C'est dans le besoin qu'on reconnaît ses vrais amis.

Chihiro Fujioka & Lancelot Moreau @Cherry Passion Love Hotel | 05/08/2021 | 21:40

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    Chihiro Fujioka
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    «Ehi, Chi-chan, io vado. Domani mi devo svegliare presto» proferì un Minoru ancora accasciato sul divano di quel piccolo ufficio dopo che aveva passato il pomeriggio ad aiutarlo a sistemare il magazzino, più per autoconvincersi ad alzarsi che altro. Si era ormai posizionato direttamente sotto il condizionatore da più di un’ora e non sembrava avere nessuna intenzione di alzarsi, un braccio sopra gli occhi e una gamba a penzoloni. Insomma, la pigrizia fatta persona, con lo stomaco pieno dal takeaway che aveva ordinato.
    Una visione che non era niente di fuori dall’ordinario, una reazione che aveva visto tante volte in passato.
    Chihiro fece roteare una penna tra le dita, appoggiando poi il suo mento su una mano, girando infine la sedia in modo da osservare meglio il suo amico «Ma poi non ti fermare per strada» commentò il castano con un leggero sorriso sornione sulle labbra, conoscendo bene le abitudini dell’altro. Tutto sommato, conoscendolo ormai da più di 10 anni, sapeva bene che Minoru, una volta avesse messo piede fuori dal retro di quel Love Hotel, non si sarebbe immediatamente avviato verso il suo appartamento, fermandosi invece per uno dei tanti locali che era per strada in modo da bere un po’. E sapeva anche bene che, se non lo avesse fermato, avrebbe fatto tarda nottata.
    Minoru si rizzò con una spinta, lanciandogli poi quell’occhiataccia familiare, un misto di irritazione e pura rassegnazione «Sei un guastafeste. Vado» borbottò passandosi una mano tra i capelli tinti per poi alzarsi finalmente in piedi in modo da andare a recuperare il portafoglio, le chiavi e il cellulare che aveva abbandonato sul tavolo accanto a Chihiro, a cui diede una spallata giocosa.
    «Buonanotte, mio adorato» gli disse quindi lo scrittore, salutandolo allegramente tra i vari borbottii dell’altro, lo sguardo argenteo che non aveva lasciato al sua schiena fino a quando non lo vide sparire dietro la porta, con in mano anche il sacchetto dell’immondizia. Si sarebbe poi premurato di chiamarlo, in modo da assicurarsi fosse effettivamente arrivato a casa. Tanto sapeva che aveva qualche birra in frigo, gliele aveva comprate lui, dopotutto.
    Ora solo, Chihiro riprese a lavorare, finendo di compilare la lista delle cose da ordinare, servivano proprio delle lenzuola nuove, per poi ritornare alla sua fidata tastiera in modo di continuare a scrivere la bozza del manoscritto che aveva iniziato. Il suo ultimo libro era stato pubblicato ormai da qualche settimana, e tanto valeva iniziare subito a lavorare a qualcosa si nuovo. O meglio, a buttare giù qualche idea da valutare con il suo manager. Anche se il quel momento aveva solo voglia di scrivere qualcosa, anche di casuale, in modo da intrattenersi un po’.
    Tra l’altro, quella sembrava proprio essere l’ennesima serata tranquilla e in giro per il quartiere c’era poca affluenza, colpa sicuramente non solo del caldo ma anche per il fatto che fosse il bel mezzo della settimana. Per cui era sicuro che una volta avesse aperto le porte del love hotel, non sarebbe stato disturbato più di tanto. E durante la giornata non era nemmeno successo niente fuori dalla norma, niente di niente.
    Che noia.
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    Lance Moreau Calavera
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    Calavera fu colpito al volto con così tanta violenza da essere scaraventato all’indietro. La maschera saettò via nella notte, rivelando i lineamenti di Lancelot: ancora giovani, quasi efebici, ma ferini e schizzati di sangue. L’impatto col suolo lo stordì per un paio di secondi, vitali per l’altro ghoul per piovergli addosso e sedersi sulla sua magra figura mozzandogli il fiato in gola.
    Lancelot boccheggiò alla ricerca di ossigeno, ma un secondo pugno incise sulla parte sinistra del suo viso la ruvidità dell’asfalto. Pochi attimi dopo una mano si insinuò tra i suoi capelli e, stringendo fino a strapparli, gli sollevò la testa per poi sbatterla ancora e ancora sulla strada.
    Mentre il mondo diventava sfocato e sbiadito dalla pioggia, con la coda dell’occhio Lancelot riconobbe in fondo alla strada una figura che lo osservava, una mano in tasca e l’altra a reggere l’ombrello. E allora, come ogni volta in cui pensava che quella notte non sarebbe tornato a casa, Calavera regredì allo stato di una bestia disposta a lottare con le unghie e con i denti per sopravvivere.

    [...]

    «Bon travail, mon trésor, très impressionnant.»
    Le carezze del maestro, per quanto delicate, lo facevano tremare di dolore. In risposta all’irrigidirsi della sua espressione, Moreau allontanò subito la mano dai suoi capelli e gli sorrise, scusandosi sottovoce. Lancelot fu grato tanto dei complimenti quanto della premura, e una volta lasciato solo in macchina si abbandonò contro il sedile con un sospiro che divenne presto lamento.
    Nonostante lo spuntino e il disinfettante, le ferite del combattimento facevano ancora un male cane. In qualunque modo si posizionasse, sia lo stomaco che la schiena erano percorsi da fitte tanto intense da levargli il fiato. Era servita più di un’ora per catturare quel dannato ghoul e neanche Lancelot sapeva bene come fosse alla fine riuscito ad avere la meglio. Beh, meglio così, perché aveva bisogno del resto della nottata per sé: c’era una cosa che doveva assolutamente fare, una destinazione che doveva raggiungere entro un determinato orario.
    Venti minuti più tardi la portiera del sedile posteriore fu aperta da Jacques; Levon Moreau prese posto accanto al figlio adottivo, mentre l’autista si sedeva al volante. Nessuno osò fiatare. L’auto partì sotto una pioggia estiva leggera, quasi invisibile, di quelle nate coi minuti contati nell’arsura d’agosto.
    «T'en es absolument certain?»
    Le prime parole a spezzare il silenzio furono del maestro, dieci minuti dopo la partenza.
    Lancelot non si era mosso di un centimetro, rannicchiato nell’angolo tra la portiera e la tappezzeria nel tentativo di non mugolare di dolore ad ogni curva. Incontrò lo sguardo austero dell’uomo e vi lesse sincera preoccupazione per le sue condizioni.
    Sorrise piano, annuendo. «Oui, maître.»
    Moreau cacciò un sospiro amaro, incrociando le braccia al petto e tornando a guardare la strada. «D'accord... tu devras revenir seul.»
    Lancelot annuì di nuovo e il suo movimento fu specchiato nel vetro del finestrino del maestro. Era consapevole delle implicazioni di quel che stava per fare, proprio per questo era pronto ad affrontarle e grato di aver ricevuto il permesso. Sarebbe tornato da solo a casa, magari per allora la rigenerazione avrebbe fatto il suo corso e sarebbe stato come nuovo.
    Doveva solo non dimenticare l’ombrello.

    Alla fine l’ombrello glielo porse Moreau mentre scendeva dall’auto.
    «Fais attention, Lance.» lo ammonì, riportando con uno scatto del polso la mano oltre il finestrino.
    Da sotto il suo piccolo ombrello, Lancelot osservò ancora una volta il suo riflesso formarsi sul vetro punteggiato di pioggia mentre si sollevava, ergendosi come una barriera tra lui e il maestro. «Oui.»
    L’auto partì di nuovo e lui la seguì con lo sguardo finché non scomparve oltre un incrocio, quindi, arrancando tra i dolori che cercava di ignorare, si trascinò fino all’ingresso di un posto che non credeva avrebbe mai più rivisto in vita sua: lo Cherry Passion.
    Il love hotel di Chihiro Fujioka.
    Erano passati otto mesi. Quel freddo giorno di gennaio Lancelot era stato veramente felice di dirgli addio, e ora… ora sentiva il cuore spezzarsi alla sola idea di quel che stava per fare. Era davvero un portatore di sventure.
    Rimase a lungo nei pressi del love hotel, tanto a lungo che la pioggia infine scemò, lieve com’era arrivata. Si strinse nella felpa, trattenendo un brivido non dovuto al freddo - anzi, la pioggia aveva impregnato l’aria di un’umidità tale da rendere l’afa ancor più soffocante -, e consultò l’ora sul display del telefono: le dieci e mezza.
    Bon dieu, quanto tempo era rimasto fermo lì?
    Attraversò la strada ed entrò.
    Sapeva esattamente dove andare, doveva solo ripercorrere gli stessi pochi metri fatti la volta precedente senza lasciarsi prevaricare dai ricordi, dalle voci nella sua testa, dalle sensazioni inebrianti di un luogo brulicante di carne, dal dolore alla schiena.
    Metodico come un omicida seriale, Lancelot raggiunse la reception e si fermò esattamente dove si era fermato la prima volta. Allora aveva avuto una spolverata di neve sul cappuccio della felpa, adesso aveva una spruzzata di pioggia.
    Appoggiò i gomiti sul bancone.
    «Bonsoir.»
    Un sorriso accennato, non incolore come lo scorso dicembre, ma emozionato.

    «Parlato.»
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    Chihiro Fujioka
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    Le serrande erano state alzate e le luci esterne erano state accese, ora Chihiro non doveva far altro che aspettare che qualche coraggioso avventore entrasse nel suo umile love hotel. Nel mentre si era messo a scrivere, le dita che scorrevano veloci sulla tastiera formando frasi che, a quello stadio creativo, erano quasi astratte, qualcosa che solo lui avrebbe capito appieno.
    Non aveva niente in particolare in mente, ma non gli costava niente formare vari scenari su due piedi in modo da vedere poi quale avrebbe attirato la sua attenzione. Da lì, poi, sarebbe bastano ampliarlo, far vivere e respirare quell’idea. Non sarebbe riuscito a pensare ad altro fino a bozza conclusa. Per cui bastava qualcosa di piccolo, come la lucina che vedeva lampeggiare con la coda dell’occhio, per trovare un pizzico d’ispirazione per scrivere qualcosa: come una donna stesa a terra che poteva notare le luci dell’ambulanza nei suoi ultimi respiri, e che continuava a pregare che l’oscurità non la inglobasse.
    Ma a destarlo dai suoi pensieri fu il caratteristico rumore della porta principale che si apriva, un segnale che poteva udire solo lui dall’ufficio e che lo fece fermare di botto. Lanciò una veloce occhiata al feed delle telecamere, notando quindi che fosse un cliente solitario, forse in cerca di un posto dove dormire per poco, e spingendosi in avanti in modo da parlare direttamente allo speaker, Chihiro aprì bocca «Benvenuto al Cherry Pa-» le sue parole sapevano di recitato, un’introduzione che aveva ripetuto allo sfinimento e che sapeva ripetere a memoria, ma a troncarle fu un corto ma familiare “Bonsoir”.
    Chihiro rilanciò dunque un’occhiata al piccolo televisore, questa volta con più attenzione, per poi alzarsi in piedi, un’espressione di pura sorpresa chiara sul suo volto. Non poteva sbagliarsi, la persona dall’altra parte era proprio Lancelot. Non credeva lo avrebbe mai rivisto, dopotutto aveva mantenuto la sua parola, era stato lontano e non aveva fatto trapelare niente dei loro trascorsi. Perciò, non poteva che non provare sorpresa nel vederlo lì, di nuovo nell’atrio del suo love hotel.
    Senza esitazione si alzò dunque in piedi, facendo poi qualche passo nella direzione della porta che separava i due spazi in modo da sbloccarla e poi aprirla con un sonoro click, sporgendosi appena in modo da andare a sorridere al ghoul «Bonsoir, Stalker-kun. Cosa ti porta qui?» disse quindi, contento, si, di vederlo ma aveva il presentimento che non fosse solo lì per una visita di piacere. Specialmente dopo ben otto mesi di niente. Conoscendo chi fosse il “capo” dell’altro, non poteva essere altrimenti. Un po’ gli sarebbe dispiaciuto, fosse veramente per un motivo del genere. Poco male, fin tanto che aveva potuto rivederlo ne era compiaciuto.
    «Non stare lì, vieni» aggiunse poi, facendo segno a Lancelot di venire da lui in modo da accomodarsi comodamente nel piccolo ufficio, invece di rimanere imbambolato nel bel mezzo dell’atrio.
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    Un paio di minuti dopo il suo saluto la porta della reception si aprì, rivelando un profilo che cominciava a sbiadire nei ricordi di Lance - escludendo il periodo di osservazione precedente all’inizio dell’operazione, si erano dopotutto incontrati in poche e brevi occasioni. Chihiro però rimaneva una delle prime persone, se non la prima, con cui Lance si era interfacciato all’infuori dell’ambiente lavorativo. Aveva un posto tanto speciale quanto controverso nel registro degli affetti del ghoul.
    I lineamenti erano più o meno come li ricordava, ma ad essere rimasti indubbiamente più impressi nella sua memoria erano l’espressione stralunata e il peculiare grigio delle iridi. Essere osservati ancora una volta da quegli occhi era… strano, tanto che la tentazione di fuggire il suo sguardo abbassando la testa si dibatté forte nello stomaco del ghoul. Ma Lance resistette, determinato a sembrare almeno un minimo più self-confident dello sperduto ragazzino che mesi prima aveva salutato Chihiro al sicuro da dietro una balaustra, proprio come la prima volta che aveva calpestato quella hall.
    «Io ho un nome, Fujioka-san. O forse se l’è già dimenticato?» commentò con un sorriso ironico, appoggiando la mano destra al fianco. Ogni centimetro del suo costato lo fece pentire di essere sceso dall’auto, ma, a parte un piccolo tremito nella curva delle labbra, Lance si sforzò di non darlo a vedere.
    Essere chiamato Stalker-kun non lo infastidiva veramente, dopotutto per un certo periodo era davvero stato lo stalker di Chihiro Fujioka, ma le cose erano cambiate da allora e… beh, non si trattava dell’epiteto più garbato con cui avrebbe potuto rivolgersi a lui. Ma se c’era una cosa che aveva capito del maledetto scrittore pazzo era che non aveva peli sulla lingua o paura di farsi male, così scrollò le spalle e lo seguì oltre la porta.
    «Excusez-moi.» cantilenò come di rito superata la soglia, e invece di rimanere imbambolato in mezzo all’atrio finì per rimanere imbambolato in mezzo all’ufficio.
    Ormai Chihiro lo conosceva: non avrebbe preso posto finché non avesse ricevuto il permesso esplicito. Nel frattempo fece scorrere senza vergogna gli occhi pieni di curiosità su praticamente ogni cosa, soffermandosi sulla pagina mezza bianca del computer prima di dedicarsi di nuovo a Chihiro.
    «Scommetto che si stava annoiando senza di me.»
    Ovviamente neanche Lancelot credeva davvero a quel che aveva appena detto; fu però un pensiero abbastanza divertente da strappargli lo sbuffo di una risata. In effetti si era domandato se il ritorno ad una normalità priva di rapimenti e meeting segreti con gruppi di ghoul avesse avuto qualche effetto particolare su Chihiro Fujioka, ma neanche arrovellandosi riusciva a mettersi nei panni di una persona così profondamente diversa da lui.
    D’un tratto un pensiero gli attraversò la mente. «Come sta Azuki-san?» le labbra erano tornate a curvarsi in un sorriso ampio e sincero mentre pronunciava il nome della gattina, evidenziando quali fossero le priorità di Lancelot Moreau.

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    Chihiro Fujioka
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    Alle sue parole, Chihiro non si stupì di vedere Lancelot esitare giusto qualche istante prima di farsi coraggio e raggiungerlo, passandogli poi accanto e facendosi infine strada per il piccolo ufficio. Tutto considerato, nei loro incontri precedenti, aveva potuto appurare quanto poco disinvolto o sicuro di sé e delle sue azioni potesse essere a volte. Ma allo stesso tempo, in quel preciso frangente, il ragazzo sembrava più risoluto di come lo ricordava essere.
    Incuriosito, come lo era lo sguardo dorato di Lancelot che vagava per l’ufficio, Chihiro si permise di osservarlo meglio: Lancelot sembrava stare… bene, e quella realizzazione lo rincuorò. Insomma, non si erano salutati nei migliori dei modi, non che fosse colpa del ragazzo. E tale fatto gli era sempre un po’ dispiaciuto, considerando quanto curioso trovasse l’altro. Ma come si dice, non serve piangere sul latte versato. Tra l’altro, era forse diventato un pelo più alto? Ma forse era solo una sua impressione, in fondo il ghoul era alto più o meno come il suo amico Minoru. Quindi, comunque più basso di Chihiro stesso.
    «Non ti piace il tuo soprannome? Posso sempre dartene un altro, Lancelot-kun~» cantilenò Chihiro, ridacchiando appena al commento sornione dell’altro, chiudendo poi la porta divisoria dietro di sé con un sonoro click.
    Fece qualche passo nell’ufficio, lo stesso che dava direttamente sull’atrio, tenuto isolato da un vetro divisorio opaco, per poi andare a risedersi sulla comoda sedia d’ufficio imbottita che aveva abbandonato poco prima. Una volta seduto si tolse gli occhiali da vista dalla montatura sottile che aveva sul naso, non avendone più veramente bisogno anche perché ora gli era passata nettamente la voglia di mettersi a scrivere qualcosa.
    E Chihiro poté presto appurare che certe cose non cambiavano mai, notando che Lancelot era rimasto imbambolato nel bel mezzo della stanza, esitando sul da farsi come lo aveva visto fare varie volte in precedenza «Non stare lì in piedi, siediti pure» disse poi, facendo segno al ghoul di sedersi dove preferiva, a sua disposizione c’era un’altra sedia o anche il divanetto a pochi passi da lui «Molto» aggiunse poi con un’alzata di spalle (insomma, era vero si annoiasse facilmente, era un dato di fatto) e un’occhiata eloquente, appoggiando poi il gomito sul tavolo e la testa sulla mano, lo sguardo argenteo che non aveva lasciato la figura di Lancelot.
    «La mia adorabile principessa è a casa» disse dopo qualche istante con un dolce sorriso sulle labbra, il pensiero che era subito volato alla sua amata gatta non appena il suo nome era stato pronunciato «Vuoi vedere qualche foto?» aggiunse poi, ricordando quando il ragazzino sembrava adorarla. E come biasimarlo, era una splendida gattina che rimasta a casa in panciolle.
    «Ma dimmi, tu come stai? Cosa ti porta nuovamente da me? Sei venuto di nascosto? Ti mancavo così tanto~» chiese infine, il tono inquisitorio ma allo stesso tempo divertito.
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    Edited by alyë - 15/11/2022, 21:26
     
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    Lance Moreau Calavera
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    La prima espressione contrariata della serata fece capolino sul viso di Lancelot: insomma, a chi sarebbe piaciuto sentirsi apostrofare come Stalker-kun? Quasi però lo preferiva al rischio che Chihiro tirasse fuori dall’oncia dei soprannomi qualcosa di addirittura peggiore. A differenza del maledetto scrittore pazzo, il giovane ghoul non amava giocare col fuoco. Pertanto scosse la testa e decise di anticiparlo, lanciando una proposta che forse suonata risultata inaspettata considerando come teneva sempre a distanza tutti.
    «Che ne dice di Lance? Solo Lance.» scrollò le spalle, evitando di incrociare il suo sguardo per paura di sembrare troppo emotivo. «Mi piace essere chiamato così.»
    Gli piacevano i diminutivi, almeno quando a usarli era qualcuno che gli andava a genio. In realtà ancora non sapeva se e quanto Chihiro Fujioka gli andasse a genio, ma di certo sentirsi chiamare per nome da lui non lo avrebbe innervosito come quando a farlo erano i colleghi del maestro, quelli che Lance considerava alla stregua di vere e proprie autorità.
    Appena ricevuto il permesso di sedersi occupò, non senza una certa esitazione, cautamente il posto più piccolo tra quelli a disposizione, per poi riprendere a guardarsi attorno con cristallina curiosità finché Chihiro non prese in mano la situazione.
    Lance non credette davvero di essergli mancato; o meglio, non dubitava della sua sincerità, ma al contempo non riusciva ancora ad accettare che amasse il rischio al punto di rimpiangere la presenza di un ghoul nella sua vita. Forse Chihiro non aveva mai compreso appieno la reale entità della minaccia da lui rappresentata… oppure… no, inutile girarci attorno: la comprendeva eccome, proprio per questo Lance strinse le labbra in una smorfia amareggiata.
    «Certe cose non cambiano mai.» commentò con la sua usuale sfacciataggine, quella che era stata causa della discussione che aveva messo fine alla collaborazione tra il maestro e lo scrittore. Avrebbe dovuto sentirsi consumare dai sensi di colpa, e invece a seguito di quell’incontro aveva dormito bene come non accadeva da settimane. Era stato felice di sapere quello stolto umano al sicuro dal loro mondo violento, e ora…
    «Magari un’altra volta.»
    Rifiutare una proposta del genere non era certo da lui. Aveva rotto il ghiaccio tirando in ballo Azuki per non chiedere come stesse Chihiro, perché non sarebbe riuscito a sopportare l’idea di distruggere qualunque cosa buona stesse vivendo. Come se ciò cambiasse qualcosa: quella notte sarebbe comunque andato a dormire con l’immagine del volto di Chihiro Fujioka impressa a fuoco nel cervello, e sarebbe stato orribile.
    Scosse la testa. «Non sono venuto da solo, non agirei mai di nascosto dal maestro. Ma sono stato io a chiedere questo incontro, il maestro ha capito che era una cosa importante per me e mi ha dato il permesso. Non si tratta di nostalgia, se anche fosse stato così avrei resistito al desiderio di rivederla per tenerla al sicuro.» come sempre non aveva inteso l’ironia di Chihiro, rispondendo in maniera fin troppo sincera e diretta. «Sono qui per metterla al corrente di una cosa terribile che accadrà stanotte, e che spero lei possa sventare.»

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    Lancelot aveva ragione, certe cose non cambiavano mai. Parole che anche lo scrittore poté appurare osservando il ragazzo esitare ancora per un po’ prima di sedersi come da lui proposto però, come le volte precedenti, prendendo il posto più modesto tra quelli disponibili per poi rimettersi a guardarsi intorno con mal celata curiosità. Ora che ricordava, in effetti, quella era la prima volta che metteva piede in quell’ufficio.
    Chihiro gli sorrise appena, riposizionandosi meglio sulla sta sedia, in modo da far stendere meglio le sue gambe, e quando il ghoul parlò di nuovo, beh, di certo non si era aspettato quelle sue parole. Insomma, non potevano giraci intorno, aveva pur preso un’iniziativa di sua spontanea volontà, per quanto piccola fosse.
    «Va bene» non perse quindi tempo a rispondere Chihiro con uno schiocco di lingua, facendo dondolare la testa prima da un lato e poi dall’altro «Allora ti chiamo Lance finché non trovo un altro soprannome tutto per te~» aggiunse poi, sollevando le sopracciglia e sventolando una mano per aria con fare divertito. Che grande concessione da parte sua! Anche se, beh, alla fine glielo avrebbe concesso veramente, vedendo che, come era successo con altri in precedenza, per quando avesse trovato un altro soprannome, a detta sua più azzeccato, ormai si sarebbe abituato a quello.
    Ma le sorprese non stavano finendo lì, perché Lancelot aveva appena rifiutato di vedere le foto di Azuki. Impensabile! Sapeva quando il ragazzo adorasse la sua amata gattina! Mai quanto lui, certo, ma comunque tanto! Dunque, se non gli era già ovvio da prima, con quelle parole Chihiro fu sicuro che c’era qualcosa di strano sotto l’improvvisa presenza del ragazzo lì, di fronte a lui dopo così tanti mesi di puro silenzio.
    E a dargli ragione furono, di nuovo, le successive parole di Lancelot che, prima di tutto, stava mettendo in chiaro con estrema serietà, in contrasto con le sue precedenti battute, fosse lì con la benedizione del suo Maestro (nessuna uscita clandestina, che peccato! Meno emozionante) e il vero motivo della sua presenza: aveva qualcosa da riferirgli, qualcosa di così importante che lo aveva spinto a ripresentarsi nella sua vita.
    «…una cosa che speri io posso sventare? Questa notte?» ripeté con incredulità e le sopracciglia aggrottate, come se stesse cercando di metabolizzando quelle parole tastandole sulle sue labbra «Cosa posso fare io che un ghoul non può?» chiese quindi scettico, non comprendendo pienamente dove l’altro volesse andare a parare.
    E quel pensiero lo preoccupò. Lancelot non era tipo da giochetti, gli era abbastanza ovvio fosse completamente serio.
    Fece un respiro, rilassando le spalle che non si era reso conto aveva teso, spostando lo sguardo argenteo verso il soffitto cercando di fare mente locale, per poi riportalo sulla figura seduta del ragazzo con tutta calma «È qualcosa che mi riguarda direttamente, dunque. Qualcosa che siete venuti a sapere nelle vostre… attività. Qualcosa che tu credi io debba sapere prima che sia troppo tardi, perché importerebbe a me, ma di certo non a voi» esclamò poi, rizzando quindi la schiena e appoggiando una mano sul tavolino, le dita che sfiorarono il retro della cover a forma di gatto del suo cellulare, realizzando che quello che aveva appena elaborato e detto ad alta voce era l’unica opzione che avesse effettivamente senso nel contesto della loro relazione. E il punto era, cosa?
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    Edited by alyë - 23/11/2022, 17:50
     
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    «Lei sa tantissime cose che io non so, Fujioka-san, ma io so cose che neanche una persona creativa come lei riesce a immaginare.»
    Era stata la risposta di Lance alla domanda su che cosa un umano potesse fare di precluso a un ghoul. Una risposta generale che esulava un po’ dall’argomento di quella conversazione, pregna della sincerità che caratterizzava il giovane ghoul, pronunciata con dolcezza e al contempo colpevole amarezza. Non voleva prendersi meriti che non aveva, non voleva fare la figura dell’arrogante. Reputava normale che un esterno al suo mondo non potesse sapere quali incredibili punti di forza gli umani potessero vantare rispetto ai ghoul.
    Chinò gli occhi, guardando le mani chiuse a pugno sulle ginocchia, e aprì la bocca per rivelare una verità - quasi un segreto dal suo punto di vista - che alla fine sussurrò solo a metà.
    «Vorrei avere del tempo per parlarne… ma non posso.»
    In fondo non erano né il momento né il luogo per ammettere che gli piaceva parlare con Chihiro. Col maestro era abituato ad ascoltare e intervenire solo occasionalmente, con Jacques invece le conversazioni erano ridotte all’osso da entrambe le parti. Chihiro metteva in moto il suo cervello, lo faceva ragionare. Era stimolante, anche se talvolta lo costringeva a esplorare i meandri più oscuri della sua mente, quelli che Lance cercava di ignorare.
    Sarebbe stato crudele dire qualcosa di così bello e poi dargli una brutta notizia. Sarebbe stato perdere il tempo prezioso di Chihiro per salvare una persona speciale.
    In effetti Lance stesso si sentiva una perdita del tempo per lo scrittore in quel momento, e questo pensiero piegò ancor più le sue spalle verso il basso.
    Quindi era davvero una perdita di tempo?
    Beh, avrebbe avuto tutta la serata per pensarci da solo.
    Sollevò di nuovo lo sguardo verso l’umano, seguendo attentamente il suo ragionamento pronunciato ad alta voce fino alla conclusione. Era stato molto intelligente a mettere insieme i punti, ricostruendo la verità che gli annodava lo stomaco e la gola.
    Lance prese un lungo sospiro, improvvisamente travolto dall’irrazionale paura che Chihiro si arrabbiasse con lui. Secondo la logica umana, avrebbe avuto senso odiarlo per qualcosa di cui non era diretto responsabile? Non voleva essere odiato, ma non voleva neanche…
    Dio, che situazione.
    Abbassò di nuovo la testa, troppo vile per guardare l’umano: qualunque espressione gli si fosse dipinta in volto, non voleva vederla.
    «Questa notte, non so quando né dove, Morinaga Minoru sarà prelevato dalle persone per cui lavoriamo. Se lei non riuscirà a impedirlo, Morinaga Minoru sarà praticamente morto.»

    «Parlato.»
    "Pensato."
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    Edited by Yukari - 25/11/2022, 14:24
     
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    «Vuoi scommettere?» esclamò un divertito Chihiro alla replica di Lancelot, incrociando il suo sguardo dorato con il suo argenteo.
    Non dubitava che il ragazzo dicesse il vero, dopotutto era certo ne sapesse di più di lui riguardo certi argomenti, in special modo quelli relativi proprio ai ghoul, ma non gli dispiaceva affatto provare ad indovinare o volare con la fantasia. A volte il bello era proprio quello, farsi venire in mente diverse soluzioni o modi di vedere le cose che poi venivano messe a confronto con il proprio interlocutore.
    E se solo quella serata fosse effettivamente andata in quella direzione, anche poiché il ghoul sembrava motivato a parlare con lui nonostante i chiari doveri che sentiva di dover portare a termine, e Chihiro era sicuro si sarebbe divertito assai a stare ad ascoltarlo. Non solo perché lo incuriosiva ma anche perché, lasciarsi andare e parlare a ruota libera, non gli sembrava una cosa che il ragazzo fosse abituato fare oltre certi limiti.
    Ma quel possibile interessante discorso fu quindi troncato lì, proprio sul nascere, vedendo che dopo un profondo e rammaricato sospiro, e relativa presa di coraggio, Lancelot gli rivelò finalmente la vera motivazione della sua presenza lì. Del messaggio che gli premeva così tanto dargli.
    Ah, eccola lì la risposta alle sue domande. Una risposta crudele e cocente, una risposta a cui era già arrivato istanti prima e che non aveva voluto concretizzare ad alta voce, per paura diventasse reale. Per quello, però, erano bastate le parole di Lancelot.
    Parole che non aveva finito di ascoltare vedendo che, con gesti meccanici, a quelle prime battute aveva dunque preso il suo cellulare in mano, sbloccandolo e chiamando uno dei famigliari numeri che aveva salvato tra le chiamate rapide, portandosi infine l’apparecchio all’orecchio, lo sguardo ancora fermo sulla figura china di Lancelot. Sapeva bene fosse sincero, che non stesse scherzando. Non ne aveva motivo, e non gliene dava colpa.
    Ma a rispondergli fu solo la segreteria telefonica.
    Chihiro deglutì, alzandosi in piedi lentamente nel mentre riprovava a richiamare il suo amico, sperando la chiamata non andasse di nuovo a vuoto. Fatto effettivamente strano, poiché era solito rispondergli subito o almeno lasciargli un’emoji in chat per comunicargli quando era occupato e non poteva rispondere subito. Eppure… eppure non si erano salutati da molto, ormai doveva essere a casa oppure quello stolto si era effettivamente fermato da qualche parte per provare ad abbordare qualcuno.
    «Dimmi…è per colpa mia?» chiese quindi a bassa voce, la gioia professata poco prima scomparsa dal suo volto era vuoto.
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    A bomba sganciata, l’esplosione giunse ancor prima della collisione col suolo. Pur non potendolo vedere, Lance poteva sentire Chihiro: i suoi movimenti veloci già in atto prima che finisse di pronunciare la sentenza di morte di Morinaga Minoru, lo sfregare della stoffa delle maniche contro il piano di legno della scrivania, poi l’inconfondibile picchiettare dei polpastrelli - e persino della punta delle unghie - sulla superficie vetrosa del display dello smartphone.
    Nel successivo silenzio, chiudendo gli occhi e acuendo i suoi sensi Lance poté udire il suono di una chiamata andare a vuoto, terribile presagio che nonostante tutto erano forse arrivati troppo tardi. Un lacerante dolore gli attraversò per lungo il costato, stavolta non causato dalle ferite riportate nello scontro di appena un’ora prima, ma dal senso di colpa. Se Chihiro Fujioka non avesse avuto neanche una chance di salvare il suo amico perché lui era arrivato tardi…
    Lance si riscosse prima di sentire un familiare nodo alla gola togliergli il fiato. O meglio, fu richiamato alla realtà e indirettamente salvato da un attacco di panico dallo stesso Chihiro, che si era come immobilizzato, in piedi e con ancora il telefono stretto in una mano, per porre una domanda tanto assurda da far scattare la testa del ghoul verso l’altro.
    «Pardon-moi?» ripeté, pessimo momento per tirare fuori il francese, ma trattandosi della sua lingua madre era stato più forte di lui. «N-no. Nessuno è al corrente del suo coinvolgimento con noi, la scelta dei candidati non rientra nelle nostre mansioni.»
    Aveva parlato in fretta, cercando di risparmiare quanto più tempo possibile allo scrittore, perciò non era sicuro di essersi espresso grammaticalmente bene o con un accento comprensibile. Ci teneva però a mettere in chiaro l’estraneità alla faccenda del maestro, che in seguito al loro ultimo incontro non aveva praticamente più tirato fuori l’argomento Chihiro Fujioka.
    Leggere la lista dei candidati selezionati dall’Albero della Vita era stato profondamente sorprendente anche per loro. Indubbiamente una coincidenza che aveva fatto sorgere in Levon Moreau il sospetto che i loro piani non fossero andati lisci come l’olio come credevano. In seguito a una piccola indagine, tuttavia, la triste verità era venuta a galla.
    «È solo un’orribile coincidenza.» rivelò il ghoul, scuotendo la testa. «Faccia presto, Fujioka-san, è raro che falliscano un’operazione…»
    E tuttavia, in piena contraddizione con l’urgenza finora esternata, prima di lasciarlo andare Lance avrebbe per la prima volta preso l’iniziativa afferrandogli un braccio: la presa prepotente di un mostro nella piccola mano di un ragazzino, gli occhi dorati ricolmi di determinazione che fissavano apertamente quelli di Chihiro.
    «… faccia attenzione.» disse solo, per poi aprire la mano e liberarlo.

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    Sapere che il suo amico era in pericolo non per colpa sua ma per una inaspettata ma sorprendente coincidenza, qualcosa che aveva apparentemente colto di sorpresa anche loro, per sua somma sorpresa, non lo rincuorò affatto. Nemmeno le parole rassicuranti, ma comunque ansiose, di Lancelot sembrarono scalfire quel velo di panico che si era creato nel suo cuore. E Chihiro si rese in fretta conto che odiava sentirsi così e si ripromise di fare il necessario affinché non succedesse di nuovo.
    Cercava sempre stimoli nella sua vita, ma di certo quello non era qualcosa che bramava. Faceva più male del previsto, più male di tante volte precedenti. Perché quello era un pericolo concreto, qualcosa che non lo coinvolgeva. A soffrirne, dopotutto, era qualcuno a cui teneva e a cui avrebbe dato la vita se solo avesse potuto. Tutti loro meritavano di vivere più di lui stesso.
    Abbassò lo sguardo sulla mano che gli aveva afferrato il braccio con una forza che non combaciava con il suo aspetto adolescenziale, come a ricordargli la vera natura del ragazzino (come se potesse dimenticarlo facilmente), per poi risollevare il suo argentato ma spento per andare ad incrociarlo con quello dorato di Lancelot. C’era sincerità in quegli occhi, oltre che genuina preoccupazione.
    Chihiro gli sorrise, un sorriso che di certo non raggiungeva i suoi occhi, e una volta che la presa al suo braccio fu lasciata, con il cellulare sempre in mano e recuperando le chiavi, uscì quindi di tutta fretta dall’ufficio senza guardarsi indietro o proferire altre parole. Se anche avesse voluto, per una volta non ci sarebbe uscito. Il groppo in gola troppo pesante.



    Si sentiva sconfitto. E sfinito. Non era un atleta e di certo non era in forma come proprio Minoru stesso gli ricordava ogni volta (“Fai un po’ di esercizio, Chi-chan”, “Tieni, mangia un po’ di più, cretino”; poteva immaginarsi quelle frasi con chiarezza), e correre per il quartiere gli aveva mozzato il fiato. Si sentiva i polmoni in fiamme e le gambe quasi gli tremavano per lo sforzo. Ma del suo amico non vi era alcuna traccia. Era passato per i locali che frequentava, aveva pure chiamato qualche suo amico. Aveva pure messo piede nel suo appartamento, quella chiave ormai da anni parte del suo mazzo personale: quel monolocale era vuoto, al genkan non c’erano nemmeno le sue scarpe.
    Chihiro era rimasto in ginocchio a terra per diversi minuti, continuando a chiamare quel famigliare numero senza successo. Ora, la chiamata non si connetteva nemmeno più. Non poteva nemmeno correre alla polizia, perché cosa avrebbe potuto dire loro? Che un’organizzazione secreta aveva rapito il suo migliore amico per farci chissà che cosa? Gli avrebbero di certo creduto meno del solito. E poi non era nemmeno stato ancora dato per scomparso.
    L’autista del taxi che aveva preso per tornare a kabukicho gli lanciò un’occhiata interdetta dallo specchietto, notando il suo aspetto sfinito e l’aria mesta, comunicandogli che erano arrivati. Chihiro sollevò lo sguardo, tirando puoi fuori dalla tasca dei pantaloni la carta per pagare il viaggio. Rimesso piede sull’asfalto, l’area estiva che gli toccò la pelle chiara, sollevò lo sguardo sul cielo scuro e privo di stelle di Tokyo.
    Non era riuscito a salvarlo. E forse era già troppo tardi.
    E si rese conto in quell’istante che non aveva nemmeno chiuso il Love Hotel per la serata. Non ci aveva nemmeno pensato, la testa completamente presa da altri pensieri. Di certo in molti sarebbero stati confusi dal non ricevere risposta alla reception, mentre quelli che erano già entrati avevano già pagato e bastava lasciassero la chiave. Forse era proprio arrivata ora che installassero anche loro delle macchinette automatiche. Ma fu rientrando dal retro e rimettendo piedi nel piccolo ufficio che scoprì che al suo interno vi era rimasta una solitaria ma famigliare figura dai capelli rossi.
    «Lance-kun?» mormorò Chihiro con voce più roca del normale, lo sguardo sorpreso nonostante tutto. Il ghoul era rimasto per qualche ragione che Chihiro non capì. Dopotutto, aveva compiuto quello che era venuto a fare, avvertirlo, eppure aveva deciso di rimanere.
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    Nota anche per me: la parte della ricerca sfrenata di Chihiro sarà pubblicata come one-shot in futuro. Presto, si spera, ma non prometto niente.
     
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    Non passarono neanche dieci minuti dacché Chihiro uscì dall’ufficio che Lance ebbe il primo attacco di panico della sua lunga e solitaria permanenza allo Cherry Passion. Gli attacchi di panico erano una condizione tanto ricorrente nella sua vita che ormai riusciva a riconoscerli già dai primi segnali, sapeva come contrastarli e ridurne all’osso la durata: per prima cosa si concentrò sul regolarizzare la respirazione prima di perderne del tutto il controllo, ripercorrendo con gli occhi il luogo a cui doveva saldamente rimanere ancorato mentre la sua mente cercava a velocità drammatica qualcosa con cui tenersi occupata.
    Avrebbe potuto chiamare il maestro, l’unica persona che in quelle occasioni riusciva a calmarlo con facilità, ma l’irrazionale paura di poter privare persino lui di tempo prezioso immobilizzò le sue mani attorno al ferro della seduta della sedia ancor prima che potessero cercare nelle tasche il cellulare.
    Il tempo cominciò a perdere significato, dilatandosi in secondi sempre più lunghi e snervanti finché un suono acuto e improvviso non lo fece letteralmente sobbalzare di paura. Percorso da fortissimi brividi dalla testa ai piedi, gli occhi di Lancelot si riempirono di lacrime nel puntare il piccolo televisore sul quale erano trasmesse le riprese della telecamera piazzata all’ingresso: due clienti, a un’occhiata superficiale il tipico salaryman e una ragazza molto più giovane, conversavano sottovoce in attesa che qualcuno rispondesse alla chiamata.
    Con una mano stretta alla sedia al punto da aver inciso la forma delle unghie sulla parte inferiore della seduta e l’altra appoggiata sul petto che si alzava e abbassava convulsamente, Lancelot attese oltre un minuto in totale silenzio prima di avere abbastanza forza nelle gambe per mettersi in piedi e raggiungere lo speaker.
    Aveva bisogno di qualcosa da fare, o il suo cervello si sarebbe autofagocitato.

    [...]

    Stremato e avvilito, questa fu la prima sensazione che Lancelot ebbe di Chihiro Fujioka quando lo vide varcare la porta. Non ce l’aveva fatta, non era riuscito a salvare Morinaga Minoru. In un certo senso avevano fallito entrambi.
    Al suo richiamo confuso, il ghoul rispose con un’espressione mortificata.
    Era seduto al posto di Chihiro, dove aveva praticamente messo le radici beandosi dell’effluvio invitante tipico degli esseri umani. Calmarsi era stato tutt’altro che facile e veloce, e più di una volta Lance era stato certo di essere a un passo da un secondo attacco di panico, ma fare le veci del proprietario lo aveva aiutato a tenere la mente occupata in attesa del suo ritorno. In realtà non si trattava di niente di difficile, ma doveva ringraziare il materiale informativo se era stato capace di raccapezzarsi dopo il primo tentativo andato maluccio.
    «… mi dispiace.» fu tutto ciò che riuscì a dire a Chihiro, la cui espressione valeva più di mille parole.
    Abbassò lo sguardo, sconfitto.
    Eppure lo aveva saputo sin dall’inizio, mettersi contro l’Albero della Vita era una follia che solo il maestro avrebbe potuto compiere uscendone indenne.

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    Non appena aveva messo piede in quel famigliare ma piccolo ufficio, lo sguardo argenteo di Chihiro era caduto sulla solitaria figura di Lancelot, comodamente seduto sulla sedia della sua scrivania. La sorpresa di vederlo ancora lì passò con un battito di ciglia ad un sentimento di contentezza nel sapere fosse rimasto ma che, nonostante tutto, non sovrastò quell’angoscia che si era attorcigliata intorno al suo cuore.
    «Mi sono dimenticato di chiudere, eh» disse quindi passandosi una mano sulla frangia un po’ inumidita dal sudore causato dallo sforzo fisico, in modo da togliersi i ciuffi castani dagli occhi, la coda di cavallo un po’ arruffata. Sospirò, facendo qualche passo verso il divanetto che si trovava nelle vicinanze, mettendosi infine seduto con un tonfo, la schiena appoggiata allo schienale nel mentre lo sguardo era puntato sulla punta delle sue scarpe da ginnastica. Si sentiva sfinito, non solo mentalmente ma anche il corpo era pesante ed indolenzito.
    Stette qualche lungo istante in silenzio, per poi sollevare nuovamente lo sguardo in modo da posarlo sul volto abbassato del ghoul «Grazie dell’aiuto, Lance-kun. Deve essere stato difficile per te» gli disse quindi, il tono basso ma sempre gentile nei suoi confronti, con un sorriso tirato sulle labbra, in quel momento non riuscendo nemmeno a tirare su un sorriso falso come era solito fare. Ma con quelle parole non intendeva ringraziarlo solo per aver fatto guardia alla reception, ma per tutto quello che aveva fatto di sua spontanea volontà per lui.
    L’aver deciso di aiutarlo in quel modo, rivelandogli cosa sarebbe successo al suo caro amico quella sera. Forse sarebbe stato meglio fosse rimasto ignaro dell’accaduto ma, scuotendo la testa, si disse che era meglio così per entrambi. Non sapere sarebbe stato peggio, perché un briciolo di speranza gli sarebbe rimasta, aspettando qualcuno che ora sapeva non avrebbe più probabilmente rivisto. Se Lancelot non gli avesse detto niente, non avrebbe nemmeno potuto provare a… salvarlo.
    Si passò una mano sul volto e a bruciapelo chiese «Non c’è proprio niente che potete fare per lui? Niente che potete rivelarmi?» il tono chiaramente disperato, la mente che vorticava alla ricerca di una singola soluzione. Perché non era ancora detta l’ultima parola, e non avrebbe chiuso quella pagina di libro finché non posse stato sicuro non poteva fare nient’altro. Assolutamente niente di più. Non avrebbe voltato pagina finché non l’avesse deciso lui. E fin tanto che c’era una possibilità, lui si sarebbe aggrappato a tutto pur di realizzare ciò che voleva.
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    Lance non capiva per quale motivo Chihiro avesse voluto concentrarsi su di lui. A chi importava se restare lì da solo era stato o no difficile? Perché una cosa del genere avrebbe dovuto essere degna di menzione, quando Morinaga Minoru era nelle grinfie di un’organizzazione poco raccomandabile e incontrastabile e Chihiro aveva appena perso per sempre il suo migliore amico?
    Lance gli esseri umani non li capiva proprio, pensò stringendo il labbro inferiore tra i denti, e ancora di meno capiva se stesso e l’assurdo moto di commozione che gli faceva bruciare gli occhi. Non meritava la preoccupazione di Chihiro, eppure al contempo era felice di essere stato tenuto in considerazione. Avrebbe voluto parlarne col maestro, ma aveva il sinistro sentore che tirare in ballo il maledetto scrittore pazzo potesse in qualche modo incrinare il loro rapporto.
    «Non importa…» mugugnò con chiaro imbarazzo, spazzando con gli occhi il pavimento in attesa del coraggio di risollevarli sull’uomo.
    Con un gesto veloce si asciugò gli occhi umidi con la manica, il cui tessuto ruvido sfregò con veemenza contro le palpebre, e quando le gambe ritrovarono la forza di sorreggerlo si mise in piedi avvicinandosi lentamente a Chihiro. Non era da lui accorciare le distanze, lo faceva solo perché vedere una persona baldanzosa e sfacciata come Chihiro Fujioka ridotta in quello stato pietoso gli stringeva il cuore; di persone sofferenti ne vedeva già abbastanza sul lavoro, non poteva sopportarlo anche nella vita privata.
    Si fermò innanzi allo scrittore, le mani strette al petto e il naso pieno del delizioso odore della carne umana. Era una fortuna che fosse passato abbastanza tempo dallo scontro perché il suo corpo smettesse di gridare a ogni movimento, altrimenti si sarebbe ritrovato a combattere coi morsi della fame. Un orribile desiderio di fondo di avventarsi sull’uomo c’era comunque, ma era facile resistergli.
    «Je suis désolé…» scosse la testa; non serviva una traduzione per capire quale fosse il punto. «Come ho detto, la scelta dei candidati non rientra nelle nostre mansioni. Il mio lavoro è combattere i mostri come me, non cacciare gli innocenti come voi, e il mio maestro è una pedina tanto quanto me.»
    Si sedette sui talloni e circondò le ginocchia con le braccia, ancora una volta occhi dorati che si specchiavano in occhi grigi, a modo suo cercando di instaurare un’atmosfera carica di segretezza con l’umano.
    «Queste non sono cose che lei dovrebbe sapere. Il maestro non esagerava nel metterla in guardia, coloro che hanno portato via Morinaga Minoru sono spietati e potenti non solo in Giappone, ma in tutto il mondo.»
    Gli occhi di Lance vagarono lontano da Chihiro, irrequieti come il suo cuore che batteva veloce. Rivelando quelle informazioni metteva in pericolo tutti, eppure aveva sopportato così a lungo da solo quel fardello che poterlo finalmente condividere con qualcuno era una tentazione troppo grande. Il maestro lo avrebbe sgridato, forse anche picchiato per una pazzia del genere. Chihiro Fujioka e la sua maledetta finestra sul mondo lo stavano trasformando in una mina vagante e Lance era certo che prima o poi l’avrebbe pagata cara. Ma ora che attraverso quella finestra aveva visto il mondo era difficile sforzarsi di vivere come un eremita.
    Dardeggiò di nuovo con lo sguardo sullo scrittore.
    «Conducono esperimenti sugli umani e sui ghoul. Non so quale sia il loro obiettivo, io devo solo procurare le cavie ghoul e sperare di non diventare mai uno di loro.»

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    Passarono dei lunghi istanti dal mugugno che aveva ricevuto in risposta alla sua esclamazione non appena aveva notato il ghoul lì, seduto alla scrivania nel posto che solitamente proprio Chihiro stesso occupava, parole seguite poi dai suoi sinceri ringraziamenti. Poiché, dopotutto, il ragazzo, dopo averlo avvertito, non aveva avuto nessuna ragione di rimanere a tener su bottega, se ne sarebbe potuto andare senza aggiungere altro e non gliene avrebbe dato colpa e di certo non se la sarebbe presa.
    E Chihiro non si mosse, lo sguardo sempre puntato sulla punta delle sue scarpe come se così, osservando i graffi e lo sporco che ne decoravano quasi la suola, potesse balenargli in testa la soluzione perfetta. Peccato che niente fosse mai così semplice, nemmeno per lui, che vedeva tutto normalmente con inusuale e spericolata spensieratezza. Chihiro Fujioka non sapeva che fare, spiazzato da una situazione che non avrebbe mai potuto immaginare a cuore leggero. Nella sua posizione attuale non poteva fare niente che non sarebbe andata a fallire miserabilmente. Tuttavia, non era nemmeno il tipo di persona che si fermava per così poco.
    Non poté che non sentire il rumore di abiti che venivano sfregati a poca distanza dalla sua posizione, accompagnato da quello delle rotelle della sua sedia d’ufficio che si muoveva indietro. Seguirono dei timidi passi, e in pochi istanti si ritrovò la figura di Lancelot china di fronte, il suo sguardo dorato che andava a cercare il suo. Il ragazzo sembrò prendere coraggio e, dopo un leggero scuotimento del capo, prese a parlare, sottovoce come se gli stesse rivelando un segreto importante che nessun altro dovesse sentire nonostante, in quell’ufficio, c’erano solo loro due. Chihiro sollevò la testa, inclinandola leggermente di lato nel mentre lo ascoltava con attenzione senza interromperlo nemmeno per un momento.
    Un sorriso amaro spuntò sulle sue labbra «Esperimenti? Sembra il setting perfetto per un opera sci-fi» fu la prima cosa che disse lo scrittore dopo qualche lungo istante di silenzio, utilizzato per metabolizzare meglio che poteva la rivelazione appena ricevuta, non appena Lancelot avesse pronunciato l’ultima parola del suo discorso.
    A dire il vero aveva sospettato qualcosa del genere, a ripensarci gli sembrava abbastanza ovvio, nonostante le motivazioni di un’organizzazione del genere gli fossero ancora sconosciute. Ma di ipotesi ne aveva. Dopotutto la sua mente era volata più di una volta nel mentre ragionava su cosa aveva appreso o cosa si erano fatti sfuggire in precedenza quegli individui che aveva in precedenza così memorabilmente conosciuto. Era come se gli fosse stato dato l’ennesimo tassello che s’incastrava perfettamente in un puzzle che aveva costruito, un tassello che aveva reso più chiara l’immagine d’insieme.
    «Minoru sarebbe la cavia ideale, in perfetta salute e in forma. Una manciata di relazioni interpersonali e, tra l’altro, poco a contatto con la sua famiglia. Con la sua personalità abrasiva, nessuno si sorprenderebbe se sparisse per un po’ lasciando un semplice messaggio. Tranne me, ovviamente» aggiunse poco dopo, obbiettivo nel mentre ragionava, quelle stesse parole appena da lui pronunciate che venivano ricatturate dalle sue stesse orecchie come a ricapitolare la situazione. In fondo, era vero, se Lancelot non lo avesse avvertito, nessuno si sarebbe fatto immediatamente qualche domanda, tranne proprio lui stesso che conosceva l’altro più intimamente. Minoru non era il tipo di persona che faceva preoccupare gli altri, a dispetto suo.
    «Lance-kun… cosa ne pensa il tuo “maestro”?» chiese poi sollevando lo sguardo e puntandolo proprio al ragazzo, l’espressione serie e le mani incrociate sotto al mente, i gomiti appoggiati alle sue ginocchia. Il barlume di speranza era sempre presente, voleva essere sicuro di avere una semplice chance. Non gli importava fosse un misero 0.1% o anche un 10%, si sarebbe accontentato di qualsiasi probabilità. Poiché valeva la pena provare.
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