dell'altra persona. Evelyn aveva uno strano modo di approcciarsi agli altri, e quando si trattava di ragazze più giovani di lei non poteva far altro che entrare in modalità sorella maggiore, come quella che non aveva potuto essere per Roselyn dal momento in cui era stata spedita come un pacco postale da una parte all'altra del mondo dai suoi stessi genitori.
    Il pensiero infelice, formulatosi quasi autonomamente, venne scacciato alla velocità della luce da Evelyn, che avanzò di un paio di piccoli passi con lo scorrere della fila. Doveva godersi la giornata, o non se lo sarebbe perdonato. Quella ragazza non si meritava il suo muso lungo.
    "Oggi solo pensieri positivi, solo pensieri positivi."
    Era un mantra che periodicamente spuntava fuori. Non aveva grande efficacia, ma in un modo o in un altro riusciva a placare l'invalidante influenza della propria ansia. Più o meno.
    Quindi rivolse un sorriso a Kasumi: le parole della ragazza le scaldarono il cuore.
    Soffocò lo sbuffo di una risata intenerita. Kasumi era molto espansiva, al contrario suo, ma non poteva far altro che trovarla adorabile.
    «È un piacere, per me» aveva commentato qualche secondo più tardi, muovendo ancora qualche passo. Mancava poco perché anche loro mostrassero il biglietto e potessero entrare. «E spero davvero che possiamo divertirci quanto più possibile, al di là del fascino del posto.»
    La curiosità per il teamLab Borderless era ovvia e lecita, ma più di ogni altra cosa si augurava che potessero passare una bella giornata. Cosa che non dubitava: anche solo la risata che Kasumi si lasciò sfuggire poco più tardi, che aveva attirato sguardi indiscreti, era qualcosa che avrebbe arricchito la loro esperienza.
    Evelyn, ancora una volta, soffocò in gola la propria risata, per evitare di mettere in imbarazzo Kasumi. Piuttosto, le carezzò debolmente una spalla, come per dirle tacitamente che non aveva di che preoccuparsi, il tutto accompagnato dal solito, inevitabile ed onnipresente sorriso cortese.
    Non fu in grado di dirle nulla perché, un attimo più tardi, fu proprio il loro turno. Evelyn avrebbe mostrato il suo biglietto soltanto dopo che Kasumi avrebbe fatto lo stesso e, una volta controllato, sarebbe entrata all'interno del museo al seguito della sua compagna per quell'avventura.
    Qualche istante più tardi, aveva già cominciato a guardarsi attorno, elettrizzata dall'idea di quel che le avrebbe attese di lì a poco. Era un posto unico al mondo, affascinante e misterioso, quindi fu inevitabile per lei avvertire quello strano formicolio alla bocca dello stomaco, dettato dall'emozione del momento. Le si leggeva in faccia quanto emozionata fosse.
    «Siamo appena entrate e sto già morendo dall'emozione» mormorò poco più tardi, lasciandosi sfuggire una flebile, quasi impercettibile risata. Era raro che esternasse così apertamente come si sentisse, ma sentiva che a parlare apertamente di come si stava sentendo avrebbe potuto aiutarla a condividere con Kasumi quell'esperienza magica, surreale.
    Non c'era un percorso da seguire: sembrava come se l'ideatore desse libero arbitrio a chi decideva di immergersi nell'esperienza sensoriale che quel museo aveva da offrire, come se lo spettatore fosse parte stessa dello spettacolo che avrebbe avuto modo di vivere. Il che era effettivamente una scelta intelligente: ogni singolo individuo, nel suo piccolo, avrebbe potuto vivere un'esperienza completamente diversa dagli altri, unica e personale.
    «Da dove vorresti partire?»

    «Parlato.»
    "Pensato."
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    Quello che stava facendo non era proprio il massimo dell'educazione, tutto l'esatto opposto della signorina educata e perbene avrebbe dovuto essere, ma il pensiero non le aveva nemmeno attraversato la testolina.
    E la curiosità per chi c'era in fila con loro era troppa, mentre cercava di capire cosa potesse esserci in comune tra gli altri e lei ed Evelyn. A parte essere nello stesso posto allo stesso momento, il che era di per sé incredibile.
    Chissà se qualcun altro, in quella fila o quella precedente o persino quella futura! era lì per colpa di un love bot. Sarebbe stato divertente.
    Si era addirittura messa in punta di piedi per poter vedere meglio, un azzardo in parte per il suo equilibrio e in maggior parte per la sua schiena. O, per essere precisi, le piccole sbarre di metallo che le avevano messo tra le vertebre durante l'operazione per raddrizzarle la schiena.
    Essere per il 2% cyborg aveva di certo i suoi limiti e prezzi, ma ormai Kasumi era brava a conoscerli.
    Il movimento le risultava in parte bloccato, ma non si sarebbe fatta male per così poco.
    E poi ormai riusciva a capire quali erano i giorni no, era una specie di brutto presentimento che persisteva non importava cosa faceva per scacciarlo. Quello era un giorno sì, a meno di non fare salti mortali degni di una ginnasta non aveva problemi.
    Un ragazzo in fila alzò lo sguardo fino al suo. Kasumi non ebbe un solo attimo di esitazione, trattando quel breve attimo come una gara di sguardi e vincendo, visto l'altro lo distolse molto prima. Probabilmente bollandola pure come gaijin, ma non è che le importasse tanto.
    Di solito di quello che pensavano gli altri, in generale, non le importava niente.
    Anche quando era scoppiata a ridere, attirando più attenzioni del voluto, la sua preoccupazione non era certo andata per se stessa. Era rivolta a Evelyn, che poverina non sembrava vivesse esattamente per stare sotto i riflettori. Avrebbe potuto, bellissima e gentile com'era, ma non sembrava piacerle ecco.
    E mettere a disagio gli amici era una cosa brutta.
    Per fortuna il sorriso che l'altra le rivolse, con una carezza leggera sulla spalla che aveva messo subito Kasumi di buonumore, le aveva confermato non era stato un problema.
    Meno male.
    «E spero davvero che possiamo divertirci quanto più possibile, al di là del fascino del posto.»
    Stava per dirle, raggiante, che lo sperava anche lei. Quella era un'avventura da cui tornare assolutamente vittoriose, senza dubbio!
    Però toccò a loro mostrare i biglietti, quindi l'amicizia doveva un attimo aspettare oh no.
    Non che fu chissà quale azione secolare. Per implicito accordo, fu Kasumi a mostrare per prima il biglietto, poi si limitò ad aspettare quei dieci secondi che controllassero il biglietto di Evelyn ed era fatta.
    Il mondo poteva aprirsi dinanzi a loro!
    O il museo.
    Dove mancò davvero poco Kasumi si mettesse a saltare per l'emozione, perché già solo all'inizio del loro magico viaggio tutto era bello, tutto voleva la sua attenzione ora e subito e niente andava perso.
    «Siamo appena entrate e sto già morendo dall'emozione»
    «Questo posto è fighissimo!»
    Ah, sì. I due generi.
    Sì, aveva l'impressione quel museo sarebbe stato a dir poco labirintico, ma non le sarebbe dispiaciuto affatto perdersi. Avrebbe solo reso il tutto ancora più divertente, c'era così tanto da scoprire! Così tanto da fare!
    E le possibilità erano... beh, non esattamente infinite, ok, ma ci si avvicinava molto a quel numero. Qualsiasi numero fosse infinito.
    Ok, stava un po' perdendo il punto del discorso. Era solo molto emozionata e molto impaziente di gettarsi a braccia aperte verso l'ignoto, pronta a qualsiasi cosa avrebbe trovato lungo il suo cammino.
    «Da dove vorresti partire?»
    Le chiese quell'angelo sceso dal cielo di Evelyn. Se possibile, Kasumi davanti alla possibilità di scegliere era diventata ancora più raggiante.
    Adesso le possibilità infinite erano a portata di poche parole! Ma c'era un problema.
    «Vediamo... vediamo... no, non posso dire tutto.»
    Ridacchiò un attimo, mentre si dondolava sui talloni e lo sguardo ambrato continuava ad andare un po' ovunque, inarrestabile. C'era così tanto continuava a volere la sua attenzione.
    Così tanta ispirazione che avrebbe solo aspettato di essere messa su carta, resa il capolavoro musicale che era destinata a essere.
    Avrebbe avuto la tentazione di canticchiare, ma lì c'erano delle scelte importanti da prendere.
    Però sì, era quello il problema, di base avrebbe voluto cominciare da tutto.
    Anche se non è che si fosse esattamente messa a imparare quali stanze ci fossero nel teamLab Borderless: sarebbe stato figo, certo, ma aveva pensato che lo sarebbe stato molto di più scoprirle una volta lì. Scoprire le cose di persona era più elettrizzante che sentirselo raccontare.
    Di base sapeva solo che c'era una stanza dove potevi disegnare i pesci, e lei voleva trovarla e provare a disegnare una sirena, ma non sapeva dov'era.
    Si fece guidare dal caso.
    «Ok, quella direzione m'ispira!» la indicò pure. «Seguimi, ti guiderò ovunque!»
    Ma in che senso.
    Il futuro avrebbe rivelato che, se avessero davvero seguito l'istinto di Kasumi, le avrebbe portate a una delle sale più grandi del museo. Wow.
    Dove i fiori sbocciavano virtualmente un po' ovunque, potevi ammirare le farfalle e se stavi fermo un po' troppo a lungo in un'area vuota i fiori sbocciavano pure sotto i tuoi piedi.
    Che, a pensarci, a parte chiamarti Evelyn forse era l'unico modo per far star Kasumi un po' ferma.
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    Mettere effettivamente piede dentro il museo aveva scaturito un effetto strano in Evelyn, che istintivamente si era portata una mano all'altezza dello stomaco per paura che, forse, avrebbe potuto fare qualche suono strano da un momento all'altro. L'emozione di trovarsi in un luogo simile la stava gasando, e soltanto perché era abituata a rimanere ferma e posata in qualsiasi situazione, stava riuscendo a darsi un contegno.
    Se Evelyn fosse stata una persona meno meccanica e più spontanea, probabilmente starebbe guardando attorno irrequieta ed emozionata proprio come stava facendo in quel momento Kasumi, il naso puntato in qualsiasi direzione e gli occhi a dardeggiare i dintorni come se potessero scannerizzare i muri e realizzare cosa avevano in serbo per loro le porte, dove avrebbero condotto quei corridoi.
    Lasciare la scelta in mano a Kasumi era un modo per trattenersi dal prendere la palla al balzo e girare come una trottola, che era a tutti gli effetti quello che probabilmente avrebbe fatto Evelyn, colta dall'indecisione.
    «No, in effetti "tutto" non è proprio la migliore delle risposte» ridacchiò la più grande, coprendosi la bocca con la mano destra, allontanandola dallo stomaco ― perché, sorpresa, coprire la mano con lo stomaco non l'avrebbe aiutata ad attutire qualunque suono imbarazzante credeva che potesse uscire da un momento all'altro. «Però credo che un bel giro ce lo possiamo fare, con calma, tanto non abbiamo un coprifuoco― o sì? Chiusura del museo a parte.»
    Evelyn era più o meno libera di uscire e rientrare a casa come le pareva, grande e vaccinata com'era. Non sapeva se, per Kasumi, la cosa fosse uguale. Chiederlo avrebbe messo in chiaro anche quante cose avrebbero potuto guardare, quanto si sarebbero potute trattenere al museo ed organizzare meglio quella visita. Insomma, il lato più pignolo ed organizzativo di Evelyn stava uscendo fuori ed aveva bisogno di sapere come organizzare bene quella giornata. Ovviamente.
    Kasumi, dopo essersi guardata in giro per un po', alla fine decretò qual era, secondo lei, la direzione che avrebbero dovuto seguire. L'annuncio e il successivo indicare quella parte che aveva detto la ispirava procurarono ad Evelyn l'ennesima scusa per ridere un po': Kasumi era davvero un uragano, ma era proprio perché era così solare ed espansiva, apparentemente noncurante del giudizio altrui, che Evelyn si sentiva bene in sua compagnia. Fu inevitabile pensare che, a modo suo, Kasumi era un esempio da seguire. Per una come lei che aveva l'ossessione per l'apparenza e per soddisfare i requisiti e le aspettative degli altri, lasciarsi andare un po' e fare qualunque cosa in maniera così spensierata era, realisticamente parlando, un sogno.
    Ma un sogno non era solo ed esclusivamente un'utopia, forse un modo per realizzarlo lo aveva ― ovvero rimboccarsi le maniche.
    «Mi sembra un'ottima idea, andiamo!»
    Non aveva idea di quel che le avrebbe accolte poco dopo aver percorso quel breve corridoio.
    Sbucarono in quell'immensa stanza fatta di ― forse? ― schermi, sui quali sbocciavano fiori in continuazione. Ritmi diversi, colori diversi, dimensioni diverse: era tutto così diverso da risultare fantastico, ipnotico e piacevole al tempo stesso. Il passo di Evelyn rallentò e prima che se ne potesse accorgere, era ferma sul posto ad ammirare la stanza, il naso puntato verso l'alto, nel vano tentativo di guardare ovunque potesse: gli occhi non erano abbastanza né abbastanza rapidi per catturare qualsiasi fiore stesse sbocciando, ma era uno spettacolo incredibile, uno di quelli che prima o poi avresti dovuto vedere con i tuoi stessi occhi.
    Non era naturale, ma era arte. E l'arte l'aveva sempre affascinata.
    «Wow...» lasciò andare in un sussurro, completamente senza parole. «È magnifico.»
    Non si era nemmeno accorta che, rimasta ferma sul posto per così tanto tempo, intenta a guardarsi attorno, un fiore era sbocciato anche sotto i suoi piedi: una rosa di un pallido giallo canarino.

    «Parlato.»
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    «Però credo che un bel giro ce lo possiamo fare, con calma, tanto non abbiamo un coprifuoco― o sì? Chiusura del museo a parte.»
    La domanda di Evelyn fu quasi una novità per lei, che la riportò dal pianeta Kasumi -dove si era rifugiata- alla realtà quasi a tempo record. Non che la cosa le dispiacesse, era solo che di solito non pensava a problemi del genere.
    Quelli, in genere, Kasumi li vedeva come dettagli. E ai dettagli ci aveva sempre pensato qualcun altro, non lei, che invece doveva solo pensare a suonare e a essere un genio.
    Perciò quello fu uno dei rari momenti in cui la ragazzina si fermò per riflettere, come se le avessero appena posto chissà quale complicato problema di algebra.
    E subito dopo fece spallucce.
    «A mio padre non importa, finché sono in tempo per l'ultima metro mi va bene tutto.»
    E anche se non avesse fatto in tempo, era il tipo che avrebbe potuto provare a camminare o a farsi mendicare un passaggio. Qualcosa si sarebbe inventata, insomma, perché tanto un modo per risolvere le cose lo si trovava sempre.
    E se c'era una soluzione, allora non valeva la pena preoccuparsene. Se non c'era, invece, preoccuparsi non aveva comunque senso.
    (Al padre, tra l'altro, importava. Ma sapeva anche che Kasumi era cresciuta sotto la dittatura di una madre maniaca del controllo, che reputava farsi degli amici e uscire una spregevole perdita di tempo e spreco del suo genio.
    Non aveva idea di quante libertà avesse bisogno un'adolescente che, in effetti, di libertà ne aveva vista ben poca.)
    Così, Kasumi aveva pensato di aver risolto la questione. In quel modo, si era potuta concentrare sul gran onore di poter scegliere da dove cominciare la visita di quel museo.
    E come aveva scelto bene! Era stata una scelta degna di un genio come lei, non c'era niente da ridire.
    Mentre il passo di Evelyn rallentò, quello di Kasumi accelerò fino a diventare simile a una breve corsetta. Era impaziente, quasi affamata di nuove esperienze, e si era gettata in mezzo a tutti quei colori come se non avesse aspettato altro.
    Conosceva meno della metà dei fiori lì presenti, ma non importava. Li amava tutti.
    Aveva fatto attenzione a non allontanarsi troppo da Evelyn, perché erano pur sempre insieme lì e non la voleva lasciare sola, perciò riuscì comunque a sentire il sussurro dell'altra.
    È magnifico.
    E a Kasumi venne da sorridere, sentendola.
    «Qui ci potresti comporre il prossimo capolavoro!» commentò allegra, seguendo con lo sguardo -per il momento, non era detto che dopo non le avrebbe direttamente rincorse- le farfalle che volavano tra i vari fiori sugli schermi.
    I colori erano brillanti e alcuni erano proprio un pugno nell'occhio e per questo erano bellissimi.
    «Quelli sono girasoli!»
    Li indicò anche, guardando Evelyn con gli occhi ambra che brillavano di emozione.
    Era molto fiera di averli saputi riconoscere, sì.
    Kasumi, alla fine, non era riuscita a stare ferma nemmeno per due minuti. Era rimasta vicina a Evelyn, ma si era mossa, aveva fatti interi giri su se stessa, e aveva rischiato di cadere all'indietro quando aveva provare a guardare troppo verso il soffitto. Perché, boh, magari anche quella era pieno di fiori che ne sapeva?
    Bisognava controllare tutto.
    La sua mente era iperattiva come non mai, mentre stilava una lista lunghissima di cose che avrebbe voluto sperimentare, vedere, toccare e
    «Ma tu sei riuscita a evocare i fiori, c'è una rosa ai tuoi piedi.»
    Perché almeno Evelyn riusciva a stare ferma, Kasumi. Non era una cosa così orribile né impossibile.
    «Adesso è un po' come se fossi una fata dei fiori, che figo.»
    Avrebbe davvero potuto comporre qualcosa di meraviglioso da tutte quelle esperienze! Per fortuna non aveva niente con cui scrivere, altrimenti Kasumi sarebbe stata così fuori dal mondo da mettersi persino a scribacchiare note sul posto.
    «Proviamo a vedere cosa succede se tocchiamo i girasoli sulle pareti.»
    Non era esattamente una domanda, ma per fortuna -se si stava attenti- dal tono della ragazzina si sarebbe anche capito non era nemmeno proprio un ordine.
    Era solo il consiglio di qualcuno che di evocare i fiori, come lo aveva definito Kasumi stessa, a quanto pareva non ne voleva nemmeno saperne.
    La vita era troppo breve per stare fermi!
    (Come se si stesse parlando di stare fermi secoli, sì)
    (Kasumi, per favore)
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