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[CONCLUSA] Darien Lockwood & Alina Dušana, magazzino abbandonato, 12/03/2021 dalle 22:30, sereno

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    Toccava a lei? In effetti le mani le prudevano...ma non le interessava il bambino, per quanto era un tassello in più per far soffrire l'uomo , anzi, quella creaturina le faceva pena... raccolse il coltello da terra girando attorno all'uomo prima di decidere cosa fare, un po' anche per mettergli ancora più tensione e più paura addosso.
    C'era una cosa però che le era rimasta impressa, il fratello credeva di essersi salvato, forse per shock non aveva detto niente? O forse perchè era proprio come il padre?
    Di certo poteva vedere che guardava attonito alla scena, ma pensava di essere salvo, quindi si aspettava che tutto sarebbe finito presto e che avrebbe scampato la morte...invece credeva adesso, che anche quel ragazzino dovesse essere punito.
    «Sai, all'inizio pensavo di dare una morte atroce a tuo figlio...ma a me sembra che il maggiore sia troppo tranquillo, probabilmente avrà pensato meglio mio fratello, quello inutile, che me? Tu che ne pensi? Non credi sia una cosa poco carina? » Si rivolse a Darien, con un sorriso obliquo, era chiara che quell'ironia nella frase era per andare a parare in modo che l'altro tornasse ad avere paura, il fratello tra l'altro aveva pure avuto il fegato di parlare.
    «Avevate detto---avevate promesso che io sarei sopravvissuto, papà ha scelto me!»
    «Davvero glielo abbiamo promesso?» chiese fintamente perplessa guardando Darien «Non mi sembra di aver firmato nulla...» quel macrabo divertimento non era nulla in confronto alle escalation che si prospettavano per le loro future collaborazioni, ma alcuni dicevano che una preda spaventata era anche più buona.
    «Siete dei luridi mostri!»
    Non era una frase che la toccava più di tanto solitamente, ma detto proprio da lui, la irritò leggermente, sebbene cercò di restare concentrata: afferrò l'uomo per il collo sbattendolo a terra...forse non poteva usare la sua kagune, ma poteva ancora usare la sua forza.
    A giudicare dalle ossa che aveva sentito, qualche costola si era fratturato: ma non doveva morire, non ancora almeno, voleva imprimere la maggiore sofferenza possibile, e se quello che aveva scelto era il suo figlio preferito, voleva che avesse la consapevolezza che sarebbe morto.
    «Tu non sei tanto diverso da noi luridi mostri»
    Il sibillo che aveva cacciato fu piuttosto eloquente da farlo tacere, o quasi, tra i rantoli di dolore non era possibile distinguere molto altro...si staccò sentendo ancora di più la mano prudere e si diresse a passo deciso verso il figlio che era stato scartato.
    Lui sarebbe morto, ma per lui aveva una morte più veloce e indolore, a differenza invece del fratello scelto, quello preferito...credeva che essere il preferito di papà lo avrebbe salvato? Avrebbe capito a breve era forse essere scartati ...
    «vi...vi prego...lasciateli...» Rantolò l'uomo ancora a terra.
    «Adesso supplichi?» era oramai accanto al bambino, a cui aveva preso il volto tra le mani e lo fissava, quasi rispecchiandosi in quegli occhi. Nonostante tutto sembrava aver oramai capito, e sembrava quasi aver smesso di aver paura per un istante...e approfittò proprio di quell'istante per spezzargli il collo.
    Un lavoro veloce, e probabilmente non avrebbe neanche avuto una sepoltura, anzi, probabilmente sarebbe diventato cibo, un po' come era successo anche ai cadaveri dei suoi, neanche lei aveva una tomba su cui piangerli.
    «Continua» Aggiunse, voltandosi a guardare l'uomo, prima di lasciare il bambino, che senza vita cadeva a terra, in un tonfo secco.
    Il fratello maggiore, il preferito, avrebbe avuto meno fortuna.

    «Parlato Alina»
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    Darien Lockwood
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    Darien non era il tipo di persona che si lasciava sfuggire l'occasione di divertirsi. E non era neanche il tipo di persona che rinunciava all'opportunità di mettersi in mostra e vantarsi, come un gallo che se la cantava e se la suonava da solo, ma in quel momento si era deciso, si sarebbe messo da parte per un po'. La sua parte, d'altronde, sarebbe arrivata dopo un po', quando i suoi famelici denti avrebbero azzannato le succulente carni del ragazzino che, impassibile, osservava la scena. Come se quello che stava accadendo davanti ai suoi occhi, quella scena per la quale lui non avrebbe avuto modo di fare nulla, non lo toccasse minimamente.
    Darien non era una persona superficiale, e aveva capito che probabilmente la sua non era apatia, ma uno shock talmente forte da averlo bloccato sul posto.
    E, lo ammetteva, a lui piacevano molto di più quelli che se ne stavano in silenzio, senza muovere un muscolo, a realizzare quanto la loro stessa esistenza stesse venendo messa in discussione e che i loro sforzi sarebbero risultati vani, qualsiasi fossero stati, piuttosto che quelli che urlavano a squarciagola, si dimenavano, e non facevano altro se non tentare di aggrapparsi ad una speranza fasulla.
    Se prima si era dimenato, quando aveva realizzato che anche lui avrebbe fatto una brutta fine, di fronte all'omicidio del fratello il suo mondo era, con ogni probabilità, crollato all'istante, in mille pezzi. Ed era terribile da pensare, ma per Darien era un vero e proprio spasso.
    Così lo abbracciò, cingendolo per le spalle, mentre una delle mani guantate carezzava con cura la testa altrui, come se ci tenesse davvero a quel ragazzino, quando in realtà voleva solo che il lento scorrere delle sue dita tra i suoi capelli gli mettesse ancor più ansia. Voleva divertirsi con lui, voleva spaventarlo a morte, voleva che soffrisse come se non ci fosse un domani.
    Gli occhi vacui del ragazzino che, immobile, soffocava nell'inquietantemente affettuoso abbraccio di Darien, si muovevano lentamente a guardare il corpo inerme del fratello, che giaceva a terra senza vita, passando a quello della madra, riversa in un'abbondante pozza di sangue di un rosso così brillante da risultare inquietante.
    Quella scena era il dipinto di un crimine senza rimorsi né paura, se non quella dipinta negli occhi di ogni singola vittima, e lui non poteva far altro che ammirarla, soffrendo terribilmente, mentre uno degli psicopatici che li avevano condotti all'inferno lo stringeva in un abbraccio che doveva essere affettuoso, ma che gli causava solo brividi e disgusto, a cui non riusciva a sottrarsi. Quel ragazzino era completamente andato, vittima del terrore. Non riusciva più a reagire.
    «Sai perché non sei salvo?» gli sussurrò all'orecchio Darien, con fare premuroso, cullandolo tra le sue braccia. «Perché dal momento che tuo padre ti ha scelto, ti ha valutato come risorsa preziosa. E se sei prezioso meriti di soffrire ancor più atrocemente~... Così vedrai la tua famiglia morire e poi diventerai il mio giocattolo, sei felice?»
    Nessuno avrebbe desiderato stare al posto di quel ragazzino, se non qualcuno che aveva davvero voglia di farsi uccidere da Darien. E, stranamente, al mondo di persone svitate a tal punto ce n'erano, vista la sua ultima vittima: una giovane ragazza che frequentava alcuni dei locali in cui si era fiondato negli ultimi tempi, che si era invaghita dell'albino. E si era divertito a farla a pezzi mentre si struggeva, completamente impazzita tra l'agonia e il desiderio di diventare una marionetta tra le dita di Darien.
    Al mondo c'era proprio gente folle, gente che non aveva la benché minima idea dei desideri che esprimeva. E, probabilmente, una di queste era proprio Alina, che mentre terrorizzava il signor Yamashita, probabilmente non si rendeva conto di quanto quella situazione fosse una tomba, una tomba che l'avrebbe condannata e non le avrebbe più permesso di tornare indietro. O almeno, questo era quello di cui Darien si era convinto, quel che lui aveva visualizzato, ritraendosi solo come un banale esterno a cui era stato concesso di dare una sbirciatina nella travagliata vita altrui.

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    ALINA BLAŽKOVÁ DUŠANA
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    L'uomo continuava a supplicare, completamente distrutto, eppure lei non riusciva a provare empatia.
    Sapeva che quella era la sua condanna a morte, la scelta di non lasciar perdere quella vendetta, ma pensava di non aver più niente da perdere. Se solo avesse potuto usare la sua kagune... era come se sentisse un arto fantasma con sè, ma non riusciva proprio a cacciarlo fuori, sperava che quella rabbia in qualche modo l'avrebbe aiutata, ma nulla si era sbloccato in lei.
    Una volta finito, avrebbe dovuto chiedere aiuto al suo patrigno, non poteva restare ancora senza averla tirata fuori...e di certo quando aveva provato ad aprirsi quella parte da sola era stato solo peggio. Si sentiva inutile, non riusciva a fare nulla di quello che un ghoul normale faceva.
    Sperava che il desiderio di vendetta l'aiutasse, la sbloccasse, ma nulla di quello stava accadendo...non ancora almeno.
    Non riusciva neanche più a sentire le parole dell'uomo, fino all'ennesimo disperato "perchè noi? Cosa abbiamo fatto? Cosa ho fatto? Mi dispiace!" Forse erano state quelle scuse a farla scattare, tanto da prendere per il collo l'uomo e spingerlo sul pavimento su cui si creò una crepa.
    «Le scuse non riportano in vita nessuno...non aggiustano le cose....»
    Sibillò in preda alla rabbia, e si avvicinò con il volto a quello dell'uomo, sussurrandogli un «...avresti dovuto pensarci prima di tradire Blažková, lui ti credeva suo amico» Non avrebbero potuto sentire cosa si stavano dicendo, almeno nel video non sarebbe stato udibile. L'uomo a quel nome sembrò sgranare gli occhi e la guardò con una luce diversa.
    Quel "tu...?" appena biascicato, fu il segnale che nonostante la maschera, aveva capito. Probabilmente, pensava che fosse morta di fame da qualche parte, o presa come cavia dalla CCG e fatta a pezzi da qualche parte...invece era ancora lì. La stretta si fece più forte, quasi incontrollata.
    Era inutili i "perchè lo fai fatto?", non le interessavano, tutte scuse, tutte chiacchiere inutili.
    «Non....non usciremo vivi da qui...vero?»
    Non avevano mai avuto nessuna possibilità, e quella consapevolezza sembrò investirlo completamente, sarebbe morto sapendo che neanche l'unico figlio rimasto sarebbe sopravvissuto.
    «Oko za oko*» poche parole sussurrate, appena udibili, ma alla fine, l'uomo sembrò capire e alla fine la presa fu talmente stretta da sentire chiaramente il collo spezzarsi tra le sue dita.
    Lo vedeva che la fissava, con una lacrima che era scesa giusto in tempo, forse era davvero dispiaciuto, ma non importava, il primo nome sulla lista era stato depennato.
    Si alzò senza dire più una parola, dirigendosi verso la telecamera e spegnendola. Era rimasto solo il ragazzino, un peso inutile, ma di cui era sollevata si sarebbe occupato.
    «La prima parte è andata, fai quello che vuoi, ci penserò io dopo a ripulire» Aveva intenzione di scaricare il cadavere in un punto preciso, così che una certa persona avrebbe potuto recepire il messaggio: che stavano arrivando.

    *Occhio per occhio

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    Darien Lockwood
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    Il ragazzino, ancora con il volto a soffocare nel suo abbraccio, ebbe un sussulto che fu seguito, qualche istante più tardi, da una goccia che scivolò lungo la sua guancia, concludendo il suo percorso sulla manica della felpa di Darien. Ovviamente non avvertita da quest'ultimo, che nel frattempo non aveva mai smesso di carezzare con agghiacciante calma i capelli del più giovane ancora in vita, ma che si destò da quel magico momento soltanto per accertarsi che il ragazzino stesse bene.
    Come sospettava, sembrava che anche l'ultima goccia di energia vitale avesse abbandonato per sempre il corpo del ragazzino: sguardo vacuo, labbra socchiuse e il corpo immobile. Sembrava che i suoi muscoli si fossero atrofizzati lì in quello stesso istante, mentre i suoi occhi catturavano la malaugurata sorte dei suoi cari: padre e fratello accasciati a terra coi loro colli rotti, mentre la madre riversa in una pozza di sangue che aveva, finalmente, smesso di spargersi a macchia d'olio sul pavimento.
    Quella sarebbe stata, con ogni probabilità, l'ultima immagine che i suoi occhi avrebbero visto.
    Darien scrollò le spalle, come se di tutto quel che era successo non gli fregasse un accidenti. Quando vide Alina spegnere la telecamera, la sua scrupolisità lo precedette: si alzò, sgranchendosi gambe e braccia rimaste ferme in una posizione un po' scomoda per diversi minuti, avvicinandosi alla telecamera. Prima di emettere fiato liberamente e togliersi la maschera, avrebbe preferito che l'obiettivo fosse opportunamente coperto, dopodiché si preoccupò persino di svuotare il vano dov'erano conservate le pile per far funzionare l'aggeggio.
    Una volta appurato che quella telecamera non poteva riaccendersi in alcun modo, sfilò la maschera, lasciando che il cappuccio della felpa nera che indossava scoprisse i capelli bianchi come neve. Porse le pile ad Alina, un sorriso sfacciato a dipingergli il volto. Era tanto che Alina non vedeva il suo viso, temeva che si dimenticasse il volto di chi, tecnicamente, doveva comandare.
    «Non si è mai troppo attenti» commentò come prima cosa, senza più costringersi a cammuffare la voce usando un tono di voce diverso dal normale: la gola un po' gli faceva male, non era abituatissimo a modulare la voce.
    «Comunque, ricordati chi comanda: non darmi ordini» aggiunse infine con voce tagliente, mentre il sorriso spariva completamente dal suo volto, lasciando spazio ad uno sguardo gelido e poco propenso al dialogo, quantomeno pacifico. Dopo quel breve reminder, Darien tornò dalla sua preda: s'inginocchio davanti a lui, volgendogli un sorriso quasi dolce, per nulla quello che qualcuno avrebbe potuto vedersi formare sul suo volto.
    Gli carezzò il viso con ambo le mani, passandone una un po' più in alto giusto per scostare i capelli che nel frattempo erano andati a coprire parte degli occhi.
    «Mmmmh... sei un po' andato, peccato.»
    Il sorriso dolce di prima sfumò in una smorfia di totale delusione e, senza farsi remore, dopo aver sussurrato tra sé e sé un bel «have a nice meal~» affondò i denti nelle morbide carni del collo della sua preda, assaggiandone il dolce sangue, che cominciò a bere estremamente deliziato. Un urlo gelido e straziante riempì la sala, riecheggiando tra le pareti, forte e limpido, sottolineando il dolore che quel ragazzo stava provando ad essere mangiato vivo. Anche quelle sue urla erano estremamente allettanti per le orecchie di Darien.
    Si allontanò poco dopo, strappando via la carne e lasciando spazio ad un ampio squarcio tra collo e spalla destra e deglutì. Qualche rivolo di sangue bagnò i lati della sua bocca, scendendo verso il collo o sporcando la felpa.
    «Oh no» commentò appena accortosi del problema, «dovrò buttare via questa felpa...»
    Non ci volle molto prima che si girasse a guardare Alina, rivolgendole un sorriso talmente innocente da fare completamente a cazzotti con lo scenario: «Andrai a comprarmene una nuova.»

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    ALINA BLAŽKOVÁ DUŠANA
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    Lo guardò macchinare con la telecamera e lo lasciò fare: finchè non danneggiava il video non era un problema quello che faceva.
    A quella frase, alzò un sopracciglio: ma c'era o ci faceva? Non gli aveva dato nessun ordine. Almeno per lei non lo era...mamma mia se l'era scelto proprio bene lo psicopatico megalomane.
    «Tranquillo, non ho intenzione di detronizzarti»
    Era davvero un rompipalle: già sapeva che avrebbe dovuto respirare a fondo e cercare di mordersi la lingua ad una certa per non aizzarlo troppo, alle volte le sembrava di avere a che fare con un bambino.
    Un bambino viziato, psicopatico e sociopatico. Aveva decisamente fatto un patto col diavolo, se ne rendeva perfettamente conto.
    Non si lasciò intimorire dal suo sguardo, anzi, lo guardò senza battere ciglio...poteva comandare quanto gli pareva, finchè otteneva ciò che voleva...non gli avrebbero fatto effetto, almeno sperava, quegli sguardi. O almeno per ora, sperava di non iniziare ad aver paura di lui, non poteva permetterselo. Di certo però non voleva avercelo come nemico.
    Le urla che si sentirono, riecheggiarono per la stanza: non ci fece neanche troppo caso.
    Era abituata a scenari del genere, nella vita di un ghoul era ordinaria amministrazione, ma non restò a guardare, decidendo di avviarsi nella stanza accanto...almeno prima che le parlasse di nuovo lo squilibrato.
    «Dovrai darmi la tua carta di credito, Paris Hilton»
    Dubitava di avere i soldi per comprare una qualsivoglia felpa dei gusti da ricco sfondato di Darien, e non si pentì di certo di aver sottolineato l'ovvio, in effetti poteva chiamarlo Paris... qualche risata nella sua testa se la sarebbe fatta anche lei almeno. Non gli avrebbe negato la felpa, era chiaro che nella sua risposta implicasse che aveva tranquillamente capito l'ordine implicito del ragazzo, ma il discorso dei soldi non era da sottovalutare.
    «A meno che non vuoi quella del mercatino, posso anche rubarla ad un barbone»
    Il fatto che non il suo tono fosse neutro poteva rendere un po' confusi: stava dicendo sul serio o era ironica? Be', non era un suo problema che Darien capisse questa cosa. Se non gli avesse dato i soldi, sicuramente sarebbe andata a dargliene una di scarto, non si faceva mica il problema.
    Lo lasciò da solo con il suo spuntino e si sedette su uno dei vecchi divanetti che si trovavano nella stanza accanto, togliendosi finalmente la maschera, e la parrucca, lasciando la porta aperta.
    Si mise una mano fra i capelli massaggiandosi la testa, era una vera tortura quella maledetta parrucca.

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    Darien Lockwood
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    Dopo che i denti di Darien affondarono nella carne del collo del ragazzino, tutto ciò che era intorno a lui era sparito. Gli capitava di rado di mangiare in quel modo, senza che ci fossero sua madre e Gloria a decidere come, quando e cosa dovesse mangiare. Lasciarsi andare a quell'irrefrenabile voglia di carne umana era ormai diventato difficile, quasi un'imposizione: mangiava solo quello che Gloria portava a casa, e ogni tanto mangiava qualcuno che, dopo dovute ricerche, bocciava dal diventare cibo da ristorante. Insomma, la vita monotona l'aveva ormai sopraffatto e quel momento di pasto doveva goderselo bene. Era il suo momento, solo suo, solamente suo. Di nessun altro.
    Dopo essersi rivolto ad Alina, infatti, era ritornato ad ignorarla, come se lei non esistesse minimamente. L'avrebbe lasciata pulire quel pasticcio di sangue, così come poi l'avrebbe esortata a pulire la pozza di sangue che stava creando anche lui in quel momento.
    Ma mangiava, mangiava, mangiava. Non faceva altro che affondare i denti sul corpo del ragazzino, con una frenesia tale che pareva fosse più spinto dall'adrenalina del momento, piuttosto che da vera e propria fame e desiderio di cibo.
    Più passava il tempo, più le urla del ragazzino perdevano vigore e s'affievolivano. Non era una cosa che si aspettava durasse in eterno, ad essere onesti, ma mangiare con le sue urla in sottofondo era decisamente più bello.
    Quando l'enorme sala si svuotò da quel suono straziante, e Darien sentì il corpo del bambino afflosciarsi contro il proprio petto, fu abbastanza chiaro e lampante ciò che era successo: l'aveva ucciso.
    Si scostò dal corpo ormai morto di lui, si pulì gli angoli della bocca strofinando la manica della felpa contro la propria bocca e, di punto in bianco, si mise ad esaminare il corpo, completamente privo di anche solo una goccia di rimorso. Il rimorso e il pentimento erano riservati ai deboli, a chi come lui non poteva far altro che accettare di essere un ghoul e che cibarsi di carne umana era nella loro natura, ma che decideva di autoproclamarsi un mostro. Quella gente era debole. I veri mostri erano quelli che non accettavano la loro natura, e quindi meritavano di soccombere.
    «Uffa, è morto.»
    Il sonoro sbuffo di Darien riecheggiò nella stanza. Forzato come poche cose, era tutta una scenata. Non aveva avuto modo di godersi abbastanza il soave suono delle urla altrui ed ora che erano finite molto prima del previsto, il suo divertimento era andato a rotoli. Che disdetta.
    Lasciò andare il corpo mangiucchiato, pieno di morsi ovunque gli avesse tolto i vestiti e, con fare estremamente indignato, Darien si alzò in piedi, pulendosi le mani contro la propria felpa. Tanto l'avrebbe buttata via, insomma, non c'era niente che potesse fare.
    «Tu!» tuonò ad un certo punto, girandosi a guardare la sua schiava. Era arrivato il momento che più desiderava: mostrarle chi comandava sul serio e, di conseguenza, cominciare a farla sgobbare come meritava.
    «Non ho più voglia di questo qui, quindi mangiatelo tu.»
    Non era un gesto di magnanimità, tutt'altro: era dimostrare di essere una persona capricciosa e schizzinosa, che perdeva interesse nel proprio cibo se quest'ultimo non risultava come se l'aspettava. Era dimostrarle che lui era il padrone e lei era il cagnolino che doveva spazzolare via i suoi avanzi.
    All'inizio era meglio, ma una volta morto aveva perso importanza. Assurdo.
    «Pulisci tutto questo casino, mangia e poi vammi a comprare una felpa dal primo negozio tarocco che trovi.»
    No, al contrario di quel che Alina pensava, Darien non aveva voglia di spendere fior fior di quattrini per una semplice felpa nera. Doveva andare in giro a cacciare, non doveva andare a fare lo splendido: per quanto Darien fosse una persona estremamente fissata con l'apparenza, quando era la sua natura di ghoul a doversi spostare per tutta Tokyo, i soldi non erano quello che doveva prevalere, in nessun modo. Doveva dare l'idea di non essere facilmente riconducibile ad una persona benestante, doveva risultare il più anonimo possibile. Quindi, per quanto fosse estremamente selettivo e schizzinoso, non avrebbe permesso che la sua mise da ghoul potesse essere un indizio per ricondurre più facilmente a lui. E, oltre a ciò, sapeva perfettamente che Alina non poteva permettersi di mettere piede in un negozio di marca: non le avrebbe consegnato la sua carta, non le avrebbe permesso di vivere una finta vita agiata anche solo permettendole di andare a comprare cose per lui. Lo shopping serio lo faceva da solo. E poi era un modo per umiliarla maggiormente: era come se le stesse comunicando, implicitamente, quanto lei non avesse alcun valore, indi per cui nessuna possibilità di anche solo sperare di mettere piede in una boutique di lusso. Non avrebbe potuto farlo per se stessa, e non lo avrebbe fatto per lui.
    «Io me ne vado» comunicò dunque, sfilandosi la felpa e gettandola per terra, come se fosse improvvisamente diventata uno straccio qualunque, «ricordati di comprarmene una nuova.»
    Detto questo, dopo aver preso le sue cose ed essersi opportunamente rivestito (facendo anche attenzione a rimettere la parrucca che aveva indossato per rapire gli Yamashita), Darien abbandonò la stanza, senza neanche salutare Alina. Il suo lavoro, per quella sera, era finito lì. Sarebbe stato lui a ricontattarla una volta deciso quando era pronto per darle una mano con il suo piano di vendetta.

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