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[INATTIVA] Hikaru "Shiori" Serizawa & Hayato Kujo | café | 05/12/2020, dalle 16:15 | soleggiato, 13°

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    Hikaru "Shiori" Serizawa
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    Hikaru non era una persona che credeva molto a cose assurde come il destino, le coincidenze e cose di questo tipo. Quando sua madre, per scherzare, le diceva che gli dei a volte si impicciavano nelle vite degli umani perché troppo annoiati, le rideva in faccia rispondendole che stava blaterando sciocchezze. Era vero, lei non ci credeva minimamente a quel genere di cose. Non voleva negare che qualcuno esistesse e che li osservasse dall'alto, ma che si mettesse di impegno per far capitare le situazioni più disparate agli umani... no, quello era fuori discussione.
    Non sapeva nemmeno per quale motivo a volte si ritrovasse a pensarci... forse perché nell'ultimo periodo di cose strane glien'erano capitate, e non riuscendo a darci una motivazione sensata, ripiegare su qualcosa alla quale nemmeno credeva sembrava divertente. Lei non era neanche la tipa che si divertiva fantasticando e facendo ragionamenti che non stavano in piedi, ma doveva trovare un modo per non annoiarsi mentre preparava quei super bibitoni al caffé che tanto piacevano alla gente che veniva a trovarli al locale. Non c'era mai troppo via-vai, era un posto comunque appartato che non tutti riuscivano a cogliere, ma per lei era un posto piacevole in cui passare il tempo, e i clienti abituali che venivano a far loro visita ed ordinavano sempre le solite cose la rendevano felice: voleva dire che quel posto sperduto a Meguro era il best place di qualcuno.
    Non sapeva nemmeno spiegare perché si ritrovava sempre a perdersi in quei pensieri inutili mentre lavorava. Forse perché non aveva altro momento per pensarci davvero, alle coincidenze, alla vita... non sapeva perché fosse così "romantica" da ritenere necessario perdersi in pensieri simili. Erano cose di cui, tempo addietro, avrebbe fatto volentieri a meno, ma negli ultimi mesi aveva cominciato a mettersi in discussione. Da quando il suo amico era stato catturato dalla CCG e lei era stata salvata da quello spericolato ragazzo, tutto quello che aveva creduto fino a quel momento sembrava essere caduto, come se le sue convinzioni potessero essere fragili quanto un castello di carta, il quale sarebbe crollato giusto con un breve soffio.
    Non si era mai messa in discussione in vita sua, aveva una mentalità molto forte e forse testarda, che le aveva permesso di credere in se stessa e nei propri sani princìpi, al punto che ritornare sui suoi passi ed ammettere errori era spesso fuori discussione. Nell'ultimo arco di tempo, però, questa cosa l'aveva messa a dura prova. Era impossibile salvare tutti, vero? Era difficile mantenere salde le proprie convinzioni? Se lei avesse agito meglio, sarebbe riuscita ad evitare che il suo amico venisse catturato e che quindi quel ragazzo riportasse quelle ferite..?
    «Hikaru-san!»
    Si sentì rimproverare, a voce non troppo forte, dalla collega che lavorava alla cassa accanto alla sua.
    Già, aveva un cliente che stava aspettando il resto per il pagamento effettuato. Non si era minimamente accorta di essersi bloccata sul lavoro.
    « O-oh, mi scusi. »
    Un po' si sentì in imbarazzo, ma cercò di rimediare dando quei ¥200 di resto al cliente davanti a lei.
    « A lei. Torni a trovarci! »
    Buffo chiedere ad un cliente, con cui si aveva fatto una brutta figura, di ripassare da quelle parti. Nel momento in cui realizzò la stupidaggine, abbassò lo sguardo, tirando due ciocche di capelli per stringere l'elastico che legava i capelli in una morbida coda bassa, che nel frattempo si era allentata. Tirò un profondo sospiro, per poi accogliere il cliente successivo ripristinando il solito piccolo sorriso di cortesia che mostrava a tutti i clienti.
    « Benvenuto! Come posso servir-- »
    Hikaru alle coincidenze non ci credeva, non ci aveva mai creduto... e forse avrebbe continuato a farlo. Ma quando si accorse che chi doveva servire era lo stesso ragazzo che era finito in ospedale a causa sua e che aveva reincontrato alla cena con delitto, quella convinzione vacillò.
    « ... la? »

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    Hayato Kujo
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    «A chi va di uscire dopo il lavoro?»
    «Stasera? Ah… no, straordinari.»
    «Ehm… anniversario con mia moglie.»
    «Con te non esco manco morto.»
    E anche oggi si era fatto odiare. Per quanto le convenzioni sociali imponessero di uscire con i colleghi dopo il lavoro, pena l’ostracizzazione sul luogo di lavoro, Hayato era sempre felice di constatare quanto stesse simpatico ai suoi commilitoni. Certo, lavorare in un posto in cui tutti ti accettano di buon grado sarebbe decisamente meglio, ma l’investigatore Kujo preferiva di gran lunga lavorare da solo. Lontano da occhi indiscreti, Hayato poteva pensare ai casi davvero importanti per lui. Quello non era altro che un piccolo prezzo da pagare per essere libero.
    Il rifiuto accorato dei suoi colleghi non avrebbe impedito al ragazzo di passare una piacevole serata fuori, prima di ritirarsi nel suo appartamentino asettico e svenire sul letto per il sonno.
    Uscì prima del solito, ritrovandosi libero in un orario strano per lui. Il sole era ancora alto ed era ancora troppo presto per bere. Ubriacarsi alle quattro del pomeriggio era cosa ben poco dignitosa, anche per uno con i capelli color lavanda. Una caffetteria era più adatta al momento, e poi un bel caffè era proprio quello che gli ci voleva.
    Aveva voglia di un luogo appartato e confortevole, lontano dal caos dei quartieri più commerciali. Si allontanò dal centro, fino ad arrivare alla circoscrizione di Meguro. Anche solo passeggiare sugli argini del fiume gli trasmise una certa tranquillità, cosa di cui aveva bisogno. Per quanto si dimostrasse sempre sorridente e con la battuta pronta, Hayato aveva sempre molto a cui pensare: il benessere della sua famiglia, un lavoro che tanto amava quanto detestava, colleghi che lui stesso aveva reso suoi nemici, non beccare un ragazzo interessante neanche a pagarlo. Insomma, anche un tipo come lui aveva bisogno di un momento per sé stesso.
    Nel suo girovagare, si imbattè in un piccolo cafè in stile coreano, che per certi versi ricordava un suo concorrente decisamente più famoso. Decise di entrare, e quando il campanello della porta tintinnò per annunciare l’ingresso dell’investigatore, qualcuno di familiare lo accolse. Il sorriso di Hayato si fece più largo.
    «Hikaru-san! Certo che Tokyo è proprio piccola, eh»
    Avrebbe riconosciuto quei capelli azzurri e quello sguardo serio. Era incredibile come loro due continuassero a incontrarsi così, per puro caso.
    Il ragazzo si sedette al bancone, pronto a importunare la barista. Il grembiulino non mentiva, lei lavorava lì.
    «Allora… un caffè macchiato al caramello, grazie.»
    Si prospettava un pomeriggio molto più interessante del previsto. Alla faccia dei suoi colleghi.

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    Hikaru "Shiori" Serizawa
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    La vita probabilmente le stava giocando degli scherzi così brutti che soltanto in un film avrebbe potuto credere fossero plausibili. Dal canto suo, però, ormai si faceva strada in lei il pensiero che quello non potesse essere altro che il karma che girava, ovviamente, in suo sfavore. Non capitava così facilmente che in una megapoli come la mai spenta Tokyo si reincontrasse in circostanza assolutamente tranquille, la persona che aveva, a conti fatti, mandato all'ospedale. Perché sia mai che non avesse smesso di sentirsi colpevole per quel che era accaduto, dopotutto era colpa sua che non aveva saputo affrontare la situazione in maniera lucida già tempo prima.
    Fatto stava che in quel momento si sentiva come la protagonista sfigata di un film, costretta a servire sul posto di lavoro una delle persone che avrebbe preferito dimenticare per i motivi più tranquilli del mondo. Hayato, dopotutto, non sembrava una persona malvagia, era solo troppo timorosa di affrontare colui che aveva ferito senza neanche volerlo. Probabilmente avrebbe avuto molta più paura di ritrovarsi davanti il suo amico ormai incarcerato a Cochlea, piuttosto che l'eccentrico signor Kujo, ma i timori rimanevano comunque.
    « Va bene, sarò da lei tra poco. »
    E dopo quelle parole, gli rivolse le spalle, mettendosi a lavorare alla sua ordinazione. Lontana dal bancone quanto bastava per avere un minimo di privacy, la sua collega le si avvicinò, quatta quatta, osservandola per qualche secondo trafficare con la macchina per il caffé, inserendo i chicchi da macinare nell'apposito contenitore, che ormai erano quasi giunti al termine. Approfittando del rumore della macchina, la collega le pose una domanda che sapeva di «sento l'impellente bisogno di stuzzicarti, quindi stammi a sentire.»
    « Non credevo conoscessi qualcuno nella CCG. »
    Lì per lì, Hikaru ignorò completamente le parole della collega, cercando di concentrarsi sul lavoro per far uscire quel caffé macchiato al caramello coi fiocchi, ma realizzando le sue parole, per un attimo, ogni movimento s'arrestò.
    CCG? Di che parlava? Riprese a muoversi poco dopo, cercando di rimanere il più impassibile possibile, cosa che le riusciva sempre abbastanza bene. Il volto imperscrutabile, però, non era abbastanza per fermare la curiosità della collega.
    « Ah-ah signorinella, non mi freghi: lo conosci, ma non abbastanza da sapere che lavoro faccia? »
    Hikaru ringraziò il cielo che stesse parlando a voce bassa abbastanza perché venisse, in qualche modo, coperta dal rumore delle macchine. La ignorò nuovamente, trattenendosi dal risponderle di starsene zitta, dopotutto non sarebbe riuscita a mancare di rispetto il suo supervisore.
    Si riavvicinò al bancone una volta che l'ordinazione fu pronta, poggiandola sul marmo freddo, rivolgendo un sorriso di circostanza al particolare cliente che aveva di fronte.
    « A lei. »
    Non riusciva a superare quella sottile barriera che le impediva di passare dalla naturale cordialità a cui era abituata a causa del lavoro, e la curiosità di bombardare Hayato di domande. Lo squadrò qualche istante, constatando che, in fin dei conti, quanto detto dalla collega era vero: quella divisa era proprio della CCG. Le prime due volte che l'aveva visto era in borghese, non poteva immaginare svolgesse un lavoro simile, ma ora che ci faceva caso, si spiegava per quale motivo fosse stato così pronto e risoluto da lanciarsi in una missione suicida la prima volta che si incontrarono.
    « Non sapevo lavorasse per la CCG, ora si spiegano molte cose. »
    Stava cercando di mantenere i toni tranquilli e cordiali, ma dentro di lei si sentiva scoppiare il cuore per le motivazioni più sbagliate. Quello che aveva di fronte non era più un bravo ragazzo, era qualcuno da temere, qualcuno che avrebbe potenzialmente potuto rovinarle la vita se solo sapesse qualcosa di più sul suo conto-- oltre ad essere schierato dalla parte dei suoi acerrimi nemici. Mantenere il sangue freddo era difficile, quando si aveva solo voglia di alzare i tacchi, non rivolgergli parola e pregare qualsiasi divinità esistente in quel piccolo mondo di non farglielo mai più incontrare.
    « Spero il caffé sia di suo gradimento, comunque. »
    In realtà sperava scottasse abbastanza da ustionargli la lingua al primo tentato sorso, ma non poteva di certo dirglielo.
    Incredibile, Hayato aveva fatto un upgrade, in negativo: era passato da pazzo sconsiderato a nemico per la vita. Se avesse potuto avrebbe voluto disegnargli una croce in faccia.
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    Hayato Kujo
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    Se la mente di Hikaru era affollata da sensi di colpa e domande cariche di odio per l’agente, nella mente di Hayato c’era solo una scimmietta che batteva i piatti.
    Era felice di vedere un volto conosciuto durante quel momento di relax, era felice del suo caffè al caramello ed era felice del bel posticino in cui si era rifugiato. Lo stile coreano non era proprio nelle sue corde, forse per colpa di Chiharu: la ragazzina era appassionata del mondo idol, e ovviamente le pareti della sua camera erano tappezzate di poster con boni provenienti dagli angoli più remoti dell’Oriente tutto. Per quanto Hayato riconoscesse la bellezza di tali individui, non era particolarmente affascinato dalla musica né dalla cultura coreana. Quel locale però era davvero carino, ci avrebbe portato Chiharu senza alcun dubbio e ne avrebbe approfittato per farle conoscere Hikaru.
    Sedutosi al bancone, Hayato tamburellava con le dita sul marmo in attesa del suo caffè e ogni tanto si sporgeva per fare un salutino alle dipendenti alle prese con le ordinazioni. Chissà quanti clienti imbronciati e stanchi erano costrette a servire, almeno uno che fosse sorridente e cordiale ci doveva essere per sollevare loro l’umore.
    Dopo essere sparita, la ragazza dai capelli acquamarina tornò con in mano l’ordinazione del ragazzo.
    «Grazie mille.»
    Hayato le sorrise e prese il bicchiere, rigirandoselo tra le mani. L’aroma dolce e aromatico si sprigionò in pochi secondi e Hayato avvertì subito l’acquolina in bocca. Prima di prendere un sorso però doveva aspettare che si raffreddasse un po’, e quale modo migliore di ingannare il tempo se non parlare con la bella barista?
    «Oh per favore, niente formalità, mi fai sentire vecchio.»
    Nella loro cultura la formalità era essenziale, ma Hayato si impegnava tanto per sembrare sempre giovane. Quelle maledette creme idratanti costavano un occhio, dovevano pur servire a qualcosa.
    «Ahaha, beh sì, adesso sai che sono stato meno sconsiderato di quel credevi. E non preoccuparti, mi sono rimesso alla grande. Lo hai visto anche alla cena con delitto. A proposito, com’è andata?»
    Era tremendamente dispiaciuto di aver abbandonato la cena così, su due piedi. Quella serata sembrava promettere bene, maledetta reperibilità! L’anno prossimo non avrebbe dato disponibilità per la sera di Halloween.

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    Hikaru "Shiori" Serizawa
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    Neanche nei suoi peggiori incubi si era immaginata di sentirsi in colpa per il "nemico". E doversi trattenere dall'esprimere il suo disappunto attraverso le tipiche occhiatacce gelide stile Hikaru Serizawa™ era parecchio difficile. Sperava vivamente che il falso sorriso cordiale che aveva messo su, rovinato da quella che pareva quasi una paralisi facciale, potesse bastare come modo per celare il suo attuale stato d'animo.
    Il suo era un odio viscerale di cui ancora non riusciva a sbarazzarsi. Aveva provato in tanti modi a convivere civilmente con l'esistenza della CCG, però era difficile quando il tuo unico pensiero fisso era quello di non essersi goduta un padre, proprio quando finalmente ne aveva trovato uno. Era difficile, non sapeva proprio controllare quel genere di emozione.
    Eppure stava cercando di non lasciar trasparire nulla, come se fosse un'agente sotto copertura che doveva stanare qualcuno, o scoprire i malvagi piano del proprio avversario. Nella sua testa si era creato un infinito castello, dove ogni nuovo mattone veniva visualizzato come una conseguenza o una causa di ciò che stava pensando. I suoi non erano più dei film mentali, erano veri e propri progetti pronti per interfacciarsi con un'entità nemica.
    Arraffò una porzione di macarons dalla vetrina, che consegnò ad un cliente posteggiatosi poco distante da dove sedeva Hayato, per poi tornare da lui, tirando un sospiro.
    « Se proprio insisti... » mugugnò, stringendo la propria coda per qualche istante, per poi tenere le braccia conserte al petto, spostando il peso del proprio corpo sulla gamba sinistra. Puntò lo sguardò sul caffé, scivolato sulla tazzina perché non riusciva a guardare in faccia l'altro. La situazione aveva preso una strana piega: nella sua testa, il suo film era diventato una gita al poligono di tiro, dove i pensieri indiscreti di Hikaru bersagliavano la sua sanità mentale. Si sentiva in colpa, all'improvviso: Hayato pareva cordiale e disponibile, e se si fosse permessa di dire anche solo una cosa storta non se lo sarebbe perdonata. Perché in fin dei conti era simpatico. Un po' strano, ma simpatico, e le aveva salvato la vita, mettendo a repentaglio la propria. Perché mai doveva pensare male di una persona solo perché apparteneva a quel genere di persone che disprezzava? Doveva riconoscere che non tutti avrebbero fatto quello che aveva, invece, fatto lui.
    « E' andata bene » rispose su due piedi, decidendo quindi che fare resistenza sarebbe servito a ben poco. L'unica che si stava facendo problemi, d'altro canto, era lei, e solo perché Hayato aveva cucita addosso un'uniforme della CCG. Faceva pena, era miserabile. « Avevamo un sospettato in meno, e per fortuna l'assassino non eri tu, altrimenti il gioco si sarebbe rovinato. »
    Già, era stata davvero una fortuna. Se Hayato fosse stato colui che aveva posto fine alla vita di Sir Duca McConaughey, gli organizzatori avrebbero dovuto riorganizzare il gioco e la serata si sarebbe indubbiamente rovinata. Fortuna voleva che non si trattasse di lui.
    ... anche se così sembrava quasi che stesse trovando un modo per dargli la colpa di qualcosa-- perché non era capace di pensare (e soprattutto parlare) come una persona normale?
    « Ma potrai rifarti: so che riorganizzeranno una serata del genere il prossimo Halloween, magari è la volta buona che riesci a partecipare. Ma non darti per disponibile al lavoro quel giorno. »
    ... e adesso sembrava che gli stesse proponendo di andarci di nuovo. Perché era così negata con le parole?
    Approfittò di un nuovo cliente in arrivo per allontanarsi e prendersi mentalmente una pausa da quella situazione assurda. Chissà cosa poteva pensare di lei, adesso, sicuramente che aveva di fronte a sé un disagio con le gambe. Ma doveva mantenere una facciata, perciò, anche se sospirando nuovamente, cercò di non pensarci. Servì il cliente, per poi tornare a tenere compagnia ad Hayato. Per quanto il suo incredibile modo di parlare potesse tenere compagnia. Buttò un'occhio all'orologio: meno male che il suo turno stava per finire, voleva tornare a casa...

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    Hayato Kujo
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    Il caffè bagnò nuovamente le labbra rosee, lasciando che la sua dolcezza ammorbidisse il ragazzo.
    Hayato non era di per sé facile allo stress, il suo modo rilassato di affrontare le cose lo aveva sempre aiutato, ma lavorare di nascosto ai casi per lui importanti e inimicarsi i colleghi per essere lasciato ai propri affari non era facile. Vivere otto ore al giorno senza un sorriso amico intorno era una vitaccia per uno solare e socievole come lui, ma si era ripromesso di non piegarsi al sistema della CCG, non dopo aver scoperto quale fosse la sorte dei ghoul. Quando non era in servizio, il ragazzo aveva solo voglia di spassarsela e non pensare a nulla, e spesso la sua deformazione professionale insisteva nei momenti meno opportuni, proprio come quello. Hayato guardava Shiori e vedeva in lei tanti segni riconducibili al fastidio: sorriso fin troppo tirato, contatto visivo evasivo. Avrebbe incluso il tono di voce, ma per lei era normale parlare così. L’investigatore però tendeva a ignorare questi segnali durante il suo tempo libero, credendo fossero scherzi della sua mente. E poi non era carino sfruttare il linguaggio non verbale per capire qualcuno, a meno che non si trattasse di un bel biondo al secondo margarita.
    Hikaru gli raccontò un po’ della serata, ponendo l’accento più sull’abbandono del tavolo da parte di Hayato che non sul risultato del gioco.
    «Per fortuna davvero! Non sarei mai riuscito a interpretare un assassino, mi avreste scoperto immediatamente!»
    Studiare giornalmente il profilo di assassini dai vezzi più disparati in realtà avrebbe giocato a suo vantaggio, ma il ruolo della giovane moglie del ricco burbero gli si addiceva decisamente di più.
    Il suo sorriso, nascosto dietro la tazza in plastica bianca, si fece tagliente. Un filo di colore gli imporporò le guance e una certa soddisfazione gli fece brillare gli occhi chiari. Si sporse più in avanti sul bancone, lasciando ondeggiare tra le dita il bicchiere, e guardò Hikaru con fare ironicamente lascivo.
    «Per caso è un invito?»
    Disse, prima che Shiori si allontanasse nuovamente da lui. Ovviamente Hayato si prese un attimo per osservarla andare via, sorseggiando il suo caffè. E quanto la ragazza tornò, l’investigatore rincarò la dose «Perché accetterei volentieri, ma Halloween mi sembra un po’ lontano. Possiamo anticipare tipo...»
    Rivolse uno sguardo all’orologio con fare plateale, come se avesse voluto rendere ben visibile quel gesto «Stasera?»
    Hayato era uno stupido a cui piaceva fare il farfallone, e con Hikaru era troppo facile: vederla andare nel pallone e irrigidirsi lo divertiva, e in fondo era ovvio che lui avesse un piccolo debole per la ragazza dai capelli acquamarina.

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    Hikaru "Shiori" Serizawa
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    Di reazioni plateali Hikaru non ne aveva mai avuta una. Non le piaceva fare l'esibizionista, e con gli anni aveva imparato che più pacata e tranquilla rimaneva, più sarebbe stato facile passare in secondo piano. (però girare per una megapoli come Tokyo, con tipici tratti caucasici e i capelli di quell'appariscente color acquamarina non le avrebbe assolutamente permesso di passare così tanto in secondo piano)
    Certo, quindi, era abituata a mantenersi il più pacata possibile, ma questo non faceva di lei una persona insensibile a determinate cose. Ed Hikaru, che aveva vissuto così tanti anni della sua vita a mostrare una perfetta poker face e la quasi totale incapacità di mostrarsi entusiasta del mondo che la circondava, le parole pronunciate dall'altro furono uno shock, talmente forte che dovette dargli le spalle e rivolgere lo sguardo all'enorme macchinetta industriale per il caffé che aveva da poco finito di lavorare. La sua collega le buttò un'occhiata impensierita, mentre si avvicinava al bancone per consegnare i caffé appena preparati, fermandosi a chiacchierare con i clienti.
    Diciamo che doveva aspettarselo-- in realtà no, ma poteva immaginarlo. Insomma, chi non coglierebbe la palla al balzo per buttare una battuta e tentare di allentare la tensione? (tensione che sentiva solo lei, ma erano dettagli trascurabili)
    « Vedo che non ha perso la voglia di scherzare, Hayato-san. »
    Hikaru si impose di fare utilizzo di un linguaggio più formale per cercare di mettere una distanza tra lei e il suo interlocutore. Ancora gli rivolgeva le spalle, incapace di mostrarsi in volto. Anche perché sapeva che probabilmente la sua espressione l'avrebbe ingannata. E non aveva voglia di sentirlo parlare di come fosse palesemente in imbarazzo. Bastava la sua coscienza a dirle che avrebbe dovuto darsi una regolata. Prese un bicchiere e lo riempì d'acqua del rubinetto, non prima di aver fatto scorrere per bene l'acqua per raffreddarla e pulirla dal calcare che si accumulava sempre nella bocca erogatrice. Bevve qualche sorso per poi decidersi e voltarsi di nuovo in sua direzione, mostrandogli un sorriso visibilmente tirato. Molto più dei precedenti.
    In realtà, tra quel fiume di pensieri, l'idea di sfruttare la sua proposta e cogliere la palla al balzo per sondare il terreno e capire se poteva trattarsi di una persona buona (per poi sfruttare la sua eventuale conoscenza a suo vantaggio), le era balenata in testa.
    « Devo dire che l'unico appuntamento a cui vorrei partecipare in questo momento è a casa mia, tra me e il mio futon, a bearmi del caldo » borbottò, come se porre della resistenza potesse servire realmente a qualcosa, « ma se proprio insiste possiamo andare a prenderci qualcosa, tanto stacco tra circa cinque minuti. »
    Alla fine aveva seguito quello che il suo cervello le aveva suggerito. Non che le interessasse passare del tempo con lui, ma farsi degli alleati come lui, in un mondo famelico come quello, era più prezioso di un diamante. Avrebbe potuto anche fare domande sullo stato di quel suo amico, anche se una parte di sé temeva che potesse avere informazioni in merito... ma ciò non l'aveva fermata dal dare il via al suo improvvisato piano chiamato «l'utilità dei giusti agganci». No, non poteva esistere nome meno stupido di quello.
    « La veda come un mio modo per pagare dell'enorme debito che ho nei suoi confronti. »
    Lasciar andare le formalità? Mai. Più lo teneva distante meglio si sarebbe sentita. Le formalità erano come uno scudo che la difendevano dalle situazioni spiacevoli come quella. Si sentiva soffocare di meno.
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    Hayato Kujo
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    Il punzecchiare di Hayato ebbe l’effetto sperato su Hikaru.
    Al ragazzo bastò osservare le sue spalle rigide e il modo in cui lei gli aveva nascosto il suo viso per capire che l’aveva messa in imbarazzo. Sbuffò una piccola risata nascosta dietro il tazza di caffè fumante, e ne bevve l’ennesimo sorso. Ormai, della prelibata bevanda non restava che qualche goccia sul fondo.
    Se Hayato aveva capito qualcosa di Hikaru era il suo senso del dovere -tremendamente nipponico- e il suo desiderio di imperturbabilità, entrambe cose che lui metteva a dura prova. E se Hikaru aveva capito qualcosa di lui, stavolta aveva toppato: Hayato non scherzava. Forse i suoi modi ruffiani dimostravano il contrario, ma l’investigatore era decisamente serio. Era curioso di scorgere cosa ci fosse oltre quell’espressione dura, ma avvicinarsi non era per niente facile.
    Le sopracciglia decolorate si inarcarono con sorpresa quando lei, supper riluttante, accettò. Non lo stava guardando in faccia, né era felice di farlo, ma aveva accettato. Hayato si lasciò andare a un sorriso rilassato, trattenendosi dal rincarare la dose. Aveva ottenuto un’occasione preziosa, non l’avrebbe sprecata.
    Anche le ultime gocce di caffè sparirono dal fondo della tazza. Hayato si alzò, frugò nelle tasche e lasciò una manciata di monetine sul bancone. Il tintinnio avrebbe richiamato l’attenzione della barista.
    «Grazie per il caffè… allora, ci vediamo dopo. Ti aspetto fuori.»
    E così dicendo, il ragazzo lasciò il bancone e si diresse verso la porta. Prima di uscire e tornare preda del gelo, Hayato si concesse un piccolo sfizio rivolgendosi alla ragazza, dandole le spalle come lei aveva fatto poco prima.
    «E non darmi del lei, non sono vecchio!»


    Il sole che si stagliava sempre più basso all’orizzonte non era in grado di scaldare l’aria neanche un po’.
    Hayato se ne stava in piedi poco lontano dalla caffetteria, con le mani inforcate nelle tasche della giacca. Non era rimasto là davanti per pura cortesia, dalle grandi vetrati Hikaru lo avrebbe visto e questo avrebbe potuto metterle ansia. Hayato non voleva che la ragazza si sentisse male, e poi non voleva perdersi quei momenti di dolce imbarazzo.


    «Parlato.»
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    Hikaru "Shiori" Serizawa
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    Perfetto. Drammaticamente perfetto. Nella mente di Hikaru regnava un unico pensiero: "Non poteva andare peggio di così."
    Tecnicamente era uno sforzo che avrebbe fatto volentieri per salvarsi la pelle e capire fin quanto in fondo potesse sfruttare la sua conoscenza, ora che aveva scoperto si trattava di un agente della CCG, l'altra parte di sé, però, voleva darsela a gambe. E si parlava di un buon novantacinque percento.
    Quando l'altro la rimbeccò sul non dargli del lei, avrebbe voluto sprofondare in via definitiva. Poco ci mancava si nascondesse dentro il bancone del bar, ma ci pensò l'orologio, a segnalare le 16:30, per poterla veder sgattaiolare nel retro, salutando solamente con un breve cenno della mano la collega, eclissandosi completamente dietro le porte della piccola ed angusta cucina, che superò sempre col volto basso, per nascondere il più possibile l'imbarazzo che l'aveva sopraffatta in quel momento.

    Ci volle più del previsto. Solitamente era ufficialmente pronta in cinque minuti, ma questa volta ebbe la necessità di prendersene altri dieci per effettivamente dare una rinfrescata a quelle orecchie e guance tanto in fiamme che non le permettevano di percepire neanche per sbaglio il freddo degli spogliatoi, a cui mancava il riscaldamento per via di un guasto nell'impianto che copriva quella parte del locale.
    Se gli altri giorni era stato un inferno, quel giorno doveva ringraziare se stessa per essersi, probabilmente, messa in imbarazzo da sola. Per cosa, non lo sapeva nemmeno lei. Forse erano motivazioni stupide, ma per lei, che era così poco abituata ad avere a che fare con le persone, interfacciarsi con una persona tanto sfacciata e senza peli sulla lingua era veramente terrificante.
    Non capiva dove iniziava quella linea d'ironia, figurarsi dove finisse... e le metteva davvero tanta agitazione addosso.
    Non le importava essere presa in giro, a dire il vero, erano cose che si era sempre fatta scivolare... e, di quel genere di brutte attenzioni, non ne aveva neanche sperimentate così tante. Però la metteva a disagio, e non sapeva spiegarsi perché.
    Stava di fatto che aveva ritardato un bel po', al punto che una parte di sé aveva cominciato a sperare che se ne fosse andato, o che lo trovasse completamente ibernato dall'altro lato della strada.
    Una nuvola di condensa la precedette appena fuori dalla porta sul retro, a cui soltanto il personale aveva accesso. Tirò un lungo sospiro, lasciando a penzoloni le braccia che, per il peso della vita brutta delle proprie preoccupazioni, l'avevano trascinata più avanti, incurvando la schiena. Dalla sua posizione poteva scorgere l'altro lato della strada, ma non abbastanza per assicurarsi che se ne fosse andato.
    "Ah... niente da fare, devo proprio sbrigarmi" pensò, guardando l'orario sul proprio cellulare, che illuminò esageratamente il suo viso. Sullo schermo era segnata una notifica da parte di sua madre, che le diceva di passare a comprare della carne, perché avrebbe voluto mangiare yakiniku quella sera.
    Un'altra volta sospirò, ormai sconsolata da quella vita. Digitò un semplice OK, prima di lasciar scivolare il cellulare nella tasca sinistra del proprio cappottino nero, per poi farsi coraggio e sbucare fuori dal vicoletto. Le luci della strada erano abbaglianti, così tanto che per un momento dovette sbattere le palpebre, come per abituare gli occhi a tutti quei bagliori. Una volta abituatasi alle luci, scorse il ragazzo dall'altra parte della strada, che ancora la stava attendendo. Un senso di colpa si palesò qualche istante più tardi, attaccandole la bocca dello stomaco come la peggiore delle ansie.
    Attraversò la strada, raggiungendo l'altro: il viso sprofondava, dalla punta del naso in giù, all'interno di una sciarpa in lana ricamata a mano, e parte dei capelli erano coperti da un cappellino basco nero. Non che l'aiutasse a percepire di meno il freddo invernale di Tokyo, ma andava bene lo stesso.
    « Yo » esordì, la voce ovattata dalla sciarpa che le copriva la bocca, « spero per te che tu abbia idea di dove andare, perché io sto morendo di freddo. »
    In realtà non era propriamente vero, una mezza bugia. Era un modo per sembrare il più acida possibile, magari l'avrebbe aiutata a stargli antipatica.
    Che assurdità.
    ---------------------------------------------
    « Parlato. »
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    Hayato Kujo
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    “Yo.”
    Una sola sillaba gli fece alzare gli occhi chiari sulla figura imbacuccata appena uscita dal cafè. Un sorriso nacque sulle sue labbra, ben nascosto dalla sciarpa che gli sfiorava il naso.
    Hayato fece qualche passo verso una Shiori poco propensa alla vita, riempiendosi gli occhi di quella graziosa ragazza scazzata come poche.
    Era davvero curioso di capire perché quella ragazzina si stesse tanto impegnando per essere così terribilmente acida, quando lui sapeva benissimo che era ligia e premurosa, lo aveva dimostrato in più occasioni. Cosa la turbava così tanto? Lui?
    “Impossibile.”
    L’ego di Hayato era troppo forte per poter anche solo lasciargli pensare qualcosa di simile.
    Il ragazzo si strinse nelle spalle e fece un’espressione vagamente dispiaciuta «In realtà volevo portarti in un posto che piacesse a te.»
    I loro ultimi incontri non erano andati proprio benissimo: troppo veloci e poco confortevoli. Shiori non era mai stata nelle condizioni adatte per sentirsi a suo agio, perciò il ragazzo voleva che fosse lei a scegliere dove andare.
    «Tu va’ e io ti seguirò.»
    E così dicendo si mise al suo fianco, pronto ad assecondare qualunque strano capriccio decidesse di tirare fuori quella ragazza.
    Hayato era consapevole che il suo interessamento fosse alquanto singolare (per non dire inquietante), ma dopo ciò che era successo durante il loro primo incontro voleva vederci più chiaro su di lei e sul suo rapporto con i ghoul. Oltre a volersi divertire con qualcuno di così lontano da lui, sempre sorridente e dalla battuta pronta. Le persone come Shiori erano le sue preferite, lasciarsele scappare era fuori discussione.

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    Hikaru "Shiori" Serizawa
    studentessa / barmaid
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    Non aveva idea degli interrogativi del ragazzo, né aveva voglia di starli a sentire. Conosceva i propri, di interrogativi, e questo bastava e avanzava per cercare un modo di tenersi alla larga dagli altrui, cercare di non dare troppe informazioni, rimanere cauta, ma comunque riuscire a carpire qualcosa da lui, per riuscire a scamparsela.
    Non si sentiva più sicura in compagnia di Hayato, anche se aveva dimostrato di essere una persona per bene. Ma l'aveva vista con un ghoul, e per quanto avesse finito di diventarne quasi una vittima, ciò non toglieva che poteva indagare, e scoprire cose che avrebbero messo in una situazione negativa lei e sua madre. Già avevano rischiato una volta, non voleva per nessuna ragione al mondo, finire con il fare una cosa tanto stupida. Non si sarebbe messa nei guai nuovamente, avrebbe tenuto il profilo decisamente basso.
    « Oh, okay » rispose semplicemente, tirando fuori il cellulare dalla tasca. Digitò rapidamente qualche parola su Yahoo!, per avere conferma di ricordarsi bene dove si trovasse quel posto in cui era andata qualche volta. Dopo aver dato una rapida occhiata ai risultati, e constatato fosse aperto, lasciò scivolare il cellulare nella tasca dei pantaloni, alzando il naso fuori dalla calda sciarpa, che incontrò il gelo dicembrino, arrossandolo leggermente per lo sbalzo termico.
    « Ti piacciono i cat café? »
    Domanda piuttosto singolare, a dire il vero, uscita completamente all'improvviso. Fu leggermente ovattata dalla sciarpa che le copriva la bocca, ma perfettamente udibile.
    Aveva scelto quel posto (e ce l'avrebbe portato, anche se la risposta fosse stata un no), perché così avrebbe avuto modo di rilassarsi: stare in un posto dove aveva la garanzia di trovarsi bene, era l'unica chiave per riuscire a non sentirsi eternamente a disagio. In quel momento avrebbe voluto mandare un segnale d'allarme a quelle poche conoscenze che aveva, avvisandole che per un po' non sarebbe riuscita ad incontrare nessuno perché "era stata braccata da un agente della CCG piuttosto insistente". Non sapeva quali fossero le sue intenzioni, ma nella sua testa continuava a ripetersi che non poteva fidarsi, e quella brutta sensazione di pericolo non cessava di infastidirla.
    Non voleva mettere in pericolo nessuna delle sue amicizie, perciò avrebbe preferito avvisare tutti quanto prima, ma non poteva farlo in quel momento, non proprio quando lui era lì e aveva tutte le possibilità di coglierla in flagrante.
    E avrebbe anche dovuto pensare ad un modo efficace di smetterla di sfornare pensieri come una macchinetta che non smette di lavorare un solo istante, quasi come una fotocopiatrice di un ufficio legale, ma era più forte di lei: le preoccupazioni per tutti coloro che conosceva erano fin troppo grandi per essere tenute facilmente a bada.
    « Non è lontanissimo, ma non è nemmeno dietro l'angolo... dovremmo dirigerci a Shibuya, per te è un problema? »
    Non era così distante, comunque. Poche fermate della metro e sarebbero arrivati in un batter d'occhi.
    Stava anche cercando di risultare più cordiale, anche se il tono monotono lasciava intendere tutt'altro. Era difficile andare d'accordo con qualcuno di cui si aveva paura, dopotutto.
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    Hayato Kujo
    Investigatore CCG
    25 anni

    8hwG6Bm
    In un attimo, il cellulare di Shiori divenne molto più interessante di Hayato. Beh, in realtà era evidente che qualunque cosa le interessasse più di Hayato, ma il ragazzo non si sarebbe perso d’animo per questo.
    Con le mani serrate in tasca e la coda dell’occhio puntata sulla testolina azzurra, Hayato si chiedeva cosa fosse accaduto tra lui e quella ragazza per renderla tanto distaccata. Non voleva certo che lei stravedesse per lui in quanto suo salvatore -forse-, ma l’atteggiamento di lei era mutato, passando dal rimorso e il senso di colpa alla freddezza. Era un cambio di mood innegabile, ma il perché era un mistero. Scoprirlo sarebbe stata la missione della giornata.
    “Ti piacciono i cat cafè?”
    Un sorriso sornione si fece strada sulla labbra infreddolite del ragazzo, quasi in tinta con i suoi capelli. Stupide divise della CCG, sempre troppo leggere.
    «Li adoro!»
    Forse Shiori pensava di intimidirlo o scocciarlo con quella proposta, che, vista l’insistenza, l’investigatore non avrebbe potuto rifiutare. Peccato che Hayato fosse poco etero e avesse sempre desiderato un gatto. Lo stava invitando a nozze praticamente, e non si sarebbe fatto cerco intimorire dalla distanza. Avrebbe fatto tante foto ai mici per mostrarle alle sorelle, delle quali sentiva già le urla per non averle portate con sé.
    I due si avviarono dopo che Hayato invitò Shiori a precederlo al suono di “prima le signore”.

    Con un gatto rosso e grasso sulle gambe, un caffè caldo e una bella fanciulla dagli occhi di ghiaccio davanti, Hayato si sarebbe definito un uomo soddisfatto e felice. Peccato che non fossero il suo gatto, il suo caffè e la sua ragazza.
    Non aveva preso nulla, almeno per il momento, per non perdere il gusto del cappuccino bevuto solo una ventina di minuti prima. Purtroppo per Shiori, quell’ottima bevanda sarebbe diventata un'abitudine dell'investigatore Kujo.
    La mano di Hayato affondava nel pelo morbido color ruggine mentre una musichetta rilassante aleggiava nell’aria.
    «Che bel posto, devo proprio portarci le mie sorelle!»
    Non perdeva l’entusiasmo, Hayato, anche quando la sua interlocutrice sembrava voler essere ovunque tranne chi lì. Cioè, magari voleva essere lì, ma non con lui.
    «Sai, adorano i gatti e trovano questi cafè molto rilassanti. Anche per te è così?»
    Immaginava di sì, o non avrebbe chiesto di venire specificatamente in quel luogo. Hikaru doveva star affrontando qualcosa di negativo, che in qualche modo era legato a Hayato. Il ragazzo ne era profondamente dispiaciuto, e indagare un po’ avrebbe potuto far stare meglio la ragazza. O almeno così sperava.

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    Hikaru "Shiori" Serizawa
    studentessa / barmaid
    19 anni

    XTZHrnh
    Se c'era una cosa di cui Hikaru era assolutamente certa, era quella di non aver mai potuto immaginare di vedere sé stessa in un cat cafe in compagnia di un agente della CCG. Neanche nei suoi incubi più terrificanti quell'immaginario poteva sperare di apparire, tant'era sicura di essere abbastanza cauta da potersi benissimo tenere alla larga da quei soggettoni tutto fumo e niente empatia. O almeno così credeva.
    E invece, proprio in quell'istante, era seduta su di uno di quei comodi divanetti a muro, circondata da gatti batuffolosi che giochicchiavano tra di loro, passeggiavano, mangiavano o si facevano coccolare. Uno di questi sostava proprio sulle gambe del suo assurdo accompagnatore, al quale volle dedicare un minimo di attenzioni. Decisamente meglio il grasso gatto rosso che lui, concentrarsi sul felino forse l'avrebbe aiutata a distendere i nervi. Così tirò un quieto sospiro, avvicinando la propria mano per dare qualche grattino dietro le orecchie alla bestiolina che, in tutta risposta, le serbò qualche impercettibile fusa. Quello bastò a toglierle dal volto quel muso lungo, sostituito da un sorriso appena accennato.
    « Sono sicura che apprezzeranno. »
    Non era cambiato il suo modo di comunicare il meno possibile con Hayato, ma quantomeno il tono seccato ed innervosito ora era più disteso e meno aggressivo. Sembrava davvero che quel posto potesse tranquillizzarla, ecco una delle ragioni per cui l'aveva scelto. Aveva bisogno di una certa stabilità per vivere una situazione tanto spinosa come quella, e circondarsi di animali era l'unica cosa che poteva donarle quella tranquillità, la certezza di poter affrontare anche quello.
    Certo, Hikaru non era sulla difensiva semplicemente per la divisa che l'altro indossava, indi per cui l'aver scoperto qual misterioso lavoro facesse Hayato, piuttosto si sentiva come un uccellino in gabbia: aveva paura che la sua posizione potesse essere compromessa, che potesse accaderle qualcosa, che non potesse più tenere al sicuro le persone che si fidavano di lei... e questo era quello che le faceva più rabbia.
    I suoi pensieri volarono istantaneamente al ricordo del loro primo incontro, il contesto che li aveva fatti incontrare, e subito una morsa allo stomaco chiamata rimorso prese ad infastidirla. Rimase, ciononostante, impassibile, finché Hayato non le chiese se li trovasse rilassanti a sua volta, i cat-café.
    « » rispose semplicemente, accompagnata da un lento annuire, che s'interruppe poco dopo. Evitava il contatto visivo con il ragazzo, concentrando lo sguardo sul gatto o, per qualche istante, sulla ragazza che portò loro un tablet, su cui avrebbero potuto sfogliare il menù. Vi erano diverse rivisitazioni di bevande e dolci, proposte in versione felina, così come l'opzione di dare qualche snack ai gatti con cui avevano modo di giocare un po'. « E poi mi piace circondarmi di animali, loro non possono ferirti. »
    Si rese conto di quanto quella frase potesse risultare spigolosa troppo tardi per potersela rimangiare: il fatto di non aver stabilito alcun contatto visivo con l'altro l'aiutò a non sentirsi ulteriormente in imbarazzo. Bastava soltanto l'aver realizzato quanto fosse stata edgy a giocare con la sua sanità mentale. Cielo, che situazione.
    « M-ma dimmi, c'è qualcosa che vuoi prendere? »
    Si riprese in calcio d'angolo, proponendogli qualcosa dal menù. Peccato che fece l'errore di alzare lo sguardo. Era troppo abituata ad essere cortese ed educata, il gioco del "non guardare in faccia Hayato altrimenti perdi" si era concluso. Con la sua sconfitta, ovviamente.
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    Hayato Kujo
    Investigatore CCG
    25 anni

    8hwG6Bm
    Hikaru gli dimostrò che la sua teoria aveva senso: da quando si erano accomodati, la ragazza si era fatta più morbida in viso e più gentile nella voce. Guardava i gatti, godeva del calore di quel luogo ospitale, eppure non cambiò l’atteggiamento nei suoi confronti. Aveva messo un muro tra lei e l’investigatore, e lui non riusciva a capirne il perché. Le faceva davvero così paura? E allora perché accettare un invito, neanche la mera cortesia era in grado di superare la paura.
    Eppure le sue risposte furono così eloquenti che Hayato non poté fare altro. Abbassò lo sguardo sul gatto rosso e grasso e lo accarezzò, rispondendo con un filo di voce «Capisco.»
    Hikaru era davvero a disagio e l’investigatore pensò che l’unico motivo per cui potesse sentirsi così fosse la sua presenza, che in qualche modo la turbava. Il perché non sapeva dirlo con certezza, magari riguardava ancora la faccenda del ghoul avvenuto mesi prima, doveva averla scossa parecchio.
    Il menù lo distolse dai suoi pensieri, tanto da fargli alzare lo sguardo e incrociare quello della ragazza, seppur per un breve momento. Le sorrise, cercando di metterla a suo agio «Per ora passo, magari più tardi.»
    La tensione cominciava a pizzicargli i nervi, e dato che non era un interrogatorio, avrebbe potuto immediatamente affrontare l’elefante nella stanza -che in questo caso, era un gattone di dieci chili addormentato sulle sue gambe.
    «Hikaru-san, ascoltami.»
    Cercava di mantenere il contatto visivo, per quanto fossero sfuggenti quegli occhi verdi, mentre le poneva la fatidica domanda «C’è qualcosa che non va? Ho fatto qualcosa di male? Perché se è così mi dispiace, non volevo.»
    Sperava che la sincerità lo avrebbe ripagato. Le labbra sottili si incurvarono in un lieve sorriso, mero tentativo di rincuorare la ragazza.

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    Hikaru "Shiori" Serizawa
    studentessa / barmaid
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    XTZHrnh
    Immaginava che, dopo essersi preso qualcosa poco prima, non avesse granché voglia di ordinare altro... ma glielo aveva chiesto lo stesso, sempre per un puro fattore di cortesia. Voleva essere gentile, per quanto poco le riuscisse..? In realtà era solo un modo per evitare che i sensi di colpa continuassero a coinvolgerla nei confronti di una persona a cui era grata, ma che, per una pura questione di pregiudizio, non riusciva più a vedere come affidabile e gentile.
    Il problema era suo, non di Hayato, e questo lo sapeva eccome.
    « Oh, okay. »
    Era imbarazzante non saper cosa dire. Si sentiva con le spalle al muro e la tensione le impediva di approcciarsi al contesto come avrebbe voluto. Meno male che aveva scelto di dirigersi in quel cat café, almeno era più sciolta di prima. Anche se, con i tentativi di rivolgerle sorrisi rassicuranti, Hayato le stava involontariamente mettendo ancora più pressione addosso. In quei momenti, i sensi di colpa ritornavano forti e impossibili da sopperire, bloccandola sul posto. Era come se, minuto dopo minuto, le sue estremità si congelassero senza che potesse porvi rimedio.
    Fortunatamente una cameriera la riportò alla realtà, scostandola via di prepotenza da quella situazione in cui si stava mettendo da sola.
    « Ordinate qualcosa? »
    Hikaru attese un attimo, nel tentativo di riprendersi dal cambio che la sua mente aveva appena dovuto affrontare, per poi rivolgere il sorriso più striminzito della storia.
    « Un americano, grazie. »
    La cameriera si allontanò dopo pochi istanti, lasciando Hikaru nuovamente nella sua zona di non-comfort.
    Nice.
    Doveva trovare un modo di parlare senza risultare una vecchia bisbetica che aveva vissuto un'intera vita costellata dai fallimenti. Sapeva di essere molto meglio di così.
    Ma Hayato la anticipò, cogliendola completamente impreparata.
    Aveva fatto qualcosa?
    "No."
    No, no... lui non aveva fatto niente. Era lei il problema. Era lei l'ingrata che non riusciva ad apprezzare la gentilezza di una persona perché troppo impegnata a soccombere nei suoi stessi pregiudizi. Perché lo erano, quelli... dei pregiudizi belli e buoni. L'indossare la divisa di un agente della CCG non faceva necessariamente di Hayato una cattiva persona. Hayato l'aveva aiutata, lui era stato gentile.
    Ora i sensi di colpa erano persino maggiori. Non che ci fosse di che stupirsi, l'uomo aveva perfettamente capito che c'era qualcosa che non andava ━ e non ci voleva un genio per comprenderlo ━ e questo era stato sufficiente per portarlo persino a scusarsi.
    Se avesse saputo per cosa si stava scusando, probabilmente quello sarebbe bastato per portarla alla CCG e costringerla a degli interrogatori.
    « N-no━ no, no, non hai fatto nulla, Hayato-san. »
    "Che faccia tosta."
    Hikaru rivolse subito lo sguardo all'altro, lo sguardo mortificato di una persona che si sentiva fin troppo colpevole. Aveva permesso che la paura e i sensi di colpa prendessero il sopravvento. Geniale.
    « È un periodo un po' stressante, sono solo stanca, ahah. »
    "Che bugiarda."
    Ma era un giudizio che non sentiva più come severo. Era stata bugiarda un'infinità di volte prima di quell'occasione, era l'ennesima volta in cui mentiva per scampare da una situazione troppo scomoda per essere gestita a dovere. Non c'era niente di diverso dalle volte precedenti, ad eccezione dei sensi di colpa. Quelli le facevano veramente male. E lo si poteva percepire dal sorriso tirato che aveva messo su━
    « Scusate, ecco la vostra ordinazione. Buon proseguimento! »
    L'espressione solare della cameriera fu un toccasana in quel momento. Il cenno del capo che sfoggiò Hikaru era più un «grazie per l'interruzione» che un «grazie per il servizio», visto come si poteva aggrappare a quegli unici attimi in cui poteva permettersi di prendere una boccata d'aria.
    Prese un sorso del suo americano, come se potesse concederle la possibilità di pensare più lucidamente.
    « Ti chiedo scusa, non voglio farti preoccupare inutilmente. Il problema sono io. »
    Un altro sorso di americano e poi un sospiro. Avesse avuto la possibilità, si sarebbe anche data qualche schiaffo, o avrebbe comunque affondato la faccia nel pelo del grosso gatto rosso che ancora sostava spaparanzato sulle gambe altrui.
    In quel momento, lo invidiava davvero tanto, quel gatto. Almeno lui non aveva la mente invasa dalle preoccupazioni... come quella di aver fatto in modo che Hayato si fosse bevuto la scusa becera che aveva tirato fuori. «Il problema sono io» faceva tanto di scusa inutile di una fidanzata colta in flagrante.
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    umana

     
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