The end of a tiring day

[CONCLUSA] Kimiko Takeda & Alexandre Romain De Lacroix; Armeria della CCG; 31/1/2019 (Dalle 19:45, Tempo sereno, 7°C)

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    Stando al mio cellulare, era arrivato di nuovo il momento di svegliarsi. Mi alzai dal letto non appena sentii la sveglia e, dopo aver rifatto il letto, mi precipitai in bagno, per prendere ed indossare il costume che mi attendeva, come per ogni altro giorno, sul termosifone. Una volta messo, uscii dalla stanza con un accappatoio ed un asciugamano, che appoggiai sul letto, poi mi diressi verso l'armadio, dal quale tirai fuori due cambi di vestiti. Indossai una canadese sui toni del grigio, con sotto una maglietta bianca col logo della CCG, accompagnata da un paio di scarpe da tennis dello stesso colore. Sul letto, invece, finirono una giacca, un cappotto, dei pantaloni, una cravatta ed un paio di calze, tutti neri. Presi anche una camicia bianca, che poggiai lì accanto, e la spilla identificativa della CCG, che misi sulla giacca. Appoggiai, infine, un paio di scarpe nere a suola piatta nel pavimento immediatamente accanto al mio letto, poi mi diressi in bagno, per farmi una crocchia.
    Preparai, infine, la borsa per il nuoto ed uscii dal mio appartamento, diretta verso la piscina accanto ai dormitori. A differenza degli altri giorni, in cui cercavo d'impegnarmi al massimo durante il nuoto, decisi di andare ad una velocità non troppo alta, per i miei standard, in modo da poter risparmiare le forze per il mio turno serale. Dopo le attività mattutine, infatti, avrei dovuto partecipare ad una sessione d'addestramento speciale con la quinque, che non vedevo l'ora che iniziasse: non ne avevo fatte molte, da quando ero entrata alla CCG, ma ogni sessione che mi avrebbe permesso di lasciare a casa la spada di legno e di poter prendere quella originale dall'armeria mi avrebbe permesso di ottenere prestazioni molto migliori nel campo di battaglia. La sessione di quella sera sarebbe stata un passo avanti verso il mio diventare una migliore investigatrice, cosa per la quale sarei stata disposta a sacrificare anche me stessa ed il poco tempo libero che avevo. Non vedevo l'ora di imbracciare Prima Multorum per l'ennesima volta.
    Terminai la nuotata, ritornai a casa e mi cambiai, mettendo sul letto i vestiti che avevo utilizzato per non andare in piscina col solo costume, cosa che i sette gradi all'esterno, che il mio cellulare segnava e che avevo sentito sulla mia pelle poco prima, non mi avrebbero permesso. Controllai la mia scorta di biscotti, realizzando con piacere che quel pacco di cibarie di pessima qualità da me acquistato prima delle vacanze era ormai prossimo a terminare. "Finalmente!" Pensai, prendendone un pacco e facendo colazione con quello. Certo, la mensa lavorativa aveva dei piatti molto più buoni, ma l'avere qualche biscotto a casa mi permetteva di mangiare senza dover fare la fila, permettendomi di risparmiare tempo. Mi lavai i denti, seppur non sapessi fino a che punto lo facessi per tenerli puliti e non per cancellare il sapore di una partita di biscotti da dimenticare dalla bocca, poi mi diressi alla sede centrale della CCG, constatando che, in tutto il tempo trascorso dalla nuotata, la mia mente era rimasta concentrata sulla sessione d'addestramento che avrei dovuto fare quella sera.
    Arrivata in ufficio, però, dovetti cercare di concentrarmi. Il momento di andare a prendere la mia quinque si avvicinava, ma avrei dovuto meritarmi il tempo dell'istruttore facendo bene il mio lavoro quella mattina. Il mio lavoro consistette nella compilazione di documenti e catalogazione di prove riguardanti degli assalti di un ghoul prossimo all'identificazione. L'operazione di neutralizzazione sarebbe incominciata non appena l'identità del ghoul fosse stata confermata e si fossero ottenute delle prove inequivocabili sulla sua natura non umana. Nel frattempo, quel mostro avrebbe potuto colpire ancora e, per ogni sua battuta di caccia, altri esseri umani, più degni di lui di stare al mondo, sarebbero stati persi. Non potevo permettermi che ciò accadesse. Avrei dovuto controllare tutto, per vedere se qualunque cosa potesse essere sfuggita ai miei colleghi, ma non mi limitai a farlo una volta sola. Iniziai a scrivere il rapporto dopo il terzo controllo, per essere sicura che non mi fosse sfuggito nulla, poi iniziai la procedura di stesura del rapporto, riscrivendolo due volte, per poi consegnare il frutto del mio lavoro alla mia superiore. Impiegai tutta la giornata a fare quel lavoro, con solo la pausa pranzo ad interrompere il lavoro. Avevo avuto tanto da analizzare e, quando, verso le 16:30, ebbi terminato la consegna dei rapporti e la restituzione delle prove, non stavo più nella pelle: non sapevo se quel rapporto potesse andare bene, o se la mia analisi fosse stata sufficientemente dettagliata, ma sapevo di avercela messa tutta per far sì che il ghoul di cui mi stavo occupando potesse finire quanto prima a Cochlea o, meglio, col corpo fatto a pezzi e col kakuhou trasformato in una quinque come quella che mi accingevo a ritirare.
    Tornai a casa e misi gli la canadese che avevo utilizzato quella mattina nella borsa della piscina, che avevo svuotato e lasciato a prendere aria prima di andare a lavorare. Dopo una capatina in armeria, dove mi fu consegnata l'arma a me assegnata, mi diressi in fretta e furia al centro d'addestramento, al quale arrivai poco prima del mio appuntamento. Ebbi giusto il tempo necessario a cambiarmi nello spogliatoio del centro, poi, con la valigetta in mano, mi diressi in palestra. Lì mi attendeva Chie Fujioka, un'istruttrice specializzata nelle armi ricavate dai bikaku. Era una donna sulla cinquantina, dal fisico allenato e dall'aria fiera che contraddistingue le persone capaci e consapevoli di esserlo. Avevo sentito qualche voce di spogliatoio su di lei, dalla quale avevo capito che fosse un'ex-investigatrice speciale associata che, dopo una lunga carriera, aveva deciso di donare la sua conoscenza sulle quinque alle nuove generazioni. Si diceva, inoltre, che lei avesse usato quasi esclusivamente quinque bikaku dal suo primo giorno di lavoro e che, per questo, fosse particolarmente abile nel loro utilizzo. Non conoscevo il perché di questa decisione, né se la storia relativa al suo vecchio armamentario fosse vera, e nemmeno m'importava: se davvero fosse stata brava quanto mi era parso di capire, allora avrei avuto molto da imparare da lei ed avrei fatto quanto in mio potere per apprendere il più possibile. Lei mi si presentò non appena mi vide ma, non appena mi disse di attivare la quinque, mi parse che tutta la sua attenzione si fosse istantaneamente rivolta all'arma che brandivo. <<Rimpiango i tempi in cui avevo ancora spade affilate come la tua...>> mi disse, con un tono nostalgico, non appena la vide. In fondo, dovendo lei utilizzare delle quinque non troppo pericolose, a scopo didattico, aveva dovuto rinunciare alle proprie insieme al grado da investigatrice.
    Nelle due ore che seguirono, lei utilizzò con me due spade poco affilate e due fruste, alternando varie combinazioni di tali armi per farmi abituare a combattere contro diverse categorie di kagune. Stando a ciò che lei mi disse, era possibile, per alcuni ghoul, utilizzare la propria arma come una lama. La spiegazione riguardo al perché della frusta, invece, mi sembrò un po' più ovvia, avendo molti ghoul degli organi a forma di tentacoli o code, ma ascoltai comunque ciò che lei aveva da dire al riguardo: aveva molta più esperienza di me, al riguardo, forse abbastanza da potermi far credere qualunque cosa. Fu molto difficile tenerle testa, nonostante fui portata a credere che si stesse trattenendo. Vedendola combattere, credetti che, nel caso in cui lei non so fosse trattenuta, mi avrebbe potuto neutralizzare in un minuto al massimo, anche dato il fatto che lei utilizzava il doppio delle armi che avevo io. Passai mezz'ora a cercare di affinare la tecnica della spada ed a prendere confidenza con la quinque, mezz'ora a cercare di colpire prima un bersaglio e poi lei, mezz'ora a parare i suoi attacchi e combattemmo l'una contro l'altra per i trenta minuti rimasti. Uscii da quella sessione molto più stanca di quanto un allenamento standard avrebbe potuto rendermi, ma mi piacque pensare di essere riuscita a sfruttare il tempo che avevo passato con la mia istruttrice, anche se non sapevo esattamente quanto. "Spero abbastanza da non far ripetere eventi come quello del gatto di un mese fa..."
    Le regole della CCG erano piuttosto chiare: una volta terminato l'addestramento, riportare immediatamente la propria quinque in armeria, quindi decisi di non fermarmi nemmeno per riposarmi qualche minuto dopo la sessione dalla quale ero appena uscita. Mi feci una doccia nello spogliatoio il più in fretta possibile, mi cambiai, rimettendomi in abito e lasciando la roba sudata nella borsa da piscina, poi mi diressi verso il complesso scientifico della Commissione, all'interno del quale si trovava anche l'armeria. Era ormai tarda sera: molti agenti avrebbero finito da lì a poco le loro investigazioni diurne e molti altri avrebbero presto iniziato le ronde notturne. Cercai di fare il più in fretta possibile, nonostante il mio corpo stanco iniziasse a chiedermi una pausa. Già pregustavo, infatti, la cena della mensa lavorativa: avrei preso qualunque cosa mi avesse potuto ricordare il cioccolato, anche solo dal colore, ma, prima, avrei dovuto riconsegnare la mia arma ad uno scienziato. Arrivai a destinazione, trovando il luogo non troppo affollato, rispetto a tutta la gente che si sarebbe vista a breve e mi diressi verso il bancone, tenendo la valigetta con dentro Prima con entrambe le mani e tenendo a tracolla la borsa con i miei abiti sporchi. Fu lì che mi fermai, in attesa di poter riconsegnare la mia quinque ad un addetto. Prima, infatti, non avevo avuto modo nemmeno di sedermi, se non per mettermi le scarpe, dopo la doccia. Sperai solo che qualcuno potesse assistermi in fretta: ero stanca morta, data la mia giornata e, vista l'ora, iniziavo anche ad avere fame...

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    Ad Alexandre piaceva il proprio lavoro. Certo, ovviamente, anche perché votare la propria vita alla ricerca non era certo una scelta che si faceva da un giorno ad un altro, e lui non sarebbe masi stato in grado di condannarsi a fare un lavoro controvoglia. Del resto, studiare gli era sempre piaciuto, e in quel modo era riuscito a trovare un buon compromesso che gli permetteva di continuare a farlo mentre viveva nella convinzione di poter far qualcosa di utile per il mondo.
    C'era una sola cosa che non poteva soffrire, ed era occuparsi delle quinque. Era pur sempre parte dei suoi doveri, in quanto ricercatore della divisione laboratori, solo che non poteva fare a meno di pensare che quegli strumenti che gli investigatori sbandieravano a destra e a sinistra... erano state... persone vive, un tempo. Anche se forse la maggior parte di loro non le avrebbe definite così.
    Ovviamente con il passare del tempo e degli anni ci aveva fatto il callo e l'abitudine, in ogni caso era rimasto un compito che svolgeva meno volentieri degli altri.
    «....ffè?»
    Uh? Cosa?
    «Alex!»
    «...Eh?» Il francese si ritrovò a sbattere le palpebre un paio di volte, disorientato, fino a riuscire a rimettere a fuoco lo schermo del computer e, con esso, la pagina di Excel sulla quale stava lavorando.
    Di scatto, sollevò lo sguardo, dirigendo le sue iridi smeraldine poco alla sua sinistra. Vestita da un camice bianco, tale e quale al suo, Mikoto, una sua collega, lo stava fissando con un'aria un po' rassegnata. Aveva i capelli corti, a caschetto, neri, e gli occhi a mandorla, altrettanto scuri.
    «Ho detto, vuoi un caffè? Ti vedo un po' assente.» mormorò la giovane, lasciandosi sfuggire un sospiro. Alexandre la guardò come se avesse parlato arabo, poi sembrò ricordarsi di essere in ufficio. Seduto davanti ad un monitor a registrare dei dati. Stava lavorando, giusto sì.
    «Ah, no- non importa. Dicevi, di quei documenti?»
    «Ho finito di dirtelo, mmh, cinque minuti fa.»
    La voce di Mikoto lo colpì come un getto d'acqua fredda, e Alexandre serrò le labbra, sentendosi un'idiota. Lo sguardo gli cadde sul paesaggio fuori dalla finestra: era buio, già da un pezzo probabilmente, ed in effetti, a farci caso adesso, iniziava a sentirsi un po' stanco. «Hai ragione. Caffè.» mormorò, alzandosi dalla sedia e poggiando ambi i palmi sulla scrivania.
    La donna con il caschetto annuì, abbozzando un sorriso. «Sto scherzando, ma è divertente prenderti in giro.» ammise, godendosi l'espressione del francese che rimaneva senza parole. Finì di spiegargli brevemente che aveva soltanto cambiato di posto ai documenti in questione, cosicché, se mai avesse dovuto cercarli, avrebbe saputo dove guardare.
    «Sei stanco? Senti, lo so che non ti piace occuparti delle quinq-» ancor prima che la donna riuscisse a terminare la frase, Alexandre sollevò una mano, ponendogliela poco di fronte al viso, per interrompere la sua frase.
    «Mikoto.» La donna rispose con un sospiro.
    «Ascolta, però...»
    «Mikoto! Va tutto bene. Sono solo stanco perché è tardi.»
    L'espressione della donna si ammorbidì di un soffio. Mikoto era una sua collega, da tanto, tantissimo tempo. Come si diceva in quel gergo, era quella che Alexandre avrebbe potuto definire la sua "senpai". Si era occupata del suo tirocinio, ed era anche l'unica, in tutto l'ufficio, a sapere della sua storia, e che quella sua piccola debolezza relativa alle quinque era dovuta al suo trauma passato. Al non aver mai visto il cadavere di Julian, e al non sapere se quella kagune brillante e violacea fosse diventata o meno uno strumento sotto la giurisdizione di suo padre. Mikoto si preoccupava per lui oltremisura, e Alexandre, per quanto apprezzasse, ormai era convinto di averci messo una pietra sopra, per cui ogni volta che l'argomento tornava fuori zittiva la donna facendole intendere che averne parlato una volta, anni fa, fosse abbastanza.
    «Caffè, giusto?»
    «Decisamente.»
    Era una noia quando arrivavano a quell'ora. I turni di lavoro agli sgoccioli, la stanchezza di un pomeriggio passato a leggere, compilare file e firmare documenti stava cominciando a farsi sentire, accompagnata dal leggero mal di testa da computer. Stavano giusto aspettando che i pochi investigatori che avevano ritirato le quinque per le sessioni d'allenamento rientrassero a riportarle, per poi riconsegnare le chiavi dell'armeria a chi doveva dar loro il cambio. Il solito quarto d'ora che non passava mai, quando anche la voglia di fare sembrava volatilizzarsi nel nulla. Il fatto che si fosse distratto proprio mentre Mikoto gli parlava ne era la riprova.
    Persino il caffè delle macchinette automatiche appariva invitante. Oltre loro due, solo poche sporadiche presenze si aggiravano per il complesso che appariva quasi semi-deserto.
    Giusto un secondo prima che la coppia potesse, però, anche pensare di render reale la loro idea del caffè, la presenza di un'investigatrice si affacciò alla "loro porta", interrompendo i loro discorsi. Mikoto ed Alexandre si scambiarono una rapida occhiata, ma fu il francese a parlare per primo.
    «Oh, sei qui per riconsegnare la quinque?» mormorò, accennando un sorriso.
    Il suo caffè avrebbe dovuto aspettare ancora un altro po'.


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    Edited by Ryuko - 6/4/2019, 12:28
     
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    Ero finalmente riuscita a fermarmi e la stanchezza della giornata, soppressa da chissà quale meccanismo del mio corpo, stava iniziando a farsi sentire. Se non fosse stato per la fame, unita alla gola dai miei pensieri del momento, sarei, forse, andata direttamente a dormire. Tuttavia, il cibo mi serviva: il mio obiettivo era quello di diventare un'investigatrice migliore, non di allenarmi con l'ex-investigatrice associata Fujioka, per quanto lei fosse comunque molto brava. Lei, in fondo, era un mezzo, uno tra i migliori, per raggiungere uno scopo: rispedire ad un eventuale creatore ogni bestia mangia-uomini, dalla prima all'ultima. Era per quel motivo che avevo dato quel nome alla mia quinque: il ghoul dal quale proveniva sarebbe stato solo il primo di molti a morire e la mia spada sarebbe stata solo la prima di molti ad essere usata contro gli stessi mostri dalla quale era stata forgiata. "Non ne rimarrà neanche uno." Tuttavia, per essere efficiente per i giorni a venire, era necessario che io consegnassi la quinque per la manutenzione e me ne andassi a mangiare, a riposare e continuassi ad allenarmi, in vista delle ronde future, che avrebbero richiesto più di quanto sarei stata in grado di dare in quel momento, stanca ed affamata com'ero.
    «Oh, sei qui per riconsegnare la quinque?» Delle parole a me rivolte mi distrassero dai miei pensieri. Osservando meglio, scoprii che mi erano state rivolte da un uomo dagli insoliti capelli, piuttosto tendenti al'arancione. Lo osservai per un attimo, per cogliere tutti i particolari di quel viso che il mio cervello, molto più abituato di quello di mia madre a vedere persone dai lineamenti orientali, aveva ormai etichettato come "diversi": oltre ai capelli, notai subito il profilo degli occhi, molto all'occidentale, ed il loro colore, un verde acceso come pochi. La mia attenzione, poi, si rivolse alla sua pelle, notevolmente bianca. Per non parlare, poi, della sua altezza, un particolare che non poté fare a meno di ricordarmi il ragazzo incontrato un mese prima, la sera in cui non fui abbastanza sveglia da evitare che uno dei suoi gatti mi macchiasse un abito perfettamente bianco. Il mio interlocutore avrebbe potuto usarmi come bracciolo senza troppi problemi, se avesse voluto, ma avrei fatto in modo che ciò non potesse accadere: in caso, avrei mantenuto le distanze, con lui, ed avrei fatto in modo che lui facesse lo stesso. Accanto a lui vi era una donna molto più simile a me, fisicamente, che accentuava, con la sua presenza, la differenza tra un orientale medio e colui che mi aveva rivolto la parola.
    Ricambiai educatamente il sorriso a me rivolto, rispondendogli con un semplice «Esattamente.» Dopo quella mia breve risposta, fatta in tono serio, seppur senza voler sembrare troppo maleducata, appoggiai la mia arma, chiusa nella sua valigetta, sul bancone davanti a me, in modo che il manico della sua custodia fosse rivolto verso i due tecnici. Da quel momento in poi, sarebbe toccato a loro prendersi cura di Prima, nell'attesa che io venissi a reclamarla nuovamente, per una nuova indagine, sperai, più fruttuosa delle precedenti, anche grazie all'allenamento di quella sera.
    Aspettai qualche secondo, per dargli il tempo di prendere la quinque, se avesse voluto, o, semplicemente, per non dirgli troppe cose insieme e rischiare che lui non capisse il messaggio successivo. Dopo quei pochi istanti, esordì dicendo, con lo stesso tono di prima e scandendo le parole: «È la quinque QBK139942.» Scandii il numero con maggiore chiarezza, sperando di non risultare maleducata o offensiva, usando quei toni. Avevo imparato a memoria il codice seriale della mia prima e, per il momento, unica quinque, attraverso vari metodi: la parte letterale era relativa al tipo RC dell'arma, quindi non ci misi troppo per memorizzarla. La parte complicata, invece, fu la sequenza di sei cifre successiva, quella che davvero caratterizzava la mia spada e la rendeva unica: per quella, pur avendo la mente ancora allenata dallo studio, dovetti modificare le impostazioni di sicurezza del mio cellulare. Fare di quel numero, così importante per un investigatore, la sequenza di sblocco di qualcosa di così necessario come il cellulare mi aveva permesso d'imprimerlo in maniera quasi indelebile nella mia mente. "Utilizzare lo stesso codice di blocco per mesi aiuta..." Pensai, orgogliosa del mio metodo.
    Quando rimasi con le mani libere, quasi mi dispiacque aver abbandonato Prima, seppure l'avessi lasciata in mano a dei tecnici specializzati, pagati, dopo un corso di studi apposito, per mantenere le quinque al loro stato migliore e, se possibile, migliorarle ulteriormente in modi a me sconosciuti. La mia spada, in fondo, era un'arma con la quale stavo iniziando a sviluppare una certa affinità, grazie sia alle sessioni d'allenamento speciali, come quella di poco prima, sia alle sere spese con la spada di legno nel mio armadio, fatta apposta per permettermi di sviluppare una tecnica migliore senza dover ogni volta passare per l'armeria. Il potere di uccidere un ghoul mi aveva appena abbandonato. "Non che ne abbia bisogno per muovermi di pochi metri all'interno della circoscrizione più sicura di Tokyo..." Tuttavia, l'avrei presto riottenuto e, quando ciò sarebbe successo, anche i più piccoli graffietti nell'arma sarebbero stati rimossi dai tecnici del laboratorio. Non ero affezionata alla mia quinque, ma il senso di potenza che il brandirla mi trasmetteva era, ormai, solo un ricordo, destinato a rimanere tale fino alla successiva investigazione, ronda o operazione speciale.
    Misi una mano sulla tracolla del mio borsone e l'altra sopra la stessa sacca, più che altro per tenerle occupate, poi rimasi nella stessa posizione, sempre intenta a sorridere allo scienziato piuttosto alto ed alla sua collega. Avrei aspettato un suo segnale di congedo, anche un semplice "arrivederci", seguito dal suo sparire in luoghi a me sconosciuti con la mia arma, per farmi alzare un'ultima volta e dirigermi verso la mensa della CCG, ma preferii aspettare che fosse lui a lasciarmi andare, nonostante il mio stomaco mi stesse facendo capire quanto desiderasse che le mie gambe si muovessero, ignorando la mia educazione, verso la più vicina fonte di cibo.

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    In tutti quegli anni di lavoro, Alexandre aveva maturato abbastanza consapevolezza da sapere che non poteva occuparsi sempre delle sue cose preferite, per cui non ebbe alcun problema a rivolgersi a Kimiko con un sorriso, nonostante le preoccupazioni della sua collega.
    Ovviamente non credeva che Mikoto lo facesse di proposito, era convinto che non avesse mai smesso di vederlo come lo studente pseudo-laureato a cui doveva far tirocinio.
    La giovane investigatrice, in ogni caso, rispose loro molto educatamente, rimanendo composta e... rigida, quasi. Ripose la valigetta contenente la sua arma al di sopra della superficie liscia e bianca del bancone centrale e attese che gli scienziati facessero il loro lavoro.
    La stanza per riconsegnare le quinque era, in effetti, molto semplice. C'erano numerose postazioni con scrivanie e computer, tutte vuote per ora, tranne due affiancate dove si poteva intuire stessero finendo di lavorare i due impiegati. Lì infatti la mole di fogli, fascicoli e penne era più numerosa, seppur non troppo disordinata. I colori dominanti erano il bianco - come in tutti i laboratori che si rispettino - il grigio metallico ed il nero. Grigie e nere erano anche le sedie girevoli poste frontalmente ai pc, mentre una sfumatura più lucida, chiara, colorava le piastrelle del pavimento. Le pareti erano invece di un tenue verde acqua, abbastanza rilassante invero. Per carità, no! Nessuno sano di mente avrebbe dipinto le pareti o piastrellato i pavimenti di bianco. Sul bianco anche il più minuscolo granello di polvere risplende come un diamante in mezzo al carbone.
    Al centro della stanza c'erano poi alcuni banconi identici a quelli su cui Kimiko aveva appoggiato la propria quinque. S'intuiva come la sistemazione dell'ambiente fosse stata fatta apposta per poter accogliere almeno più di due persone contemporaneamente, soprattutto durante il giorno quando lavorava più personale; un brutto paragone, ma si poteva dire funzionasse un po' come le casse al supermercato.
    Alexandre aveva pensato più volte che mancasse "qualcosa" per dare un po' di vitalità a quelle quattro mura piene di arnesi elettronici, ed aveva persino pensato di portarci una pianta, poi si era sentito dire un grosso e secco "no" dalle signore delle pulizie e si era costretto a rinunciare. Avrebbe tenuto le piante per il suo ufficio nella terza circoscrizione.
    Avvicinandosi al bancone, fu Mikoto ad afferrare la valigetta per prima, cominciando a dargli un'occhiata superficiale, constatando che almeno a primo impatto sembrasse andare tutto bene. Alexandre, invece, che non si era allontanato poi così tanto dal monitor, non fece altro che aprire ed accedere, digitando nome e password, al programma attraverso il quale registravano tutti i movimenti delle quinque.
    Si stupì quando la giovane recitò a memoria il codice dell'arma, e silenziosamente gliene fu anche parecchio grato.
    «Oh, è la prima volta che qualcuno mi recita a memoria il numero seriale di una quinque.» commentò, spalancando gli occhi verdi. Anche Mikoto annuì. «Già, di solito ci danno il nome ed il tipo, e buona fortuna a trovarle.»
    Più o meno in quel momento, il francese si concesse giusto un paio di secondi per scrutare la giovane. Assomigliava molto a Mikoto, nonostante si vedesse che fosse notevolmente più giovane. Aveva i capelli lisci e neri: a differenza della sua collega non erano tagliati a caschetto, ma lunghi, e i suoi occhi sembravano avere una tonalità più chiara della media.
    Ad Alexandre diede l'impressione di una ragazza molto acqua e sapone, ma non in senso dispregiativo, era comunque molto posata e carina. Probabilmente sarebbe potuta pure essere il suo tipo... se solo gli fossero piaciute le donne.
    Alexandre scacciò quei pensieri dalla sua testa, sentendosi uno stupido per la seconda volta nell'arco di pochi minuti. Pensare ad un sacco di "what if" era una sua tipica brutta abitudine.
    «Prima Multorum, giusto?» domandò quindi, dopo aver finito di digitare il codice nella barra di ricerca. Era una domanda abbastanza retorica, ovviamente, visto che ad un codice corrispondeva sempre una ed una sola quinque, ed Alexandre non era mai capitato di sbagliare a trascrivere dei dati.
    Pensò che fosse un nome alquanto strano a dare ad una quinque, le sue conoscenze di latino erano molto sporadiche, ma abbastanza da saper tradurre un nome semplice come quello. "La prima di molti", si chiese se l'investigatrice non avesse tendenze collezionistiche, ma tenne quel dubbio per se. Altra cattiva abitudine sua: speculare sui nomi delle quinque.
    Lanciò una veloce occhiata all'orologio analogico in basso a destra sul pc e segnò l'orario della riconsegna dell'arma. Bene, Kimiko era scagionata, qualunque cosa fosse successa alla quinque da quel momento in poi la responsabilità non sarebbe stata sua, ma loro.
    «Perfetto, ti ringrazio.» mormorò il giovane scienziato, ma la sua voce venne immediatamente sovrastata da quella di Mikoto. «Tutto in regola, la riporto in armeria.»
    E senza troppe cerimonie sparì dai paraggi, imboccando l'altro corridoio sul quale si affacciava la stanza che dopo un paio di svolte l'avrebbe portata direttamente sul posto. Alexandre non fece nemmeno in tempo a vederla sparire.
    La sua attenzione si focalizzò di nuovo sull'investigatrice. Probabilmente anche Kimiko, come Mikoto, aveva la sua certa dose di fretta, ma il ricercatore non poteva lasciarla andare non ancora almeno. Spulciando i dati registrati sul computer, infatti, aveva potuto notare che Prima fosse recentemente stata in manutenzione, precisamente proprio dal suo ultimo utilizzo e quello di oggi della giovane. «Ti lascio andare subito - promise, sorridendole con gentilezza. - Ho visto che la tua quinque è tornata da poco dalla mantenzione. Tutto apposto? Hai qualcosa da segnalare?»


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    Edited by Ryuko - 6/4/2019, 12:28
     
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    I due scienziati si misero subito all'opera: lei prese la valigetta in cui la mia quinque era riposta e la controllò, mentre lui iniziò a digitare qualcosa al computer, forse in relazione alla spada che avevo appena affidato alle loro cure. Entrambi, però, sentendomi ripetere a memoria il codice seriale dell'arma, fecero dei commenti d'apprezzamento. Stando a loro, la tipica ricerca di una quinque si basava sul nome e sul tipo ed, avendo detto loro il codice dell'arma, avevo semplificato loro la vita notevolmente. «Basta un po' d'impegno e di memoria.» Dissi loro, senza scompormi, nascondendo il fatto che Prima Multorum, per il momento fosse, in verità, Prima et Unica... Sì, mi sarebbe piaciuto avere più quinque, per ogni evenienza. Una parte di me immaginava sé stessa, qualche anno più in là, con un paio di coltelli da lancio Rinkaku, o con un'appendice Ukaku capace di sparare. Certo, mi sarei immaginata con un po' meno piacere anche a sollevare uno scudo Koukaku, ma ogni arma capace di eliminare un ghoul sarebbe stata degna di essere brandita, anche un pesante kakuhou di forma rotondeggiante con funzione prevalentemente difensiva. Per un istante, si formò nella mia testa il pensiero di una combo tra uno scudo come quello con cui non riuscivo ad immaginarmi bene e la spada che avevo toccato nella vita reale fino a poco prima. Non sarebbe stato un cattivo abbinamento, dato che la forza di un tipo RC avrebbe bilanciato le debolezze dell'altro. Tuttavia, il mio sogno sarebbe stato entrare in possesso di una quinque chimera, una di quelle capaci di avere i vantaggi di due tipi RC, magari complementari. Con una di quelle, unita ad una seconda arma di un tipo RC ancora differente, avrei potuto essere ancora più difficile da contrastare. Magari, raggiungendo i gradi più alti, sarei stata in grado di possedere due quinque chimera, o una sola chimera, Ukaku-Koukaku e Prima, o una chimera Koukaku-Bikaku ed una Ukaku... Forse, mi avrebbero anche lasciato tenere, negli ultimi due casi, un set di coltelli Rinkaku, per avere sempre l'arma giusta al momento giusto, contando anche la fedele pistola a pallottole Q... Sì, avrei ucciso tutti quei ghoul, mi sarei fatta delle quinque con i loro Kakuhou e, con quelle, ne avrei fatto altre ed altre ancora, togliendo sempre più ghoul dalle strade e trasformandoli in armi da rivoltare contro la loro stessa specie!
    Tornai alla realtà dopo qualche istante, in cui la mia mente vagò nel mondo delle quinque, immaginando forme e funzioni di armi sempre più complesse. Realisticamente, mi sarei accontentata anche di uno scudo, per poter bilanciare lo svantaggio di Prima nei confronti dei mangia-uomini alati. Avrei, poi, lasciato che il tempo mi portasse altre armi, per le quali avrei dovuto allenarmi ancora di più, intensificando le sessioni speciali e la loro frequenza, per essere sempre efficiente con tutti i tipi di armi. La priorità sarebbe andata all'unica quinque che, per il momento, possedevo fisicamente. Non appena fossi stata in grado di padroneggiare la mia, nonché di averne altre, avrei pensato anche a loro.
    Per il momento, l'unica cosa a cui pensare sarebbe stata rimanere nei paraggi fono alla fine del controllo dell'arma che realmente possedevo ed, una volta finito, andare dove il mio stomaco mi avrebbe portata: alla mensa della Commissione. Se la mia spada fosse stata trovata in condizioni accettabili, avrei potuto godermi in pace un meritato pasto. Lo scienziato da capelli rossi mi chiese, giusto a titolo di conferma, se quella quinque fosse proprio Prima, domanda alla quale risposi con un «Esatto.» Sempre con lo stesso tono usato in precedenza. Non appena ottenuta quell'informazione, la donna portò via la mia arma, per rimetterla dove la CCG teneva ogni altro strumento derivato dai ghoul nell'attesa che fosse di nuovo richiesto.
    «Ti lascio andare subito. Ho visto che la tua quinque è tornata da poco dalla manutenzione. Tutto apposto? Hai qualcosa da segnalare?» Stavo per ringraziare per il servizio da loro offerto ed andarmene, quando il ragazzo ancora con me decise di trattenermi ancora un po' per chiedermi se avessi riscontrato qualche novità con l'arma, data la sua recente manutenzione. La prima cosa che mi venne da pensare fu il fatto che lui si aspettasse chissà quale risposta, che, invece, io neanche immaginavo. Non avevo notato nulla di nuovo, a dire il vero, nonostante due ore d'allenamento. Feci mente locale, nella speranza di potergli dare qualche informazione utile, ma l'unica cosa a cui potei pensare fu il filo dell'arma, che avrebbe potuto essere stato rifatto, o qualche graffio, che avrebbe potuto essere stato tolto. L'istruttrice Fujioka, in fondo, una donna che aveva visto molti ghoul con la coda diventare spade e fruste, aveva fatto un apprezzamento sul filo della mia lama... più o meno... In ogni caso, l'ex-investigatrice aveva dato lustro all'armeria, con quell'affermazione. Parlare solo del filo e di una lucidatura sarebbe stato riduttivo, quindi decisi di essere onesta con qualcuno che con me era stato fin troppo educato. Con un tono leggermente dispiaciuto, dissi: «Non credo di aver notato nulla di positivo o negativo, purtroppo. Magari, qualche dettaglio in più sulla manutenzione della quinque potrebbe farmi tornare in mente qualcosa.»
    Onestamente, non avevo voglia di rimanere a parlare con lui. Non era colpa sua: lo scienziato era cordiale ed apprezzavo questo suo modo di fare, ma ero abbastanza stanca da volermene andare a dormire il prima possibile ed abbastanza affamata da sentire il bisogno di aspettare e passare, prima, alla mensa della CCG, per poi riprendere le mie direttive primarie. L'indomani avrei dovuto essere più prestante di quanto fossi in quel momento ed ogni secondo che passava mi faceva sentire sempre di più lo stomaco e si sottraeva al mio riposo notturno. Tuttavia, io non ero una ghoul: avrei resistito agli impulsi animaleschi, per emergere da quella situazione con l'orgoglio di chi sa mantenere la concentrazione ed essere efficiente anche in condizioni critiche e meritarmi una lauta cena alla mensa aziendale: una cosa che, detta così, sembrava quasi un ossimoro. Tuttavia, c'era in gioco l'efficienza della mia arma e, con essa, la mia: l'assicurarsi che Prima fosse sempre al massimo del suo potere era la priorità assoluta. Non avevo molta voglia di restare in armeria, ma sarei rimasta per tutto il tempo necessario, anche a costo di trovare la mensa chiusa e d'inimicarmi il mio stesso stomaco. "Spero solo di fare in fretta..."

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    Era vero, l'impegno e la memoria di Kimiko avevano, seppur di poco, semplificato la vita ai due scienziati che, esattamente come l'investigatrice, arrivati a fine giornata cominciavano ad avvertire la stanchezza sulla loro pelle e una gran voglia di caffè, cibo o - almeno per quello che riguardava Alexandre - qualsiasi cosa contenesse zuccheri.
    In realtà Alexandre non voleva davvero trattenerla più del dovuto, inconsciamente forse se lo era anche immaginato che l'investigatrice dovesse essere stanca dopo una lunga sessione d'allenamento; del resto pure lui, anche non essendo mai diventato un investigatore a tutti gli effetti, aveva dei precisi ricordi di quando frequentava l'accademia, e sapeva il tipo d'impegno che veniva richiesto, anche a livello fisico, quindi poteva ben immaginare che una volta diventati ufficiali fosse tutto molto simile, ma ad un livello superiore. Per gli esseri umani, anche possedendo una quinque, rimanere al passo con la natura superiore e profondamente diversa dei ghoul rimaneva difficile.
    Senza volerlo, si lasciò sfuggire un sospiro. Era incredibile come tutti pensassero solo ad uccidere e sterminare i ghoul, mentre non c'era quasi nessuno in grado di vedere un futuro che comprendesse l'integrazione delle due specie. A volte si chiedeva se quella non fosse la natura intrinseca dell'essere umano. Il continuo cercarsi un nemico a cui dare la colpa per le proprie disgrazie, dopotutto era quello che si vedeva tutti i giorni anche in televisione. Anche senza ghoul esistevano guerre e stragi in tutte le parti del mondo.
    Ovviamente si guardò bene dal dar voce a questi pensieri, era diventato molto cauto con il passare del tempo, ormai credeva persino di non essere in grado di confidarsi con nessuno.
    Di colpo si rese conto di esser rimasto in silenzio qualche istante di troppo. Aveva lasciato cadere nel vuoto la risposta di Kimiko e si era messo a fissare lo schermo del computer, quasi come se la sua successiva risposta sarebbe apparsa scritta lì da un momento all'altro. Cosa che non accadde, perché... beh, era di un computer che stavamo parlando. Una semplice macchina che fa le cose solo se sei tu a dirgli di farle.
    Alexandre si sentì di colpo un po' a disagio. Lui era, per natura, un gran chiacchierone, non nel senso che gli piaceva perdersi in discussioni inutili e intricate o digressioni sulla vita, per carità, semplicemente ci metteva tanto a parlare, e alle volte allungava le sue frasi senza volerlo, anche solo cercando di essere cortese. Sperò che l'investigatrice fosse altrettanto concentrata sui suoi pensieri e non si fosse accorta della sua momentanea indecisione.
    Beh, poteva aver diritto di pensare anche lui, no? «In realtà basta anche qualche piccolo dettaglio, ad esempio la lama ti sembrava abbastanza affilata? L'impugnatura aveva qualcosa che non andava? - asserì, schiarendosi la voce e cercando di rimanere sul professionale, al contempo che riportava lo sguardo sulla giovane giapponese. - Se la maneggi bene altrimenti siamo in regola così, lo riferisco all'equipe che si occupa della manutenzione, così che sappiano di non doverla riprendere subito.»
    Onestamente nemmeno Alexandre non poteva darle più info di così, perché la volta prima non si era occupato lui di ritirare e di chiedere di Prima, lo aveva fatto chiunque ci fosse stato al suo posto, quindi lui poteva solo attenersi alle informazioni scritte sui dossier e chiedere se ci fosse qualcosa da riportare, come da procedura.
    In realtà era raro che qualche investigatore avesse da ridire sulla propria quinque, aveva sentito di come alcuni si lamentassero dell'aspetto e, nonostante lui la trovasse una cosa estremamente stupida, non poteva far altro che riferire. Non negava d'averci riso su più volte insieme ai colleghi. Fortunatamente Kimiko non sembrava il tipo, a dirla tutta sembrava piuttosto contenta della sua quinque, e Alexandre sperò che non fosse solo una sua impressione.

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    Edited by Ryuko - 6/4/2019, 12:29
     
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    La fame che il mio stomaco sentiva stava crescendo, esattamente come un piccolo senso d'inutilità che iniziai a provare quando, nonostante le informazioni dello scienziato, non mi venne in mente nulla di particolare o che avrebbe potuto tornargli utile. Combattendo gli impulsi del mio corpo, ero rimasta nella posizione in cui mi trovavo, ad attendere una risposta ce sembrava non arrivare mai. Il tecnico, infatti, era semplicemente rimasto assorto nell'analisi del monitor che aveva davanti, come se stesse aspettando qualcosa. "Magari..." Pensai, "... sta aspettando una notifica di qualche tipo legata a Prima." In fondo, quella era un'opzione che reputai plausibile, dal momento che tutte le operazioni burocratiche relative alla ma quinque erano state effettuate da quello stesso apparecchio. Tuttavia, quegli istanti di silenzio sembrarono piuttosto lunghi, forse anche per via della mia voglia di andare il prima possibile alla mensa della CCG, che solo il mio senso del dovere, unito alla volontà di fare un buon lavoro, m'impediva di soddisfare.
    Alla fine, distogliendo gli occhi dallo schermo, lo scienziato ruppe la calma, dandomi qualche informazione in più su ciò che voleva sapere: a lui sarebbero bastate anche alcuni dettagli, come il filo della lama o la comodità dell'impugnatura, ma nemmeno con tali suggerimenti riuscii a pensare a qualcosa che potesse andare male. «Rimpiango i tempi in cui avevo ancora spade affilate come la tua...» Mi aveva detto, qualche ora prima, un'istruttrice famosa per le sue abilità nell'uso di quinque come quella. Avevo meno esperienza di quanta avessi voluto, ma sapevo una cosa: se qualcuno più esperto di me mi avesse detto qualcosa, avrebbe avuto ragione e, data l'abilità che quella donna aveva mostrato durante l'addestramento, se lei mi avesse detto che l'acqua è asciutta, ci avrei creduto. L'istruttrice Fujioka aveva espresso un commento positivo sul filo della mia arma, quindi considerai apposto almeno quell'aspetto, ma quanto avevo trovato comoda l'impugnatura? Stavo analizzando, in fondo, la mia prima e unica quinque e, senza considerare le armi didattiche, avevo provato solo quella. La mia arma di servizio era molto più prestante delle altre, ma quanto era effettivamente migliore, in termini di comodità? Cercai di ripensare all'allenamento di poco prima: il materiale ruvido di cui l'impugnatura era coperta aveva fatto sì che, nonostante gli esercizi non fossero durati poco e non avessi fatto pause per asciugare l'arma dal sudore per poterla prendere con più fermezza, la quinque non mi fosse mai scivolata. Non sapevo che genere di materiale la CCG avesse usato, ma era davvero molto prestante. Nemmeno l'impugnatura, ripensandoci, aveva dato grandi problemi, quindi non sapevo davvero che cosa rispondergli. La mia arma non aveva visto anni di combattimenti urbani come quelle dei miei superiori, ma, per quello che ero riuscita a usarla nei miei mesi di servizio, non mi aveva tradita. Era sempre rimasta prestante e anche quel giorno, nonostante mi stessi semplicemente esercitando in un ambiente protetto, le cose non erano cambiate.
    Mi presi qualche secondo per riflettere su che cosa la mia quinque avesse bisogno di migliorare, ma non riuscii a trovare una risposta alla mia domanda. Mi ero fermata anch'io a pensare per qualche istante e , dato che non sapevo come essergli utile, dovetti, seppur con delusione, ammettere di non potergli fornire ulteriori informazioni. Continuai a sorridergli, seppur contenendo la mia espressione facciale per via della delusione, poi fui costretta, a malincuore, a dirgli: «Non ho notato niente di anormale a dire il vero. Tuttavia, sono una semplice investigatrice di Secondo Grado e quella che ho portato è ancora la mia prima e unica quinque. Vorrei essere più utile, ma è meglio che prenda le mie parole per quello che valgono, in quanto potrei non avere abbastanza esperienza o metri di paragone per trovare qualche dettaglio in più.»
    Lo dissi con un tono quasi mortificato, come quello di chi sa di non essere all'altezza di un compito assegnatogli, ma umiliarmi era l'unica cosa sensata da fare. Quello che avevo detto era vero: ero alla CCG da neanche un anno, avevo una quinque sola e mi mancava molta esperienza, che speravo che il tempo e l'impegno potessero donarmi. Cercai di mettermi nei panni del mio interlocutore e la prima persona che mi venne in mente, pensando alla sua tipica giornata di lavoro, fu l'investigatrice Shimizu, seguita dai suoi pari grado Reynolds e Yamamoto: dall'alto del loro grado di Prima Classe e degli anni in cui avevano combattuto contro i ghoul per assicurare un futuro all'umanità, loro avevano maturato una conoscenza delle quinque maggiore della mia, avevano più esperienza di me e più quinque della sottoscritta. Tutti questi erano fattori determinanti nelle interazioni come quella che stavo avendo e, magari, lui avrebbe preferito parlare con uno di loro, piuttosto che con me. Forse, al suo posto, l'avrei preferito anch'io. Di solito, ero molto orgogliosa del mio grado alla CCG: mi piaceva guardarmi allo specchio, la mattina, e chiamarmi mentalmente "Secondo Grado Takeda". Fu spontaneo, per me, ripensare a quando, qualche mese prima, la famiglia di mio zio era venuta a trovare i miei e, davanti a un colonnello, a un viceammiraglio della marina e a un luogotenente, io abbia difeso il grado più basso della CCG con l'orgoglio di chi faceva qualcosa di utile che voleva fare. Tuttavia, in situazioni come quella, l'orgoglio per una posizione bassa come la mia non era accettabile: ero la meno esperta, la meno abile e la meno capace investigatrice nella stanza e ciò non era accettabile. Avrei dovuto allenarmi di più, acquisire più esperienza, stare più attenta ai dettagli e migliorare sul campo: solo così avrei potuto essere più utile a tutti e, con l'utilità, guadagnare ranghi più alti del mio. In fondo, per quanto mi piacesse ripetere il mio nome e grado davanti alla specchio, la mattina, il fascino di pensare che, un giorno, avrei potuto compiere lo stesso gesto appellando me stessa con un grado superiore era maggiore dell'orgoglio che provavo per i miei traguardi già raggiunti.
    Nonostante la mia inutilità, decisi comunque di provare a rimanere ulteriormente, nonostante i sempre crescenti lamenti del mio stomaco e la stanchezza dovuta al peso della giornata. Sperai solo di poter riparare in qualche modo la mia indagine deludente su uno strumento che avevo usato per ore quello stesso giorno, incurante di dettagli che, in quei momenti d'attesa e di riflessione, promisi a me stessa che avrei controllato ogni volta che avessi ripreso una quinque in mano.

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    Kimiko non era l'unica ad avere fame. Non l'aveva realizzato, ma anche ad Alexandre qualcosa in più di un semplice caffè avrebbe fatto molto piacere. Lui però non voleva andarsene alla mensa, voleva tornarsene a casa, abbracciare quella soffice palla di pelo di Julian che sicuramente lo stava aspettando sulla porta, probabilmente offeso perché la sua ciotola non era stata riempita con abbastanza cibo per gatti, e poi stendersi sul divano per ordinare qualcosa da asporto. Sì, era fuori discussione che si mettesse a cucinare a quell'ora. La pigrizia non risparmiava nessuno, soprattutto non lui.
    Distogliendo i pensieri sia dalla cucina sia dai suoi intrinsechi monologhi poco ottimisti, Alexandre attese ancora qualche altro istante. Istanti che la giovane investigatrice si prese per riflettere sull'ultima domanda che lui le aveva posto.
    Non che fosse un quesito difficile, con ogni probabilità notare un qualsiasi malfunzionamento ad una quinque era piuttosto facile in quanto essa era l'arma che avrebbe dovuto proteggerti la vita in caso di pericolo. Quindi era altamente presumibile che Prima non avesse alcun tipo di problema, e che lui la stesse facendo pensare per niente, aggravando solo la sua stanchezza.
    Il ricercatore si sentì leggermente in colpa, notando anche in quell'istante il massiccio borsone che Kimiko si portava sulle spalle, che plausibilmente doveva contenere tutto il necessario per i suoi allenamenti.
    Comunque quando l'investigatrice decise di rispondergli, le sue parole lo colsero un po' impreparato, tanto da costringerlo a rivolgerle uno sguardo leggermente perplesso. Con quei luminosi occhi verdi poi, Alexandre era mediamente abbastanza espressivo, per cui non c'era modo di sbagliarsi: era proprio perplesso.
    «Tutte le impressioni sono importanti, non importa di chi sono.» mormorò, liquidando, in un certo senso e in mezzo secondo, tutte le turbe mentali di Kimiko. Ed era vero, Alexandre non prestava mai troppa attenzione ai gradi degli investigatori. Prestava poca attenzione ai gradi in generale, perché gli piaceva mettere tutte le persone sullo stesso piano, nonostante lo sapesse che non era affatto così. «L'esperienza si forma con il tempo, è vero, ma non dovresti sminuire così il tuo ruolo.» asserì, poi, rivolgendole a quel punto un sorriso cortese, prima di voltarsi di nuovo verso il monitor.
    Non si era nemmeno accorto del tono un po' avvilito fuoriuscito dalle labbra della giovane, in effetti, per cui dopo un'istante, come se si fosse improvvisamente reso conto che quello che aveva detto potesse suonare vagamente strano, soprattutto alle orecchie di qualcuno che non lo conosceva a fondo e che lo vedeva quel giorno per la prima volta, si catturò il labbro inferiore fra i denti, finendo per sentirsi a disagio per la seconda volta nell'arco di dieci minuti.
    «A-Almeno, dal mio punto di vista la tua opinione non è tanto diversa da quella di un investigatore di classe speciale.» incespicò appena sulle sue stesse parole, sembrando, forse, più patetico di prima, ma almeno ebbe la fermezza di rimanere con lo sguardo fisso sul monitor, evitando così di morire per la vergogna.
    Abbassò le sue iridi smeraldine sulla tastiera del computer, e digitò la semplice dicitura "niente da segnalare" nel campo delle note messo a disposizione dal programma in uso, prima di raddrizzarsi sulla schiena e voltarsi di nuovo verso Kimiko.
    «Comunque mi dispiace di averti trattenuto più del dovuto, puoi andare, grazie di tutto e scusa il disturbo.»
    Alexandre la congedò con un rapido inchino e se Kimiko non avesse avuto altro da aggiungere se ne sarebbe potuta andare veramente, raggiungendo finalmente la sua tanto agognata mensa, lasciando beh... il territorio dei ricercatori ai ricercatori.
    Alexandre lanciò un veloce sguardo ad uno degli orologi appesi a quelle pareti pressoché spoglie.
    Quanto ci metteva Mikoto in armeria?

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    Il mio stomaco, ormai, iniziava a farsi sentire e la mia voglia di accontentarlo e zittirlo era sempre maggiore. Non mi ero risparmiata, durante la giornata che si accingeva a concludersi, quindi avrei anche potuto prendermi un dolce al cioccolato, se ne fossero rimasti, come ricompensa per il lavoro da me svolto. Una parte di me, considerando il fatto che era da un po' che non mi concedevo qualche dolce per premiare qualche lavoro secondo me meritevole, sperava di potersene andare da quel posto quanto prima per riuscire ad assicurarsi un'ultimo pezzo di torta al cioccolato, di pudding o anche un semplice brownie, a seconda di ciò che avrei trovato nel menù del giorno. Tuttavia, non era il caso che io assecondassi questa parte di me: il ricercatore avrebbe potuto avere ancora delle domande da farmi e, in caso, sarebbe stato meglio se io fossi rimasta lì per rispondergli. A un suo segnale, me ne sarei andata verso la mia tanto agognata cena, ma, fino ad allora, sarei rimasta nella mia posizione, pronta ad aiutarlo nei suoi compiti, per quanto la mia poca esperienza mi permettesse.
    Le parole del ricercatore mi colpirono: lui considerava valida la mia opinione, indipendentemente dal mio grado, simbolo di un'esperienza ancora da ottenere. Tuttavia, mi trovai in disaccordo con ciò che mi fu detto: la mia opinione non contava quanto quella di un investigatore speciale. Il prefisso che orgogliosamente usavo prima del mio nome mostrava con chiarezza il fatto che io fossi l'ultima degli ultimi, alla CCG: considerare ciò che avevo da dire come qualcosa anche solo di paragonabile alle parole dell'élite degli investigatori, i cacciatori di ghoul più abili di tutto il mondo, non era qualcosa che reputavo pensabile. Avevo avuto poche occasioni d'interagire, anche nei corridoi degli uffici della CCG, anche solo con degli investigatori di prima classe diversi dalla mia caposquadra, ma anche solo la parola di un investigatore di primo grado era abbastanza da farmi tacere, quindi già sapevo come avrei reagito, se un investigatore tra i migliori al mondo mi avesse rivolto la parola: sarei stata zitta a meno di esplicita richiesta di parola e avrei parlato in maniera umile, con il tono riservato a chi sa quello che fa molto più di me. La mia esperienza era praticamente inesistente e, con essa, anche il valore della mia opinione.
    Per un attimo, provai a mettermi nei panni di un membro delle forze scelte della CCG: come avrei reagito, dalla cima della piramide gerarchica degli investigatori, se qualcuno alla base avesse preteso di dare alla sua opinione lo stesso peso della mia? Indubbiamente, mi avrebbe dato fastidio in quanto atto d'insubordinazione, ma avrei comunque analizzato il suo punto di vista, per trovare eventuali punti da me non considerati. In fondo, pensai che quello fosse il metodo giusto da adottare, ma, confrontandomi con la realtà, dovetti di nuovo realizzare il fatto che io fossi quella alla base e che, da semplice agente di secondo grado, il mio compito era quello di eseguire gli ordini dei miei superiori, ascoltarli e imparare da loro, nonché rispettarli in quanto superiori e, di conseguenza, tenere un tono umile e mettersi in secondo piano, durante le poche discussioni realmente necessarie. Avrei speso ogni singola dose di energia, fisica e mentale, per arrivare a essere un membro di quell'élite e per mantenere il mio posto nella cerchia dei migliori al mondo, sacrificando tutta la mia vita alla CCG, se necessario, ma, per farlo, sapevo di dovermi meritare ogni promozione, una per una. Meritare la prima avrebbe significato svolgere i compiti di un'investigatrice di secondo grado al meglio possibile e, quindi, anche essere sempre rispettosa dei miei superiori e seguire le loro parole come se fossero una legge divina. Non c'era posto per la mia opinione, né lo volevo, in quanto bastava il fatto che non fossi in alto nella gerarchia a far capire quanto poco essa valesse.
    Fu proprio per questo che, quando lo scienziato che avevo davanti mi espose il suo pensiero, non gli risposi: non ce n'era bisogno. A nessuno, alla CCG, importava dell'opinione di un secondo grado, così come ai miei parenti non importavano le opinioni dei loro sottoposti: parlare di ciò non avrebbe cambiato nulla e, data la situazione, sarebbe stato meglio per entrambi che le cose fossero rimaste così. L'unico modo che avrei avuto per rendere la mia opinione almeno degna di essere sentita, se non ascoltata, sarebbe stato acquisire più esperienza. Il mio dubbio sulla mia prestazione rimase, ma decisi di non esternarlo, temendo una risposta sulla falsa riga di quella che avevo appena ricevuto e che avrebbe solo potuto trattenermi dall'andare a rifocillarmi nella mensa aziendale.
    Il segnale che stavo aspettando arrivò poco dopo: il ricercatore mi salutò con un inchino, gesto che feci a mia volta, per ricambiare il suo. «Spero di essere stata utile.» Risposi, cercando di liquidare la discussione, che sperai che non venisse ripresa. Terminando la nostra interazione con un semplice «Buona serata.», che dissi educatamente, accennando appena a un sorriso, mi voltai e uscii dall'edificio, diretta alla mensa aziendale. Avevo, ormai, terminato il mio lavoro e l'unica cosa rimasta da fare prima di potermi abbandonare al sonno fino all'indomani mattina sarebbe stata passare alla mensa aziendale e trovare qualcosa da mangiare, in modo da poter andare a dormire con lo stomaco pieno. Mi diressi verso il mio obiettivo senza nemmeno passare per il mio appartamento per poggiare la borsa: avrei fatto tutto al mio ritorno, in modo da potermi concentrare sulle mie azioni senza rischiare di trovare la mensa chiusa e rimanere affamata e a bocca asciutta. Una volta lì, di sicuro avrei mangiato e mi sarei ance concessa, in via eccezionale, un dolce al cioccolato o alle nocciole, sperando di trovarne ancora uno. Tuttavia, avrei fatto sì che , degustazione del dolce a parte, tutte queste azioni durassero il minor tempo possibile: dopotutto, il mio lavoro non era finito quel giorno e, per diventare un'investigatrice migliore e più esperta, avrei dovuto far sì che tutti i giorni a seguire fossero migliori di quelli che avevo passato. Era necessario che io mi addormentassi e recuperassi il maggior numero di energie possibile: "Domani, in fondo, ho da lavorare."

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    Era da un pezzo che Alexandre non si aspettava più niente di particolare dalla vita, ogni tanto però non riusciva a fare a meno di rimanerci di sasso di fronte a ciò che ella gli presentava.
    Certo non si aspettava che Kimiko elargisse chissà quale forbito discorso, intuire che non fosse una persona dalla spiccata parlantina l'aveva intuito, però non si aspettava nemmeno che se ne stesse completamente zitta.
    Tanto che Alexandre pensò d'averla offesa.
    O meglio, a pensarlo fu quel piccolo frammento d'ingenuità che risiedeva da qualche parte nella sua psiche, e che ogni tanto rispuntava fuori: sempre nei momenti meno opportuni.
    "Ah--." pensò, rimanendo interdetto a fissare il vuoto, e con esso l'ingresso dei laboratori dove fino a qualche istante prima si trovava l'investigatrice. Che motivi aveva di pensarlo?
    Alexandre era sicuro di aver tentato di essere quanto più gentile e cortese possibile, come di norma imponeva un qualsiasi lavoro che si doveva svolgere a contatto con il pubblico, e non si era reso conto se nel farlo aveva finito per esserlo "troppo". Dopotutto era risaputo: al mondo esisteva una grossa fetta di popolazione totalmente nauseata dalla gentilezza e dalla cortesia. Che Kimiko fosse una di quelle? Ma no dai, non era realistico.
    Forse aveva sbagliato a rivolgersi a lei con quel tono? Possibile che la ragazza l'avesse interpretato come una diretta offesa ai suoi superiori? Perché insomma, le parole di un semplice ricercatore che asseriva che l'opinione di un secondo grado fossero importanti quanto quelle di un classe speciale forse potevano essere interpretate anche in modo negativo. Beh, Alexandre era abituato a sentirsi quello che collezionava incidenti di percorso di quel tipo nonostante nel suo lavoro fosse più che competente.
    A lui piaceva, per quanto possibile, dar valore alle persone. Era cosciente che la terra fosse popolata da più di sette miliardi di persone, per questo lo faceva. Almeno aveva anche una ragione per dar valore a sé stesso, e non era facile, non lo era mai stato, soprattutto non dopo averla persa la sua di ragione, anni fa. Probabilmente Kimiko non aveva apprezzato la sua piccola digressione, che poi in realtà non voleva significare assolutamente niente: nella mente del ricercatore non voleva essere incoraggiante, e nemmeno il contrario. Era stata una pura constatazione, nulla di più.
    «Perché stai fissando il vuoto come un idiota?» Il ricercatore francese sobbalzò di scatto, raddrizzando subito la schiena. La voce di una Mikoto apparsa dal nulla lo fece ri-precipitare con i piedi per terra.
    «Senpai!» esclamò, con lo stesso tono di un bambino colto sul fatto con le mani nel barattolo di marmellata. La sua collega lo fissò con uno sguardo che chiedeva spiegazioni, ed eloquenti pure. Aveva sempre pensato che fosse buffo avere a che fare con una persona espressiva come Alexandre.
    «Che hai fatto? E piantala, mi chiami "senpai" solo quando sei estremamente imbarazzato.» Il francese la ascoltò con un orecchio solo, sempre troppo impegnato a fissare la porta.
    In effetti, da dove si evinceva tutto questo bisogno di essere negativi? Magari quel "Spero di essere stata utile" e quel "Buona serata" potevano essere i semplici saluti di qualcuno che silenziosamente aveva apprezzato le sue parole. Ma no, il radicale realismo di Alexandre gli impedivano di prendere tutto con troppo ottimismo.
    «Non l'avrò mica offesa...?» Troppo tardi, ormai si era perso nel suo mondo, e ci sarebbe rimasto... abbastanza da non riuscir a raccontare a Mikoto di cosa stava parlando.
    «Ma che stai dicendo?» ribatté infatti la donna, accigliata e confusa. E quella sì, era una bella domanda.
    E lo sarebbe rimasta.

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