Votes taken by Ryuko

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    Io arrivo sempre dopo i fuochi, vabbè.

    Ciao Luce, benvenuto. E auguri (io li ho compiuti a febbraio, quindi se vuoi ricambiare accetto).
    Io sono Ryuko, ovvero nessuno di particolarmente importante, ma in qualche modo devo presentarmi. Nice to meet ya.
    La cosa dei punti interrogativi potrei averla scritto io, sono sempre questi i dubbi che mi assalgono all'ora di pranzo. Mai imparato a mangiarla, la grammatica, ma in fondo a che serve? Scrivere? Pff.
    Spero ti troverai bene qui. Ci si becca on-game~
  2. .
    Alexandre R. De Lacroix
    Se solo avesse potuto fare qualcosa... ma cosa? Mentre osservava gli occhi smarriti del proprio riflesso, Alex si rese conto che qualsiasi cosa, qualsiasi idea a cui avrebbe potuto dar forma in quell'istante, non avrebbe apportato alcun beneficio al ghoul, ma sarebbe stato il desiderio egoista di una persona sola. In piedi davanti alla vetrata che dava sul terrazzo si vergognò come poche volte si era vergognato in vita sua e non trovò più nemmeno il coraggio di sostenere il suo stesso sguardo. Chinò il mento con un sospiro stanco e accettò passivamente quella verità.
    Lazar era un ragazzo forte.
    E Alexandre avrebbe voluto stargli accanto, per davvero. Però Alexandre era una di quelle persone che dalle sue responsabilità scappava eccome, l'aveva sempre fatto, fin da quando se n'era andato dalla Francia, non sentiva di avere diritto di sporcare quell'animo coriaceo con la sua inettitudine. Con un fruscio, il drappo della tenda scoprì uno scorcio del balcone e il ricercatore si rese conto che il ghoul lo aveva affiancato. Non se ne era accorto, ma non riusciva a capire se fosse per il suo passo felpato o per la stanchezza che gli impediva di distinguere qualsiasi stralcio di mondo non riguardasse le sue immediate vicinanze.
    Avrebbe voluto che quel momento durasse per sempre, che qualcuno lo prendesse e lo imprimesse sulle pagine di un libro senza più voltare pagina. Ma i "per sempre" erano baggianate delle favole e Lazar doveva andarsene. Voltarla, quella pagina. Ad Alex, ciò che sarebbe successo nelle successive, non importava nemmeno più: voleva sterminare tutta la CCG? Che lo facesse, anche se quello lo avrebbe - presto o tardi - incluso, non gli interessava. Gli interessava solo che stesse bene e se sterminare la CCG lo avesse fatto stare bene era disposto ad accettarlo. Forse quello fu anche il momento in cui la verità su quel sentimento che gli ruggiva nel cuore gli fu più chiara di tutte, ma lo mise a tacere senza nemmeno permettergli di affiorare sul proprio volto.
    Eppure avrebbe davvero voluto fare qualcosa, si disse un'ultima volta, mentre i lampioni che davano sulla strada sotto di loro tornavano a riflettersi nel suo campo visivo. Se non per tenerlo lì, almeno per tenerlo al sicuro. Possibile che non ci fosse niente che... No. Un momento. Per quanto piccola, per quanto insignificante, forse una cosa c'era.
    «Aspetta un secondo.»
    Senza aspettare risposta, Alexandre volò in camera propria: non ebbe bisogno di cercare, sapeva già dov'era ciò che doveva prendere e meno di trenta secondi più tardi fu di ritorno nel salone. Nell'unica mano ancora funzionante stringeva una maschera ghoul dall'aspetto consumato. La tinta nera era sbiadita in alcuni punti e diverse venature dorate facevano intuire che un tempo si fosse trattato di uno scheletro. «Usa questa. È una maschera non registrata qui in Giappone.» mormorò, sorridendo mestamente, e porse l'oggetto al ghoul, sperando lo accettasse. A dire il vero, ormai non aveva più corrispondenze da nessuna parte, ma decise di omettere quel particolare, poiché apriva le porte ad una serie di domande a cui avrebbe fatto volentieri a meno di rispondere. «È una cosa a cui tengo davvero quindi se tu potessi riportarmela te ne sarei grato, ma per il momento usala. E... fa attenzione.»
    Sì, era tutto ciò che poteva fare per lui in quel momento. Si separava a malincuore da quell'oggetto, ma era sicuro che sarebbe stata più utile a Lazar che a lui. Ed era sicuro che Julian, non il gatto, non avesse nulla da ridire, e che - anzi - forse avrebbe compiuto quell'azione per primo.
    Per quanto i suoi propositi di non volerlo lasciare andare via fossero nobili, Alexandre capiva di non poterlo tenere lì per puro egoismo... o timore di non rivederlo. In fondo, Lazar glielo aveva detto chiaro e tondo nel vicolo, di non aspettarsi niente, era solo lui che si ancorava alle cose a senso unico, come sempre.
    «Non è molto, ma se tu dovessi aver bisogno di un posto dove riposarti... ricordati che la finestra è aperta.»
    Con quelle ultime parole, mordendosi la lingua per tutto ciò che avrebbe voluto dire, Alex lo avrebbe guardato immergersi nella notte. Come un lupo braccato, mentre lui stava al sicuro dentro la sua capanna. Gli premeva solo che sapesse che la sua era una capanna anche per i lupi, qualora ne avesse avuto bisogno.
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    27 Y.O.
    Ricercatore CCG


    Edited by Ryuko - 26/8/2023, 16:53
  3. .
    Alexandre R. De Lacroix
    Clack! La serratura del bagno ebbe uno scatto proprio mentre un draghetto colore ciliegia faceva capolino dai gusci rotti di un uovo a macchie rosse. Constatando di aver trovato l'ennesimo doppione, Alex salutò la nuova bestiolina con una punta di rammarico, appena in tempo per rivolgere invece un sorriso quieto all'impeccabile descrizione di Mimikyu.
    Assomigliava a Pikachu. Beh... sì, più o meno quanto Lazar assomigliava ad uno zombie in quel frangente, pensò. Anche se era appena uscito dalla doccia. Alex aveva sempre trovato triste la storia di quel pokemon: manco a dirlo - sentimentale com'era - era riuscito a farlo sfrecciare nella lista dei suoi preferiti seduta stante. Si sentiva rappresentato da un coso che si nascondeva sotto un telo a forma di un altro coso più carino per farsi volere bene. Forse l'unico contento di saperlo sarebbe stato il suo psicologo, se ne avesse avuto uno, quindi preferì il silenzio, domandandosi a quale delle due sorelle si stesse riferendo il ghoul. Non le conosceva e le aveva viste solo in foto; a malapena ne ricordava i nomi, ma per qualche motivo non riusciva a figurarsi la bionda con un pigiama di mimikyu addosso. «La bionda o la mora?» chiese dunque, alla ricerca di una conferma per la sua tesi. Mentre lo diceva, Alex si accorse di vergognarsi, quasi. Immaginava non fossero proprio i migliori abiti con cui presentarsi ad uno studente di moda. Ironico, se si considerava un attimo prima - quando l'aveva indossato - come l'attimo in cui non gli fregato un accidente. E ora l'aver ricevuto una sorta di "osservazione" su quella sua decisione mal ponderata lo stava facendo sentire in imbarazzo. Ma non poteva certo andare a cambiarsi di nuovo. E quindi rimase lì, con il suo pigiama con i corsola, a sentirsi in imbarazzo e pure un po' scemo.
    Non scemo quanto Lazar per lo meno, la cui autoflagellazione evidentemente non aveva mai fine. Era appena scampato all'oblio eterno e pensava a pulire.
    Alex abbandonò il telefono sul divano e con l'unica mano sana si massaggiò le tempie doloranti. Sapeva gli sarebbe comparso un bel bernoccolo, ma per un momento valutò se fosse il caso di tirargli un'altra testata, poiché la precedente doveva aver finito il suo effetto.
    «...Sei incredibile. – sospirò, infine, completamente svuotato di ogni emozione. – Sei quasi morto e ti preoccupi per la mia doccia.»
    Alla sua pigrizia non dispiaceva mai ricevere un favore, ma sarebbe stato comunque controproducente pulire una cosa che sarebbe stata usata da lui trenta secondi dopo, quindi gli fece cenno di lasciar perdere e si alzò, con tutte le intenzioni - forse - di non tediare ancora inutilmente quell'anima spezzata.
    Alex avrebbe voluto fare tante cose: per cominciare avrebbe voluto dargli una botta in testa per costringerlo a fermarsi un secondo, avrebbe voluto farsi raccontare cosa gli era successo, avrebbe voluto dirgli di riposarsi e, forse, in fondo all'animo, avrebbe anche voluto abbracciarlo e dirgli che andava tutto bene, anche se non era vero. La consapevolezza di non poter far niente strideva troppo con i suoi desideri e quindi tacque per l'ennesima volta.
    «Non posso fare niente per convincerti a non andartene, vero?» mormorò, sfilando di fianco alla porta-finestra del balcone e gettando una fugace occhiata all'esterno. Non voleva aprire né scostare le tende, per paura che ogni movimento potesse essere notato dai colleghi presenti giù in strada.
    Pur non avendo ancora le idee chiare sulle disgrazie che appannavano quello sguardo azzurro, aveva capito che per Lazar doveva essere importante. La sua richiesta era un atto di egoismo, e lo sapeva bene, ma era difficile farci i conti quando è la paura che parla per te.
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    27 Y.O.
    Ricercatore CCG
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    ...è una vita che non scrivo qui, ma dato che mi sono liberata un po' forse posso permettermi di aprire qualcosa pure su questi lidi(?)
    Non so bene che dire tanto i miei pg li conoscete, le mie trame le conoscete e vbb sì ho zero fantasia per proporre cose nuove.
    Alex è alex, quindi gatti, dolci, cose al mare, ho ancora una traccia sulle stelle cadenti(?) e una bad ending in canna, oppure CCG e esaltanti compagnie. Victor è un infame quindi solo CCG oppure risse, scontri sangue, insomma robe violente perché se provate a parlarci è noioso, credetemi. Ryuji è uno zombie i cui spunti role sono finiti tutti in malora quindi non so bene cosa farci, ma è anche un ghoul quindi tutte le cose da ghoul vanno bene. Anyway qui c'è il mio diario con le solite cose. Se volete scrivetemi pure per MP o telegram se lo avete. See ya.
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    Alexandre R. De Lacroix
    La gratitudine del ghoul gli scivolò addosso con la delicatezza della carta vetrata. Alexandre era sempre stato in grado di accontentarsi delle piccole cose, per cui fu un bene, perché lo riscosse da quel vortice di inettitudine in cui ormai gli pareva d'esser di casa. In fin dei conti, si disse, sarebbe dovuto essere fiero di sé stesso: lo aveva strappato dalle grinfie della CCG e questa volta non avrebbe permesso loro di far del male ad una persona che amava. Quando si dice il dolore terapeutico, eh?
    «Ultima porta in fondo al corridoio, a sinistra. Ti lascio i vestiti fuori dalla porta. - annuì, indicandogli così il bagno. - Usa pure ciò che vuoi.»
    Dubitava di avere anche solo un decimo dei prodotti per capelli o skin-care di cui si serviva l'adolescente, quindi era il minimo che poteva fare, oltre a lasciargli un po' di tempo da solo per rimettere in ordine i pensieri.
    Si sarebbe solo dovuto ricordare di pulire per bene la doccia per assicurarsi che non rimanessero trecce sospette sulla ceramica. Tipo beh, sangue.
    Tornando a volgere la propria mente a pensieri dal fine più utilitario, Alexandre si diresse in camera propria e accostò la porta. Ovviamente, appena fu solo, tutta la facciata di perbenismo e cortesia che in qualche modo era riuscito a tenere in piedi venne giù come un castello di sabbia in riva al mare; si rese conto che il primo ad aver bisogno di qualche momento di solitudine fosse lui stesso e, nell'istante in cui udì lo scroscio d'acqua della doccia provenire dal bagno, nel silenzio della propria camera si concesse qualche altra lacrima forse frutto ultimo dello stress.

    [...]

    Avrebbe dovuto imparare a non fare promesse che non poteva mantenere. Cosa? Aveva chiamato la CCG? No, assolutamente no, ma trovare dei vestiti per Lazar si era rivelata un'impresa da guinness dei primati. Il ventenne era il doppio di lui solo di spalle - e Alexandre era un nuotatore, capite? - e ogni singola felpa estratta dal suo armadio sembrava, chissà perché, sempre troppo piccola. L'opzione di dargli dei vecchi vestiti di Julian (non il gatto), anche se più affini alla taglia del russo, era stata fuori discussione: il suo cuore non avrebbe retto un altro colpo del genere. Alla fine si era dovuto accontentare di una vecchia tuta slargata ormai più affine alla definizione di pigiama, anziché quel genere di veste.
    Gli dispiaceva, ma che poteva farci? Gli sarebbe servito da monito per ricordarsi di non crescere troppo nella sua prossima vita.
    Anche lui si era cercato dei vestiti puliti; grazie al controllo preliminare di ambulanza e colleghi non era messo poi così male, se si escludevano i capelli, ma a quel punto aveva deciso avrebbe aspettato che Lazar se ne fosse andato a dormire - perché ci sarebbe andato, non importava come, a costo di imbottirlo di sonniferi, ci sarebbe andato - per farsi una doccia a sua volta.
    Si era messo il suo pigiama blu con i corsola (possiamo non giudicare un adulto a cui piacciono i pokemon? Grazie), fregandosene un po' sia delle apparenze sia del possibile giudizio dello studente di moda, perché tanto ormai il fondo del barile gli pareva d'averlo toccato e pure superato, voleva solo stare comodo, aveva lasciato i fantomatici vestiti promessi su un panchetto fuori dalla porta del bagno ed era tornato nel soggiorno appostandosi sul divano, non prima d'aver recuperato il suo cellulare dal cucinotto. E tutto con un braccio solo, chiamatelo eroe.
    Julian non ne aveva voluto sapere di uscire da sotto il suo letto, quindi non aveva compagnia. Alexandre non era mai stato un campione ad ammazzare niente che non fosse il tempo, quindi - senza nient'altro da fare, se non aspettare Lazar si sentisse meglio - si mise a scorrere lo schermo del suo telefono, aprì Dragon City Mobile e si mise a giocare con quello.
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    27 Y.O.
    Ricercatore CCG
  6. .
    Alexandre R. De Lacroix
    Alexandre, invece, sapeva benissimo cosa avrebbe dovuto fare. E il pensiero cominciò a farsi più invadente quando Lazar menzionò il clan di ghoul russi. Il ricercatore ne sapeva la metà di quanto ne poteva sapere un suo collega investigatore, non essendo la sua area di competenza, ma tra voci e chiacchiere di corridoio nella pausa caffè, non era difficile gli arrivassero stralci di informazioni riguardanti la presunta società ghoul, che purtroppo rimaneva un argomento di cui ancora si sapeva spaventosamente poco.
    Per cui, lo sapeva. Avrebbe dovuto tacere e consegnarlo alla CCG, aiutare a sgominare qualsiasi organizzazione ci fosse là dietro ed evitare ulteriori stragi e morti, magari prendendosi anche la sua medaglia al valore da appendere al camice per essersi cacciato in una situazione così rischiosa. Gli sarebbero piovuti addosso sacchi di complimenti. Sì, era indubbiamente ciò che avrebbe dovuto fare.
    Ed era certo che, a parti invertite, se lui fosse stato il ghoul ferito, Lazar non avrebbe esitato un secondo a consegnarlo alla giustizia. Il pensiero lo atterriva e gli dilaniava il cuore, divenuto il pasto di uno sciacallo: lo rendeva conscio di quella sua sentimentale "debolezza" per la quale suo padre lo aveva sempre definito uno sciocco ignavo incapace di prendere decisioni. Era inutile piantare i piedi nel fango quando quelli come lui alla fine non li stava a sentire nessuno.
    Se non altro, lo sfogo di Lazar confermò un sospetto avuto fin dal primo giorno in cui si erano conosciuti: dietro quella faccia da marpione che si ritrovava, c'era un ragazzo normale. O una specie, per lo meno. Sicuramente c'era uno che si era fatto carico di responsabilità più grosse di lui e adesso era sul punto di piangere perché gli erano sfuggite di mano. Gli ricordava qualcuno.
    Beh, sorpresa delle sorprese: Alexandre non aveva affatto bisogno di essere nato in un clan di ghoul russi per capire cosa si provava. Fin dal giorno della sua nascita suo padre aveva stabilito che sarebbe diventato un investigatore di successo, e lui bocca in capitolo non l'aveva mai avuta. Era nato per essere il successore di Elias De Lacroix, e là sarebbe arrivato, in cima ai vertici della CCG francese, perché quello era il suo posto.
    «Scusa.» scandì, infine, monocorde. «Adesso ti sembrerò arrogante.» lasciò il soffitto a fare il suo lavoro di soffitto e cercò gli occhi stanchi di Lazar. «Ma se pensi di essere diventato qualcuno ti sbagli di grosso.»
    Se c'era una cosa che odiava, fra le tante, quella era atteggiarsi ad uomo vissuto. Le sue inesistenti manie di protagonismo gli suggerirono di stare zitto e tirarsi un pugno in faccia, avrebbe fatto più bella figura, ma le parole gli uscirono da sole e quando provò a connettere il cervello quello si limitò a fargli una pernacchia.
    «Hai... vent'anni? Quando avevo la tua età io pensavo che sarei diventato un investigatore capace di portare la "pace nel mondo".» le sue labbra si storsero in una smorfia disgustata quasi di riflesso. Apparentemente incapace di fissare il ghoul per più di tre secondi di fila, Alex passò a fissare il pavimento come se di colpo si fosse dimenticato quante mattonelle avesse. Si vergognava come un cane. Ammetterlo così era imbarazzante. Persino più della volta in cui lo aveva detto in faccia a Julian con un cappellino di carta sulla testa (ultimo test dell'accademia, rip), che almeno ai suoi vaneggiamenti ci era abituato. «Ero stupido.» credeva di avergli già parlato di ciò... quel famoso giorno a starbucks. Non pretendeva che Lazar se lo ricordasse, probabilmente non gli aveva creduto di una virgola, ma a ripensarci adesso era stato tutto così banalmente ovvio che si sentiva davvero un idiota.
    Si portò la mano sana al viso e nascose le palpebre dietro il palmo, stropicciandole per la stanchezza e l'assurdità della situazione.
    «Non voglio dire che tu lo sia... ma hai un sacco di tempo per cambiare e crescere.»
    “Ed essere meno stupido di me”.
    «Almeno credo. Spero. Da come parli si intuisce che hai combinato un disastro... e io non dovrei impicciarmi degli affari della tua famiglia visto che non so niente, ma...» nemmeno a lui sarebbe piaciuto che l'astice nel suo piatto cominciasse a fargli la predica sulla vita... probabilmente l'avrebbe ributtato in mare seduta stante, stupido sentimentalista che non era altro.
    «...non pensare che la morte risolva tutto quanto. Poi arriva davvero, e nemmeno lo immagini quello che si porta via.» un sospiro sfinito sancì la fine di quella discussione. Patetica, dal punto di vista di Alexandre. Nel bene o nel male, erano sempre le famiglie a causare problemi.
    Non poteva dare consigli in merito, era uno sciocco che si era comportato uguale se non peggio. All'epoca non ne era stato consapevole, ma fin dall'infanzia non aveva cercato altro che dare il meglio di sé per accontentare una persona impossibile da accontentare. Forse era il non aver mai accettato il genitore come assassino che lo aveva indotto a farlo, ad annullarsi così tanti anni in sua presenza, prendendo la strada che l'uomo aveva scelto per lui, sorridendo alle cene con i suoi colleghi che si sfidavano con record di ghoul uccisi in un anno, e vomitando in bagno mentre cifre che sfioravano le centinaia gli vorticavano di fronte agli occhi. Tutto per far andare la sua vita nel peggiore dei modi. Non poteva fare altro che sperare Lazar prendesse una strada diversa... perché in fin dei conti lui ci stava ricascando come un idiota. «Senti, perché non... perché non vai a fare una doccia e cerchi di riprenderti un attimo? Se dopo vuoi dirmi cosa è successo, io...»
    Vedi, lo stai facendo di nuovo.
    La sua coscienza gli diede la mazzata finale. Alex esitò. "Io"? Io, cosa? Il ghoul non si fidava di lui, si vedeva da come stava ritroso. E pretendeva che gli parlasse? I suoi occhi si persero in un punto non precisato sulle piastrelle puntellate di rosso alle spalle di Lazar. Poi con un ultimo sforzo fece leva sul braccio sano, si rimise in piedi zoppicando, gli rivolse un mezzo sorriso e, giusto per sicurezza, si fece vedere lasciare il proprio cellulare vicino al ripiano cottura. Nel caso non fosse stato chiaro, no, non aveva intenzione di chiamare la CCG. «Niente, vado a cercarti dei vestiti.»
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    Ricercatore CCG
  7. .
    Alexandre R. De Lacroix
    Colpito e affondato. Fortuna che Alexandre era un sub, non una barca.
    Poteva inabissarsi un po' e sopravvivere lo stesso. Forse. Il ricercatore si prese il labbro inferiore fra i denti e chinò lo sguardo, ferito ma conscio che il ghoul avesse ragione: era uno scienziato, non un dottore. Le sue competenze mediche non erano abbastanza affinché potesse mettersi a ricucire ferite, ma anche se lo fossero state, non avrebbe avuto i mezzi adatti. Per perforare la pelle dei ghoul serviva l'acciaio quinque, impossibile da reperire in qualsiasi luogo non fosse la CCG; molti farmaci non avevano effetto e servivano anestetici e integratori a base di cellule RC.
    Sentirsi rifiutare a quel modo, gli lasciò comunque l'amaro in bocca.
    «Quanto pragmatico. – tossicchiò e, capendo che era inutile tornare ad alzarsi, si lasciò scivolare a terra a sua volta, poggiando la schiena contro i mobili della cucina. – Delle garze si mettono nello stesso modo a chiunque.» ci tenne a precisare, ma non insistette. Primo perché era stanco e non sicuro di farcela, l'essere stato sbatacchiato sull'asfalto come un sacco di patate non gli aveva fatto granché bene nemmeno la prima volta; secondo perché sapeva un gesto simile sarebbe stato più volto ad esprimere premura, piuttosto che effettiva utilità.
    Aveva varie reminiscenze di essersi fermato a dormire da un Julian ferito e a pezzi perché si era menato con altri ghoul o - peggio - investigatori della CCG francese. E piuttosto che lasciarlo solo aveva preferito impuntarsi a svegliarsi ogni due ore per cambiargli le fasciature e controllare che non perdesse troppo sangue, pur conscio che non servisse a niente e incurante delle lamentele del fidanzato. Poi la mattina successiva arrivava quel singolo "grazie" capace di cambiargli la giornata, capiva quanto l'altro contasse su di lui e gli sembrava nessuno sforzo fosse stato vano.
    Era solo l'ennesima dimostrazione. Lazar non si fidava di lui.
    E Alexandre fu costretto a ricordarselo ancora una volta: Lazar non era Julian.
    I continui parallelismi operati dal suo cervello avevano comune radice nella paura di perdere di nuovo una persona cara, e per liberarsene dovette mettere in atto il meccanismo di difesa più estremo.
    Lazar non era una persona cara. Forse lo era stata. Nella sua mente. Nel mondo delle idee. Adesso, a conti fatti... chi era? L'aveva visto giù in strada, terrificante e spaventoso come una belva. Pronto ad ucciderlo senza nessun rimorso.
    Per un lungo momento fu tentato dall'idea di alzarsi e dire che se ne andava a letto; se aveva qualcosa da dire, sapeva dove trovarlo.
    Ma sapeva che sarebbe stata la delusione a parlare. La delusione, seguita dalla rabbia, un sentimento misto a cui non sapeva davvero dare un nome. Quindi rimase, anche se forse - si disse - non avrebbe dovuto. Era stufo di fare lo zerbino, ma continuava a mettersi sotto i piedi degli altri perché alla fine era meglio se si sporcava lui piuttosto che le loro scarpe.
    Rimase e sollevò il muso verso il soffitto, alla disperata ricerca di qualcosa di piatto, bianco, armonioso e simmetrico. Qualcosa in grado di mettere ordine nel caos che sentiva imperversare all'interno della sua mente. Ma era come cercare qualcosa in grado di ordinare una tela di Kandinskij, non un'impresa facile, e perse in fretta il conto dei minuti, mentre respirava profondamente cercando la calma.
    Si rese conto che forse avrebbe dovuto avere paura. Aveva un ghoul in casa: anche se Alex lo considerava normale, probabilmente non lo era. L'istinto suggeriva che non lo era. Nessuna gazzella avrebbe dormito fianco a fianco con un ghepardo.
    Lazar era un ghoul. Che aveva provato ad ucciderlo... un'ora fa.
    «Posso farti una domanda?» chiese, infine. Retorico, perché la domanda gliela avrebbe fatta lo stesso, che lo volesse o meno. Chiedere era solo lecito.
    «Mi sta bene se dopo vuoi mangiarmi.»
    In realtà non era più così sicuro. Inconsciamente pensava di sì, gli era stato bene fin da Shinjuku. Eppure... ora che sapeva... che aveva scoperto... non ne era più così certo. Al tempo lo aveva creduto, perché la fatalità dell'incidente lo avrebbe svincolato da ogni colpa. Un modo pratico di concludere la propria esistenza su quella terra, tanto Alexandre non credeva d'averci più niente da fare. Non con la CCG che continuava ad ostacolare le ricerche e dava sempre priorità alle quinque, alle armi e alla guerra.
    Adesso non lo sapeva più. Voleva sapere perché Lazar si era comportato così. Se era sempre stato tutto per l'unico fine di... mangiarlo... allora glielo avrebbe lasciato fare. Gli avrebbe solo chiesto come ultimi desideri di fare in fretta e di prendersi cura del suo gatto, almeno di quello sapeva che era capace.
    Ma se... erano mai stati amici... almeno per una frazione di secondo... forse se ne sarebbe andato rimpiangendo qualcosa.
    Perché di domande me aveva così tanto che era difficile scegliere, ma Lazar aveva messo bene le cose in chiaro giù nel vicolo. Non avrebbe cercato pietà né giustificazioni per ciò che aveva fatto, ergo di lui non gli importava nulla, quindi non si sprecò nemmeno a fargliele tutte, conscio che lo avrebbe scocciato e basta.
    Sei davvero tu il ghoul di Shinjuku?
    Perché non mi hai ucciso quella notte?
    Perché mi hai invitato a prendere un caffè quel giorno sul treno?
    È stato davvero un caso che ci siamo incontrati?
    Quante volte hai davvero provato ad uccidermi?
    E quella volta all'host club?
    Da quant'è che ci provi?
    Perché non mi hai ucciso oggi?
    Mi diresti cosa ti è successo?
    Mi posso preoccupare per te?
    Mi detesti?
    Mi perdoni?
    Io ho bisogno di farmi una doccia, tu?
    È sempre stata tutta una farsa?
    Vuoi mangiarmi?
    Perché sono vivo?
    Perché?
    Perché?
    Continuò a fissare il soffitto. Aveva davvero tante domande.
    Fece del suo meglio per riassumerle in una.
    «Puoi dirmi... Chi sei? Per davvero.» la granitica convinzione con cui aveva pensato di voler pronunciare la frase vacillò ancora prima che le parole gli arrivassero alle labbra, e Alexandre seppe che se non avesse finito le lacrime un'ora fa sull'asfalto sarebbe scoppiato a piangere di nuovo. Incredibile che per una volta la sorte gliel'avesse mandata buona. Era un problema. Lazar gli piaceva. Gli era sempre piaciuto. Non solo come amico. Con quei suoi stupidi occhi azzurri che ricordavano il mare. O almeno, era quello che credeva. Che aveva creduto. Forse, gli era piaciuta solo l'idea che si era fatto di lui nella sua testa. Ora sperava soltanto che il ghoul gli dicesse le cose più terribili sulla faccia della terra, così il suo cuore spezzato avrebbe sofferto meno.
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    27 Y.O.
    Ricercatore CCG
  8. .
    Benvenuta Jess!

    Io sono Ryuko, piacere di conoscerti ♥
    Che bello vedere nuovi utenti, se hai bisogno di qualcosa per orientarti chiedi pure!
  9. .
    Alexandre R. De Lacroix
    «Lazar!»
    Se qualcuno avesse detto al sé stesso del passato che un giorno avrebbe di nuovo tirato fuori quel tono di voce, Alexandre non ci avrebbe creduto. Perché, insomma, aveva già raggiunto il punto più basso della sua vita e non si poteva mica andare oltre, no? E invece eccolo lì, a rivivere la stessa scena come in loop, a soffocare in un nome emozioni che neanche credeva più di avere. Ovviamente. Ovviamente, doveva essere rimasto sotto la finestra. Quella stramaledetta finestra sporca di sangue. E non poteva nemmeno fargliene una colpa, capace fosse stato così sfinito da essere appena riuscito a muoversi, ma era sempre la finestra.
    Almeno, questa volta, non c'era alcun investigatore a separarlo dalla persona che doveva raggiungere.
    In pochi avrebbero potuto discernere la valanga di emozioni che si ritrovarono ad annidarsi in una semplice esclamazione che prese la forma di un sussurro sofferto ancor prima di abbandonare la bocca di chi l'aveva pronunciata.
    Sicuro di aver socchiuso gli occhi nella sua esitazione, Alex si trovò a sgranare le palpebre non appena le luci soffuse dell'ingresso inondarono l'appartamento. Ecco cosa succedeva a fare il passo più lungo della gamba. Avrebbe voluto smettere di ritrovarsi a fare quei paragoni, ma era come una droga: non ci riusciva. Le scene si sostituivano da sole, come glitch e messaggi subliminali in un videogioco, e lui non riusciva a fare altro che osservare, passivo, e chiedersi perché improvvisamente gli facesse male il cuore. Ci mise un istante a tornare a pensare nitidamente, e dovette fare appello a tutto il suo contegno di persona assolutamente non preoccupata per non fiondarsi di getto verso il ghoul non appena lo vide, lì, rannicchiato sotto la finestra, lo sguardo perso e arrossato di chi si è addormentato piangendo.
    Ci si fiondò comunque, ma non di getto. E fu solo quando gli arrivò davanti, per la prima volta più alto di lui, che si rese conto di non saper cosa fare.
    "Non volevo sporcare."
    Non voleva sporcare, aveva detto.
    Alexandre lasciò vagare lo sguardo sul pavimento e sulle piastrelle della cucina - perché sì, Lazar era finito sotto la finestra della cucina -, e poi sui propri vestiti, ancora sporchi di sangue. Non era nel pietoso stato precedente, si era pulito il viso, un po' i capelli e aveva un braccio fasciato, ma finiva lì. Sul suo volto si dipinse una smorfia contrariata. «Avresti dovuto preoccupartene prima, non credi?» disse, come se stesse rispondendo ad una presa in giro, ma nella sua voce non c'era cattiveria, solo dirompente stanchezza e... sollievo. Per quanto volesse darsi una parvenza di serietà, nei suoi occhi rimaneva imperterrita quella pazienza infinita che non abbandonava mai le iridi verdi del ricercatore. Vista la situazione, non gli pareva il caso di farne un dramma; non c'era niente che fosse impossibile da pulire, nemmeno la propria reputazione, figurarsi qualche macchia di sangue.
    Sangue, vestiti laceri, lacrime e altro sangue. Era tutto così assurdo. Sotto la tenue e calda illuminazione gettata da alcuni faretti opachi posti in vari punti del soffitto, scemava persino l'assurda normalità dell'appartamento di Alexandre, forse anche troppo grande per una persona che viveva da sola con un gatto. La cucina in cui era capitato il ghoul si trovava nello stesso vano del salotto, separata appena dai mobili e da una striscia di parquet che da pulire doveva essere infernale. Sul fondo, oltre la porta d'ingresso dalla quale il francese aveva fatto ingresso, c'era un corridoio che portava con ogni probabilità alla camera da letto. L'influenza occidentale era palpabile, ma non era nulla di speciale, le uniche due cose che potevano saltare all'occhio erano il grosso televisore che si trovava di fronte al divano e una sottile cornice nera con una stampa dell'Albero della Vita di Gustav Klimt appesa al muro dietro di esso. Da quel lato si trovava anche il famoso balcone, dietro una porta a vetri che occupava metà dell'intera parete e ora in parte oscurata da una leggera tenda color panna. Alex lanciò uno sguardo in quella direzione quasi d'istinto, ma no, la rete era intatta. Si ricordava quando ce l'aveva messa. Poco dopo che Julian aveva avuto la bella idea di saltare sui terrazzi dei vicini del piano di sotto e per poi finire a farsi un giro a Shinagawa; a riportarglielo era stato quel giovane di nome Kiyoshi... vabbè, non era importante adesso. Lazar sembrava addirittura esserci stato attento. Un sospiro.
    Lentamente, tornò a guardare il suo nuovo gatto randagio.
    «Quindi... sei un ghoul.» mormorò, la stessa aria mesta di chi sta cercando di fare i conti con i propri demoni. Signori, 007.
    Sì, ok. Per quanto fosse ovvio, aveva ancora parecchio da processare. Chiaramente non rappresentava un problema. Capiva perché non glielo avesse detto. Ci era già passato. Insomma, non stava più studiando per diventare investigatore, ma a conti fatti era sempre della CCG. E ammetterlo era fondamentale, nemmeno lui sarebbe andato a mettere piede in un safari di leoni affamati per poi scendere dalla jeep.
    Scosse la testa. Quantomeno, sembrava essersi calmato. Il che voleva dire che ora arrivava la parte difficile. Farsi raccontare cosa era successo. E, prima, una cosa fondamentale. Alexandre piegò il ginocchio che faceva meno male e si chinò alla sinistra di Lazar - inspirando piano, perché era un po' un catorcio pure lui. «Mi faresti dare uno sguardo alle tue ferite? Per favore.»
    Non poteva offrirgli niente da mangiare, ma - forse - qualcosa poteva farlo.
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    Non è ovviamente proprio così, ma puoi immaginare casa De Lacroix su questo stile.
  10. .
    Alexandre R. De Lacroix
    Alexandre riuscì a mettere di nuovo piede in casa soltanto un'ora e ventidue minuti più tardi.

    Rimase in stato catatonico per un tempo che non seppe distinguere. Le ginocchia piegate sull'asfalto rosso, le macchie indelebili di sangue sul viso a malapena lavate via dalle lacrime e il respiro spezzato dai singhiozzi. Arrancò solo verso la quinque-fucile, afferrandola come se da essa fosse dipesa la sua vita - perché se doveva giocare la parte della vittima se la doveva giocare fino in fondo -, ma non toccò nient'altro. I soccorritori della CCG lo trovarono così: confuso, sporco e tremante.
    Alex si rese conto del loro arrivo soltanto quando una voce allarmata gli s'insinuò nell'orecchio gridando qualcosa in una lingua che d'istinto non riconobbe, e catalogò come giapponese dopo uno sforzo che gli costò diversi reboot del cervello.
    Non era mai stato un bravo attore, spesso era fin troppo espressivo affinché sul viso non gli si leggessero pari pari i pensieri che gli annebbiavano la mente, ma in quell'occasione non ebbe bisogno di recitare più di tanto. Confuso era confuso, sporco era sporco e spaventato anche. Si ritrovò seduto sulla portantina di un'ambulanza quasi senza capire come, il braccio fasciato e appeso al collo, niente più fucile fra le mani, e non poté far altro che osservare passivamente l'area che veniva recintata e il successivo formarsi del caos che segue sempre una scena del crimine. Almeno fin quando... «...Va tutto bene?»
    No. No che non andava tutto bene. Aveva appena scoperto che il ragazzo che gli piaceva era un ghoul. Di nuovo. La storia amava ripetersi ciclicamente, ma quello non era ripetersi era prenderlo in giro. E non solo. Era un ghoul che aveva provato a farlo fuori non una, ma ben DUE volte. E chissà quante altre, probabilmente ad ogni loro appuntamento non aveva fatto altro che macchinare piani malefici con il quale ucciderlo e lui che aveva fatto? Aveva provato a salvargli la vita. Ovviamente. Perché quello era il destino degli sciocchi.
    Come si poteva essere così ottusi? Così stupidi? Così... e basta.
    Alexandre sollevò lo sguardo e si specchiò negli occhi scuri di una ragazza che non doveva avere più di ventidue-ventitré anni. Era giovane, un'investigatrice dall'aria familiare. Era la stessa che lo aveva aiutato a rialzarsi e che gli aveva portato via la quinque pochi minuti fa, prima di lasciarlo fra le mani capaci degli infermieri. Himari, forse? Il ricercatore avrebbe voluto urlarle in faccia tutti quei pensieri, ma la sua domanda gli bucò il cuore. Realizzò da quanto qualcuno non gli chiedesse se "andava tutto bene" e gli venne da essere gentile.

    [...]

    Quella tra umani e ghoul era certo una convivenza strana. Più strana di quella c'era solo la convivenza fra umani membri della CCG. Secondo una bizzarra legge non scritta, dopotutto, si è sempre più buoni con i propri compagni d'arme che tornano dalla guerra.
    «È sicuro che non vuole la accompagni di sopra?»
    Una preoccupata e premurosa voce femminile stuzzicò l'anima ferita di Alexandre, che si ritrovò ad incurvare appena le labbra in un sorriso tenero.
    «Grazie, Himari-san. – rispose, scuotendo lentamente il viso. – Ce la faccio, immagino di essere... un po' frastornato, ma sto bene. E non vorrei distrarti troppo dal tuo lavoro.» Alla fine ci aveva preso, si chiamava davvero Himari. La giovane annuì, comprensiva, e Alex si fece sfuggire un sospiro quieto. Aveva davvero apprezzato la sua gentilezza, ma la cosa di cui aveva più bisogno al momento era di stare solo e riposarsi. Una volta finito di raccogliere la sua testimonianza e appreso che abitasse davvero nel palazzo di fronte, l'investigatrice si era offerta di accompagnarlo fino al portone del condominio e lui aveva accettato di buon grado. Parlare con lei gli aveva fatto bene a districare la confusione che gli aleggiava in testa e aveva capito come mai le era sembrata familiare: Himari si ricordava di lui; non c'era stato nemmeno bisogno che finisse di dire che "lavorava nella divisione laboratori" perché lei gli confermasse che lo sapeva perché due settimane prima le aveva offerto un caffè. Ovviamente Alexandre non se lo ricordava affatto, ma era normale, a volte usciva da lavoro con il cervello più fuso di un cioccolatino nel microonde e incontrava decisamente troppi investigatori per ricordarseli tutti, ma aveva ringraziato la sua buona stella e la ragazza per essersi ricordato di lui perché... ne aveva avuto bisogno, che le cose fossero facili, per una volta. In verità, qualcuno degli infermieri aveva insistito che venisse ricoverato in ospedale almeno per la notte, ma il francese aveva detto di star bene così, se la sarebbe cavata con un po' di riposo, voleva davvero andare a casa, farsi una doccia e togliersi di dosso quelle sensazioni orribili, abitava letteralmente lì, dall'altro lato della strada. Come aveva già detto a Himari, la sua vita di ritorno dal konbini aveva rischiato di trasformarsi in una tragedia persino per lui e si sentiva stordito, ma stava bene! Davvero! Il ghoul che lo aveva attaccato era già stato pesantemente ferito dagli altri investigatori e non aveva avuto le forze per finire anche lui, che aveva fatto del suo meglio per difendersi con una delle quinque. Gli aveva fatto male al braccio, ma udite le sirene della CCG, aveva preferito staccare un arto ad una delle vittime e fuggire in direzione di Shinjuku. E in qualche modo era riuscito a scansare il ricovero in favore di almeno cinque giorni di riposo assoluto: il braccio non era rotto, era slogato, indi per cui ghiaccio, bende, antidolorifici e poteva sognarsi la piscina per almeno quattro settimane. In sintesi, Alexandre era demoralizzato principalmente per questo.
    Nella sfiga, l'unico modo per vederci qualcosa di positivo era l'essersi guadagnati un paio di giorni di "ferie" pagate così a gratis.
    «Signor De Lacroix! – Già con le chiavi nella mano dell'unico braccio buono, stranito dal sentirsi chiamare, il ricercatore si riscosse e si voltò. L'aveva appena salutata, ma Himari era ancora lì che lo fissava da due scalini più in basso. – Sono molto contenta che lei sia vivo.»
    Il suo viso di contorse in una smorfia sorpresa, ma inteso da dove venisse quella strana affermazione le sorrise, indulgente. Già, dover trovare due colleghi morti in un secondario vicolo di Minato non doveva essere un bel colpo per una ragazza di forse appena vent'anni... il fatto che lui fosse riuscito a sfuggire alla cieca follia di un assassino era una consolazione. Una magra consolazione, ma pur sempre una.
    «Anche io. Grazie.» Ironia della sorte: non pensava che si sarebbe mai ritrovato a ringraziare di essere vivo. La vita era proprio strana. La ragazza ricambiò il sorriso e Alex decise di dedicarle ancora qualche parola per... incoraggiarla? Non lo sapeva, ma sapeva che per i giapponesi quelle cose erano importanti e... un po' faceva ancora parte del suo ruolo di vittima.
    «Sa, anche io una volta avevo iniziato la sua stessa carriera.»
    Gli occhi nocciola della giovane si dilatarono per la sorpresa, e capì d'averci preso. «Oh. E come mai ha... smesso?»
    «Ho avuto paura.»
    Ci fu qualche attimo di silenzio, poi il volto interrogativo dell'investigatrice parve illuminarsi: era un complimento! «Ah, uhm, sì! In effetti ci vuole molto coraggio per affrontarli.» borbottò, senza riuscire a nascondere una punta di orgoglio sulle guance rosee.
    Alexandre annuì.
    Ovviamente intendeva che aveva avuto paura di ucciderli, ma era una sottigliezza che non capivano tutti, e andava bene così.
    «Allora, vado. Credo che rimarremo in zona tutta la notte, quindi se ha bisogno mi chiami pure con il numero che le ho lasciato. Nel caso il ghoul tornasse a cercarla.»
    Certo. Non si poteva mai sapere.
    «Grazie ancora, Himari-san.»
    La giovane si congedò con un inchino e gli augurò la buonanotte. Alexandre fece altrettanto, pur non sapendo chi dei due avrebbe passato la peggiore, e poi si chiuse la porta del condominio alle spalle.
    Prese l'ascensore, perché le sue gambe a malapena lo tenevano in piedi, e una volta davanti alla soglia dell'ultimo piano, prese le chiavi e le girò nella toppa.
    Non fece nemmeno in tempo a socchiudere la porta che un familiare miagolio gli giunse alle orecchie, mentre la luce del pianerottolo inondava di un flebile chiarore l'ingresso alla giapponese dell'appartamento.
    «Julian...» fece Alex, e si sentì un infame, perché pensando di tornare presto gli aveva lasciato meno croccantini del solito. Il gatto gli giunse vicino, ma poco dopo soffiò, probabilmente sentendo l'odore del sangue sui suoi vestiti, e Alexandre lo vide saettare via verso la camera. Ora non poteva proprio prenderlo in braccio. Si fece sfuggire un sospiro con aria ancora più colpevole e, richiudendosi la porta alle spalle, fece sparire dietro di essa tutta la luce che era rimasta. Le sue dita corsero rapide all'interruttore della stanza, ma quando ci furono sopra... esitarono.
    Improvvisamente una morsa di terrore gli strinse lo stomaco. Come se avesse paura di scoprire la verità. Scoprire che l'appartamento fosse vuoto.
    «Lazar...?»
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  11. .
    Alexandre R. De Lacroix
    «Non prendo ordini da te, umano
    Eh no, sarebbe stato bello, ma utopico.
    Più che prendere ordini da un umano, Alex sperava che sarebbe stato a sentire un amico, ma evidentemente non era quello il caso.
    Evidentemente non lo era mai stato.
    Evidentemente l'unico rapporto che potevano vantare era quello che sussisteva fra un agnellino e il lupo cattivo, dove il secondo era in grado di accusare il primo di qualsiasi cosa, pur di trovare un pretesto per mangiarselo.

    Il disprezzo nelle parole del ghoul gli trapassò il cuore come una lama piantata a freddo nella carne. La sua personale spada di Damocle aveva scelto il momento peggiore per cadergli in testa.
    Il fatto che avesse appena identificato Lazar come la sua spada di Damocle gli avrebbe dato molto su cui riflettere in futuro, ma al momento non riusciva a concentrarsi. Respirava a malapena, si sentiva come una sottile lastra di vetro a cui era stato affidato l'ingrato compito di tenere a bada la pressione di un impetuoso uragano. Incrinata, fragile, ma con il dovere di resistere. Voleva cedere. Voleva urlare. Voleva cedere, urlare, impazzire. Quel senso di distacco nella voce di Lazar mai udito prima lo stava logorando pezzo per pezzo. Avrebbe voluto urlargli di smetterla e tornare il solito Lazar, lo studente di moda con cui parlava di serie televisive e gatti, ma... forse non c'era mai stato nessun solito Lazar. Forse “il solito Lazar” era quel Lazar che gli stava ringhiando contro. Lo stesso Lazar che lo faceva ridere e... per cui lui non era... niente?
    Ma non era ovvio? Ogni singola memoria, ogni singolo flashback, lo riportava alla cupa conversazione avvenuta allo Starbucks di Shibuya e alla faccia stranita del ghoul quando aveva menzionato la CCG.
    Il buon senso c'era stato; ma se ne era rimasto nascosto per paura del senso comune. E ora che si incastravano i pezzi del puzzle, tutto assumeva il macabro e orrido senso che Alexandre aveva fatto finta di non vedere sin dall'inizio.
    Era ovvio che il ghoul lo considerasse una minaccia. Lui lavorava alla CCG, era il nemico dei ghoul per antonomasia. Lui, lo scienziato che non si sforzava nemmeno mai di approfondire l'argomento con la coscienza di non essere ben visto, un ghoul senza ripensamenti che li considerava tutti assassini. Stava andando esattamente come era andata con Julian, ma questa volta non aveva il magico potere dell'affetto a medicare le ferite. Perché erano ferite di cui non sapeva nulla.
    Prese fiato. Voleva dirgli qualcosa, che no si stava sbagliando, lui non gli avrebbe fatto del male, il suo segreto era al sicuro, ma non ci riuscì. Il ghoul gli tappò la bocca con veemenza: Alexandre strinse gli occhi con un sussulto, ricacciando indietro qualsiasi tentativo il suo corpo stesse facendo di piangere e sforzandosi di non sentirsi come un condannato a morte. Il cuore gli martellava in petto, assordante e impazzito. Se era così che si sentivano i condannati a impiccagione prima che il boia gli aprisse la botola sotto i piedi non li invidiava affatto; rimase fermo, immobile, per un tempo eternamente lungo, esposto, fragile, vulnerabile. Delicato come un fiore su una parete di nuda roccia. Nemmeno quando comprese che Lazar non lo avrebbe ucciso si riscosse del tutto da quella paralisi dei sensi.
    E quando i suoi occhi incontrarono di nuovo il cielo plumbeo, e si rese conto di essere libero, una sgradevole sensazione di déjà-vu lo avvolse da capo a piedi.
    Sì, era già successo. Solo che la volta scorsa non era immerso in una pozza di sangue. Pensieri confusi si accavallarono uno dietro l'altro come auto in corsa sul circuito di un primo premio. Sua sorella. Gli investigatori morti. Lazar era un ghoul. Di conseguenza doveva esserlo anche sua sorella. Le doveva essere capitato qualcosa. Ed era finita in quella sfortunata maniera. Un ragionamento semplice, logico, ma ad Alexandre costò ben quindici secondi di respiri profondi e labbra tremanti. Aveva la gola secca. Accompagnato da uno sforzo immenso, tentò di far leva sul braccio sano per alzarsi, ma il rumore della carne che veniva strappata lo costrinse a fermarsi e a ricacciarsi in gola un conato di vomito, mentre gli odori di sangue e putrido si rimestavano fra di loro in una dissonanza di sapori crudi.
    Il suo istinto gli diceva di prendere e scappare, di andarsene il più lontano possibile, ma qualcosa - un sentimento di cui avrebbe volentieri fatto a meno - lo trattenne nel vicolo ancora una volta. Forse fu la brulla consapevolezza di conoscere a menadito le successive azioni di Lazar e l'improvvisa comprensione del motivo per cui era stato lasciato andare.
    Sempre quello. La CCG. Troppo frastornato per udire le sirene, ma ancora in grado di tirare le somme e fare due più due, gli sembrò quasi banale. Scontato, chissà quanto tempo era passato da quando era morto il primo investigatore. Dovevano aver chiamato i rinforzi ben prima di ridursi con l'acqua alla gola.
    Alexandre si rialzò, barcollando prima in ginocchio e poi a tentoni su due gambe. Grondava sangue come uno zombie e il suo equilibrio era precario, non doveva proprio essere una visione celestiale.
    «No.» ansimò, a quel punto. No che non lo sarebbe stato a sentire.
    "No. Heh. Scusa. Veramente io..."
    Alexandre non riusciva mai a dare una risposta sensata e convinta in situazioni critiche. Non era stato fatto per quello. Era un debole, un osservatore, non gli piaceva disturbare lo status quo dei contesti. Ma era stufo. Non ce la faceva più a rimanere a guardare. Aveva la voce rotta e nemmeno lui sapeva con quale forza di volontà si reggeva in piedi. Ma non lo sarebbe stato a sentire se quello era ciò che avrebbe ricevuto in cambio.
    Dove pensava di andare in quello stato?
    All'obitorio del centro di detenzione Cochlea?
    Nell'ultimo disperato tentativo di levarsi da quella situazione, fece una cosa che non si sarebbe mai aspettato: tirò una testata a Lazar. Sì, così. Tanto per rovinare il pathos.
    Mosse due passi decisi verso il ghoul e afferrò la metà esterna dell'arto che il ghoul aveva appena strappato al suo legittimo proprietario: le sue dita si serrarono attorno alla carne molliccia e Alex ebbe bisogno di ringraziare qualunque divinità ci fosse in cielo per avergli donato uno stomaco forte. E mentre si diceva che schifo chissà come si faceva a mangiare quella roba, lo strattonò verso il basso (ormai aveva imparato il trucco) e tirò una capocciata sulla fronte del ghoul, fissando gli occhi verdi sul viso stanco dell'altro. Si fece male? Ovvio che sì, ma si morse la lingua e sopportò.
    «Si da il caso che a me importi. E non credo di essere l'unico. — ringhiò, con voce bassa, ben consapevole che non poteva permettersi di urlare ai quattro venti. Era un sussurro rabbioso, nemmeno sapeva da dove lo stava tirando fuori, ma aveva finito le opzioni. — Non ho intenzione di vedere un'altra persona a cui tengo rovinarsi e morire perché sono rimasto a guardare.
    Lo capisci, vero? Che se fai un passo fuori da questo vicolo in questo stato sei un uomo morto. Non so cosa sia successo fra te e tua sorella, ma se non sono loro,
    - la sua mano sollevò appena l'arto reciso che stringevano entrambi, lasciando che il sangue gocciolasse sull'asfalto come pioggia, - saranno i prossimi. Se non vuoi che il tuo cadavere sia sul mio tavolo da lavoro domani mattina, l'unico posto in cui andrai adesso sarà a nasconderti e ad aspettare che questo casino si sia risolto!»
    Fattuale: il casino lo aveva probabilmente creato Lazar stesso, Alexandre ne era perfettamente convinto, ma già stava camminando sulle uova, non credeva che ricordarglielo e calpestare la sua psiche già distrutta fosse il modo giusto per ricordargli che poteva aspettare un altro po' a gettarsi nella fossa dei leoni.
    Là fuori esistevano investigatori spietati. Non credeva nemmeno di aver bisogno di spiegargli altro: quando arrivava una richiesta di soccorso di simile livello gli investigatori disponibili sul territorio venivano non troppo gentilmente invitati a convergere verso il luogo del delitto e si formava uno stallo. Si cercava di tenere duro e impedire al ghoul di scappare fino a che non arrivava un numero sufficiente per sopraffarlo. Il che significava che in quell'esatto istante, in direzione di quello specifico isolato di Minato, c'erano orde di dipendenti della CCG con decine di quinque spiegate e altrettanti cecchini pronti a far fuoco al primo movimento sospetto fosse apparso oltre l'orlo dei palazzi. Ridotto in quello stato il posto più vicino che Lazar avrebbe potuto raggiungere era una cella del centro di detenzione Cochlea se era fortunato. Se era fortunato e il suo rank era abbastanza alto da convincere l'investigatore che lo avrebbe preso a non sopprimerlo sul momento perché aveva una kagune abbastanza bella che valeva la pena provare a farci una quinque. Insomma, le solite chiacchiere da thè per gli investigatori ai piani alti, Alex le aveva sentite un mucchio di volte, in Francia, alle cene di lavoro di suo padre.


    Gli occhi di Lazar gli ricordavano il mare; forse era per quello che ad Alexandre piacevano tanto, anche se lo guardava così. In fondo, l'unica cosa che Alex aveva amato più del mare era stata Julian, e quello che gli tornava alla mente a guardarli era poco più di un eco lontano. Qualcosa che assomigliava al lamento disperato di una vedova che si alza e si perde sulle onde, trascinandosi nel vento lontano.
    Lamenti /i suoi/ che straziavano l'aria con acuta sofferenza e che non voleva rivivere, per nessun motivo al mondo.

    “—Per favore…
    “—Fammi andare alla sua tomba... Fammelo vedere un'altra volta…
    “—Ti scongiuro, papà…
    “—L'ultima... Per favore... fammi vedere l'ultima volta la persona che amo…


    Alex non aveva mai visto il corpo di Julian dopo la sua morte. Glielo avevano portato via e giustamente impedito, perché suo padre lo aveva coperto per non far avere ripercussioni al neo-investigatore ad un passo dal diploma, che conviveva segretamente con un ghoul. Sarebbe stato patetico vederlo disperarsi e chiedere una tomba per un essere che non aveva diritto nemmeno di vivere, no? A nulla erano valse le sue preghiere, le sue richieste disperate: tutto ciò che aveva ricevuto era stata la porta di uno studio chiusa in faccia.


    Le lacrime cominciarono a scendergli dagli occhi ancora prima che se ne accorgesse, cariche di ricordi, passato e ferite mai risanate.
    Era egoista, uno stupido egoista che voleva soltanto - per una volta - stare bene e non sentirsi sopraffatto dai sensi di colpa. Lazar non era nessuno per lui. A rigor di logica sarebbe dovuto essere così. Alexandre non sapeva niente di lui, eppure... a vederlo ridotto in quello stato gli scoppiava il cuore.
    «...cazzo.» gli sfuggì un imprecazione a fior di labbra. Perché gli doveva venire in mente ora? In realtà lo sapeva perché gli era venuto in mente. E si odiava per questo. Lazar aveva scosso la sua vita. E lui si era affezionato a quella maschera, e a qualunque cosa ci fosse sotto, come un perfetto idiota.
    Le sue dita mollarono ciò che rimaneva del cadavere e si sollevarono appena verso la sua guancia. Voleva toccarlo. Abbracciarlo, forse. Ma non sentiva di averne il diritto, per questo rinunciò, e la sua mano sporca di sangue si strinse a pugno sulla maglietta lacera del ghoul, al lato opposto del cuore. Voleva inconsciamente impedirgli di andarsene, ma sapeva di non avere tale potere. Non riuscì più a tenersi in piedi: la sua fronte scivolò sulla spalla di Lazar, depositandovi un mezzo singhiozzo, poi il suo palmo si aperse e lo spinse via.
    «Stupido.» rantolò, ormai succube delle lacrime, e si voltò. Non fece in tempo a fare due passi. Crollò in terra, sotto il peso delle aspettative e lì rimase, a singhiozzare sommessamente.
    La sensazione di umido del sangue sparso nel vicolo gli mezzò i pantaloni, sporcandoli di rosso, ma se ne infischiò. Sarebbe voluto rimanere lì per sempre, aspettando l'incudine che ad un certo punto sarebbe magicamente scesa dal cielo a schiacciarlo, ma la situazione era pessima per compatirsi. Non aveva tempo. Contò fino a tre, si sfregò gli occhi e poi si diede un tono. Una specie.
    «...Dall'altro lato della strada, terzo palazzo, ultimo piano. C'è... casa mia. Sul balcone c'è una rete, per il gatto, ma... la finestra è aperta. Se... hai bisogno di un posto dove riposarti. D-Dirò loro che sei fuggito verso Shinjuku.» rantolò, con il cuore in gola i singhiozzi uno dietro l'altro. Stava versando più lacrime di quante ne possedesse.
    Mormorate quelle parole cominciò a tastare a terra, alla ricerca delle cuffie che aveva perso prima. La coda era praticamente sfatta, i capelli gli finivano sugli occhi, le lacrime gli appannavano la vista e il sangue gli appiccicava le dita, ma non poteva fare altro che approfittarsi dei morti nel modo più meschino possibile.
    L'asfalto era sporco e lui era la vittima. Non poteva più allontanarsi dal vicolo. Avrebbe aspettato i soccorsi e si sarebbe inventato qualcosa. Non aveva una kagune e non poteva saltare sui tetti come facevano i ghoul, se si fosse mosso da lì avrebbe lasciato troppe tracce in giro. Li avrebbe aspettati e li avrebbe mandati via.
    Gli bastava solo che Lazar non facesse cazzate.
    Era stanco. Stanco di tutto.
    Anche del sé stesso che non ce la faceva a non farsi importare degli altri.
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    Ricercatore CCG
  12. .
    Meglio farlo subito che poi c'è Lucca e mi tocca sparire omg

    Nickname: Ryuko
    PG Censiti:
    HTML
    [URL=https://tokyomemoir-gdr.blogfree.net/?t=5979094]Alexandre Romain De Lacroix[/URL]
    [URL=https://tokyomemoir-gdr.blogfree.net/?t=6147276]Victor Krieger[/URL]
    [URL=https://tokyomemoir-gdr.blogfree.net/?t=6287095]Ryuji Yamazaki[/URL]

    PG da archiviare: //
    PV da confermare: //
    Controllato i topic? Per quanto riguarda me sì owo
  13. .
    *coff*
    I-It's me.... again.....

    Se il manga di cui parli è questo (link), la protagonista si chiama Emma.
  14. .
    CITAZIONE (LaSignoraingiallo @ 21/10/2022, 15:46) 
    (perchè traumatizzare i pg è divertente!)

    Io e te andremo molto d'accordo.

    Benvenuta Giulia, io sono Ryuko, ovvero nessuno di particolarmente importante, ma in qualche modo devo presentarmi, piacere di conoscerti!
    Il tuo avatar, che nostalgia--
    Anyway, spero ti troverai bene qui e aspetto con curiosità di vedere tanti nuovi pargoli da traumatizzare! 💖
  15. .
    Alexandre R. De Lacroix
    I ghoul erano mostri.
    I ghoul erano assassini.
    I ghoul erano selvaggi.
    Alexandre era cresciuto con quegli insegnamenti come pane quotidiano; nelle sue lezioni all'accademia alla CCG non aveva imparato altro e al telegiornale si sentiva ripetere almeno una volta alla settimana. I ghoul, i ghoul, i ghoul. Comodo cercare di lavarsi le mani così. In fondo i ghoul non erano altro che esseri umani.
    L'unica battaglia che Alexandre aveva mai dovuto combattere era stata quella di cercare di mantenere ben salde quelle sue convinzioni, anche quando tutto il resto del mondo sembrava dargli contro.
    E ci era riuscito, oh se ci era riuscito. Era una guerra che gli piaceva pensare di aver vinto, una che gli aveva portato via molto, ma che gli aveva dato ragione, una in cui le sue esperienze di vita erano diventate prima trincea e poi armi ed esplosivi per abbattere la muraglia eretta dallo stigma comune diffuso nella società. L'aver visto con i propri occhi come la convivenza fosse possibile era la certezza che gli aveva sempre fatto da scudo, e anche dopo aver perso uno dei suoi pilastri portanti della sua vita, il suo compagno d'armi, non aveva mai smesso di lottare, si era solo allontanato dal campo di battaglia, in pace. Di certo non immaginava ci sarebbe dovuto tornare per impedire che gli portassero via qualcos'altro.

    Alexandre si soffermava spesso a pensare alla morte, talvolta anche senza alcuna motivazione precisa. Durante il giorno mentre svolgeva attività apparentemente normali. Era strano, non sapeva cosa lo spingesse a farlo, ma succedeva. Ad esempio, quando aspettava il treno sulla banchina affianco ai binari o gli capitava di guardare giù mentre stendeva la lavatrice affacciato al balcone, e il suo cervello, in un macabro raptus di follia, sembrava suggerirgli: "salta". Alcuni studi dicevano che era normale, che la mente provi una certa dose di sollievo nell'immaginare azioni che poi non ha il coraggio di compiere. Si chiedeva se fosse vero. E se quel coraggio gli avrebbe mai annebbiato la ragione. Cosa sarebbe successo?

    I suoi tentativi di ribellione furono spezzati sul nascere da un informe ammasso di violenza. Tac. Vide un lampo rosso e poi più nulla. Una ramificata fitta di dolore gli frantumò le sinapsi, e si espanse lungo tutto il resto del corpo con la rapidità di una saetta. Con il braccio ritorto all'indietro, Alex non seppe dove trovò la forza di non gridare. Forse l'ultimo briciolo di raziocinio rimastogli gli suggerì che se lo avesse fatto avrebbe attirato l'attenzione, ed era l'ultima cosa che voleva fare; forse il fetore umido del sangue lo tenne lucido e terrorizzato abbastanza da ricordargli di essere sospeso sul filo che congiungeva il mondo dei vivi e quello dei morti; seppe solo che, in un ultimo atto di pietà verso sé stesso, quando riaprì le palpebre che non si era reso conto di aver serrato, sforzandosi di scacciare quel velo di opaca nebbia scesovi sopra, tranciò qualsiasi collegamento il suo corpo potesse avere con i centri del dolore e rimase lì, la gola arida e il viso contratto, ansante e spezzato, come un ramo secco sotto gli incuranti passi di qualcuno.

    Evidentemente, non era ancora giunto il giorno in cui avrebbe scoperto se il suo coraggio fosse sufficiente per farlo saltare oltre il confine. Lazar gli aveva rotto un braccio? Bella domanda. Alexandre non si era mai rotto un osso prima e non aveva metro di paragone. Rimase a fissarlo, immobile, per un tempo così dilatato nella manciata di secondi che furono che credette di star impazzendo. Si chiese se Lazar gli avrebbe azzannato la gola strappandogli le arterie e lasciando il suo sangue a fluire e a mescolarsi, orrido, insieme a quello degli altri cadaveri, si chiese quanto ci avrebbe messo a morire in quel modo, anche se in realtà lo sapeva già da solo. E si figurò come lo avrebbero ritrovato la mattina successiva, dilaniato con gli occhi vitrei rivolti verso l'alto, mentre qualcuno annotava il suo nome affianco a quello degli investigatori caduti, prima di coprirlo con un lenzuolo bianco mormorando un "poverini, erano così giovani", come se quello potesse dar sollievo alle loro anime. In realtà non voleva nemmeno guardarlo in faccia, Lazar.
    Voleva riprendere fiato ed essere lasciato stare, ma quando infine la foschia si diradò e i suoi occhi riuscirono ad incontrare di nuovo quel solito azzurro a cui aveva imparato a volere bene, l'ordine delle priorità gli si rimescolò nello stomaco.
    Perché? Perché? Perché non c'era mai una volta in cui riuscisse dare la priorità a sé stesso? Delle lacrime rosse intrise di rabbia caddero dall'alto, bagnandogli il viso, e Alex credette d'aver trovato la risposta. Una mossa sbagliata e sarebbe finito tutto.
    Lui, loro, la sua vita. La loro inesistente amicizia.
    Ma qual era la mossa giusta da fare?
    Alexandre non lo sapeva. Il terrore gli stava divorando le membra dall'interno: se non fosse morto a causa del ghoul, la sua fine sarebbe stata opera di un altra bestia che aveva appena scoperto di ospitare sottopelle. Eppure la sua carne era stata così tante volte sotto le labbra di un ghoul che sembrava quasi una barzelletta che si mettesse ad avere paura adesso. In fondo non aveva neanche paura di morire. La morte sarebbe stata una liberazione, invero. Era la strada facile. Aveva paura di andarsene senza poter aiutare quella faccia da schiaffi che lo stava bloccando per terra. Perché si stava rendendo conto di non sapere niente di una persona che riteneva sua amica, e quello faceva più male di qualsiasi braccio spezzato.
    Qualcuno, una volta, gli aveva detto di essere rispettoso del silenzio. Perché nessun silenzio era fatto per caso, nessun silenzio era vuoto. Alcuni tacevano storie, altri avevano dolori da raccontare.
    In quello di Lazar vi erano entrambi, gli si leggeva negli occhi.
    “Non provocarlo”–
    “Ascoltalo”–

    E mentre una vocina che non voleva sentire gli suggeriva come comportarsi, Alexandre comprese che se voleva uscire da quella situazione l'unico modo che aveva era far leva sulle sue debolezze e sfruttare le crepe che qualcun altro aveva aperto per lui. Si sentì meschino a pensarlo, a pensare che l'unico modo che aveva per rompere un vaso fosse quello di saltarci sopra una volta che qualcuno lo aveva già buttato a terra, ma Lazar non sembrava in grado di comprendere discorsi articolati. Forse a malapena lo stava riconoscendo, ma lo stava riconoscendo. E aveva bisogno del suo rimorso, se era in grado di provarlo. Aveva bisogno che si ricordasse di non essere solo il mostro che credeva. Alex centrò i propri occhi nei suoi.
    «Lasciami. Andare.» scandì, lentamente. Imperativo, lo sguardo deciso. Le sue parole avevano la stessa valenza di quelle di un poveraccio contro un assassino che ti sta puntando una pistola alla tempia, ma un conto era parlare con un serial killer, un conto era parlare con un serial killer che sta dubitando di ucciderti per primo. Alexandre non era arrabbiato, era furioso. Si sentiva tradito, ferito, stupido. E nonostante tutto il suo tono era profondamente calmo.
    Onestamente, avrebbe dovuto dire qualcosa. Qualcosa di migliore.
    Tipo "va tutto bene".
    Ma non andava tutto bene.
    Qualunque cosa fosse capitata a Lazar non andava bene.
    Non andava bene un cazzo.
    E per quanta pena potesse provare per lui, non aveva voglia di mentire e non era neanche dell'umore giusto per compatirlo. Era stufo di essere sempre lo zerbino della situazione. Ma per prendere in mano le cose, aveva bisogno di essere lasciato andare.
    aOqdmDf
    Human
    27 Y.O.
    Ricercatore CCG
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