Like the bitter scent of lemons

Elke Higuchi & Hotaru Shinkai @ Fleur de Lys • 19/11/2022 h 19:30, sereno (13°C)

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    Un ultimo ritocco all'acconciatura che era solita fare ai capelli durante serate di quel tipo e il gioco era fatto.
    Hotaru, la scrapper della famiglia Shinkai, era finalmente pronta per entrare in scena. Non fosse che era in largo anticipo sulla tabella di marcia, quindi dopo aver finito di indossare l'abito e sistemarsi, avrebbe avuto tempo da perdere e guardarsi attorno.
    La freddezza glaciale con cui era solita vivere quel momento, però, lasciava spazio ad una nota dolente e amara: avere del tempo da perdere non faceva che accumulare la tensione, e l'attesa sembrava paralizzarle le gambe.
    Non era abituata ad attendere troppo. Sapeva che quello che faceva in quelle sale era uno spettacolo fin troppo macabro e cruento perché una ragazzina come lei, che cercava di vivere la sua nuova vita normalmente, potesse sopportarlo senza troppi effetti collaterali. Ed era proprio per quel motivo che era solita finire di prepararsi a pochi minuti dall'inizio del suo spettacolo.
    Quel giorno però, mamma e papà erano impegnati ad intrattenere una conversazione con alcuni dei loro parenti, e l'invito di sua madre ad andare a prepararsi prima del tempo era stato un po' una condanna.
    Era sera, faceva freddo e il corpicino fragile di Hotaru tremava in un tossico miscuglio di gelo e ansia.
    Avvertì la bocca ― e successivamente la gola ― seccarsi improvvisamente. Dopo qualche istante, sentì un brivido di freddo percorrerle la schiena e, poco dopo, le gambe molli e formicolanti.
    Logicamente collegò quei sintomi sconosciuti all'ansia, ma sapeva perfettamente che ciò che stava provando non era normale per chi, come lei, era così abituato a vivere una situazione del genere con lucidità, freddezza ed un'abbondante dose di cinismo a condire il tutto. Lo sapeva, eppure gli occhi che s'imperlarono di lacrime sembravano dettare tutt'altro.
    Sentiva l'urgente bisogno di uscire di lì, chiamare Kazuya e chiedergli di stare con lei fino a che non si sarebbe calmata, ma non poteva farlo.
    In quel frangente realizzò che, dopotutto, per quanto amasse aiutare la sua famiglia e fosse contenta della vita che conduceva, non amava dover attendere il suo turno. Una parte di sé, nel tentativo di trattenere quanto più poteva le lacrime, pensò che non avrebbe mai più voluto ripetere un'esperienza simile: se avesse potuto, avrebbe ritardato il doversi preparare quanto più era possibile, per non dover provare mai più sulla sua pelle quelle sensazioni orribili.
    Si sedette su uno dei gradini della breve scalinata che dava l'accesso agli scrapper al "palcoscenico" dove i più crudi spettacoli prendevano vita, lasciando che le urla dell'umano che stava venendo cacciato in quel momento le riempissero le orecchie.
    Era un sottofondo terribile, ma efficace a distrarla dai pensieri.
    Tirò un sospiro, prima di cercare con lo sguardo dove potesse trovare una bottiglia d'acqua per dare un minimo di sollievo alla gola arida, ma ovviamente attorno a sé non c'era nient'altro che buio e muri freddi. Consapevole che non avrebbe trovato dell'acqua da nessuna parte, quindi, la diciassettenne si abbandonò sul gradino, stringendo le mani tra di loro nel tentativo di trovare un'ulteriore distrazione, giochicchiando distrattamente con le dita.

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    Quella sera il Signorino aveva deciso di non partecipare alla speciale mensile serata al chiaro di luna del Fleur de Lys, con la scusa che non si sentiva molto bene e avrebbe invece “cenato” un altro giorno ad uno dei ristoranti ausiliari. Elke sapeva bene che quella era una bugia e il ragazzo voleva semplicemente sfruttare il fatto che nonostante tutto lei stessa, la sua guardia, e il suo piccolo scrapper dovevano comunque partecipare allo Spectacle, lasciandoli spazio livero di fare quello che più desiderava. O andare dove voleva senza che lei potesse fermarlo, non avendo prove dirette. Sul momento almeno, il padre di lui le aveva dato istruzioni chiare e, nonostante, l’avrebbe poi pagata cara alle mani del ragazzino, lei avrebbe portato a termine il suo compito correttamente.
    Dopotutto, il “piatto principale” era stato procacciato proprio da lei, come pegno alla Madame. E sempre per la suddetta figura che Elke si era da sempre impegnata ad imparare i termini corretti, e non quelli colloquiali, da usare in sua presenza con il resto del personale. Anche se il francese non le usciva facile, l’importante ea che quelle parole fossero giuste. Vedendo che, a conti fatti, non doveva permettersi di far sfigurare la famiglia che serviva.
    Si sistemò meglio la coda di cavallo e il foulard rosso al collo, lisciandosi poi la gonna nera, ove la maschera che doveva indossare era riposta nel taschino. Fare la Cameriera non era il suo compito, dopotutto lei era una Cacciatrice, ma era comunque un favore che a volte doveva fare per quello stabilimento anche se il più delle volte quella divisa quasi blanda la indossava solo per servire direttamente il signorino Soren.
    Lo Smantellamento era ormai iniziato da qualche minuto, e dal ripostiglio, grazie al suo udito sovrasviluppato, quasi poteva chiaramente udire le urla supplicanti della preda e le risate divertite del pubblico. Sapeva che sarebbe stata tirata alle lunghe poiché il primo Boucher della serata era il suo caro Katchen, che lei aveva istruito personalmente in quell’arte. Tagli netti e precisi, una danza elegante ma macabra. Non serviva compassione, l’importante era far cadere il sipario senza intoppi a suon di musica.
    Prese dunque dallo scaffale la bottiglietta d’acqua e l’asciugamano che era andata a recuperare, per poi chiudersi la porta dietro le spalle e dirigersi verso dove sapeva vi era l’uscita sotterranea dell’arena, il ticchettio delle sue scarpe che faceva eco sul pavimento piastrellato, accompagnando quasi i rumori macabri che rimbombavano per le pareti, suoni che non sarebbero mai arrivati fuori dall’edificio, pronta ad accogliere il suo protetto in modo da appurare stesse bene.
    Ma sulla soglia della piccola scalinata, notò una solitaria figura femminile. Un’altra scrapper, constatò subito lei notando la sua mise curata ed elegante. Elke si fermò quindi sul posto, il vacuo sguardo verdognolo puntato sulla figura china dell’umana. Era insolito trovare uno scrapper da solo, certo, non che potesse scappare da lì, ma allo stesso tempo significava che i suoi padroni si fidassero ciecamente di lei. Oppure che era talmente soggiogata che nemmeno aveva il pensiero di prendere quell’opportunità al balzo. Dopotutto, quello era un pensiero che lei aveva sempre e che sapeva non poteva mai compiere. Chissà quale ipotesi era giusta, ma Elke poteva percepire comunque la sua ansia.
    Le faceva un po’ pena.
    «Non è avvelenata» le disse avvicinandosi alla sua figura, allungandole la bottiglietta d’acqua, il suo accento straniero che comunque faceva un po’ capolino sulla pronuncia di certe sillabe. Katchen non se la sarebbe presa, dopotutto era un bravo bambino e condividere, lontano dagli sguardi di tutti, si poteva fare. Dubitava poi la scrapper si sarebbe andata a lamentare, nessuno le avrebbe creduto. Mal che vada si sarebbe solo rifiutata e sarebbe finita lì, con Elke che sarebbe tornata ad ignorare la sua presenza.
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    Edited by alyë - 14/12/2022, 20:47
     
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    Ci era abituata.
    Sapeva di non potersi sentire realmente toccata dalle urla che facevano da sottofondo al suo stato d'ansia pre-spettacolo, perché in fin dei conti si era abituata che tutto ciò era normale. Ed era davvero così, nella sua testa, era un piccolo prezzo da pagare per essere stata accolta nella famiglia Shinkai. E Hotaru ne andava fiera.
    Ma forse perché quella serata era davvero importante c'era una crescente paura che la stava divorando dall'interno. Una sensazione ben peggiore rispetto a quella data dalle urla dell'umano che stava venendo inseguito da un altro scrapper come lei. Se avesse fatto una pessima esibizione, suo "nonno" avrebbe avuto la conferma che adottare una bambina umana e trasformarla nella nuova scrapper degli Shinkai si sarebbe rivelato un grosso sbaglio.
    E se quella sua paura fosse diventata realtà, cos'avrebbe mai potuto fare? Avrebbe dovuto dire addio al calore di mamma, papà e Kazuya?
    Non ci voleva pensare. Doveva dimostrare che era in grado di affrontare tutto quello, ansia e panico a parte. Ce l'avrebbe fatta, avrebbe dimostrato che era in gamba, che mamma Anna non aveva sbagliato, che lei era valida sia come scrapper che come membro della famiglia Shinkai.
    L'orda di pensieri che aveva invaso la mente della giovane scrapper venne spazzata via in un lampo da una voce sconosciuta. Alzò di scatto lo sguardo, quasi spaventata dall'improvviso intervento, constatando che la voce apparteneva ad una... cameriera?
    Una cameriera del ristorante le aveva rivolto parola. A lei, che era una scrapper insignificante.
    Sulle prime si sentì impaurita: come avrebbe dovuto comportarsi? Quando andava al Fleur de Lys per lavorare non le era permesso rivolgere parola a nessuno, se non ai membri della sua famiglia, perciò non aveva nessuna idea su come avrebbe dovuto rivolgersi alla cameriera.
    Però le aveva offerto dell'acqua, assicurandole che non fosse avvelenata e sulle prime si sentì tentata di chiederle di provarla al posto suo, per paura che, al contrario di quello che aveva detto, fosse proprio così. Però ci ripensò: perché dubitare di una persona che le aveva rivolto la parola a prescindere da quale fosse il suo ruolo lì dentro?
    «... grazie.»
    Un mormorio quasi impercettibile, un flebile sussurro. Non si sarebbe mai permessa di tenere la voce troppo alta, per paura che un rumore un po' più forte potesse rovinare lo spettacolo attualmente in corso. Perciò afferrò la bottiglia, ancora leggermente titubante e, dopo averla aperta, si permise di bere qualche piccolo sorso per reidratare la gola che si era fatta secca durante quell'attacco d'ansia. Le aveva anche dato le spalle, conscia che non fosse proprio educato bere da una bottiglia così, senza alcuno scrupolo, di fronte ad un'altra persona. Non era educato nei confronti di parenti e amici, figurarsi se con lei c'era una sconosciuta. Per di più qualcuno che, per quanto poco "importante", occupava un gradino più in alto del suo nella scala gerarchica che vigeva lì al Fleur de Lys. Non si sarebbe mai permessa di mancare di rispetto a qualcuno così, a maggior ragione dopo che l'aveva aiutata.
    «U-uhm, cosa sta facendo qui?» domandò, in un attimo di curiosità improvvisa. Avrebbe dato per scontato che un altro scrapper si facesse vivo e che nessuno le avrebbe dato conforto ― per la legge non scritta del "se sei qui, vuol dire che devi avere fegato ed essere abituato ad una situazione del genere" ―, ma contro ogni sua aspettativa quella cameriera girava proprio da quelle parti. E non se lo sarebbe mai potuto immaginare, ecco.
    Ma era anche vero che la ragazza non era neanche tenuta a risponderle. Ci mise poco, infatti, a sentirsi stupida: quell'attacco d'ansia l'aveva intontita, per caso? Avrebbe fatto meglio a chiedere scusa. E, perché no, ringraziare di nuovo.

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    Elke Higuchi
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    Alle sue parole la ragazzina umana aveva sollevato di scatto lo sguardo che mal celava la paura che stava chiaramente provando oltre che la chiara ansia, comprensibilmente sorpresa dal fatto ci fosse qualcun altro lì, incrociando così quello verdognolo di Elke che stette però ad osservarla per qualche secondo di troppo prima di distogliere lo sguardo dalla sua figura agghindata, non volendo metterla ulteriormente a disagio. In quel frangente non ne aveva motivo, dopotutto.
    La ragazzina, dopo aver esitato a lungo, allungò una mano per prendere la bottiglie che le aveva porto poco prima, ringraziando la tedesca con voce flebile e, se non fosse stato per i suoi sensi più sviluppati, Elke probabilmente non l’avrebbe sentita chiaramente.
    «Prego» disse lei in risposta, riportando lo sguardo su di lei non appena il peso della bottiglia aveva lasciato la presa della sua mano.
    Dopo aver afferrato la bottiglia d’acqua, probabilmente molto assetata, la ragazza prese subito qualche sorso dopo averle dato, però, le spalle. Era un gesto che Elke trovò essere inusuale, una strana cortesia o anche modestia che trovava facilmente superflua. In special modo in quel contesto. Ma nonostante quei pensieri si fossero formati nella sua mente, decise comunque di non commentare per lo stesso motivo. Non serviva. Come non serviva la gentilezza che aveva appena fatto.
    «» Elke stette in silenzio, i pensieri che vorticavano nella sua mente, ma la ragazzina sembrò prendere parola (con palese coraggio) al posto suo, facendole una domanda a bruciapelo che la colse un po’ di sorpresa nonostante la semplicità del quesito stato appena posto: perché era lì? Una domanda la cui risposta era semplice e ovvia, ma decise comunque di assecondare la ragazza, chiaramente nervosa. Meglio si rilassasse, si disse tra sé e sé, se avesse combinato qualche disastro in arena sapeva sarebbe stata nei guai. Non poteva far sfigurare il suo sponsor, né tanto meno la Madame. Valeva tanto per lei, quando per loro.
    «Sei da sola, posso farti la stessa domanda» disse quindi lei senza però inflessione alcuna, il tono privo di vera malizia, inclinando leggermente la testa di lato. Sempre chiara e dritta al punto quando non doveva indossare nessuna maschera «Sto aspettando lo “scrapper” che è entrato in scena prima di te» aggiunse poi, alzando leggermente le spalle con inerzia, spostando lo sguardo per qualche istante dalla sua figura alla porta chiusa che sapeva dare sul palco.
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    La ragazza aveva ragione, e quella risposta la colpì come fosse stato un treno in corsa, investita a piena velocità.
    Si sentì sciocca, come se non fosse già stata lì tante altre volte, come se non lo avesse fatto un numero non quantificabile di volte.
    Ancora, la scrapper abbassò lo sguardo, come se guardare la gonna del suo abito potesse darle le risposte che cercava. Probabilmente il panico le aveva offuscato la mente, così tanto da non averle dato il tempo di pensare, prima di porre quella domanda innocente.
    Ovviamente accompagnava un altro scrapper, qualcuno come lei. Ed era proprio il ragazzo che stava dando spettacolo proprio in quel momento.
    L'umana prese un respiro profondo e poi un altro sorso d'acqua, poiché sentiva ancora la gola secca. Il disagio che in quel momento le aveva preso la bocca dello stomaco, chiudendola inequivocabilmente, sembrava essersi originato da una ragione diversa dalla precedente: se prima si sentiva sola e improvvisamente fragile di fronte alle aspettative dei suoi "cari", adesso quella sensazione di imbarazzo la poteva ricondurre solo ed esclusivamente alla gaffe appena fatta.
    «Oh― s-sì, ha ragione. Mi perdoni.»
    Almeno aveva abbastanza sale in zucca da rispettare la "gerarchia". Fintanto che se ne stava in famiglia avrebbe potuto rivolgersi agli Shinkai senza essere formale, ma in quel contesto lei era una scrapper, non era accompagnata da qualcuno e ricopriva il gradino più basso di quella piramide di ruoli a cui si era faticosamente abituata.
    Dopo gli umani che erano lì per diventare cibo.
    «Io... i miei padroni si fidano, mi lasciano sola già da qualche mese.»
    Non avrebbe potuto dire che era in tutto e per tutto un membro della famiglia Shinkai, altrimenti chissà che cosa sarebbe potuto accadere alla reputazione della sua famiglia... perciò non fu troppo difficile trovare le parole giuste per spiegare il motivo per cui una scrapper gironzolasse liberamente nel retroscena, senza nessuno a controllarla.
    Forse era per quello che si sentiva così irrequieta. Probabilmente ancora non si era del tutto abitutata all'assenza della sua famiglia, che in un momento tanto fragile era sempre stata di enorme supporto per la psiche di Hotaru. Ma doveva farsene una ragione: si fidavano, e non era sicura che dir loro di avere paura e ansia avrebbe potuto cambiare le cose.
    Forse era anche perché non c'era nessuno che stesse lì con lei, facendola sentire normale messa a confronto con gli altri scrapper, che si sentiva soggiogare da quelle emozioni negative.
    «Spero di non averla disturbata» commentò poco dopo, sempre con un filo di voce. In realtà dubitava che avesse qualcosa da fare mentre attendeva la fine dello spettacolo dello scrapper che accompagnava, però occuparsi di una scrapper sconosciuta che si era appena sentita male forse non rientrava nelle cose che avrebbe voluto fare.
    Ancora, si stava solamente fasciando la testa prima di rompersela. Probabilmente era solo l'ansia che le stava giocando brutti scherzi, e per questo strinse la presa con le mani attorno alla bottiglia che la ragazza le aveva dato, senza mai rialzare lo sguardo.

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    La ragazza non sembrò prendere bene la sua picata risposta, e aveva abbassato immediatamente lo sguardo come imbarazzata. O peggio, intimorita. Non che Elke si aspettasse altro e nemmeno la biasimava, considerando che la scrapper, dalla sua posizione in quella gerarchia sociale di cui facevano parte, poteva credere di aver chiesto o anche fatto qualcosa di sbagliato nei suoi confronti.
    La udì poi fare un respiro profondo, in un probabile tentativo di calmarsi, per poi prendere un altro sorso d’acqua dalla bottiglietta che gli aveva dato. Ormai le era abbastanza ovvio che la ragazza fosse nervosa e a disagio, e più che per la sua presenza, con tutta probabilità lo era per quello che doveva andare a fare da lì a poco. Forse era nuova, forse non aveva molta esperienza, era stato il suo successivo pensiero nel mentre continuava ad osservare la ragazza di sottecchi, le orecchie ben tese in modo da poter captare altri rumori di sottofondo. Infatti, si accorse presto che la musica, che fino a quel momento era arrivata ovattata alle loro orecchie, era finita seguita poi da degli applausi. Mancava poco, quindi.
    «No problem~» le disse con lo stesso tono più spigliato che usava nella vita di tutti i giorni, di quando doveva sembrare una ragazza come tante, nonostante la sua espressione fosse rimasta impassibile e stoica, non dovendo fingere anche lì, sperando facesse un attimo sciogliere la ragazza dalla sorpresa. Meno era tesa, migliore sarebbe stato il suo spettacolo. Ed Elke sapeva bene che chi sfigurava non faceva mai una bella fine.
    «Ma quella non è una cosa che direbbe uno scrapper ammaestrato. Stai attenta a come ti poni, i tuoi padroni si possono anche fidare di te ma è un’arma a doppio taglio con gli altri. Meno dici, meglio è» la ammonì con precedente pensiero ormai piantato nella sua mente, l’accento straniero sempre un po’ marcato nel mentre si passava una ciocca di capelli tinti dietro un orecchio. Dopotutto nessun scrapper veniva mai lasciato veramente da solo, tanto meno con la libertà di muoversi. E a molti “padroni” non piaceva vedere i “pet” degli altri sgattaiolare in giro senza permesso.
    Passarono dunque pochi istanti ed Elke sollevò improvvisamente la testa dalla sua figura seduta puntandola alla porta che dava sul “palcoscenico”, che si aprì proprio in quel momento, rivelando la figura minuta di Katsuki, i bianchi e perlacei abiti di scena intatti se non fosse per le chiare chiazze rosse. Non importava si fosse rovinato nonostante la fattura pregiata, l’abito sarebbe stato comunque buttato. Dopotutto, il Signorino Soren non voleva mai che usassero lo stesso completo due volte, altrimenti che figura ci avrebbe fatto? Come sempre, le armi che aveva usato erano state lasciate agli attendenti che si stavano sicuramente prendendo cura del corpo per portarlo alla cucina nel mentre sistemavano l’arena per il successivo spettacolo, la musica della piccola orchestra aveva ripreso a solleticare le sue orecchie.
    «Katchen?» mormorò Elke con tono leggermente preoccupato notando il suo sguardo cupo del ragazzino che, dopo aver chiuso con stizza la porta dietro di sé, si era diretto a passo svelto verso la ghoul che aveva immediatamente riconosciuto, come a volerla stringere in un forte abbraccio, per poi fermarsi di fronte a lei senza sfiorarla ulteriormente, come a non volerle sporcare la divisa nonostante desiderasse da lei contatto.
    Sentendo quella domanda, l’umano sembrò prima esitare ma sempre pronto a schiudere le labbra per mormorare qualcosa in risposta ma fu alzando lo sguardo innocente che notò l’altra presenza nello stanzino e, un po’ spiazzato, non aspettandosi che qualcun altro fosse già lì, le parole che sfuggirono alle sue labbra furono «E questa chi è?» dette però in tedesco, riportando poi lo sguardo ora interrogativo sulla bionda aguzzina. Qualunque cosa avesse voluto dirle, per il momento era stato dimenticato.
    Elke sospirò «Secondo te?» rispose lei nella stessa lingua, il tono un pelo più canzonatorio nel mentre gli porgeva l’asciugamano pulito che aveva recuperato meri minuti prima, che il ragazzo prese delicatamente in mano, per poi posarselo in testa in modo da poter nascondere l’occhiataccia che aveva lanciato all’altra ragazza, prendendo poi a darsi una sistemata prima di andare a lavarsi negli spogliatoi, in modo da non imbrattare più del dovuto il pavimento di quelli che erano scarti di loro simili appena stati massacrati.
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    Parlare con qualcuno, seppur si trattasse di una figura sconosciuta e, per lei, sicuramente autoritaria, le aveva davvero fatto bene, anche se di primo acchito non l'avrebbe notato nessuno, nemmeno la più acuta delle persone. Lo sguardo di Hotaru tornò a guardare Elke solo dopo che ebbe finito di bere un nuovo sorso d'acqua, ora mostrandosi leggermente sorpresa dal tono decisamente più amichevole che la voce della ghoul aveva assunto.
    Hotaru, impressionata da quel cambio repentino, sbatté le palpebre truccate per qualche secondo, stringendo debolmente la presa attorno alla bottiglia di plastica, che produsse un leggerissimo suono. Avvertì la plastica dell'etichetta raggrinzirsi sotto il suo tocco e, conscia dell'azione istintiva che aveva fatto per la sorpresa, allentò di nuovo la presa, tornando a guardare prima la bottiglia, poi le proprie gambe, coperte da un finissimo strato di tessuto.
    Alle parole ammonenti della ghoul, la scrapper annuì, conscia di quanta ragione avesse: effettivamente non avrebbe dovuto abbassare così tanto la guardia, era pur sempre una scrapper in un ambiente in cui quelli come lei erano visti come bamboline che si muovevano solo secondo gli ordini dei propri padroni. La vita delle persone come lei non valeva così tanto e un comportamento del genere sarebbe stato sicuramente punito se solo avesse beccato la persona sbagliata a cui confidare una simile realtà. La maggior parte delle famiglie di ghoul che frequentavano il ristorante, d'altronde, non erano buone e magnanime come la sua. Quasi nessuno, in quell'ambiente, aveva il cuore buono come quello di mamma, papà e Kazu-nii.
    Un altro sospiro abbandonò le labbra leggermente screpolate, che inumidì poco dopo passandoci velocemente la lingua.
    «Ha ragione, sono stata sciocca a parlare in questo modo» aveva deciso di dire, sollevando lo sguardo e rivolgendolo di nuovo ad Elke, «ma la ringrazio per avermi comunque ascoltata. Ora sto―»
    Fu interrotta dall'applauso che si alzò alle sue spalle, il clamore con cui venne accolta la fine di uno spettacolo che, basandosi dal fragoroso suono delle mani battute, sembrava aver entusiasmato il pubblico. Poco dopo la porta alle loro spalle si aprì, mostrando la figura di un ragazzo vestito in un completo bianco, macchiato dalle chiazze di sangue umano. Alcune gocce cadevano a cadenza irregolare dai vestiti, sporcando il passaggio.
    Era perfettamente intatto. Non un capello fuori posto, non un vestito stropicciato. L'unica nota stonata erano le chiazze di sangue, che a pensarci bene erano perfettamente normali visto ciò che era appena accaduto oltre la porta da cui il suo "collega" aveva fatto ritorno.
    Hotaru lo osservò scendere i gradini e si spostò pure per non essere d'intralcio, alzandosi dal gradino sul quale era seduta per lasciare spazio ai due.
    Li sentì parlare in una lingua a lei sconosciuta, lingua che suppose fosse europea, ma decise giustamente di farsi gli affari suoi, non prestando troppa attenzione ai due e, per sua fortuna, non notando come il ragazzo le avesse riservato solo occhiate sgradevoli. Inconsapevole di non essere stata una presenza gradita da Katchen, lasciò che lui si dirigesse negli spogliatoi, guardandolo defilarsi oltre le porte.
    Lo sguardo di Hotaru tornò rivolto ad Elke, rimanendo in silenzio per qualche istante. Il silenzio era sempre stato un suo grande alleato, ci aveva convissuto per così tanto tempo da non averlo mai considerato una cosa negativa, ma in quel momento si sentiva quasi in imbarazzo all'idea di rimanere così, a guardarsi, senza dire nulla.
    «Mh...» bofonchiò, andando a giochicchiare con l'etichetta della bottiglietta, «grazie per aver parlato con me. Ora sto meglio.»
    Ed era davvero meglio così. Anche perché, se non avesse placato quella sgradevole sensazione di ansia che l'aveva trattenuta fino a quel momento, non avrebbe fatto un buono spettacolo e avrebbe fatto sfigurare gli Shinkai. E, con tutto ciò che avevano fatto per lei, non si sarebbe mai perdonata un simile scenario.

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    Non appena Katsuki si era defilato verso gli spogliatoi, nell'anticamera era sceso nuovamente il silenzio, spezzato solamente dai rumori ovattati provenienti dall'altra parte del portone che li divideva dalla sala che dava sul ristorante. Elke passò dunque lo sguardo dall'angolo dove era sparito il suo protetto all'altra scrapper ancora comodamente seduta su quei gradini. La ragazza sembrava stare effettivamente meglio, evidente più dalla sua aria più tranquilla che dalle sue stesse parole, nonostante avesse continuato a stringere la presa sulla bottiglia e giocherellare con l'etichetta di plastica. Quell'ansia, quel nervosismo, era forse sempre presente per lei, più di una semplice ansia da prestazione, constatò quindi la ghoul.
    «Non serve che mi ringrazi, è il minimo che posso fare per te» le disse quindi Elke dopo un battito dalle parole state appena pronunciate dalla ragazza dai capelli scuri, il tono gentile come a non volerla intimidire di più.
    Inclinò poi leggermente la testa di lato, pensosa, mentre il suo sguardo verdognolo era rimasto sempre puntato su l'altra, una mano ora al fianco «Se in futuro ti può servire aiuto, chiedi di… Shiba» aggiunse poco dopo, annuendo appena con la testa, nascondendo quella esitazione che stava provando nel mentre pronunciava quelle parole con un tono deciso e sicuro.
    Il suo alias giapponese la imbarazzava un po’, meno imponente di Nattmara (anche se quest’ultimo lo condivideva, in realtà, con altre donne ghoul) e quasi ridicolo, ma la sua proposta era stata sincera. Non era una cosa da tutti i giorni, da parte sua, porre una mano a qualcuno che non fosse un membro della “famiglia” ma in quella ragazzina ci vedeva non solo una sé stessa più giovane, ma anche Katchen, l'umano a lei più caro. Ed era suo desiderio proteggerlo, e anche per questo avrebbe continuato a servire i suoi Signori probabilmente per tutta la durata della vita.



    A sua insaputa, non appena si erano separati, essendo dovuta tornare ai piani superiori in modo da adempiere alle sue mansioni della serata per il Ristorante, Elke aveva lasciato Katchen da solo nell'area adibita agli scrapper, un luogo sicuro e chiuso dove quelli che si comportavano meglio potevano aspettare che i loro padroni, o altri inservienti, venissero a prenderli in tutta tranquillità.
    Tuttavia, quest'ultimo, invece di aspettare nel suo angolino a leggere il libro sgualcito che si era portato dietro per continuare ad esercitarsi nella lettura di quei caratteri familiari ma allo stesso tempo completamente sconosciuti e complessi (volendo rendere Elke fiera dei suoi progressi), aveva invece aspettato per lunghi minuti, dopo essersi lavato e cambiato in abiti più comodi, sempre scuri, che comparisse l'altra scrapper in modo da fermarla ed interrogarla, un tarlo che si era andato a formare nella sua mente da quando l'aveva vista in compagnia della sua amata ghoul Un tarlo d'invidia che non lo aveva lasciato stare.
    «Ehi!» disse quindi lui, il tono di voce arcigno e allo stesso tempo autoritario, parandosi di fronte alla ragazza (chiaramente un po' più alta di lui, ora che la vedeva da vicino e non da seduta) una volta l'aveva notata sbucare dalla porta dello spogliatoio «Cosa volevi da nee-chan?» disse lui a un palmo dal suo viso, in un giapponese quasi perfetto, ignaro del fatto che fosse stata Elke stessa ad approcciare la ragazza per prima.
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    Elke era la prima ghoul davvero gentile nei suoi riguardi, almeno in quell'ambiente, all'infuori della famiglia Shinkai. Tutte le volte che aveva messo piede in quel luogo, le persone la guardavano con sdegno e disprezzo, dall'alto al basso, come se fosse uno scarto della società.
    In effetti sapeva che era lei la scrapper strana. Non tutti avevano la fortuna di essere gli scrapper di una famiglia dolce e premurosa, le era capitato di parlare con alcuni suoi "colleghi", raramente, e aveva capito come la sua posizione fosse estremamente privilegiata.
    Non avrebbe mai capito perché quella ghoul fosse stata così gentile con lei, ma quando le disse di chiedere di Shiba se avesse avuto bisogno di aiuto, il cuore gelido e tremacchiante di Hotaru venne scosso da un'ondata di calore, come se avesse appena ricevuto il caldo abbraccio della mamma.
    Shiba era stata davvero premurosa.

    [ ... ]

    Sul palcoscenico del ristorante, Hotaru aveva probabilmente dato sfoggio della sua miglior performance. Le volte precedenti era stata una sfida all'ultimo sangue in cui doveva combattere per difendere la propria vita. In quell'occasione, però, di fronte a sé aveva una donna spaventata che continuava a supplicarla di risparmiarla, che vedeva del buono nei suoi occhi, che non poteva davvero pensare di macchiarsi di un crimine del genere. Dopotutto, lei era ancora giovane e con una lunga vita davanti.
    Quella danza di terrore venne portata avanti con estrema maestria dalla scrapper. Movimenti veloci e leggiadri carezzavano il corpo scosso dalla paura dell'umana, che strisciava per terra incapace di rimettersi in piedi e correre. Hotaru mantenne un'espressione impeccabile, giocando con la paura della ragazza fino a cullarla tra le braccia di Morfeo che, purtroppo, se la sarebbe presa per sempre.
    Punta da un singolo ago, la donna cadde finalmente vittima della scrapper, finendo uccisa tra le sue stesse braccia. Un solo schizzo di sangue macchiò il volto della ragazzina che, una volta confermato che la donna avesse esalato il suo ultimo respiro, abbandonò il corpo esanime della propria vittima al centro del palco, sotto la luce neutra dei riflettori e, dopo un breve inchino e lo scrosciare degli applausi del pubblico, Hotaru svanì dietro le tende, rintanandosi al riparo da quello scenario nel suo spogliatoio.
    Lo specchio insozzato di impronte e granelli di polvere rifletteva il volto privo di espressività di Hotaru in maniera leggermente distorta. Quelli non erano specchi di chissà quale grande qualità, ma se l'era sempre fatto andare bene. D'altronde, quando metteva piede in quel posto, lei perdeva la sua identità di Hotaru Shinkai, abbracciando per una sera il fatto di essere semplicemente la scrapper degli Shinkai. E quello, purtroppo, era tutto ciò che lei meritava di avere.
    Con una salvietta igienizzante andò a pulire l'unica macchia di sangue che le aveva insudiciato il viso, strofinandola con forza per non lasciare alcuna traccia dell'orrore che aveva appena commesso. Pur essendo abituata, rimaneva comunque cosciente del fatto che quello che faceva non era da considerarsi positivo. Andava avanti solo perché così avrebbe reso fiera di lei la propria famiglia.
    Ma prima che potesse fare altro, una voce alle sue spalle la risvegliò da quel momento di alienazione: era lo scrapper che Shiba accompagnava.
    Gli occhi scuri di Hotaru svanirono e riapparirono sotto il veloce battito delle palpebre, confusa dal perché quel ragazzo avrebbe dovuto rivolgerle parola. Solo dopo arrivò la domanda che chiarì, almeno momentaneamente, il suo dubbio.
    «Oh» le sfuggì dalle labbra, voltandosi completamente in sua direzione per non dargli le spalle: sua madre le aveva insegnato che era maleducazione. «Io... io niente.»
    In effetti era vero. Era stata Shiba ad avvicinarsi a lei per prima, fornendole un po' di aiuto per la sua ansia.
    «Lei ha visto che non stavo bene, così...»
    Così l'aveva aiutata. Era molto semplice da dire, ma aveva come l'impressione che quel ragazzo non ne sarebbe stato contento.
    «È un problema?»
    Il tono di voce di Hotaru non era più macchiato dall'ansia, né da chissà quale altra emozione spiacevole. In realtà, nessuna emozione sporcava la sua voce, ora completamente atona e rilassata. Stava rispondendo come era solita parlare.

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    Elke Higuchi
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    Alle sue schiette e brusche parole, la ragazza si era voltata di scatto nella sua direzione, lo sguardo confuso ma anche stupito forse per il fatto le avesse rivolto parola, considerando non fosse una cosa da tutti giorni il fatto che lasciavano due scrapper comunicare tra loro. Katsuki esitò prima di rispondere di rimirando, preso in contropiede dalla sua pacata risposta, ma la sua brevissima spiegazione non lo sorprese affatto.
    Tipico di Elke, si inteneriva sempre di fronte ai bambini o ai ragazzini che venivano portati al cospetto del loro Signore, e il suo sguardo diventava sempre triste per giorni quando nessuno sopravviveva alla “selezione”. L'unica, parziale, eccezione era il Signorino, non essendo degno di compassione né comprensione. O almeno, quello era l’intimo pensiero di Katsuki, anche se quelle parole non sarebbero mai uscite dalle sue labbra né in presenza di Elke né tantomeno di Soren stesso. Sapeva bene sarebbe stato punito da entrambi, anche se con diversi gradi di crudeltà. In fondo, Elke era sempre attenta a non fargli troppo male, mentre Soren non si curava se dopo le sue “cure” rimanesse a letto per settimane, l’importante era che il suo viso non venisse sfiorato.
    Ma la domanda che l’umana gli fece, lo bloccò per qualche istante. Era un problema? Il fatto che Elke avesse instaurato una conversazione con quella inferiore scrapper? Per lui, si, lo era eccome, un misto di gelosia ed apprensione di venir sostituito. Perché voleva che la sua Elke fosse gentile solo con lui, che fosse solo il suo “Katchen” ad essere per lei speciale. E nessun altro. Tuttavia, come poteva spiegare quel pensiero all'altra umana senza sembrava un moccioso viziato alla stregua del loro padroncino?
    «Mi dà fastidio» specificò quindi lui stringendo i denti in una smorfia, irritato dal tono e dalla reazione della ragazza. Sapeva di non far paura, sembrava ancora più piccolo dell'età che doveva avere, e nonostante fosse giusto un annetto più piccolo del Signorino, lui poteva ancora passare per un bimbo delle elementari che un giovane adolescente.
    «Stalle lontano» intimò poi, ad un passo dal suo volto dopo aver ritrovato la sicurezza che aveva perso quel qualche attimo, lo sguardo color cioccolato assottigliato «È la mia…» s’interruppe prima di continuare, poiché cos'era lei per lui? La chiamava “sorella” ma per lui non era solo quello, per lui era molto di più. La sua dea, la sua amata. Il suo mondo.
    «Mentore» decise infine di definirla in talo modo, il tono smorto ma sempre aspro. Quella definizione era un dato di fatto ma di certo meno complicato della realtà, dei suoi sentimenti nei confronti della ghoul.
    «Dove sono i tuoi guardiani?» le chiese poi lui a bruciapelo, le braccia ora conserte cercando di intimidirla con lo sguardo, ricordando non l'avesse vista insieme a nessuno quando aveva portato a termine la sua parte dello spettacolo e l’aveva incrociata in compagnia della ghoul. Né, tanto meno, nessuno sembrava starla aspettando là fuori per portarla via ora che aveva eseguito il suo compito per la serata. Lo spettacolo, lo smantellamento, era infatti terminato da svariati minuti, ed era arrivata l'ora del pasto per i loro clienti, banchetto che era accompagnato dalla musica degli altri scrapper adibiti alla piccola orchestra. Ogni pet aveva un ruolo in quel macabro ristorante, e il loro era quello di portare la carne, stata selezionata accuratamente da cacciatrici come Elke, al macello.
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    Hotaru Shinkai
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    Così come la propria voce, l'espressione nel viso di Hotaru non lasciava trasparire alcuna particolare emozione. I piccoli occhi a mandorla, scuri ed imperscrutabili, osservavano il volto del ragazzino davanti a lei, forse suo coetaneo o addirittura più giovane, come se stessero guardando la cosa meno interessante del mondo. E non perché fosse completamente disinteressata, ma Hotaru era solita spegnere il cervello dopo aver dato sfoggio al proprio spettacolo: se avesse permesso a mente e cuore di analizzare ciò che aveva commesso, non sarebbe ancora lì per poterlo raccontare.
    La vita costellata di orrori che conducevano gli scrapper, d'altronde, non aveva nulla da invidiare. Nessuno poteva invidiarli. Erano alla stregua di cani da caccia, trattati decisamente peggio. Lei tra tutti, forse, era abbastanza fortunata da poter dire di condurre due vite parallele che sembravano cozzare l'una con l'altra: da una parte c'era quello spettacolo di violenza e sangue, dall'altra una famiglia amorevole e gentile che le voleva bene come se ne avesse sempre fatto parte.
    Anche per quel motivo, Hotaru spegneva sempre cuore e cervello quando metteva piede lì dentro. Sapere che non tutti i suoi colleghi ricevevano lo stesso trattamento di favore che a lei veniva riservato, passare del tempo in mezzo a persone che vivevano senza essere considerate tali non le avrebbe fatto bene. Per questo non era neanche arrivata a chiedersi se Katchen fosse, all'atto pratico, diverso da lei come lo erano tutti gli altri. Quello era un quesito che, probabilmente, le sarebbe balenato in testa solo dopo aver finalmente riacquisito le funzioni cerebrali di un normale essere umano.
    Con l'apatia a comandare ogni sua decisione, Hotaru annuì alle parole di Katchen, facendo un passetto indietro.
    «Mi dispiace» mormorò, atona al punto da sembrare come se la sua fosse una risposta completamente sprovvista di un briciolo di dispiacere. «Prometto di non rivolgerle mai più parola.»
    Se non fosse stata Shiba la prima a rivolgergliela, in quel caso non avrebbe potuto mantenere fede a quella promessa. Shiba era una ghoul e se l'avesse incrociata in quei locali, era giusto che Hotaru rispondesse anche solo con una minima riverenza. Poteva promettere che l'iniziativa non sorgesse mai da lei, ma il contrario non avrebbe potuto prevederlo. Tenendo particolarmente a mantenere i rapporti con gli altri quanto più possibile pacifici, però, si sarebbe impegnata affinché non avesse più causato alcun disturbo o fastidio al povero Katchen, che sembrava particolarmente turbato dal fatto che lei e la sua mentore si fossero scambiate qualche parola.
    Non riconobbe nel comportamento di Katchen il seme della gelosia. Quel fastidio poteva anche solo essere dovuto dal fatto che si sentiva solo, e se l'unica persona che lo considerava era Shiba, magari voleva fare in modo che lei guardasse solo lui. Magari, pensò ancora, era infastidito dal fatto che lei non avesse prestato attenzione a quello che stava facendo sul palcoscenico poco prima, intrattenendosi invece con lei.
    Alla successiva domanda dello scrapper, Hotaru fece spallucce, tornando seduta sullo sgambello monco e ondeggiante, guardandosi allo specchio e realizzando che quella macchia di sangue non se n'era del tutto andata dal proprio viso. Quindi, prima di rispondere, tornò a strofinare la salvietta in un moto lento e perpetuo, guardando fisso il proprio riflesso nello specchio.
    «Devo aspettarli qui» disse, esercitando maggiore forza contro la propria guancia. «Passeranno a prendermi quando avranno finito di mangiare.»
    Gli Shinkai non avevano un tramite. Era quasi sempre sua madre, Anna, a tornare lì e riprendersela, attendendo di essere tutti in macchina per scambiarsi affetto ed effusioni varie. Ogni tanto, però, capitava che fosse anche Kazu-nii quello che si infilava nello sporco e puzzolente retroscena per ripescarla, portandola fuori tenendola per mano.
    «Tu hai finito, no?» chiese lei, retorica, spostando lo sguardo perché potesse osservare la figura dello scrapper attraverso lo specchio. «Perché sei ancora qui?»
    Chissà, magari voleva ancora parlare con lei? Aveva letto da qualche parte, d'altronde, che alcune persone non dichiaravano mai apertamente le proprie intenzioni, come si diceva? Ah sì, tsundere, lo stereotipo dei manga.

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