Votes taken by Yukari

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    Ciao, scusate il ritardo! Comunque accettiamo, per favore avvisami quando avrai inserito i nostri banner : )
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    Scusa il ritardo! Ho ricambiato, chiudo il topic ♥
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    Accetiamo volentieri! Inserite uno dei nostri banner qui riportati e noi faremmo altrettanto.
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    Benvenuto, Hiro! E buon compleanno!!
    Io sono Yukari, ma se preferisci puoi chiamarmi Yu. Ho vissuto anche io per un periodo a Londra, anche se la mia esperienza è stata decisamente meno bella della tua, quindi sono contenta che tu te la stia godendo!
    Vedo che Alye ha già fatto gli onori di casa, quindi non mi resta che augurarti una buona permanenza : )
  5. .
    Lazar S. Khabarov 「 Echo 」
    Le geometrie dei grattacieli sul labirinto di strade offrivano interessanti vie di fuga, che Lazar si era messo d’istinto a studiare appena indirizzato lo sguardo fuori. Ora che aveva appurato di starci con la testa, doveva recuperare abbastanza lucidità da tracciare una rotta nel mare di luci che potesse ricondurlo a casa; che fosse sicura era di secondaria importanza, la situazione era troppo disperata per perdere altro tempo.
    Sarebbe stato un bel vantaggio se i soliti ghoul piantagrane avessero approfittato di quell’inaspettata adunanza della CCG per scatenare una guerriglia urbana, dopotutto non erano distanti da Shinjuku e quel postaccio pullulava di psicopatici con un forte desiderio di morte. Allo stesso tempo, non poteva neanche escludere che Ninel’ fosse ancora nei paraggi; l’unico pratico in famiglia degli ingressi per la ventiquattresima circoscrizione era infatti lui.
    Né consolato né scoraggiato, Lazar socchiuse gli occhi mentre un dolore lancinante gli trafiggeva una tempia. Una vena pulsava contro la pelle come se avesse voluto strapparla, come se il suo intero corpo non fosse già stato un’orchestra di fitte con sottofondo di nausea. L’invito di Alexandre a restare assumeva una sfumatura sempre più dolce e invitante, ma riempiendosi i polmoni con un sospiro si appellò a quel poco di fermezza che gli rimaneva e levò gli occhi dalla strada al volto del ricercatore.
    Era stanco, Alexandre. Più lo guardava, più diventava palese. Stanco di chissà quante cose, implicazioni su cui Lazar non poteva al momento riflettere; non ne aveva il lusso, perché era un ragazzo abbastanza sveglio da poterle immaginare, ma realizzare qualcosa impone anche di farci i conti. E quello non era il momento di fare i conti con la consapevolezza di essere l’ennesima delusione per qualcuno.
    Si sarebbe levato di torno più in fretta possibile, quantomeno per restituire ad Alexandre la libertà di poter fare qualunque cosa volesse in casa propria senza sentirsi giudicato, anche solo indossare indossare un pigiama coi Pokémon. E il giorno dopo gli avrebbe portato qualunque farmaco di cui avesse bisogno, stavolta non se lo sarebbe dimenticato.
    Per uno scherzo del destino, però, l’attimo in cui il ghoul fece per congedarsi con un mesto saluto fu lo stesso in cui il francese lo fermò un’ultima volta, avanzando una richiesta che fu accolta con un cenno della testa alquanto titubante. Che altro poteva esserci? Il senso di aspettativa nacque come un crampo nello stomaco del russo, mentre i suoi pensieri tornavano immediatamente alle sirene giù in strada, alle frotte di gente armata che lo crivellavano di colpi, al profumo della carne che si mescolava a tutte quelle nefandezze olfattive che il corpo umano è capace di produrre.
    Il fantasma del tradimento di Alexandre picchiettava ancora il suo cervelletto, mettendolo in allerta come se fosse stato ancora ─ o già ─ per strada a lottare per la propria vita.
    Lo seguì con gli occhi finché non fu scomparso oltre la soglia, poi con l’udito, concentrandosi per cogliere quelli che, senza alcun dubbio, erano i suoni di un rovistamento tra i cassetti. O aveva un secondo cellulare nascosto, oppure Alexandre era innocente e lui si stava dimostrando per l’ennesima volta un infame malfidato.
    Il destino conclamò che Lazar Khabarov era un infame malfidato quando Alexandre tornò in sala stringendo nell’unica mano sana una maschera da ghoul.
    “È una maschera non registrata qui in Giappone.” gli spiegò, ma l’attenzione di Lazar era tutta per il cimelio di un nero sbiadito venato d’oro, in una maniera che avrebbe forse dovuto emulare uno scheletro, ma che lui non riusciva a non ricollegare al kintsuji.
    Doveva essere appartenuta a qualcuno di importante ─ e con le informazioni che era riuscito a intuire o ricostruire, Lazar temeva di poter abbozzare un’ipotesi ─, perciò l’avrebbe trattata col massimo riguardo. Ma, più di ogni altra cosa, non l’avrebbe indossata davanti a lui. La sua povera psiche aveva preso abbastanza bastonate per quella sera.
    «Grazie.» rispose semplicemente mentre prendeva la maschera, perdendosi qualche secondo a fissarla.
    Un angolo della bocca si arcuò in una smorfia, tradendo come la sua mente fosse satura di pensieri inespressi.
    Si sforzò comunque di elaborarli nella forma di parole, perché neanche un infame malfidato se ne sarebbe andato in quel modo spartano e ingrato.
    «Per… aver sostanzialmente commesso una sfilza di reati pur di impedirmi di morire.»
    Nei suoi piani iniziali avrebbe dovuto adottare un tono molto più serio, ma a metà frase era stato inevitabile che una risata gli graffiasse la gola.
    Si schiarì la voce. «Non lo vanificherò.»

    «Parlato.»«Pensato.»
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  6. .
    Lazar S. Khabarov 「 Echo 」
    Prima di andarmene è il minimo che ti pulisca la doccia, i vestiti te li riporto domani mattina e… e che cos’altro voleva dire? Cosa voleva dire? Cosa doveva dire?
    Le iridi di Lazar vibravano di un tremore quasi impercettibile, rivolte verso terra come se il pavimento fosse stato improvvisamente coperto dal sangue sgorgato dalla doccia che non era riuscito a pulire. Così come non era riuscito a salvare Ninel’ o evitare che Vika venisse ferita, non era riuscito a pulire quella dannata doccia.
    Si portò una mano alla tempia destra, sfiorando la pelle che non avrebbe dovuto essere già coperta di sudore, per di più freddo. Per quanto si sforzasse di ricordare, Lazar non riusciva proprio a dare forma all’ultimo alito di fiato rimasto sulla punta della lingua, tra le labbra dischiuse nell’atto di aggiungere un’altra clausola al suo discorso patetico.
    Forse era più stanco di quanto pensava. Il punto era che pensava di essere stremato, e cosa c’era oltre lo stremato? Il delirante? Il non autosufficiente? Quello sarebbe stato un problema, perché Shibuya era piuttosto lontana e lui doveva tornarci a tutti i costi senza creare altri disagi a nessuno.
    Alexandre parlò, ma Lazar non fu certo di aver sentito le stesse parole che il ricercatore aveva pronunciato. “Sei quasi doccia e ti preoccupi per la mia morto” ─ aveva senso? No, non credeva, a meno che non avesse di punto in bianco dimenticato il giapponese.
    Eppure qualche lobo del suo cervello doveva ancora funzionare, perché, dopo un flebile «Eh?», il ghoul capì che si parlava di pulire la doccia. E rieccolo al punto di partenza, col bisogno di ricordare cosa aveva dimenticato di dire che tornava a colpirlo come un uroboro che si morde la coda.
    Sciolse il breve contatto visivo instaurato con Alexandre, che a giudicare da come si massaggiava le tempie sembrava avere a sua volta un bel mal di testa, per allungare un’occhiata obliqua alla stanza che si era lasciato alle spalle. Riusciva a vedere poco del bagno, appena un rettangolo alto e stretto che si allungava dalle piastrelle alla doccia ─ attraverso l’anta aperta poteva scorgere il piatto ancora rosato, nessuna magia l’aveva sbiancato ─, per poi risalire fino al soffitto schiarito dal vapore.
    «… sì.» ribadì Lazar, un monosillabo buttato fuori come se fosse stato concreto quanto un conato di vomito, cercando di mascherare la confusione che gli annebbiava la mente.
    Sì, per ripagare il disturbo, i danni fisici e psicologici avrebbe pulito la doccia e lavato i vestiti che indossava, i quali avrebbe restituito l’indomani mattina assieme alle medicine di cui Alexandre aveva bisogno. Dio, finalmente se l’era ricordato. Le parole che fiorirono spontaneamente nella sua mente gli diedero sollievo e un pizzico di euforia: ci stava ancora con la testa, era solo molto confuso.
    “Non posso fare niente per convincerti a non andartene, vero?”
    Questo l’aveva sentito bene, forse perché era ciò che desiderava sentirsi dire.
    Abbozzò un sorriso, che però Alexandre non avrebbe probabilmente visto. «Non c’è niente che vorrei più di scappare dalle mie responsabilità, credimi.» sospirò. «Ma non posso.»
    Aveva imparato a convivere con il dolore che gli avviluppava le viscere ogni volta che ci pensava. Da ormai molto tempo aveva imboccato quella strada di sacrifici e autodistruzione, doveva solo persuadersi di nuovo che ne valesse la pena. Era l’unico modo a sua disposizione per sopravvivere.
    Con uno sforzo e una cacofonia di dolori su tutto il corpo si staccò dal muro per affiancare Alexandre e scostare la tenda con un movimento discreto. Guardò fuori: il mondo quella notte gli sarebbe stato nemico come non era mai accaduto.

    «Parlato.»«Pensato.»
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  7. .
    Lazar S. Khabarov 「 Echo 」
    La mezz’ora più lunga degli ultimi anni di vita di Lazar Stefanović fu dilazionata come segue: due minuti per prendere confidenza con l’ambiente del bagno, capire dove si trovava tutto ciò di cui avrebbe avuto bisogno e come ridurre allo stretto indispensabile il casino che avrebbe combinato; dieci minuti sotto l’acqua, che in realtà sarebbero stati anche di meno se non ne avesse spesi un paio a buttare fuori con rabbia le lacrime che aveva trattenuto; otto a pulire via con scarsi risultati il sangue, che nonostante i suoi sforzi aveva colorato di una dolce sfumatura di rosa il piatto della doccia; un minuto per vestirsi e toccare con mano quanto fossero differenti per costituzione lui e Alexandre; il resto se ne andò per asciugare almeno un po’ i capelli, prima che il freddo di aprile mettesse fine alla sua campagna per salvare Ninel’ con un bel febbrone da cavallo.
    Perché Lazar non aveva intenzione di rimanere in quella casa un minuto di più, ovviamente. Di problemi ne aveva causati già abbastanza a tutti, il senso di colpa gli annodava ancora lo stomaco e Viktoriya lo aspettava a casa col fiato sospeso. Non poteva abbandonarla a piangere da sola, perché era certo che l’avrebbe fatto: per quanto si sforzasse di nasconderlo, Vika non era affatto incrollabile come sembrava.
    Dopo aver messo via il phon, per poi fermarsi a fissare passivamente il bel rosa del fondo della doccia contro cui aveva lottato fino allo strenuo, Lazar si accorse di faticare a tenere gli occhi aperti: era stanco, tanto stanco da non avere la certezza di riuscire a trascinarsi a casa.
    Non poteva fermarsi proprio ora, si ripeté appoggiando il braccio ancora dolorante allo stomaco.
    Le ferite avevano già cominciato a rimarginarsi, ma continuava a esserci qualcosa di rotto che non riusciva a guarire. Qualunque cosa fosse, avrebbe dovuto aspettare… e non era certo la prima volta.

    Uscì dal bagno senza preoccuparsi del rumore prodotto dallo schiocco della serratura. Di norma, dato l’orario, avrebbe dato fondo al suo passo felino per non disturbare nessuno, ma al momento era così stravolto che persino aggirarsi per casa senza saggiare ogni angolo con una spallata gli sembrava una vittoria personale.
    Fu più l’olfatto che il raziocinio a guidarlo fino al salotto, dove Alexandre sedeva sul divano, preso da qualcosa sul suo smartphone e…
    Fermo sulla soglia, Lazar si appoggiò al muro incrociando le braccia e assottigliò gli occhi: quello strano uovo rosa munito di corna simili a coralli era forse un Pokémon? Non se ne intendeva di manga, ma lo stile dei Pokémon era abbastanza inconfondibile.
    Alla fine si lasciò sfuggire uno sbuffo di risata. «Carino, anche mia sorella ha un pigiama con… come si chiama… quello che somiglia a Pikachu ma è tipo horror.»
    Impeccabile descrizione di Mimikyu.
    «Senti, prima di andarmene è il minimo che ti pulisca la doccia. Dove trovo la candeggina?» proseguì, tornando serio. «Ah, i vestiti te li riporto domani mattina e…»
    E si era dimenticato cos’altro voleva dire, realizzò abbassando lo sguardo.

    «Parlato.»
    «Pensato.»
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    GHOUL
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  8. .
    Lance Moreau Calavera
    xDTeaSf
    «Excusez-moi?»
    Lance sperò di aver sentito male, ma la speranza morì sul nascere. Quelle che aveva udito erano senza dubbio parole folli, pronunciate da un uomo abbastanza folle da rischiare inutilmente la vita in un’impresa che non avrebbe mai potuto portare a termine.
    Sul viso del ghoul si susseguirono diverse emozioni: l’iniziale confusione lasciò spazio allo sgomento, poi al dolore, infine al panico. Una tavolozza con uno sfondo comune, l’incalzante pallore che rese i colori delle iridi e dei capelli ancor più vibranti.
    Con uno scatto legnoso, avulso della scioltezza tipica dei predatori come i ghoul, Lance scattò in piedi come se quella vicinanza avesse finito per scottare più lui che lo scrittore dall’incomprensibile desiderio di morte. Un paio di passi indietro e, senza rendersi del tutto conto di quanto pazzo doveva sembrare, prese a gesticolare in maniera febbrile e dardeggiare con lo sguardo nei dintorni, come se l’ambiente freddo di una reception avesse potuto suggerirgli come convincere Chihiro a desistere.
    «C'est impossible! C'est absolument hors de question!» sbottò, con sorpresa di nessuno nel francese a cui non poteva fare a meno di tornare nelle situazioni di stress, peccato che Lance fosse sempre stressato.
    Instancabile e dimentico del dolore allo stomaco che di tanto in tanto tornava a colpire, il ragazzino cominciò a camminare avanti e indietro scoccando allo scrittore sguardi terrorizzati.
    «Non so neanche se sia possibile catturare qualcuno che non è stato selezionato, e lei vuole addirittura costringere il maestro? Ha idea di che guai passerei per una cosa del genere? E che guai passeremmo tutti se dicessimo di essere stati costretti a catturarla per rimediare a un nostro errore?»
    In qualche modo la barriera linguistica stava salvando Chihiro dalla sua crisi di nervi, la quale era però visibile in praticamente tutto: dalle mani che tremavano agli occhi acquosi, dai movimenti rigidi alla voce spezzata. Dentro di sé, Lance era una tempesta incapace di sfogarsi.
    «Non è per questo che sono venuto qui…» finalmente si fermò, quasi di spalle rispetto allo scrittore; quando si voltò verso di lui, lo trafisse con uno sguardo rabbioso e occhi che minacciavano di traboccare di lacrime. «Non è per condannarti a morte che sono venuto qui, maledetto idiota!»
    Cervello e bocca avevano scelto un pessimo momento per smettere di comunicare, e così in una sola frase era riuscito a insultarlo, mancargli di rispetto e mandare al diavolo il suo piano. Oh, e mettersi a piangere.
    Ottimo lavoro.
    E non aveva ancora finito.
    Con appena poche falcate, in barba alla sua bassa statura, scartò la distanza che si separava e si fermò nello stesso punto di poco prima puntando l’indice destro contro il naso di Chihiro.
    «Ho passato tutta la vita a servire, a eseguire gli ordini di voi umani e sentirmi comunque uno schifo, perché non ho altra scelta per fare ammenda per essere nato ghoul. Tu non hai idea di quanti miei simili abbia ammazzato e quanti umani abbia visto morire in quei laboratori. Tu non hai idea di quanto il mondo là fuori sia raccapricciante!»
    Quel fiume di parole se lo teneva dentro da chissà quanto tempo, così esplosivo da impedire a Chihiro qualunque tentativo di ribattere finché non si fosse placato.
    «A te probabilmente non frega niente, sin dall’inizio ci hai trattati come un passatempo divertente finché è durato. E lo capisco, non lo condivido ma non mi piace giudicare gli altri e il modo in cui vivono. Hai il diritto di infischiartene se noi rischiamo la vita mentre tu salvi il tuo amico, ma non hai il diritto… non hai alcun diritto…»
    In un attimo il ghoul parve spegnersi: chinò la testa e gli occhi ancora pregni di rabbia e lacrime verso il pavimento, lasciò scivolare le braccia lungo i fianchi e la voce, ancora rotta, tornò a essere un sussurro.
    «Non avevo mai sentito le fusa di un gatto, assaggiato quelle bibite strane che piacciono a tutti, visto un uomo vestito da donna… era strano, ma mi piaceva. Mi ha fatto sentire un po’ normale, anche se per poco.»
    Parlare con un nodo alla gola era doloroso, ma Lance non si lasciò fermare e con un gesto irritato si passò una manica sul volto bagnato.
    «Una volta mi hai detto che non succede niente se ti dico di no. Quindi ti dico di no, non voglio che tu muoia.»

    «Parlato.»
    "Pensato."
    Ghoul
    Is it mad to pray for better hallucinations?
  9. .
    Lazar S. Khabarov 「 Echo 」
    Lazar non sapeva più cosa stesse facendo. Logicamente parlando, rivelare così tante informazioni su di sé a un dipendente della CCG era la cosa più stupida che un ghoul potesse fare. Eppure quella cascata di parole aveva furiosamente premuto contro le sue labbra per essere rivelata a qualcuno dopo tanti anni di silenzio, qualcuno che non poteva essere un membro della famiglia, ma neanche Rodion - perché sarebbe stato da stronzi caricarlo di quella confessione piena di rimorso dopo quanto aveva già sopportato -, né Kohaku - che della natura di ghoul del ragazzo per cui spasimava non sapeva niente - e che, infine, per uno scherzo del destino si era rivelato Alexandre De Lacroix.
    Era stato liberatorio? Solo in minima parte, perché mettersi a nudo non significava risolvere i propri problemi. Aveva a malapena dato loro forma attraverso le parole e un ascoltatore a testimoniare i suoi moti interiori, ma ciò non lo avrebbe svincolato dalle responsabilità, dalle colpe e quant’altro lo annichiliva.
    In quel momento Lazar avrebbe dato qualunque cosa per spegnere il cervello e i pensieri intrusivi, e invece più cercava di imporsi il silenzio interiore e concentrare lo sguardo sul liscio biancore dell’intonaco del soffitto, più qualcosa dentro di lui urlava che Ninel’ era da sola da qualche tra le strade di Tokyo, sperduta e corrosa dalla rabbia. Per colpa sua.
    Troppo stanco per ribattere, con un granello di gratitudine lasciò volentieri ad Alexandre le redini della discussione, ponderando con umiltà che le sue parole potessero essere più veritiere dei suoi sensi di colpa.
    In un’altra situazione avrebbe forse obiettato aspramente che non era così, che i ghoul non avevano la garanzia di una vita lunga come gli umani e che, quindi, alla sua età si era già adulti fatti e finiti. Ma forse… forse per la prima volta nei suoi vent’anni passati sulla terra, Lazar sentiva di aver bisogno di comprensione e indulgenza, di una carezza gentile e non di una mano che lo aiutasse a rialzarsi.
    Decise che ci avrebbe pensato. Avrebbe dato una chance alle convinzioni di Alexandre e, se alla fine ne avesse comprovato la validità, le avrebbe fatte proprie. Ma non ora, non in quella cucina dove l’odore del suo sangue pizzicava le narici.
    Accettò in silenzio la proposta di farsi una doccia, ma solo dopo aver visto lo smartphone scivolare di mano al ricercatore accanto ai fornelli. Con l’ennesimo sforzo si mise in piedi, inspirando a denti stretti per non farsi scappare neanche un lamento; era già abbastanza patetico così, senza che il dolore che lo trafiggeva fosse reso palese.
    Strinse la mano attorno al braccio destro, che nonostante avesse riportato chissà quali danni aveva continuato a usare fino allo svenimento sul pavimento di casa De Lacroix. Fissò allora Alexandre, e se questi glielo avesse concesso avrebbe incontrato il suo sguardo col proprio, ancora troppo esausto per accendersi di qualunque vitalità.
    Prese un respiro profondo, difficile per chissà quale motivo, e in quell’orchestra di dolori si concesse un’unica parola: «Grazie.»
    Lazar Stefanović Khabarov era un mostro e un assassino, ma non un ingrato. Alexandre si era guadagnato di essere buttato fuori a calci dalla lista dei suoi prossimi pasti.

    «Parlato.»
    «Pensato.»
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  10. .
    Lazar S. Khabarov 「 Echo 」
    Che cosa doveva fare adesso? Un interrogativo che continuava a tormentare la mente stanca di Lazar come un pensiero intrusivo, difficile da ignorare e man mano più persistente, incombente e spaventoso. Fino a quando gli sarebbe stato concesso di rimanere lì? E se la sua reticenza avesse fatto perdere le staffe ad Alexandre e fosse stato sbattuto fuori di casa con ancora la CCG a infestare le strade?
    Ora che si era finalmente fermato a riposare, cominciava inoltre a sentire la tensione nervosa pervadere e irrigidire i muscoli. Non c’era parte del suo corpo che non fosse stata sottoposta a uno sforzo eccessivo e adesso ne avrebbe pagato le dure conseguenze. Letteralmente dure, perché se avesse avuto dei macigni al posto degli arti non avrebbe fatto alcuna differenza. Faceva male, faceva tutto così tanto male da non capire neanche come muoversi senza che improvvise fitte di dolore gli togliessero il fiato. Ormai persino il più innocente e breve dei dolori risuonava per tutto il suo corpo facendogli digrignare i denti.
    Un bendaggio avrebbe in effetti aiutato, ancor più spogliarsi e lavare via il sangue che, come colla, aveva fatto aderire la stoffa alle ferite. Ma non avrebbe fatto niente di tutto quello, non finché non si fosse sentito al sicuro, perché Alexandre, nonostante si fosse accucciato come un cucciolo inoffensivo, rimaneva di fatto un agnello affiliato ai cani da caccia.
    Quindi cosa doveva fare adesso? Forse levare il disturbo di sua spontanea volontà, rassegnandosi a cercare un posto isolato in cui attendere che la rigenerazione facesse il suo corso, un po’ come i cani che scelgono la solitudine quando sentono la morte in agguato.
    “Posso farti una domanda?”
    La testa del ghoul si inclinò quanto bastava per includere il profilo del volto pallido di Alexandre nel proprio campo visivo. Anche in quelle condizioni pietose non sembrava in grado di perdere la sua innata gentilezza. A differenza di lui, che nei momenti più duri si trasformava in una bestia. Una visione che pungeva come la punta d'un ago.
    Lazar era già pronto a sentirsi chiedere conferma riguardo il loro primo incontro e borbottare qualcosa di sarcastico sul fatto che sì, il ghoul di Shinjuku era ovviamente lui, e che non c’era mai stata reale amicizia tra loro, ma solo la paziente attesa di un predatore in agguato. Avrebbe continuato a infierire su quel povero umano nonostante fosse in realtà lui ad avere il coltello dalla parte del manico, perché in fondo ormai non gli importava di essere consegnato alla CCG.
    L’unica cosa che aveva sempre avuto a cuore era la salvaguardia della sua famiglia, perciò la domanda, quando infine gli solleticò l’orecchio, lo sorprese ma non suscitò alcuna reazione emotiva in lui. Non era abituato a pensare a se stesso, perché pensare a se stesso e a come si era ridotto faceva male e a nessuno piace soffrire.
    Quello di Alexandre era però un dubbio più che lecito.
    «Lo troveresti deludente.» anticipò con uno sbuffo di risata amara, troppo stanco per ridere ma non per trafiggere il ricercatore con uno sguardo pungente. «Un ghoul. A quelli come te di solito basta.»
    Si riferiva più agli umani che alla CCG, per una volta. Come dimenticare le innumerevoli volte in cui bastava accendere la televisione per essere sommersi da servizi carichi di disinformazione e odio?
    Alexandre però gli aveva provato sin dai loro primi appuntamenti di non essere uguale a tutti gli altri: era ingenuo, tanto ingenuo da credere che l’unica colpa di un ghoul fosse nascere con un apparato digerente diverso, tanto ingenuo da abbandonare una carriera da Investigatore perché reputava che uccidere sulla base di differenze biologiche fosse sbagliato. Una visione così semplicistica, così… dannatamente irritante, perché sfuggiva a tutto quel che Lazar aveva imparato dai Khabarov e da Opera. Alexandre era diverso. E accettare ciò che è diverso non è semplice per nessuno, indipendentemente dalla buona volontà che ci si mette, Lazar non si sarebbe macchiato di ipocrisia affermando il contrario.
    Voleva la verità? Allora gliel’avrebbe gettata addosso come una doccia fredda.
    «Se devo essere più preciso… sono l’erede di un clan di ghoul russi. Fico, no?» un’altra risata amara. «Nah, lascia che te lo dica: è una merda. Immagina di non poter spendere un solo giorno della tua vita come desideri, di essere nato per diventare la replica di una persona che disprezzi tanto quanto lui disprezza te.»
    Era sempre lì, suo nonno: a svettare con quello sguardo sprezzante tra i suoi pensieri, a giudicarlo dal fondo della tomba, a incarnare la sua folle paura di fallire e deludere le persone che amava.
    «Sono venuto in Giappone per un motivo… avevo una missione, ma non ti dirò di più al riguardo. Pensavo di poter finalmente respirare… di poter essere me stesso, almeno per un po’. E invece è andato tutto a rotoli, ogni cosa… gli sforzi per non deludere le aspettative, i sacrifici per essere come mi volevano… le persone importanti a cui ho rinunciato.»
    Non avrebbe pianto.
    La voce poteva spezzarsi, gli occhi bruciare e le mani tremare.
    Ma non avrebbe pianto.
    «Ne è valsa la pena? Sì, cazzo, ne è sempre valsa la pena di annullarmi se era per la mia famiglia! Non c’è niente al mondo che ami più di quelle persone!» incrinata dalla rabbia, la voce di Lazar si sollevò e poi abbassò. «Ma ora… ho rovinato tutto. Sarei dovuto morire per mano di quei due Investigatori e smetterla con questa farsa!»
    La mano destra si infranse in un pugno sul pavimento.
    Per tornare a parlare fu necessario un sospiro lunghissimo.
    «Sono sempre stato bravo a riempirmi la bocca di belle parole, ma la verità è che sono diventato tutto ciò che non volevo essere. Quindi se mi chiedi chi sono veramente… la risposta è che non credo di saperlo più io stesso, mi spiace.»
    E così com’era cominciato, si sciolse in una risata amara e una scrollata di spalle, che ancora una volta lo avviluppò in un mantello di fitte di dolore. Adesso era stanco anche mentalmente.

    «Parlato.»
    «Pensato.»
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    Edited by Yukari - 15/3/2023, 10:12
  11. .
    Arrivo un po' in ritardo, ma benvenuta anche da parte mia! Io sono Yukari, se preferisci puoi chiamarmi Yu.
    Vorrei dirti "prenditi tutto il tempo che ti serve per leggere per intero il regolamento, non c'è fretta per la scheda", ma mi sa che la fretta l'hai già avuta 😂
  12. .
    Lazar S. Khabarov 「 Echo 」
    Il tempo sembrò dilatarsi in un battito di ciglia, probabilmente a causa dello sfinimento di cui non si sarebbe liberato assopendosi qualche minuto per aver oltrepassato il limite della sua resistenza.
    La luce esplose nell’appartamento come un fulmine a ciel sereno, bruciando gli occhi sensibili e abituati al buio del ghoul. Lazar li socchiuse istintivamente, lasciandosi scappare un mugugno contrariato e flebile, niente più di un soffio che faticò anche solo a risalire la gola. Razionalmente sapeva che quel momento sarebbe arrivato, ma la sua mente annebbiata faticava a carburare. Riemergere dall’intontimento si stava rivelando più ostico che mai, e dire che c’erano stati momenti in cui la morte l’aveva sfiorata ben più da vicino di così.
    Le ferite del corpo avevano già cominciato a rimarginarsi, erano quelle della mente a rallentare i suoi movimenti, a intorpidire i ragionamenti e farlo reagire all’accensione di un paio di lampadari come se fossero stati gli ennesimi proiettili da sopportare stringendo i denti. E Lazar strinse i denti, con l’atroce dubbio di star di nuovo sbagliando tutto a pizzicargli la pelle e farlo rabbrividire per il freddo.
    Avrebbe dovuto ignorare il monito di Alexandre. Sarebbe dovuto tornare a casa a sincerarsi delle condizioni di Viktoriya o, in alternativa, all’inseguimento di Ninel’, sebbene questo implicasse correre enormi rischi. Perché quello era il suo ruolo. Era per quello che l’avevano messo al mondo. Avrebbe dovuto fare qualunque altra cosa utile alla famiglia, non rannicchiarsi come un bambino spaurito nella cucina sconosciuta di un umano che non era riuscito a uccidere un’infinità di volte.
    Era così vergognoso, così inadeguato.
    “Avresti dovuto preoccupartene prima, non credi?”
    C’erano così tante cose di cui avrebbe dovuto preoccuparsi, così tante che Alexandre neanche immaginava.
    Gli occhi cristallini e arrossati del ghoul seguirono il profilo delle fughe delle mattonelle, ancora troppo doloranti per fronteggiare la luce.
    «Mi dispiace…» fu tutto ciò che riuscì a dire, la voce graffiata e roca ben lontana dallo squillo melodioso che era di solito.
    Almeno di quello si dispiaceva davvero: non era stata sua intenzione imbrattare di sangue l’appartamento di Alexandre, ma era lurido, ridotto a un colabrodo e a stento capace di muoversi. Se non avesse implicato spostare la rete e creare una via di fuga a Julian, sarebbe rimasto sul balcone anche a costo di doversi nascondere dagli elicotteri della CCG. Alla fine, in un modo o nell’altro di problemi ne aveva creati comunque. Come con Ninel’. E ancora prima quando aveva coinvolto Milo nelle indagini sui Kiriyama, facendo infuriare Viktoriya. Creare problemi doveva essere diventata la sua specialità.
    Alexandre si inginocchiò davanti a lui, gesto a cui Lazar rispose levando gli occhi dal pavimento per incontrare il suo sguardo.
    Il ricercatore non era messo meglio di lui, non solo per il braccio fasciato e il colorito cereo. Il suo cervello poteva essere in tilt, ma l’empatia rimaneva una delle sue caratteristiche fondamentali e non faticava a riconoscere una persona profondamente turbata. Sebbene avesse pronunciato quel segreto come se fosse stata la più innocua delle informazioni, al pari di una qualunque data su un libro di storia, Alexandre sembrava ferito da quella rivelazione ben oltre il comprensibile. Lazar non poteva né voleva immaginare il motivo, non in un momento in cui il mondo intero era terrificante.
    «No…» il suo era stato poco più di un sussurro, seguito da un irrigidirsi delle braccia e un incurvarsi delle spalle che urlavano chiusura. «Non potresti comunque farci niente.»
    I rimedi tradizionali avevano ben poco effetto sui ghoul e Alexandre doveva saperlo bene, probabilmente meglio di lui. Inoltre non si fidava abbastanza da farsi mettere le mani addosso, fosse stato anche solo per controllare che avesse tutti gli arti ancora attaccati.

    «Parlato.»
    «Pensato.»
    OBY4acW
    GHOUL
    Learn to love your inner monster.
  13. .
    Io li amo, non importa il ritardo 💗😌
  14. .
    Lance Moreau Calavera
    xDTeaSf
    Lance non capiva per quale motivo Chihiro avesse voluto concentrarsi su di lui. A chi importava se restare lì da solo era stato o no difficile? Perché una cosa del genere avrebbe dovuto essere degna di menzione, quando Morinaga Minoru era nelle grinfie di un’organizzazione poco raccomandabile e incontrastabile e Chihiro aveva appena perso per sempre il suo migliore amico?
    Lance gli esseri umani non li capiva proprio, pensò stringendo il labbro inferiore tra i denti, e ancora di meno capiva se stesso e l’assurdo moto di commozione che gli faceva bruciare gli occhi. Non meritava la preoccupazione di Chihiro, eppure al contempo era felice di essere stato tenuto in considerazione. Avrebbe voluto parlarne col maestro, ma aveva il sinistro sentore che tirare in ballo il maledetto scrittore pazzo potesse in qualche modo incrinare il loro rapporto.
    «Non importa…» mugugnò con chiaro imbarazzo, spazzando con gli occhi il pavimento in attesa del coraggio di risollevarli sull’uomo.
    Con un gesto veloce si asciugò gli occhi umidi con la manica, il cui tessuto ruvido sfregò con veemenza contro le palpebre, e quando le gambe ritrovarono la forza di sorreggerlo si mise in piedi avvicinandosi lentamente a Chihiro. Non era da lui accorciare le distanze, lo faceva solo perché vedere una persona baldanzosa e sfacciata come Chihiro Fujioka ridotta in quello stato pietoso gli stringeva il cuore; di persone sofferenti ne vedeva già abbastanza sul lavoro, non poteva sopportarlo anche nella vita privata.
    Si fermò innanzi allo scrittore, le mani strette al petto e il naso pieno del delizioso odore della carne umana. Era una fortuna che fosse passato abbastanza tempo dallo scontro perché il suo corpo smettesse di gridare a ogni movimento, altrimenti si sarebbe ritrovato a combattere coi morsi della fame. Un orribile desiderio di fondo di avventarsi sull’uomo c’era comunque, ma era facile resistergli.
    «Je suis désolé…» scosse la testa; non serviva una traduzione per capire quale fosse il punto. «Come ho detto, la scelta dei candidati non rientra nelle nostre mansioni. Il mio lavoro è combattere i mostri come me, non cacciare gli innocenti come voi, e il mio maestro è una pedina tanto quanto me.»
    Si sedette sui talloni e circondò le ginocchia con le braccia, ancora una volta occhi dorati che si specchiavano in occhi grigi, a modo suo cercando di instaurare un’atmosfera carica di segretezza con l’umano.
    «Queste non sono cose che lei dovrebbe sapere. Il maestro non esagerava nel metterla in guardia, coloro che hanno portato via Morinaga Minoru sono spietati e potenti non solo in Giappone, ma in tutto il mondo.»
    Gli occhi di Lance vagarono lontano da Chihiro, irrequieti come il suo cuore che batteva veloce. Rivelando quelle informazioni metteva in pericolo tutti, eppure aveva sopportato così a lungo da solo quel fardello che poterlo finalmente condividere con qualcuno era una tentazione troppo grande. Il maestro lo avrebbe sgridato, forse anche picchiato per una pazzia del genere. Chihiro Fujioka e la sua maledetta finestra sul mondo lo stavano trasformando in una mina vagante e Lance era certo che prima o poi l’avrebbe pagata cara. Ma ora che attraverso quella finestra aveva visto il mondo era difficile sforzarsi di vivere come un eremita.
    Dardeggiò di nuovo con lo sguardo sullo scrittore.
    «Conducono esperimenti sugli umani e sui ghoul. Non so quale sia il loro obiettivo, io devo solo procurare le cavie ghoul e sperare di non diventare mai uno di loro.»

    «Parlato.»
    "Pensato."
    Ghoul
    Is it mad to pray for better hallucinations?
  15. .
    Lance Moreau Calavera
    xDTeaSf
    Non passarono neanche dieci minuti dacché Chihiro uscì dall’ufficio che Lance ebbe il primo attacco di panico della sua lunga e solitaria permanenza allo Cherry Passion. Gli attacchi di panico erano una condizione tanto ricorrente nella sua vita che ormai riusciva a riconoscerli già dai primi segnali, sapeva come contrastarli e ridurne all’osso la durata: per prima cosa si concentrò sul regolarizzare la respirazione prima di perderne del tutto il controllo, ripercorrendo con gli occhi il luogo a cui doveva saldamente rimanere ancorato mentre la sua mente cercava a velocità drammatica qualcosa con cui tenersi occupata.
    Avrebbe potuto chiamare il maestro, l’unica persona che in quelle occasioni riusciva a calmarlo con facilità, ma l’irrazionale paura di poter privare persino lui di tempo prezioso immobilizzò le sue mani attorno al ferro della seduta della sedia ancor prima che potessero cercare nelle tasche il cellulare.
    Il tempo cominciò a perdere significato, dilatandosi in secondi sempre più lunghi e snervanti finché un suono acuto e improvviso non lo fece letteralmente sobbalzare di paura. Percorso da fortissimi brividi dalla testa ai piedi, gli occhi di Lancelot si riempirono di lacrime nel puntare il piccolo televisore sul quale erano trasmesse le riprese della telecamera piazzata all’ingresso: due clienti, a un’occhiata superficiale il tipico salaryman e una ragazza molto più giovane, conversavano sottovoce in attesa che qualcuno rispondesse alla chiamata.
    Con una mano stretta alla sedia al punto da aver inciso la forma delle unghie sulla parte inferiore della seduta e l’altra appoggiata sul petto che si alzava e abbassava convulsamente, Lancelot attese oltre un minuto in totale silenzio prima di avere abbastanza forza nelle gambe per mettersi in piedi e raggiungere lo speaker.
    Aveva bisogno di qualcosa da fare, o il suo cervello si sarebbe autofagocitato.

    [...]

    Stremato e avvilito, questa fu la prima sensazione che Lancelot ebbe di Chihiro Fujioka quando lo vide varcare la porta. Non ce l’aveva fatta, non era riuscito a salvare Morinaga Minoru. In un certo senso avevano fallito entrambi.
    Al suo richiamo confuso, il ghoul rispose con un’espressione mortificata.
    Era seduto al posto di Chihiro, dove aveva praticamente messo le radici beandosi dell’effluvio invitante tipico degli esseri umani. Calmarsi era stato tutt’altro che facile e veloce, e più di una volta Lance era stato certo di essere a un passo da un secondo attacco di panico, ma fare le veci del proprietario lo aveva aiutato a tenere la mente occupata in attesa del suo ritorno. In realtà non si trattava di niente di difficile, ma doveva ringraziare il materiale informativo se era stato capace di raccapezzarsi dopo il primo tentativo andato maluccio.
    «… mi dispiace.» fu tutto ciò che riuscì a dire a Chihiro, la cui espressione valeva più di mille parole.
    Abbassò lo sguardo, sconfitto.
    Eppure lo aveva saputo sin dall’inizio, mettersi contro l’Albero della Vita era una follia che solo il maestro avrebbe potuto compiere uscendone indenne.

    «Parlato.»
    "Pensato."
    Ghoul
    Is it mad to pray for better hallucinations?
328 replies since 12/8/2011
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