Strike the target

Yun-ho Son & Atsushi Sakamoto @ poligono di tiro • 14/06/2021 h dalle 09:00 • nuvoloso

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    Son Yun-ho
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    Giorno libero, ma la sveglia immancabile alle 5:30 del mattino non gliela poteva togliere nessuno.
    Cosa mai poteva esserci di magico e divertente da fare nel giorno libero di qualcuno la cui vita girava unicamente intorno al lavoro? Esatto, niente. O forse tenersi impegnati con qualcosa che aveva, in un modo o in un altro, a che fare con il lavoro.
    E cosa mai poteva fare Yun-ho di inerente al lavoro proprio nel suo giorno libero? Allenarsi.
    Perché, come tutti sanno, l'allenamento è il sale della vita di chi lavora in ambiti in cui è richiesto grande sforzo fisico, altrimenti si perdeva gradualmente la capacità di fare qualcosa che, nel corso degli anni, era diventato estremamente naturale.
    E quindi la sveglia alle 5:30 era susseguita da un alzarsi dal letto della sua stanza nel dormitorio alle 5:32. Una veloce sciacquata al viso e poi fuori a correre per il vicinato.
    Era così ogni giorno.
    E dopo la corsa? Dritto nella propria stanza a farsi una doccia.
    E dopo la doccia? O si andava in palestra o si andava al poligono di tiro della CCG per allenare la mira e mantenerla ben definita e precisa.
    In quel suo giorno libero, la meta era proprio il poligono di tiro, che raggiunge pochi minuti più tardi rispetto all'apertura. Come da routine.
    «Investigatore Son, è un piacere averla di nuovo qui.»
    Il cordiale saluto dell'addetto alla reception che non mancava mai di arrivare raggiunse le orecchie del coreano che, nel frattempo che era si era abbandonato a quella breve passeggiata per raggiungere il poligono, erano state assalite dagli auricolari. Spenta la musica e posati gli auricolari, quindi, volse l'accenno di un sorriso a colui che l'aveva appena salutato: incredibile com'era passato il tempo ma come ancora non riuscisse a dare abbastanza confidenza a quell'uomo che vedeva fin troppo spesso, al punto che le uniche parole che gli rivolgeva erano quelle di informarlo che avrebbe fatto sempre il solito, ovvero prima allenarsi con una normale pistola, per poi passare agli allenamenti con il fucile di precisione.
    Beh, ovviamente la richiesta era sempre introdotta da un saluto di cortesia... e basta. Niente di più, niente di meno.

    E fu così che quindi raggiunse la sua postazione: infilò i guanti, mise le cuffie per ripararsi dal forte suono dei colpi di pistola, mise gli occhiali in plastica per ripararsi da eventuali eccessi e, semplicemente, impugnò la pistola con ambo le mani, si mise in posizione e cominciò a sparare.
    Eccola, quindi, la triste e mai scomposta routine di Son Yun-ho, un uomo che dalla vita aveva imparato a ricavare soltanto la voglia di fare sempre le stesse cose, la dedizione per il lavoro e niente che spezzasse la monotonia lavorativa di un uomo che era cresciuto con l'unico scopo di lavorare.
    Yun-min, il fratello minore ancora rimasto in vita, ogni tanto tentava di trascinarlo fuori dalla sua monotonia, spezzando quel circolo vizioso qual era la sua routine, ma non sempre aveva successo: o Yun-ho non aveva voglia, oppure era Yun-min stesso ad essere impegnato proprio nei giorni liberi dell'investigatore. E, sotto sotto, un po' era felice di non avere distrazioni.

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    Atsushi Sakamoto
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    « Buongiorno! » salutò un gioviale Atsushi con un bel sorriso una volta arrivato alla reception del poligono di tiro della CCG, una piccola scatola di cartone nella mano.
    « Oh Atsushi! Buongiorno a te. » ricambiò l’altro, pronto a scoprire cosa gli aveva portato il più alto stavolta.
    « Tieni, un muffin con marmellata ai frutti rossi. Spero ti piaccia. »
    « Ooh grazie! Ma sai che effettivamente avevo un buco allo stomaco? Ci voleva proprio. » ringraziò l’altro prendendo il dolcetto incartato e cominciando ad armeggiare per toglierlo dal sacchetto.
    « Senti… C’è una postazione libera? » chiese Atsushi con lieve difficoltà, e l’altro si fermò, alzando lo sguardo verso di lui. Quella preoccupazione sul viso fu fin troppo lampante perché Atsushi non la vedesse, sebbene l’altro fece successivamente in modo di nasconderla… Ma era troppo tardi.
    « Sì certo, sono tutte libere, c’è solo l’investigatore Son. » gli rispose dunque, Atsushi sorrise forzatamente, ringraziò e si diresse verso le postazioni del poligono di tiro. L’uomo alla reception sospirò: sapeva già cosa stava per accadere. E anche Atsushi stesso in realtà.
    La percezione della profondità di Atsushi era ancora un problema, stava cominciando ad andare meglio con le distanze ravvicinate nonostante l’istinto a mettere sempre una mano avanti a sé con discrezione per evitare di dare testate a praticamente tutto, ma con la visione da lontano… No, proprio non riusciva a migliorare. Aveva un’ottima mira prima, ora invece era un pericolo pubblico… Per fortuna al poligono di tiro poteva stare tranquillo di non ammazzare nessuno, a parte la propria psiche: vedere quanto i suoi risultati fossero negativi marcava di netto quanto fosse un peso per la CCG, quanto il suo migliorare fosse un timido accenno, ma soprattutto quanto il suo ritorno sul campo fosse solo un desiderio estremamente lontano.
    Ogni volta faceva sempre più male, ma d’altro canto non poteva neanche smettere di provarci o non avrebbe mai più risolto il suo problema. Insomma, un po’ un circolo vizioso distruttivo che riusciva a demoralizzare anche un inguaribile positivo come Atsushi Sakamoto.
    « Buongiorno! » salutò con un sorriso teso mentre oltrepassava la postazione occupata dall’investigatore Son, dunque si posizionò a quella di fianco alla sua, posò il vassoietto al lato del piccolo banchetto, prese e inforcò gli occhiali protettivi, quindi le cuffie isolanti, e con le mani tremanti caricò la pistola con quei gesti meccanici di chi li sa a memoria, ma rallentati dalla pressione che sentiva sulle spalle; quindi si mise in posizione, guardò dalla canna della pistola verso la testa del bersaglio, e sparò.
    Mancò il bersaglio.
    Sparò di nuovo.
    Mancato di nuovo.
    Una terza volta, strizzando l’occhio e mirando a qualcosa di più grande come il petto.
    Prese a malapena la mano sinistra.
    « Maledizione! » si lasciò sfuggire insieme alle lacrime, e se senza lacrime aveva beccato di striscio una mano della sagoma, con le lacrime di mezzo andò completamente a vuoto.
    Sapeva che non sarebbe dovuto andare lì, e lo sapeva anche il collega alla reception.

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    Son Yun-ho
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    L'investigatore coreano, sfortunatamente, si era isolato nel proprio mondo fatto di bersagli, pistola e proiettili dal momento in cui aveva inforcato gli occhiali protettori e sistemato le cuffie paraorecchie. E quando la concentrazione s'impadronì di Yun-ho, tutto ciò che accadde attorno a lui divenne superfluo.
    No, non salutò l'agente Sakamoto. Non lo fece con cattiveria, anzi, normalmente avrebbe ricambiato il saluto anche solo per una mera questione di formalità... ma la micidiale combo tra paraorecchie e la concentrazione che lo isolava da ogni possibile suono, unita allo sguardo fisso sul bersaglio cartaceo che aveva di fronte, non gli permisero di accorgersi di Atsushi almeno finché non si accorse che il bersaglio accanto al proprio veniva scosso dai proiettili. O dall'aria che il proiettile produceva, mancando però il bersaglio totalmente.
    Guardò il proprio bersaglio, bucato quasi perfettamente nelle aree che aveva puntato. Poi passò nuovamente a guardare quello del collega, mise la sicura alla pistola e sfilò il paraorecchie giusto in tempo per poter sentire l'imprecazione altrui, che contrasse il viso di Yun-ho in una a malapena accennata espressione di stupore.
    In occasioni come queste doveva ammettere che non sapeva mai cosa fare. Affacciarsi e fare domande o suggerire istruzioni avrebbe potuto far sentire offeso o umiliato il collega, perciò avrebbe volentieri evitato... se non fosse stato che l'altezza e l'ampia schiena dell'uomo della postazione accanto furono un identikit sufficientemente eloquente per comprendere di chi si trattava. E, ad essere del tutto onesti, con quel che Sakamoto Atsushi aveva passato, una mano in più non poteva guastare. Aveva lavorato in passato con colleghi rimasti feriti sul campo, gente che vedeva il danno subito come il più insormontabile degli ostacoli. Non sapeva come ci si potesse sentire, ma ciò che era certo era che Yun-ho aveva imparato come approcciarsi alle persone che affrontavano momenti come quelli.
    «Concentrati.»
    Una parola, seguita dal suo raggiungere il collega. Forse non era proprio la persona con più tatto al mondo, visto che non rimase per nulla scosso nel veder Atsushi piangere. In realtà era una scena che aveva visto così tante volte in pochi anni che, purtroppo, non gli suscitava più lo stesso effetto di una volta. Se Atsushi era disperato al punto da sentire il bisogno di piangere, non l'avrebbe di certo fatto sentire in difetto per questo, ma l'avrebbe aiutato.
    «Impugna la pistola con entrambe le mani, tieni la presa salda e al tempo stesso morbida, così da accompagnare il rinculo ma non farti sfuggire la pistola» continuò. In realtà erano cose che con ogni probabilità Atsushi già conosceva. «E spara. Mostrami il margine d'errore.»
    Se perdere un occhio aveva danneggiato così tanto la sensibilità visiva e il calcolo delle distanze di Atsushi, forse comprendere il margine d'errore era ciò che serviva per aiutarlo a sparare meglio.
    ... certo, non prima di aver asciugato quelle lacrime. Frugò tra le proprie tasche, trovando il fazzolettino di stoffa con le sue iniziali che sua madre gli aveva regalato, per il quale non sentiva alcun valore affettivo e, senza troppi giri di parole, lo porse ad Atsushi, non accennando mezzo sorriso. Non era solito farne, d'altronde.
    «Forse è meglio se prima...» e si fermò.
    Yun-ho si stava seriamente impegnando per dimostrare di avere un po' di sensibilità. Era difficile, ma ci avrebbe provato.

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    Atsushi Sakamoto
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    « Concentrati. »
    Atsushi sobbalzò sentendo la voce alle sue spalle, non avendo udito altri rumori a parte quello, e quando si voltò di scatto vide proprio l’investigatore Son Yun-ho. Non aveva opinioni su di lui: una persona seria e diligente che lavorava con serietà; molti lo giudicavano troppo duro, altri noioso, altri ancora semplicemente pensavano ai fatti propri. Atsushi semplicemente salutava tutti e basta.
    « Investigatore Son- » lo chiamò sorpreso, posando la pistola con sicura inserita per togliersi cuffie e occhiali, pronto a scusarsi per averlo disturbato, ma il coreano parlò ancora: gli dette indicazioni per sparare ancora, per “mostrargli il margine d’errore”. Voleva aiutarlo? Davvero? Il volto di Atsushi era animato dalla sorpresa in quel momento: non se l’aspettava, men che meno da una persona così riservata come Son Yun-ho.
    « Oh, sì, subito. » annuì brevemente recuperando una postura dritta da soldato, e si voltò a posare occhiali e cuffie per prendere la pistola: voleva assicurarsi di sentire cosa l’investigatore Son avesse da dirgli, per questo preferì non usare protezioni, per quanto sicure.
    « Forse è meglio se prima… » disse ancora l’altro, e quando Atsushi si voltò lo vide porgergli un fazzoletto. Non capì all’inizio, ma l’attimo dopo sì: stava piangendo fino a poco prima, che imbarazzo, che scena pietosa.
    « Sì… Ha ragione, chiedo scusa per lo spettacolo indecoroso. » sospirò accettando il fazzoletto per asciugarsi l’occhio e la metà del viso bagnata. Era proprio morbido quel fazzoletto, e solo dopo notò che vi era ricamato qualcosa… No, non poteva restituirglielo da sporco.
    « Glielo rendo una volta lavato a dovere, grazie mille e chiedo ancora scusa. » e dopo un inchino e aver messo da parte il fazzoletto, riprese la pistola togliendone la sicura, si mise in posizione, un bel respiro, e sparò un colpo prendendo la mano alla loro destra della sagoma.
    « Miravo alla testa… » commentò mogio, sconsolato, sospirando poi. L’aver perso l’occhio destro aveva finito col fargli perdere totalmente la mira, e ogni giorno vedeva il giorno nel quale l’avrebbe recuperata sempre più utopistico.

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    Son Yun-ho
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    A ben pensarci, era la prima volta che Yun-ho si stava prestando ad aiutare qualcuno da quando era stato trasferito a Tokyo.
    A dire il vero, però, non era proprio il tipo di persona che metteva da parte ciò che faceva per aiutare qualcun altro: non perché fosse meschino o disinteressato, semplicemente era il tipo di persona tanto ligio al dovere da voler sempre finire ciò che stava facendo. Quella situazione non faceva granché eccezione: il caricatore della pistola si era esaurito e necessitava di essere cambiato, indi era semplicemente finita la prima parte della sessione di allenamento di quel giorno.
    Sapeva bene che, dopotutto, non aveva proprio la personalità del buon samaritano: sforzarsi di aiutare tutti in qualunque situazione era davvero troppo, si impegnava e dava una mano solamente quando sapeva che il suo aiuto avrebbe portato dei vantaggi. E quello era il caso di quel giorno.
    Non aveva mai conversato tanto con i colleghi, perciò si stava semplicemente comportando come avrebbe fatto con chiunque: il tono atono, il volto apparentemente inespressivo, dalla bocca uscivano solamente istruzioni come se Son Yun-ho fosse, in fin dei conti, una macchinetta incapace di provare emozioni. Nonostante non fosse così, sul luogo di lavoro aveva sempre cercato di mantenere le distanze, limitando l'influenza della sua sfera emotiva: sapeva dispiacersi, sapeva rattristarsi, così come sapeva gioire dei momenti piacevoli. Ma permettere alle sue emozioni di influenzare il suo lavoro... no, quello era fuori discussione. Non avrebbe pianto per la scomparsa di un collega, non avrebbe gioito e festeggiato per una promozione o una buona notizia, non si sarebbe dispiaciuto per un collega in difficoltà. Ma questo non gli impediva di intervenire per permettere alle persone attorno a lui di stare meglio.
    Atsushi nel frattempo si era asciugato l'occhio e la parte del viso bagnata, per poi promettergli di rendergli il fazzoletto una volta pulito.
    «Non c'è bisogno, non si preoccupi» mormorò, ma fu troppo tardi: l'investigatore Sakamoto non solo aveva già deciso di testa propria che così avrebbe fatto, ma aveva persino riposto il fazzoletto prestatogli in modo da prendere subito in mano la pistola. Yun-ho trattenne un sospiro rassegnato e lo lasciò fare, convinto che se era quel che Atsushi avrebbe voluto fare, così lo avrebbe lasciato fare, concentrandosi piuttosto su quel che il collega stesso stava facendo.
    Un unico proiettile abbandonò la canna della pistola, che in un battito di ciglia perforò la sagoma sulla mano sinistra. Yun-ho rimase impassibile e quando lo svedese gli disse a cos'avesse mirato, incrociò le braccia sul petto, rimanendo ad osservare la sagoma per un po'. Gli occhi scuri andavano dalla testa alla mano colpita e viceversa, così per un intero minuto.
    «Può sparare altri due colpi? Per capire meglio.»
    Da un unico sparo non avrebbe potuto comprendere del tutto quale fosse il margine d'errore, i casi singoli erano troppo personali per rientrare all'interno di una possibile statistica. Non poteva calcolare e, di conseguenza, non avrebbe potuto aiutarlo.
    «Questa volta, però, provi a fingere di chiudere l'occhio destro e porti la pistola alta quanto basta perché l'occhio possa vederla e leggerne meglio la traiettoria.»
    Il coreano non poteva sapere se quel consiglio avrebbe migliorato la mira dell'agente Sakamoto, così come ben comprendeva che i miglioramenti avrebbero avuto spazio in un tempo più o meno lungo, proprio per riabituare il corpo alle normali gestualità senza dover contare sull'occhio destro. Però, se fosse riuscito a mirare meglio, sarebbe stato un piccolo passo in avanti nella carriera di Atsushi.

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    Atsushi Sakamoto
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    L’investigatore Son continuò a tener fede alla sua nomea, e con tutta la serietà del mondo non si perse in eventuali derisioni o rimproveri, piuttosto portò gli occhi alla sagoma pensoso, e Atsushi non disse nulla per non disturbarlo: d’altronde gli stava già facendo un favorone, di certo non si sarebbe messo a farci comunella disturbandolo, o peggio indispettendolo.
    Il coreano non ci fece attendere, chiedendogli di sparare ancora ma invitandolo a cambiare posizione con consigli ben mirati e senza tremolii nella voce quando accennò di provare a fare come se stesse chiudendo l’occhio; molti, praticamente tutti, avrebbero evitato di farne menzione, e Atsushi si sentiva ancora più in difetto di loro quando lo notava… Almeno Yun-ho e il suo essere così diretto gli aveva risparmiato un tale strazio.
    « Certo. » annuì dunque, e si voltò nuovamente verso la sagoma mettendosi automaticamente in posizione; lì si concentrò nell’immaginarsi di star semplicemente chiudendo l’occhio ora mancante, come gli aveva detto Yun-ho, portando quindi la pistola più a sinistra rispetto al normale, mirando nuovamente alla testa della sagoma.
    Un bel respiro, concentrazione, fuoco.
    Quattro colpi vennero sparati, creando fori rispettivamente nell’avambraccio sinistro, nel fianco, all’orecchio sinistro e l’ultimo proiettile sfiorò a malapena il lato destro del collo della figura. Senz’altro un miglioramento, un po’ tremolante ma un miglioramento.
    « Usare una posizione sbilanciata rispetto al solito è… Strano, ma forse si tratta solo di doverci fare l’abitudine. Cosa ne pensa? » gli chiese dunque, voltandosi a guardarlo. Che ci fosse realmente una speranza per lui? Senz’altro però l’apporto di Yun-ho avrebbe cambiato qualcosa, se lo sentiva, d’altronde le capacità del collega erano conosciute anche da lui.

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    Son Yun-ho
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    Fortunatamente per Yun-ho, Atsushi sembrava essere il tipo di persona che eseguiva gli ordini e seguiva i consigli come se ne dipendesse la sua stessa vita. Per quanto il momento fu abbastanza imbarazzante e delicato per entrambi ― Sakamoto Atsushi aveva vissuto una mutilazione alquanto debilitante, molto più di quanto qualcuno si aspetterebbe, mentre Yun-ho non era proprio Mr. Tatto-da-piuma ―, la scioltezza di uno e la voglia di rimettersi in gioco dell'altro avevano aiutato molto a sorvolare sul possibile imbarazzo che una situazione del genere poteva comportare.
    Inutile negarlo, Yun-ho stesso non avrebbe saputo come approcciarsi alla vita di tutti i giorni se gli fosse accaduto qualcosa che avrebbe potuto potenzialmente buttare nel bidone della spazzatura tutti gli sforzi fatti per arrivare dov'era arrivato. Ricominciare da capo non era mai semplice, specie se si conviveva con la consapevolezza di aver fatto sacrifici, di essersi impegnati, di aver messo in gioco la propria vita per arrivare ad ottenere determinati risultati.
    Mentre il coreano osservava il collega cercare di seguire i suoi consigli, Yun-ho non aveva potuto far altro che abbandonarsi a quei pensieri. Gli occhi scivolarono prima a guardare la figura del collega, per poi transitare verso l'obiettivo, che in pochi secondi venne ancora una volta trafitto dai colpi della pistola noleggiata da Atsushi.
    Non era facile. Non lo era affatto, e anche se non aveva sperimentato nulla del genere, il pensiero che potesse accadere anche a lui un po' gli faceva mancare l'aria. La vista e la mira erano tutto quello che aveva ed era per quel motivo che, forse, si era sentito quasi in dovere di dargli una mano. Immaginarsi nella stessa situazione di Atsushi, già, aveva un suono terrificante.
    «Non è andato male» mormorò quando lo svedese gli domandò cosa ne pensasse, ed ecco che gli occhi scuri e sottili del coreano ritornarono a posarsi sul volto dell'investigatore, non accennando a cambiare espressione neanche per un attimo. Sempre serio, così tanto che la gente aveva finito di domandarsi se ci fossero problemi con lui. O almeno, questo lo potevano dire solo chi aveva anche solo l'abitudine di incrociarlo per gli uffici.
    «Piuttosto, cosa ne pensa lei? Oltre al fatto che fosse strano, certo.»
    Le sensazioni di Atsushi erano più importanti delle sue. Il critico e vigile occhio esterno di Yun-ho poteva solo fungere da punto di riferimento, per orientarsi verso una direzione precisa, ma le sensazioni personali facevano molto di più dell'opinione di un esterno che non sapeva che cosa volesse dire convivere senza un occhio.
    «Partendo dal modo in cui ha deciso di applicare il consiglio, per esempio, a cosa ha mirato per ogni singolo colpo? Sempre lo stesso punto, oppure ha cambiato leggermente traiettoria? È fondamentale capirlo per calcolare un margine d'errore più preciso, in modo da lavorarci meglio.»
    Ecco perché sapeva di poter aiutare soltanto in alcuni contesti. Era un ottimo ascoltatore e un pessimo oratore, specialmente quando parlare prevedeva donare conforto. Non aveva donato conforto ai suoi genitori quando Yun-sang era scomparso, così come non era riuscito a guardare in faccia Yun-min, che forse era quello che aveva sofferto più di chiunque altro la morte del fratello gemello. Non era bravo con le parole, certo, ma con i tecnicismi... quelli sicuramente di più. E se aiutare Atsushi equivaleva non a fargli da spalla su cui piangere tutte le lacrime che aveva in corpo, ma orientarlo verso un diverso approccio alle armi da fuoco, quello sicuramente era più fattibile.
    «... per il resto, sarà questione di abitudine.»
    Si stava sforzando di essere più delicato, però, e questo avrebbe dovuto fargli onore.
    «Può continuare a provare, cambiare posizione potrebbe esserle di grande aiuto, anche per capire come approcciarsi in maniera differente alla cosa.»

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    « Piuttosto, cosa ne pensa lei? » dritto al punto, l’investigatore Son non si smentiva mai; non che fosse un problema, d’altro canto. Cosa ne pensava lui oltre al fatto che fosse strano? Bella domanda. Atsushi si voltò nuovamente verso il bersaglio, esaminandolo come se le risposte fossero tutte scritte lì.
    « Ho mirato alla testa, ma non ho la mano ferma, essendo che tengo la pistola in modo sbagliato. » gli descrisse seguendo le sue domande, voltandosi nuovamente verso di lui e annuendo alla sua proposta di cambiare posizione.
    « Proverò senz’altro, grazie mille per tutto l’aiuto. » gli sorrise dunque con un cenno del capo: era senz’altro più fiducioso adesso che aveva un’alternativa, un modo di pensare differente che poteva senz’altro aiutarlo anche in tutte le altre faccende come il cucinare, ad esempio! E a proposito di cucinare, si ricordò del cesto che aveva lì con sé, ne prese un muffin e lo consegnò al coreano.
    « Per lei. E’ un muffin con marmellata di frutti di bosco, spero le piaccia. » gli presentò « Purtroppo non è fatto in casa, non riesco ancora a destreggiarmi con la cucina come prima, ma posso assicurarle che è fatto con ingredienti ottimi. » annuì soddisfatto, come se andasse fiero di quel dolcetto.
    « Se ne vuole altri basta chiedere, anche perché devo sdebitarmi per il grande aiuto che mi sta dando. E’ davvero molto gentile da parte sua. » aggiunse poi con un velo d’imbarazzo, ma non intendeva rimangiarsi le parole o che: era davvero convinto di quel che aveva detto, e ne era sinceramente contento e lusingato.

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    Il coreano ascoltò le parole di Atsushi in silenzio, lasciando che lo sguardo analizzasse ancora una volta il bersaglio, cercando di capire meglio quale fosse stato il miglioramento del collega, anche solo presumibilmente. Ciò che c'era di positivo era sicuramente l'esser riuscito a colpire il bersaglio nell'effettivo, ma le condizioni dello svedese non sarebbero di certo migliorate dall'oggi al domani: avere fatica a centrare un bersaglio era normale quando si era agli inizi, ma quando si riscontrava un'effettiva difficoltà dopo tanto impegno, pensare di ritornare sul campo era molto più complicato di quanto si potesse immaginare.
    Dopotutto, pensava, non erano stati addestrati per essere dei normali agenti. Ciò che combattevano erano dei ghoul, molto più veloci, resistenti e forti di qualsiasi essere umano. E se c'era difficoltà a centrare un bersaglio immobile, quanta difficoltà poteva riscontrare nel centrare un bersaglio in movimento?
    Fortunatamente Yun-ho non era così sconsiderato dal tirare fuori anche quei pensieri. Un po' di tatto nei confronti di una persona che stava facendo di tutto pur di riprendere manualità e dimestichezza con qualunque cosa era doveroso. Al di là di quanto, al contrario, lo stesso Yun-ho fosse senza peli sulla lingua.
    Perciò ingoiò il rospo e tentò di sorridere al collega, il che si rivelò essere un leggerissimo e quasi impercettibile curvarsi delle labbra, almeno finché l'espressione a metà tra il serio e il rilassato non venne spezzata da della vera e propria sorpresa.
    Stava per dirgli che aveva fatto solo quello che sentiva giusto fare e che non c'era bisogno di ringraziarlo, quando tra le mani di Atsushi ― e, poco dopo, nelle proprie ― sembrò quasi spuntare all'improvviso un muffin, che lo svedese gli rivelò essere farcito con marmellata di frutti di bosco.
    L'investigatore sbatté le palpebre per una manciata di secondi che parve interminabile, prima di rivolgere lo sguardo, il volto ancora contrito da un'espressione sorpresa, al collega, senza dire una parola inizialmente.
    Non era abituato alle gentilezze dei colleghi. Era abituato all'indifferenza e all'egocentrismo, specialmente in ambienti come quelli, dove pensare a se stessi e a migliorarsi individualmente, senza badare a chi vi era intorno, era ciò che importava maggiormente per guadagnarsi il successo. Non che lui fosse esente da tutto ciò, assolutamente, migliorarsi rientrava anche tra i suoi obiettivi, ma...
    Ma fu strano, doveva ammetterlo. Così tanto che per una buona volta in vita sua aveva finalmente cambiato espressione ― nel contesto lavorativo, s'intendeva. Al di fuori del lavoro era una persona meno seria di come si mostrasse di fronte ai colleghi.
    «Non c'era bisogno, sul serio, ma la ringrazio per la premura.»
    Sarebbe stato un ottimo spuntino prima del pranzo, anche se non era abituato a mangiare dolci come spuntino.
    ... no, in verità non era abituato a mangiare dolci in generale, ma quello era un altro paio di maniche.
    Con ancora il muffin tra le mani, Yun-ho cercò di riprendersi e tornare il solito Yun-ho dall'espressione seria e apparentemente inscalfibile, rivolgendo ancora una volta lo sguardo verso il tabellone per liberarsi in via definitiva dell'imbarazzo da cui era stato travolto.
    «Perciò» riprese la parola, schiarendosi la gola con un leggero colpo di tosse, «provi ad allenarsi così. Cerchi di comprendere il margine d'errore, per aggiustare la mira e adattarsi meglio alle sue condizioni. Sicuramente troverà un punto d'incontro che possa aiutarla, anche se l'avverto che non sarà facile.»
    Meglio essere sinceri e non illuderlo che avrebbe ripreso a sparare come prima, quello era quasi fuori discussione. Quasi, sì, perché non si poteva mai sapere.
    «Se ha ancora bisogno posso trattenermi un po' di più, non vado di fretta.»
    Avrebbe solo posticipato di qualche manciata di minuti la sua sessione di tiro con il fucile di precisione, niente che avrebbe stravolto i suoi programmi.

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    Come già detto in precedenza, Atsushi non aveva avuto chissà quali interazioni con l’investigatore Son prima di quell’incontro, semplicemente qualche sporadico “buongiorno” quando si incrociavano per i corridoi, e non era neanche facile che accadesse; quindi, quel che aveva su di lui erano racconti, racconti di come fosse una persona forte, che va dritta al punto, forse un po’ fredda. Ma davanti alla fin troppo palese sorpresa del coreano nel ritrovarsi un muffin tra le mani, Atsushi combatté per tenere per sé una risata: sì, Son Yun-ho era una persona forte, determinata, che va dritta al punto, che non risparmia le critiche nel caso ce ne siano, ma era anche una persona davvero gentile, e già il fatto che l’avesse aiutato con la mira la diceva lunga. Ma comunque Atsushi fu davvero molto contento di vedere il suo dono aver fatto breccia in quella facciata austera: voleva dire che era stato realmente gradito, no?
    « Grazie a lei. » scosse brevemente il capo Atsushi con ancora il sorriso sulle labbra, che andò a trasformarsi in un’espressione più neutrale man mano che ascoltava il teneramente goffo tentativo di Yun-ho di tornare sull’argomento principale; l’altro non lo fermò, non c’era bisogno di infierire nel suo evidente imbarazzo, anzi sarebbe risultato qualcosa di sgradevole e non lo voleva assolutamente.
    « Certamente, lo farò. Mi sto allenando tanto sulla percezione della profondità e sto reimparando a fare tutto anche senza un occhio, pian piano riuscirò a tornare a sparare decentemente, anche solo per difesa. » annuì ancora, rincuorato: Yun-ho aveva ragione nel dirgli quanto non fosse facile tornare a combattere, d’altronde ci volevano ottimi riflessi, e non avendo parte del campo visivo solito era ancora più difficile… Ma dopo quella sessione, sentiva di poter migliorare davvero la sua mira, pian piano e con tanta costanza, ma finalmente sentiva la cosa come possibile.
    « Oh, la ringrazio molto, ma non voglio disturbarla oltre. » sorrise appena in imbarazzo, dunque prese le cuffie isolanti tra le mani e gli sorrise ancora « Possiamo sparare insieme, però. Anche nei prossimi giorni, se le va. » gli propose con la fanciullezza sul volto: qualche smaliziato avrebbe potuto accusarlo di avergli proposto un appuntamento… Ma no, Atsushi intendeva davvero il puro e semplice continuare a esercitarsi insieme, una compagnia non invasiva ma quel tanto che bastava perché non si sentissero soli; non che questo fosse un ostacolo per Yun-ho, che per quanto ne sapeva Atsushi era sempre solo, ma per sé stesso avere compagnia era un gran bell’incentivo a continuare. E magari così avrebbe potuto trovare il modo di sdebitarsi, un muffin non bastava di certo!

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    Fu difficile ammettere a se stesso quanto il gesto del collega lo avesse colto alla sprovvista: non era abituato agli atti di cortesia altrui, se non per una mera forma di rispetto tra colleghi. Di solito la gentilezza la vedeva più nei rari momenti che trascorreva con suo fratello minore, che essendo molto più espansivo e propenso alle sdolcinatezze rispetto a lui, lo riempiva sempre di inaspettata tenerezza.
    Se da un lato comprendeva perché Yun-min fosse tanto caloroso nei suoi confronti, difficilmente riusciva a capirlo nei colleghi. Ma era un suo difetto e questo purtroppo lo sapeva benissimo: non era in grado di lasciarsi andare nei luoghi di lavoro, troppo fissato con le regole e il suo essere un inguaribile stacanovista per permettersi di rilassare le spalle e godersi attimi pacifici come quelli.
    Era solo un muffin. Se l'era ripetuto più e più volte in quei pochi attimi, eppure c'era sempre qualcosa che lo colpiva: Atsushi era una bravissima persona, gentile e disponibile, che nonostante le proprie difficoltà aveva la premura di pensare anche agli altri. Un atteggiamento ammirevole, ma che poteva essere un'arma a doppio taglio.
    Se si fosse trattato di qualcuno con cui era più vicino, lo avrebbe certamente ragguagliato su quanto fosse sbagliato che si lasciasse andare così facilmente con persone con cui non aveva confidenza, ma tenne quel pensiero per sé: non era carino nemmeno che lui mettesse bocca sui modi di fare altrui.
    Perciò lasciò che l'altro parlasse e lo ascoltò: Atsushi non aveva bisogno di altro aiuto, sembrava. Il suo mood pareva fosse mutato, come se qualcosa lo avesse motivato. "Meglio così."
    «Certamente, va bene» aveva dunque mormorato in risposta al giapponese, dando un'occhiata prima alle cuffie che Atsushi aveva afferrato, poi dando un fugace sguardo alla postazione che aveva occupato. Riprendere brevemente a sparare con la pistola di certo non gli sarebbe guastato.
    «Allora direi che ognuno torna al suo.»
    Yun-ho era un uomo di poche parole: si sforzava sempre di essere un po' più aperto, forte di ciò che gli diceva spesso Yun-min sull'essere un musone e che nessuno avrebbe avuto voglia di interagire con lui se si fosse mostrato sempre tanto serioso e silente. Paragonarsi ad un muro senziente non era poi così sbagliato.
    Perciò, dopo un incerto cenno del capo, Yun-ho tornò alla propria postazione, rimise le cuffie, la visiera ed impugnò nuovamente l'arma con ambo le mani: era il momento di tornare a lavorare sulla propria mira. Se poteva migliorarla ancora non avrebbe guastato di certo.

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