Il ticchettare delle unghie sul sedile di pelle denotava solo una cosa: nervosismo.
Hayato era nervoso da giorni, dal 31 ottobre a essere precisi, dopo essere stato informato del caso di sparizione a Setagaya. Era stato chiamato immediatamente sul posto del suo Caposquadra, come se il suo intervento fosse cruciale. Invece non si era ritrovato altro che prove indiziarie, nulla di davvero rilevante Un caso come tanti, che però aveva accesso in lui quella paura remota, che solo in momenti come quelli tornava a galla: perdere la sua famiglia.
E se quel timore si era acquietato con il passare dei giorni, ora era tornato più dirompente che mai: caso di scomparsa a Setagaya, la vittima era un’altra ragazza.
Il meeting d’informazione sulla missione non durò molto, ma il ragazzo ebbe modo di sapere con chi avrebbe dovuto lavorare: Onishi Hikaru, investigatore di secondo grado e membro della famiglia fondatrice della CCG, e Mochizuki Seiya, ex investigatore e ora assistente, bono come le cose bone. Per lo meno avevano fornito (involontariamente) a Hayato un modo per distrarsi.
Ora tutti e tre se ne stavano in macchina, ben più interessati ai loro fascicoli che a fare conversazione. Con gli occhi chiari rivolti alle pagine cariche di appunti, Hayato non riusciva a stare fermo: la gamba destra fremeva leggermente e le dita tamburellavano su ogni superficie possibile. Non gli piaceva lavorare in gruppo, non gli piaceva avere a che fare con ragazzo che odorava di yen e fiori di pesco e non gli piacevano i pochi dettagli del caso. Un pensiero costante era rivolto a Saki e Chiharu.
Arrivati a destinazione, Hayato diede il materiale a Seiya e mise le mani in tasca, cercando chissà che cosa. Fu Hikaru a spezzare il silenzio e l’investigatore non potò fare altro che rispondere, distaccato. Strano per un tipo come lui.
«Setacciamo da cima a fondo l’appartamento. Una volta ricostruita la dinamica dell’aggressione, decideremo il da farsi.»
Farsi strada in un condominio pieno di assistenti e non così distante dall’appartamento dello sua famiglia gli metteva in corpo un’agitazione non da poco. Hayato si passò una mano sugli occhi, scacciando via il principio di emicrania. Doveva fare qualcosa per rilassarsi.
«Ehi, senti» si rivolse a Hikaru con tono più rilassato, mentre si dirigevano verso l’appartamento incriminato «come preferisci che ti chiami? Hikaru o Hui?»
Formale com’era, il ragazzo del fiocco blu avrebbe risposto “Secondo Grado Onishi è sufficiente” o qualcosa di simile. E questo era sinonimo di divertimento per una persona per niente seriosa come Hayato.
«Parlato.»
"Pensato."