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[CONCLUSA] Lazar S. Khabarov & Kohaku Kirishima | 28 Giugno 2019, 8.00 PM | 28°C, Soleggiato

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    A volte Kohaku Kirishima era davvero un genio e la sua faccia tosta la ripagava: era così felice, aveva scritto a quel gran bel pezzo di figo del massaggio e ora aveva un appuntamento con lui all'acquario!! Aah, che gioia! Cos'avrebbe dovuto mettersi? La sua cabina armadio era stracolma ma sempre così vuota quando le serviva! O meglio, al contrario, aveva troppe alternative: dei jeans attillati per slanciare ancora di più le gambe lunghe? Una gonna corta per esporle? Oppure un vestitino fresco e colorato? Per non parlare dei capelli, il trucco... Aah, tutta questa scelta...! Sospirò felice, stiracchiandosi poi: doveva darsi da fare per prepararsi al meglio!
    Il bagno divenne il suo regno incontrastato, tra doccia, cerette dell'ultimo minuto, messa in piega e quant'altro, così passò tutta la mattina. Solo quando stava effettivamente scegliendo quale abito indossare sobbalzò vedendo quelli maschili: Lazar l'aveva conosciuta come maschio, quindi aveva dato il suo numero e invitato fuori un maschio, non lei. Le gambe le cedettero e si ritrovò accucciata a terra in intimo - scelto anche quello con la massima cura per niente - mentre sudava freddo: l'aveva già illuso di star uscendo con un ragazzo, e il povero malcapitato ne sembrava pure parecchio contento, ora non poteva di certo presentarsi come donna...! Aveva praticamente buttato una mattinata per nulla, ma non era quello il punto: le dispiaceva visceralmente per quel povero ragazzo, sembrava così bravo poi... Non se lo meritava.
    Si alzò e prese il cellulare in mano, pronta a chiamarlo e disdire, ma si ritrovò a fissare lo schermo ancora bloccato: aveva così tanta voglia di uscire con lui, era così bello, le piaceva, ma l'aveva illuso, d'altra parte però non avrebbe potuto chiarirsi al meglio per telefono... Sospirò lasciando nuovamente il cellulare: si sarebbe presentata come maschio e alla prima occasione gli avrebbe detto tutto porgendogli le sue scuse. Sì, doveva dirglielo, ma non poteva lasciarsi sfuggire un tipo così interessante, quindi avrebbe lottato con tutta sé stessa per averlo comunque nella sua vita in un modo o nell'altro.
    Riprese dunque a vestirsi optando per un reggiseno a fascia particolarmente stretto - sì, qualcosa la si poteva vedere, ma non troppo - con sopra una maglietta molto casual scura e un po' larga così che non si intravedessero le forme femminili, quindi dei pantaloni di tessuto leggero per sopperire al caldo della stagione, anch'essi appena larghi e delle semplicissime sneakers unisex, dunque passò al trucco - praticamente del contouring basico e non troppo marcato - e al parrucco... Vero e proprio, con la solita parrucca ribelle e le lentine rossastre. Bene, era pronta! O meglio, pronto.
    Sospirò guardando il proprio riflesso nello specchio un'ultima volta e, assicuratasi di non aver lasciato luci accese o finestre aperte, uscì di casa e semplicemente si diresse verso il centro estetico della zia dove avrebbe finto di aver lavorato fino a poco prima, dunque si sedette a una panchina lì vicina e mandò un messaggio al russo dove gli diceva di starlo aspettando fuori dal centro estetico, e inviato il messaggio sospirò di nuovo.
    Alle volte Kohaku Kirishima era davvero un genio e la sua faccia tosta la ripagava, ma evidentemente non era quello il giorno.

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    Edited by Ninechka - 23/2/2022, 20:51
     
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    Quel ventotto giugno non c’era niente che andasse male.
    A parte la sveglia suonata in ritardo, avendo Lazar stupidamente dimenticato di disattivare quella dei giorni festivi e impostare quella dei giorni feriali, e la corsa per non perdere la metropolitana, le cui porte gli si erano comunque chiuse davanti al naso polverizzando ogni speranza di arrivare in orario a lezione di storia del costume.
    Dunque aveva inevitabilmente fatto tardi e il docente, un nano da giardino con gli occhi semisepolti dietro gli strati di sporcizia degli occhiali, non aveva mancato di sottolinearlo interrompendosi nel bel mezzo di un qualche discorso sul Re Sole e fissandolo. Ebbe gli occhi di tutti puntati addosso finché non si accartocciò con tutto il suo metro-e-quasi-novanta nell’angolo più appartato dell’ultima fila - nella stanza più remota della torre più alta, per citare il film Shrek, e in effetti in quel momento si sentiva molto affine a Fiona. Finalmente il professore tornò ad ignorare il gaijin strampalato e parlare di parrucche con la sua voce troppo cavernosa per un nano da giardino formato giapponese - nel senso che era ancor più basso rispetto alla media nipponica. Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, almeno aveva buon gusto nel vestire.
    A fine lezione fu avvicinato da una collega di cui faticava sempre a ricordare il nome - Nakayama, Nakamura, Miyamura, Yamamiya? -, insomma, la tipa che con le mani operava miracoli di una portata che l’intero cast della religione cristiana avrebbe potuto solo accompagnare. Lazar sentiva il peso della mediocrità sfondare le pareti del suo orgoglio ogni volta che... Yayoi Yamamura, ecco, gli mostrava il suo ultimo lavoro. Non c’era del talento in quella ragazza: c’era della ragazza in quel talento.
    «Pensavamo di andare alla mostra sulla moda di fine Ottocento dopo le lezioni. Vuoi venire con noi, Zar-sama?»
    Nonostante l’ammirazione che traboccava dai suoi occhi ogni volta che interagiva con quel talento antropomorfo, bastava lo “Zar-sama” di rito a ricordare a Lazar di essere un ghoul circondato da deliziosi spuntini ambulanti. In tutta risposta sogghignò e sfoderò il suo smartphone come fosse stato la carta di credito più ricca del mondo.
    «Spiacente, stasera ho un’altra opera d’arte da ammirare. Guarda e invidiami, Yamamura-san!»
    E così il gruppetto di colleghi con cui usciva di solito si era riunito intorno a lui per commentare la foto profilo dell’opera d’arte che avrebbe ammirato quella sera: ecco perché niente poteva andare storto quel ventotto giugno, non dopo lo scambio di messaggi avuto con Kohaku a metà lezione.

    Al termine delle lezioni pomeridiane, la storia si era ripetuta: sfrecciare fuori dall’istituto non era servito a non perdere di nuovo la metropolitana - contro la quale, stavolta, Lazar aveva imprecato nella peggior maniera che la lingua russa metteva a disposizione - e di conseguenza minuti preziosi, che avrebbe potuto usare per rendersi quantomeno presentabile ai poveri occhi di Kohaku. Sebbene non fosse un appuntamento, per lui era importante fare una buona impressione. Era sempre importante fare una buona impressione: nella sua vita c’erano troppe cose brutte per non cercare un briciolo di bellezza anche in qualcosa di frivolo come l’estetica.
    L’attesa della corsa successiva e poi dell’avvicinarsi della fermata di Shibuya furono logoranti: l’orologio non mentiva, aveva i minuti contati. Ed infine, esattamente mezz’ora più tardi, l’entusiasmo si trasformò in sconforto alla vista dell’armadio aperto. No, nessun dilemma su cosa mettersi, sapeva perfettamente cosa scegliere. Il problema era un altro, ma non era il momento di pensarci, si rimproverò tra sé e sé. Aveva tutta la notte per fare quel che sapeva fare meglio: criticarsi al oltranza, crogiolandosi in uno stupido senso di colpa privo di fondamenti, ma di cui non riusciva comunque a liberarsi.
    Le sue mani passarono come un’onda sull’armadio, agguantando con precisione chirurgica le grucce che gli interessavano, e finalmente qualche minuto più tardi fu pronto, giusto in tempo per ricevere un messaggio da parte di Kohaku che lo avvisava di essere già sul posto.
    Era tempo di un’altra corsa.

    «Scusa se non sono in perfetto orario.»
    Passo felpato, discrezione e concentrazione: doti indispensabili per un buon cacciatore, che Lazar aveva perfezionato con anni e anni di allenamento. Peccato in certe occasioni usasse suddette doti nel modo più inappropriato possibile, proprio come nel momento in cui, avvistato Kohaku su una panchina, lo aveva avvicinato alle spalle di soppiatto, appoggiato i gomiti sulla spalliera e sorriso amabilmente.
    «Buonasera, Kohaku-kun. Ti sono mancato?»
    Lazar era un tipo inutilmente scenico, amava suscitare stupore e catalizzare l’attenzione su di sé.
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    Faceva proprio caldo quel pomeriggio, e del russo non ce n’era neanche traccia. Che le avesse dato buca? Da una parte quasi ci sperava: almeno si era risparmiato una gran bella delusione, poco importava se si era preparata di tutto punto con tanto di ceretta dell’ultimo minuto neanche necessaria. Si lasciò andare contro lo schienale della panchina con un sospiro: aveva lo stomaco annodato e un peso sul petto, sperò solo che il suo solito soffrire con lo stomaco non le facesse brutti scherzi, ci mancava solo la corsa al primo bagno disponibile per rigettare pure l’anima.
    Prese il cellulare dalla tasca, la cover monocromatica verdeacqua che le veniva incontro con la sua colorazione unisex e gli sfondi opportunamente cambiati in metro con qualche collage aesthetic , e guardò l’orario in bella mostra sulla schermata di blocco: il tempo passava e di Lazar nemmeno l’ombra, né in persona, né in via scritta, e faceva caldo… Decise di controllare se il trucco fosse ancora lì – per quanto usasse trucchi waterproof e avesse fissato il tutto a dovere, non si poteva mai sapere – con l’ausilio della fotocamera frontale, ma non fece in tempo ad aprirla che…
    « Scusa se non sono in perfetto orario. » aveva detto una voce dietro di lei, l’accento inconfondibile che non le lasciò il minimo dubbio su chi fosse il ragazzo che le aveva fatto un agguato nel quale era cascata in pieno con tanto di piccolo urlo e di cellulare quasi mandato in orbita, che si era prodigata a riprendere al volo fortunatamente con successo.
    « Buonasera, Kohaku-kun. Ti sono mancato? » aveva aggiunto un sorridente Lazar, e Kohaku poté chiaramente sentire i suoi neuroni andare in cortocircuito: era veramente bello, così elegante e ordinato, e quel sorriso… Era perfetto, non c’era UN particolare fuori posto, a Kohaku quasi mancò l’aria e non era per il caldo. Ma rifacendo mente locale, le era scappato un urletto che di maschile non aveva nulla.
    Oh no. La sua sceneggiata crollata al minuto uno?! Doveva metterci una pezza. Finse di schiarirsi la voce.
    « C-cioè. Oh, Lazar-kun! Sei qui! Non ti avevo sentito arrivare e non ho assolutamente strillato in modo poco virile. » disse dunque, con una risatina: a dissimulare avrebbe perso tempo e quel briciolo di credibilità, meglio piuttosto sottolineare la faccenda in modo tale che non sembrasse qualcosa da dimenticare assolutamente. Si mise dunque in piedi intascando il cellulare andandogli incontro così che la panchina non fosse ancora tra loro. E cavolo, più lo guardava e più voleva saltargli al collo… Ma no. Non l’avrebbe fatto. Kohaku era una ragazza con del buonsenso… A parte il fingersi maschio, ma quello era un altro discorso.
    « Rimarrei qui per i convenevoli ma la realtà è che oggi fa davvero troppo caldo. Ti va se ci avviamo? Magari troviamo qualche luogo fresco dove bere qualcosa nel mentre andiamo all’acquario… Tipo del caffè freddo. O il bubbletea. » propose con un sorriso, lasciandosi poi andare a un tono più sognante parlando della bevanda che non beveva da più tempo a causa dell’ennesima dieta.
    Ad ogni modo si tenne pronta ad avviarsi con lui nel caso avesse acconsentito. Oh! Non aveva risposto alla sua domanda: se le fosse mancato? Terribilmente. Era una vera gioia poterlo ammirare così da vicino.
    …forse era un bene che non gli avesse risposto.

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    Non si sarebbe stupito se la reazione di Kohaku non fosse stata propriamente calorosa. Non era in estenuante ritardo ma neanche in perfetto orario, qualità molto apprezzata in situazioni del genere; Lazar non era il tipo che dedicava più tempo di quanto previsto sulla sua schedule, non arrivava mai in anticipo, se non per un motivo preciso, né in ritardo, a meno che non si verificassero imprevisti. L’imprevisto, purtroppo, stavolta esisteva solo nella sua mente, proprio per questo era più forte di qualunque ostacolo fisico avesse potuto trovare sulla sua strada.
    Quel che ottenne fu invece uno strillo. Non un urlo, ma uno strillo vero e proprio, di quelli che ci si sarebbe potuti aspettare da una ragazza che guarda un film horror.
    Doveva averlo proprio colto di sorpresa, pensò con un’alzata di sopracciglia. Talvolta - spesso - dimenticava di doversi dosare, contenere, trattenere: era un tornado di energia difficile da maneggiare, soprattutto per i piccoli e timidi giapponesi.
    «Pardonnez-moi.» ribatté dopo che Kohaku si fu schiarito la gola e spiegato, ancora immobile, senza accennare alcun movimento che non fosse un incurvarsi delle labbra in un nuovo sorriso e un occhiolino fugace. «Non era mia intenzione, ma almeno abbiamo rotto il ghiaccio, no?»
    In effetti neanche lui si sarebbe aspettato una reazione tanto... nervosa? No, non era il termine adatto per definirlo. Non era la prima volta che spaventava involontariamente qualcuno con un’entrata in scena inaspettata, ma in genere le reazioni erano più rilassate. Per non parlare dell’ottava raggiunta dalla voce di Kohaku, quella l’aveva proprio sorpreso.
    Ma si erano incontrati solo una volta, era normale. Suvvia. Anche lui aveva bisogno di darsi una calmata, decisamente. Quell’uscita non doveva cominciare col piede sbagliato. Aveva proposto un luogo neutrale come l’acquario proprio per non dare alcuna impressione precisa.
    Finalmente Kohaku si mise in piedi, dando modo a Lazar di distrarsi dai suoi pensieri molesti con un’attenta e rapida analisi del vestiario.
    No, non era lì per giudicarlo, ma sì, era più forte di lui. Deformazione professionale: rompeva le scatole anche quando non voleva farlo.
    Ad ogni modo Kohaku fu promosso, non con voti invidiabili ma comunque dignitosi.
    Era davvero impietoso.
    La proposta lo fece ridere: qualcuno sembrava amare davvero tanto quella strana bevanda tipicamente giapponese; quanto a lui, l’aveva provata durante un’uscita coi colleghi, ma non gli era piaciuta neanche un po’.
    «Molto bene, allora permettimi di farmi perdonare per lo spavento offrendoti un bubbletea.» distese un braccio per invitare Kohaku ad incamminarsi, mantenendosi al suo fianco ma senza essere invasivo.
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    Quell’urlo era stato senz’altro un gravissimo errore, poteva essere scoperta di lì a poco e che si metteva a fare? Strillare! Lazar sembrò non dare il tipo di peso che si aspettava alla cosa, ma semplice sorpresa, e come dargli torto? Ma almeno non gli venne in mente di starsi trovando davanti a una ragazza travestita da ragazzo, e tanto le bastò.
    Certo che era proprio bello, non poteva proprio fare a meno di pensarlo nel mentre lo osservava con finta naturalezza: che fosse sorpreso, sorridente in modo giocoso o semplicemente gentile, il volto del russo rimaneva qualcosa da rimirare all’infinito, con i bei tratti del viso, gli zigomi perfettamente alti, gli occhi chiarissimi… Aveva decisamente bisogno di una bibita, una bibita fresca, una bibita fredda; facciamo un’intera bottiglia d’acqua ghiacciata? E di nuovo: no, non era per il caldo della stagione.
    Ridacchiò alle parole scherzose dell’altro, quasi morendo internamente per l’occhiolino complice che le rivolse nel mentre.
    « Oltre alle tue povere orecchie, certo. Scusami per l’urlo, ero sovrappensiero. » si scusò con un piccolo inchino del capo: sebbene nessuno dei due fosse giapponese e quindi non fosse obbligata ad azioni simili, ormai le veniva automatico farle.
    « Molto bene, allora permettimi di farmi perdonare per lo spavento offrendoti un bubbletea. » si offrì dunque Lazar dopo una risata, invitandolo con un braccio ad avviarsi, e santo il cielo quanto dovette trattenersi dal piagnucolare: era pure galante, non c’era veramente traccia di difetto in quella persona!! Non poté che pregare che non la odiasse a fine giornata, ma nel frattempo si limitò ad avviarsi verso la loro prima destinazione scuotendo il capo.
    « Non preoccuparti, davvero! Non hai nulla da farti perdonare, sono stato io ad avere una reazione esagerata. » gli sorrise gentilmente, le mani nelle tasche per dissimulare eventuali posture troppo femminili alle quali era avvezza specialmente sul palco.
    « A mia discolpa stavo pensando proprio a te. Temevo di essermi comportato male in qualche modo e che per questo non saresti realmente venuto. » gli confessò, mentendogli a metà: aveva paura delle sue azioni, sì, ma Lazar ancora non sapeva nulla. « Ma ora sei qui, quindi va tutto bene. » e qui poté lasciar spazio a un sorriso ben più vasto e radioso: sì, si sarebbe goduta l’uscita quanto più possibile finché sarebbe durata. Al “dopo” ci avrebbe pensato poi. Per ora si concentrò anche sul tenere una conversazione con lui, nel mentre cercavano un luogo carino dove fermarsi.
    « Comunque, come stai? » gli chiese dunque, la domanda più basica di tutte, ma sempre un buon modo per cominciare una conversazione.

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    Ristabilita la calma, i due poterono finalmente avviarsi lungo una strada che Lazar non era affatto certo di aver memorizzato. Che il cielo gliela mandasse buona, ne aveva abbastanza di perdersi ogni volta che metteva il naso fuori di casa per avventurarsi in un quartiere nuovo! In quell’occasione, poi, la loro destinazione era anche abbastanza distante: il Tokyo Sea Life Park di Edogawa, acquario di cui aveva sentito parlare fino alla nausea, sviluppando il bisogno di vederlo coi propri occhi per non rischiare di odiarlo.
    Mentre ripassava mentalmente le tappe da percorrere - di far sfoggio del suo GPS rotto davanti a Kohaku non ne aveva voglia -, l’altro richiamò la sua attenzione con la sua inconfondibile voce, forse fin troppo cristallina per un ragazzo della sua età. Per un motivo che non riusciva a identificare gli ricordava quella di Ninel’.
    “A mia discolpa stavo pensando proprio a te. Temevo di essermi comportato male in qualche modo e che per questo non saresti realmente venuto.”
    “Essersi comportato male?” il russo non poté fare a meno di alzare le sopracciglia, investigando il viso di Kohaku come chi aspetti quel qualcosa che renda finalmente chiaro il contesto.
    Ma no, rimase sul vago, costringendo così la mente iperattiva di Lazar a ripercorrere tutto quel che si erano detti in chat, alla ricerca di un atteggiamento che potesse essere mal interpretato. E… non ricordava proprio niente del genere. Forse c’entrava qualcosa la spiccata sensibilità dei giapponesi, che così spesso lo faceva sentire affine a un cavernicolo con la fronte solcata da un unico, possente sopracciglio.
    Si inserì nel discorso, determinato a mettere in chiaro quel punto. «Non hai niente di cui preoccuparti. E se anche fosse, non sono il tipo di persona che non cerca il chiarimento dopo i fraintendimenti.» lui era il tipo di persona che lascia i problemi ad accumularsi, infatti. «Quindi ora rilassati e goditi le prossime ore, okay?»
    Essere premuroso con chi rientrava nelle sue simpatie rientrava tra i tratti dominanti del suo carattere, che lo volesse o no, era più forte di lui. E poi Kohaku sembrava una persona a posto, un umano come tanti, con cui magari avrebbe intessuto una bella amicizia. Già, amicizia. Doveva stare a cuccia e lasciarsi schiacciare dal senso di colpa.
    «Sto bene, ti ringrazio. Come ti dicevo in chat, la lezione di storia del costume è stata uno strazio oggi.» sospirò, proseguendo lungo la strada affollata ma non esageratamente caotica. Mani in tasca e viso leggermente inclinato in direzione di Kohaku, gli rivolse un sorriso malizioso. «A proposito della chat, mi spiace di non poter alleviare il tuo stress con un massaggio. Magari potresti insegnarmi.»
    Con cui magari avrebbe intessuto una bella amicizia. Già, amicizia.
    Non poteva darsi una palmata in fronte in mezzo a così tanta gente. Santo cielo, ma allora scorreva proprio nel sangue russo l’essere promiscui! Lazar vuole chattare!
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    La dolcezza con la quale il russo la calmò fu abbastanza sorprendente: non potevano dire di conoscersi a fondo, eppure Lazar si era preso del tempo per rassicurarla e persino tirarla su di morale. Un ragazzo d’oro per davvero, top tier non solo per la gnoccaggine, e Kohaku non potè non sorridergli.
    « Con te come compagnia sarà sicuramente cosa facile, grazie mille. » gli disse dunque con tono sinceramente sollevato, anche perché sapere che era una persona “che cerca il chiarimento dopo il fraintendimento” era già un’ottima premessa; non era sicura quanto sarebbe stato propenso a tener fede a sé stesso dopo che la verità fosse uscita fuori, ma meglio di niente.
    Perché gliel’avrebbe detto, no? ...no?
    « A proposito della chat, mi spiace di non poter alleviare il tuo stress con un massaggio. Magari potresti insegnarmi. » improvvisamente il caldo attorno a loro sembrava essersi triplicato. Kohaku guardò Lazar fantasticando ovviamente sul momento ipotizzato nel modo meno safe for work possibile, e dovette impedirsi di parlare senza riflettere o se ne sarebbe uscita tranquillamente con uscite poco lusinghiere come “MA TI PREGO ANNIENTAMI QUI E ORA???”. Urlato, sì.
    « Accidenti Lazar-kun, ci stai per caso provando con me? » lo punzecchiò con tono divertito, con tanto di pacca sulla spalla data con leggerezza: fosse stata in compagnia di un giapponese non avrebbe potuto neanche sognarsi un gesto simile, ma con gli stranieri come loro due la musica cambia per fortuna; anche perché il suo accompagnatore sembrava molto tranquillo al riguardo.
    Ad ogni modo, arrivarono alla metro per arrivare a Edogawa dove trovarono un minimo di refrigerio nonostante la presenza di tante persone. La metro arrivò, entrarono biglietto alla mano, e non essendoci posti a sedere dovettero stare in piedi entrambi.
    « Non dovremmo metterci troppo ad arrivare. Cosa vuoi vedere di più all’acquario? Io i delfini, spero di poterne accarezzare uno! » sorrise entusiasta guardando il suo interlocutore. Certo che era proprio bello, impeccabilmente elegante nonostante il caldo.

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    “Accidenti Lazar-kun, ci stai per caso provando con me?”
    «No, no, è assolutamente voluto
    Se a quella risposta non l’avesse scacciato a suon di pervertito e altri improperi tipicamente da anime giapponese, allora non aveva niente di cui preoccuparsi. Kohaku invece reagì in una maniera fin troppo occidentale, con un’amichevole pacca sulla spalla che Lazar avvertì a malapena. Povero ragazzo, probabilmente non aveva neanche vagliato la possibilità di avere a che fare con una creatura che avrebbe potuto rompergli un braccio solo stringendo un po’ la presa.
    Nonostante il poco tempo passato insieme, la buona prima impressione che Lazar aveva avuto stava rapidamente solidificandosi. Kohaku sembrava davvero una brava persona, cominciava a dispiacersi davvero di starlo sostanzialmente usando come soluzione palliativa per non pensare a Rodion.
    Proseguirono senza intoppi fino alla fermata della metropolitana più vicina, una gabbia pregna di profumo di cibo al punto da essere quasi soffocante a cui Lazar aveva dovuto fare l’abitudine, ben al di là di qualunque corrispettivo russo.
    Come sempre, i posti a sedere erano già stati presi d’assalto da vecchi con un piede nella fossa e impiegati addormentati; Lazar aveva sempre trovato alquanto preoccupante l’abitudine dei giapponesi di dormire in metropolitana, lui avrebbe dato per scontato di essere stato derubato anche dell’anima al risveglio. Di conseguenza i due non ebbero altra scelta che appiattirsi in un angolo, cercando di non pestarsi a vicenda i piedi ad ogni inclinazione improvvisa. Fece del suo meglio, davvero. Ci provò con tutto se stesso, assecondando i movimenti del vagone e scusandosi un paio di volte per essere stato vicino a invadere lo spazio personale dell’altro, ma a un certo punto accadde l’inevitabile: si sbilanciò e gli andò addosso, protendendo istintivamente una mano per aggrapparsi a qualunque cosa.
    Qualunque cosa risultò il petto del povero Kohaku, da cui si allontanò immediatamente con un sorriso dispiaciuto.
    «Perdonami, non volevo!» si rimise dritto, sperando che l’incidente non avesse causato troppo fastidio, mentre il vagone tornava ad inclinarsi verso destra e con lui tutti i passeggeri.
    Fortunatamente la fermata successiva si rivelò la loro, come annunciato dalla voce atona femminile all’altoparlante. Ottimo, altra strada da fare. Magari avrebbe diluito l’imbarazzo.
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    Kohaku era decisamente più abituata di Lazar alla caotica metropolitana giapponese, semplicemente si reggeva a una delle sbarre - o le maniglie, quel che prima le capitava davanti - e lasciava andare il mezzo nella direzione che desiderava raggiungere, spesso guardando pigramente i social; quel pomeriggio invece era in compagnia del bel russo dalle intenzioni tutt’altro che amichevoli, ma dai modi estremamente educati, tanto da chiedergli scusa per tutte le volte in cui si erano ritrovati più vicini per le inclinazioni del mezzo. Vani furono i continui “non preoccuparti” e “non scusarti, davvero” che gli rivolse, anche perché diciamolo: chi sarebbe realmente dispiaciuto di stare così vicino a un belloccio simile? Ma Lazar era un ragazzo educatissimo, e questo non faceva che aumentare l’appeal che aveva su Kohaku.
    E poi accadde. L’incidente. La cosa che meno desiderava in quel preciso momento ma in altri avrebbe molto gradito. La metro fece una piccola scossa e il russo le finì definitivamente addosso, poggiandosi con una mano contro il suo seno.
    Diverse scosse attraversarono Kohaku, tra il desiderio di avere di più di quel banale contatto e la paura folle di venir scoperta, oltre che comunque l’imbarazzo provato nonostante il sopracitato desiderio. Col terrore negli occhi, alzò di scatto il viso arrossatissimo cercando lo sguardo di Lazar aspettandosi di trovarlo dubbioso- insomma, per quanto avesse un reggiseno a fascia indosso, c’era differenza tra il seno schiacciato e il petto maschile, no?
    …e invece niente. Lazar le sorrideva sinceramente dispiaciuto chiedendole semplicemente scusa.
    Kohaku sentì una gigantesca consapevolezza schiacciarla: il suo dannato seno microscopico era talmente piccolo da non essere stato minimamente notato dall’altro.

    Avrebbe dovuto gioirne, insomma, la sua copertura non era saltata, ma tutto ciò che sentì fu pura frustrazione e desiderio di chiudersi in bagno e avere una crisi di pianto chiamando un chirurgo plastico per prenotare immediatamente un intervento per l’ingrandimento del seno.
    « …non preoccuparti. L’importante è che non ti sei fatto male. » riuscì a dire voltando il viso amareggiato altrove, combattendo per non iniziare a piangere per davvero.

    Il resto del pomeriggio in realtà fu piuttosto tranquillo: i due arrivarono all’acquario, si divertirono a guardare i vari pesci nuotare in giro, fecero anche diverse foto insieme; Lazar pensò pure di regalarle il peluche di una balena azzurra, che ora era tra le braccia di una felicissima Kohaku, che sperava che gli stereotipi sui russi riguardo determinate dimensioni fossero rafforzate dal peluche scelto dall’altro come dono.
    …non si intratteneva in determinati modi da un po’, si nota per caso?
    Ad ogni modo, a parte messaggi subliminali inesistenti, le risate, le foto, il bel clima creatosi tra loro, Kohaku sentiva anche un enorme peso: gli stava davvero mentendo da tutta la giornata, anzi da ben due giorni consecutivi… Lazar era così carino, gentile, educato, le piaceva davvero tanto… No, non poteva continuare a mentirgli.
    « Sai come potremmo concludere questa giornata? Con una bella sessione di karaoke! Ne conosco uno fantastico qua vicino, andiamo. » propose dunque fingendosi entusiasta, in realtà aveva le viscere sempre più contratte ad ogni passo verso la sala che avrebbero affittato: i karaoke avevano camere chiuse e insonorizzate, lì nessuno l’avrebbe sentita declamare di essere Kohaku Kirishima, la idol Kohaku Kirishima, in arte NEKU.
    Una volta giunti in stanza e chiusa la porta a chiave di nascosto, posò il peluche sul lungo divanetto e lottò con tutta sé stessa per cominciare anche solo a spiccicare parola.
    « Lazar-kun… C’è una cosa che ti devo dire. » preannunciò nel modo meno rassicurante possibile, ma non riusciva a pensare a qualcosa di meglio: aveva troppa paura che l’altro semplicemente andasse via e non le parlasse mai più.
    « Sei veramente una bella persona, questa giornata è stata magnifica, ma… C’è una cosa che devi sapere. » portò le mani tremanti al capo, attenta a prendere anche la retina per i capelli sotto la parrucca e sfilò entrambi, lasciando che la cascata di capelli castani le ricadesse sulle spalle. Non aveva il coraggio di guardarlo in viso.
    « Io sono una ragazza. Uso questo travestimento perché sono una idol piuttosto conosciuta, NEKU… Non… Non pensavo sarebbe mai accaduta una cosa del genere- ho accettato di uscire perché sono realmente interessata a te ma ti giuro, avevo intenzione di dirti subito tutto, solo che… Mi è mancato il coraggio. Perdonami, Lazar. » disse in un flusso di coscienza colorato dal forte senso di colpevolezza e la voce strozzata, facendo poi qualche passo indietro come a volersi frapporre tra il ragazzo e l’unica via di uscita da quella stanza: non voleva vedersi passare davanti agli occhi una persona che le piaceva sempre più, uno dei pochi così sincero con lei che non mirava a compiacerla o che altro. Solo a stare insieme. Che era quel che voleva fare anche lei.
    Ma sapeva di averla fatta grossa, che non sarebbe stato facile. Semplicemente si preparò al peggio.

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    Il resto del pomeriggio filò liscio come l’olio. Ovviamente. Non sarebbe potuta andare diversamente, perché Lazar avrebbe fatto qualunque cosa per distogliere l’attenzione dalla gaffe dell’incidente e sostituire l’imbarazzo con emozioni più piacevoli.
    Non si sarebbe mai abituato alle metro giapponesi, aveva pensato con un grado di fatalismo che si avvicinava alla tempesta di meteoriti incombente, mentre porgeva la mano a Kohaku per aiutarlo a scendere dal mezzo pubblico. Non che ce ne fosse davvero bisogno, ma lui amava coccolare gli altri con piccole attenzioni che mettevano in evidenza la sua attenzione ai dettagli - come se non fosse stato già abbastanza intuibile a colpo d’occhio.
    La visita all’acquario, il più classico dei classici in tema di appuntamenti adolescenziali giapponesi, lo fece sentire pericolosamente vicino ad impersonare il co-protagonista di uno di quei manga yaoi che sua sorella leggeva di tanto in tanto - in effetti non voleva pensare all’interrogatorio a cui Ninel’ l’avrebbe sottoposto una volta rincasato. Pur non essendo la più entusiasmante delle location, le viste rilassanti e i colori vibranti dell’acquario si rivelarono un piacevole sottofondo per le ore successive, al termine delle quali Lazar fu inamovibile sulla decisione di acquistare un regalo che ricordasse a Kohaku il tempo speso insieme. Un souvenir più dell’appuntamento che dell’acquario, avente la forma di una balena dalla stoffa di ottima qualità, con grande soddisfazione del russo - che non si esimette dal dilungarsi in una filippica contro la pessima qualità della maggior parte dei materiali utilizzati per i souvenir in luoghi del genere.
    Su suggerimento di Kohaku si diressero quindi al karaoke, meta più che gradita. C’era chi moriva d’imbarazzo a cantare davanti a persone con cui non si aveva ancora confidenza, e poi c’era Lazar, che avrebbe volentieri improvvisato un musical di Broadway in qualunque momento.
    Mentre accoglieva quella proposta con un sorriso principesco, Lazar non immaginava certo di andare incontro all’apocalisse.

    [...]

    “Lazar-kun… C’è una cosa che ti devo dire.”
    E giù di paranoie. Quello era il tipico esordio di una brutta notizia. Lazar aveva a stento avuto il tempo di mettersi comodo sul divano, pronto a lasciare a Kohaku la scelta della prima canzone, quando poche parole frantumarono la convivialità che erano riusciti a creare nelle ore precedenti.
    Raddrizzò la schiena e appoggiò le mani sulle ginocchia, lasciando intendere che era attento, ed ascoltò. Dopo le prime due pause voleva già sportivamente amputarsi le orecchie, e mentre le mani di Kohaku sfilavano la parrucca, rivelando una cascata di folti capelli bruni, Lazar temette davvero che la crescente irritazione potesse leggerglisi in faccia.
    Perché suo nonno si era impegnato per fare di lui una montagna inscalfibile, ma al mondo c’erano cose che neanche lui sopportava. Tra queste, le bugie occupavano un posto sul podio.
    Più secco di quanto desiderava - o forse no, perché era davvero furioso - alzò un dito a mezz’aria, interrompendo bruscamente una mortificata Kohaku intenta a scusarsi - e faceva bene a scusarsi, perché era stato un atteggiamento terribile. Non era da lui pensare così male di una persona che fino a un minuto prima gli era stata così simpatica, ma Kohaku l’aveva fatta troppo grossa.
    «Ho bisogno di un momento.»
    E si chiuse, metaforicamente e non, in un silenzio chiaramente ostile, curvando la schiena in avanti, con la testa incassata tra le spalle, i gomiti sulle ginocchia e le dita premute sulle tempie. Rimase muto per un tempo incalcolabile e tremendamente pesante, ringraziando quel pazzo di suo nonno se non era già scoppiato in un rant memorabile.
    D’accordo, sforzandosi oltre il necessario poteva comprendere il bisogno di Kohaku di nascondere la propria identità. La vita delle celebrità non è facile, soprattutto per una idol in un posto pieno di malati come Tokyo, ma questo non giustificava il perpetrare la bugia fino a quel momento: avrebbe dovuto dirglielo prima, avrebbe dovuto dirglielo quando le aveva proposto di uscire.
    Per una semplice questione di rispetto.
    Poteva essere mortificata quanto voleva, ma Lazar rimaneva una persona troppo orgogliosa per incassare il colpo in così poco tempo.
    «Primo.» si rianimò di colpo, battendo le mani sulle ginocchia ed emettendo un sospiro chiaramente stizzito. Dardeggiò con gli occhi azzurri sulla gracile figura della idol. Se avesse potuto uccidere con lo sguardo, Kohaku sarebbe stata incenerita in quell’esatto momento. «Non pensare neanche per un secondo che ti perdonerò così facilmente, Kirishima
    E la prima stilettata l’aveva data. Gliele avrebbe tornate tutte, una per una.
    «Secondo.» si mise in piedi, torreggiando sulla figura della povera umana poco distante; nonostante l’espressione statuaria, dentro stava ribollendo. «Avrai avuto le tue ragioni per mentire e il panico ti avrà confuso le idee, ma continuare a fingere con una persona che ha mostrato dell’interesse sincero per te è orribile. Sei passata sopra il rispetto che mi devi pur di avere qualcosa che volevi. Spero tu abbia imparato la lezione.»
    In qualche modo, quel monologo vomitato quasi tutto d’un fiato riuscì a mitigare la rabbia di Lazar. Mentre parlava si era avvicinato, fermandosi davanti a Kohaku che gli sbarrava la strada.
    «E terzo, levati da quella porta.» tutta l’alterigia che aveva impregnato le sue parole fino a quel momento fu esalata in un sospiro esasperato; quando parlò di nuovo, la voce di Lazar suonò più bassa e piatta. «Ho bisogno di qualcosa di forte. Dopo… dopo vedremo di chiarire questo disastro.»
    Se Kohaku si fosse fatta da parte avrebbe aperto la porta, dopo aver scoperto senza alcuna sorpresa che era stata chiusa a chiave, ma non prima di averla ammonita con un ultimo sguardo torvo.
    «E non provare a scappare dalle tue responsabilità, ricorda che ora il tuo segreto è nelle mie mani.»
    La ciliegina sulla torta: una minaccia con ricatto, tipico di Lazar Khabarov. Kohaku non era l’unica ad essersi tolta la maschera.
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    Il fatto che Lazar l’avesse interrotta chiedendole un momento e non urlandole direttamente addosso era già tanto, infatti non gli rispose nemmeno verbalmente, annuì debolmente e basta osservandolo di sottecchi: il povero ragazzo era giustamente arrabbiato, la sua faccia che mutava di istante in istante in pura irritazione parlava chiaro, e di nuovo, era già tanto che fosse andata così e non peggio. Kohaku non avrebbe lottato per difendersi, era colpevole ed era giusto che fosse accusata come tale.
    Quando Lazar prese parola, battendosi le mani sulle ginocchia, Kohaku sobbalzò visibilmente con un piccolo sospiro spaventato, ma gli occhi erano rivolti a lui così come la sua attenzione. Ascoltò ogni parola arretrando istintivamente verso la porta, incontrandola contro le spalle poco dopo, dunque strinse inconsciamente la parrucca al petto sempre più forte, come se potesse in qualche modo difenderla. Non disse nulla sul momento, esclamò solo un “No!” tremulò quando la intimò a spostarsi dalla porta, ormai vicino a lei, così alto, bello… Temeva che se ne andasse senza darle neanche l’opportunità di controbattere, di provare a salvare la situazione… Ma aveva semplicemente frainteso la sua posizione: non voleva andare via, voleva solo andare a ordinare qualcosa. Molto probabilmente voleva andarci di persona e non usare il telefono nella saletta per prendere un po’ d’aria, o per non fare arrivare nessuno lì. Voleva anche chiedergli se le potesse prendere una bottiglia d’acqua, ma nella sua posizione anche chiedere una cosa simile le sembrava una condanna a morte, così semplicemente si scostò dalla porta, annuì alle sue parole, e una volta sola si lasciò cadere sul divano: le tremavano le gambe in un mix di paura per aver stroncato sul nascere quello che sembrava un bel rapporto e di sensi di colpa. Come avrebbe dovuto fare…? Neanche respirare decentemente le stava riuscendo, pianse persino.
    “Calmati Kohaku, e pensa, stupida cretina imbecille.” si impose mettendosi più o meno come si era messo Lazar stesso prima, ossia con i gomiti poggiati sulle gambe, ma lei aveva direttamente la testa tra le mani, la parrucca abbandonata di fianco tra lei e il peluche, e lì ripercorse ogni parola scandita dal russo: da principio, oltre ad averla chiamata “Kirishima” e non “Kohaku” proprio per imporre una distanza tra loro, le aveva detto che non l’avrebbe perdonata così facilmente, quindi aveva comunque un margine di riuscita; probabilmente molto piccolo ma lo aveva. Il secondo punto, invece, era tutto ciò che aveva da chiarire: non avrebbe sminuito le proprie colpe, avrebbe dovuto ammetterle tutte quante e scusarsi per ognuna di esse, ma voleva anche rimarcare quanto fossero sincere le proprie intenzioni, insomma voleva davvero tanto approfondire la conoscenza con quella persona, avrebbe certamente dovuto usare un altro approccio, ma aveva avuto troppa paura di perdere un treno di sola andata, finendo però col prenderlo nel modo meno corretto possibile.
    Kohaku sospirò stropicciandosi la frangia e si abbandonò contro lo schienale del divano: almeno Lazar si era mostrato abbastanza pacato nonostante l’evidente frustrazione, e soprattutto voleva ancora parlarne, parlarle. Non avrebbe sprecato l’occasione. Semplicemente attese il ritorno del russo nella stanza nel mentre odiava sempre più quel reggiseno a fascia che le stava impedendo di respirare a fondo.

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    Chiusa la porta della sala privata, Lazar era stato a tanto così dal mandare tutto al diavolo e tirare dritto per la porta d’ingresso, premurandosi solo di saldare il conto perché, furioso o meno, lui rimaneva un signore e non voleva che lo si potesse biasimare di niente. E invece si era costretto a marciare fino al piano di sotto, ogni passo pesante e l’intero corpo teso come una corda di violino. Una persona completamente diversa da quella che pochi minuti prima aveva percorso la stessa strada in senso inverso, al fianco di un ragazzo con cui sembrava in completa sintonia. Un ragazzo, già.
    Non poteva credere di essere stato fregato così facilmente, da un’umana persino più giovane di lui, poi! Identificare il sesso di una persona dal suo odore era una delle poche cose che neanche l’olfatto di un ghoul sapeva fare, una falla che non credeva avrebbe mai trovato realmente rilevante. E poi aveva conosciuto Kohaku, che senza alcun ritegno si era approfittata della sua cortesia.
    Con un sospiro devastato, Lazar si appoggiò al bancone del bar con un gomito e ordinò del tarasun, scatenando una profonda confusione nella giovane donna che si era subito avvicinata per servirlo. A quanto pareva, nei karaoke giapponesi non vedevano alcool; aveva senso, trattandosi di luoghi frequentati perlopiù da studenti.
    In effetti, non aveva chiesto a Kohaku che cosa gradiv-... perché mai avrebbe dovuto ordinare qualcosa per Kohaku?!
    Le prese un tè alla pesca.
    Perché era un signore, lui. E perché li aspettava una conversazione lunga e tesa, quella sporca menzognera avrebbe avuto bisogno di una bevanda idratante e rilassante per sostenerla al meglio. Lazar non aveva alcuna intenzione di farle sconti, poteva avere buone intenzioni e validi motivi per fare quello che faceva, ma questo non la rendeva meno colpevole di avergli mentito più del dovuto. Kohaku era davvero fortunata a non essere sulla lista delle persone che aveva inquadrato come cibo, altrimenti non ci avrebbe pensato due volte a risolvere quell’imbarazzante faccenda nel modo più efficiente e pulito possibile.

    [...]

    La porta della saletta privata si riaprì, rivelando la sagoma imponente di un Lazar ancora imbruttito dalla situazione, ma con una lattina di caffè e una di tè alla pesca tra le mani. Chiuse la porta con un deciso colpo di tallone, per poi appoggiare sul tavolo le due bevande.
    Fulminò con lo sguardo la ragazza. «Non credere che questo sia un buon segno, ho bisogno che tu sia viva per ucciderti.»
    Si sedette quindi di fronte a lei, le braccia incrociate al petto e un’espressione torva in volto.
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    Lazar fu di parola e ritornò nella saletta, chiudendone la porta di scatto e posando sul tavolo… Due lattine, una di caffè e una di tè alla pesca, quest’ultima in sua direzione: le aveva preso da bere nonostante tutto…?
    « Non credere che questo sia un buon segno, ho bisogno che tu sia viva per ucciderti. » l’ammonì immediatamente il russo prendendo poi posto di fronte a lei, manco le avesse letto nel pensiero. La ragazza si allungò a prendere la lattina con entrambe le mani, lentamente, come se l’altro fosse pronto a darle bacchettate sulle mani.
    « Grazie lo stesso. » borbottò con fatica, e la stappò con altrettanta fatica: magicamente la poca forza nelle braccia l’aveva abbandonata, ma comunque prese un sorso della bevanda nella speranza di sciogliere il nodo in gola, e sospirò una volta posata la lattina sul tavolo, entrambe le mani ancora avvolte attorno ad essa e le braccia distese.
    « Senti, io… Non voglio giustificarmi. Sarebbe ipocrita, so di avere sbagliato, ho fatto qualcosa di orribile, ma vorrei parlarti del perché, per quanto comunque non mi giustifichi. » cominciò ad intavolare un che di discorso con voce incerta, lo sguardo che faceva fatica a posarsi sul bel volto ora freddo e duro nei suoi confronti, ma provò a sforzarsi.
    « Non volevo prendermi gioco di te, non sono una persona meschina, non ho mai fatto niente del genere. Mi travesto da maschio al lavoro perché aiuto mia zia saltuariamente. E’ la proprietaria del centro estetico, ma io sono una idol piuttosto famosa, non posso assolutamente farmi riconoscere, quindi ho cominciato a prendere quest’abitudine. Non mi diverte, non ho strane perversioni o che altro, lo faccio per avere pace e tranquillità, anche perché mi permette di uscire senza il terrore di incontrare qualche fan; non che mi dispiaccia, ma non posso farmi vedere in compagnia di ragazzi proprio perché si pensa immediatamente al flirt, ed è un danno alla mia immagine in questa società di repressi-- » cominciò a parlare a ruota libera infervorandosi, ma non appena se ne accorse prese un breve sospiro « Sto divagando, scusami. » mise un punto risistemandosi sulla seduta.
    « Insomma, tornando al punto: mi travesto perché non ho altro modo per stare tranquilla, ed essendomi presa una cotta per te immediatamente non sono riuscita a dirti la verità, o anche solo a declinare la tua proposta. » un altro sospiro abbandonò le sue labbra, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio « Sono stata un’egoista bella e buona, lo so, e mi dispiace veramente tanto. Volevo avere l’opportunità di vederti, passare del tempo con te, non volevo prenderti in giro o giocare con te ma la paura di un tuo disinteresse totale nei miei confronti una volta svelata la verità mi ha fatta tacere. Cosa che mi ha portata a comportarmi male con te, quindi qualcosa di ben peggiore. Non ci avevo minimamente pensato lì per lì, appunto sono stata egoista, e di nuovo ti chiedo scusa, non avrei dovuto in nessun caso. » disse sempre più concitata, e prese un altro piccolo sorso della bevanda fresca.
    « Io… Io non sono questo, Lazar. Non sono una persona così orribile, non lo sono mai stata, ma l’ho fatto, e voglio rimediare. So di non essere minimamente nella posizione di poterti chiedere nulla, ma fammi essere sfacciata. » e detto questo prese il cellulare, guardando velocemente la propria agenda degli impegni: come pensava, l’indomani avrebbe avuto un’intervista in radio. Quale modo migliore dell’esporsi in pubblica piazza come plateale gesto di devozione nei confronti del ragazzo?
    « Domani pomeriggio ho un’intervista in radio. Di solito le domande sono preparate prima in modo che non mi si rivolgano domande scomode, ma stravolgerò il copione e ti chiederò scusa davanti a tutti. Non potrò fare nomi o scendere nei dettagli, ma ammetterò davanti a tutti quanto io mi sia comportata male con te e chiederò il tuo perdono. Questo porterà un sacco di dissensi da parte dei miei fan e dalla mia agenzia, perché l’immagine di “essere angelicato che non sbaglia mai” è la base del mio lavoro, e proprio per questo voglio farlo: voglio farti capire quanto io sia realmente dispiaciuta e quanto intendo realmente rimediare a quel che ho fatto. » scandì riuscendo finalmente a guardarlo dritto negli occhi con determinazione « Mi è davvero piaciuto tanto passare il pomeriggio insieme, e mi piacerebbe tanto non perderti, ma non posso pretendere nulla. Solo… Posso chiederti l’enorme sforzo di darmi questa chance? » chiese dunque, lo stomaco totalmente contratto come tutta sé stessa. E ora c’era solo da aspettare… E sperare con tutto il cuore che l’altro non rifiutasse a priori.

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    Lazar S. Khabarov 「 Echo
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    Mentre Kohaku si allungava timorosamente verso la lattina di tè dal suo lato del tavolo, il ghoul in Lazar prese il sopravvento e la fissò con attenzione quasi sinistra. Cristallizzato in un implacabile silenzio e dimentico del caffè che avrebbe dovuto tenergli la bocca impegnata in qualcosa che non fosse inveire, la lasciò libera di lanciarsi in un lungo monologo con la stessa cinica freddezza di cui si avvaleva negli interrogatori che talvolta svolgeva per conto dei Khabarov.
    Per i successivi minuti, che pur essendo a conti fatti solo dieci parvero dilatarsi in ore interminabili, Lazar avrebbe potuto essere scambiato per un pezzo d’arredamento: le braccia incrociate al petto, le sopracciglia che cadevano sugli occhi come linee oblique dal sapore di biasimo e spietatezza. Aveva deciso di non aprire bocca se non per incalzare qualora non avesse ritenuto adeguate o sufficienti le giustificazioni di Kohaku. Non era sua consuetudine arrogarsi il diritto di giudicare gli altri, quello però era un caso straordinario.
    In sottofondo, il fischio stentoreo della corrente elettrica che correva nei cavi teneva Lazar ancorato alla realtà, altrimenti i pensieri che emergevano spontaneamente in risposta alle parole di Kohaku lo avrebbero lanciato a tutta velocità nel mondo dei dialoghi interiori.
    Al termine dello sfogo, il mondo intero avrebbe probabilmente dato all'unanimità ragione a Kohaku. Il mondo intero tranne lui, la voce fuori dal coro che rosicava perché era stata fregata. E lui non era nella posizione di potersi fare fregare tanto facilmente da una qualunque umana. Avrebbe dovuto essere più accorto di così, avrebbe dovuto seguire gli insegnamenti che gli erano stati impartiti e non abbassare la guardia, soprattutto ora che era a Tokyo per una missione importante.
    Quel pensiero lo mandava su tutte le furie: Kohaku era stata egoista, ma lui era stato ingenuo.
    “Solo… Posso chiederti l’enorme sforzo di darmi questa chance?”
    La risposta l’aveva scritta in faccia, nell’espressione torva e impietosa che non necessitava di parole. Lui non era il tipo che non perdona, che chiude la porta in faccia al primo errore, ma in quel caso non intendeva lasciare neanche uno spiraglio.
    «Non mi interessa chi o che cosa tu sia. Avresti dovuto pensarci prima, che ti sia di lezione.» benché il tono non fosse alterato, quelle parole avevano la stessa consistenza di schegge gelide.
    Si mise in piedi, prendendo la lattina di caffè con tutta l’aria di chi è in procinto di andarsene.
    «Puoi risparmiarti di rovinare la tua immagine di creatura angelica, non sono così spregevole da rovinare la reputazione di qualcuno per riparare un torto.»
    Per quanto arrabbiato, comprendeva che una cosa del genere avrebbe potuto costare la carriera di un’artista del calibro di NEKU. Anni di duro lavoro gettati nello scarico per tentare di riconquistare un ragazzo… non ne valeva la pena, non voleva essere la rovina di nessuno che non se lo meritasse fino in fondo. Kohaku se lo meritava, ma non fino in fondo.
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    Lazar era una bellissima statua fredda e composta davanti a lei, le braccia incrociate e l’espressione dura e bellissima, gli occhi dal colore bellissimo e magnetico a conferire maggiore freddezza al volto del russo… Per carità, vista la (giustissima) reazione precedente non si aspettava una filastrocca da recitare con i mignoli incrociati sul tavolo imprecando contro un certo diavoletto che li aveva fatti litigare, ma… Niente? Non era vacillato neanche un pochino? Macché, anzi probabilmente l’aveva pure indispettito di più visto come si era alzato e aveva preso la propria lattina ancora vuota, accompagnando il tutto con l’ennesimo rimprovero; senza nessuna idea di cosa fare se non quella di insistere, anche Kohaku si mise presto in piedi e si mise tra il russo e la porta.
    “…ma Lazar era così alto e imponente anche prima?” si chiese guardandolo dalla sua differenza di altezza… Domanda stupida, ma il porsi di Lazar non più in maniera amichevole e gentile sembrava avergli inspessito pure le spalle, oltre che i tratti del viso. In poche parole: sapeva come risultare minaccioso, e Kohaku non avrebbe mai potuto immaginarne il motivo; soprattutto perché nel mentre lo osservava, anziché provare un fiume di emozioni negative, sentiva un che di eccitazione latente risalirle la colonna vertebrale con un brivido: così imponente, anche impositivo… Nessuno si era mai comportato con un polso così fermo con lei (anche perché non ha mai dato motivo ad altri di farlo). Kohaku schiava del patriarcato? Non proprio. Sottona per Lazar Khabarov? Assolutamente sì.
    « Infatti chi è stata spregevole sono io, e rimedierò. Ti dimostrerò quanto realmente ci tengo a mantenere i contatti con te e quanto vorrei ricominciare da capo. » gli rispose con tutto il coraggio che aveva in corpo, stavolta senza scappare dagli occhi affilati del russo « Per favore, ascolta la radio domani, non ti chiedo altro. » incalzò facendo addirittura un piccolo passo verso di lui. La sua intenzione era quella di non lasciarlo andare senza un “sì”, ma sinceramente neanche ci sperava nel suo ottenimento. Semplicemente stette lì, a dividere il bel Lazar dalla porta, col cuore a batterle fortissimo e l’acidità di stomaco a farsi sentire: succedeva sempre così quando si agitava troppo, e quella volta non avrebbe di certo fatto eccezione.

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