A Party for Masked Monsters

[CONCLUSA] Astrid Nyström, Ichigo Hisakawa, Lazar Stefanović Khabarov (with Viktoriya Stefanovna Khabarova and Rosaliya Gzovskaya as special guests); @L'Utopie Club; 31/10/2019, dalle 22:35

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    Lazar/Accenni a Viktoriya e a Rozaliya


    «Non si rifiuta mai un drink, accomodati.»
    "Step one: completed", pensai, osservando il sorriso con cui lui aveva ricambiato il mio, non prima di aver dato un'occhiata a tutto ciò che si trovava sotto il mio mento. A seconda della situazione, avrei anche potuto fingere di prendermela, ma se lui avesse trovato lì sotto qualcosa di degno della sua attenzione, fossero anche semplicemente mina bröst, avrei avuto più possibilità di... tenermelo buono come costumista, se lui si fosse davvero rivelato essere colui che pensavo che fosse.
    "In fondo, non siamo tutti più disposti ad accontentare chi, per un motivo o per l'altro, ci piace?"
    Avrei potuto benissimo fare la schizzinosa più tardi, ma se ci fosse stata anche solo la possibilità di avere abiti da caccia della fattura di quel kimono, mi sarei trattenuta per tutto il tempo necessario, assecondandolo al meglio.
    Continuando a sorridergli, tornai a sedermi nel posto che prima occupava l'umana che, tra tutte quelle del mio gruppo, aveva più probabilità di trasformarsi in un pranzo al sacco per la Sottoscritta. Avendo finalmente rotto il ghiaccio, era giunto il momento di continuare l'interazione con lui. La prima cosa in assoluto da fare era accertarsi del fatto che lui fosse un ghoul. Non m'importava della maschera che indossavo: se lui fosse stato un umano, non potendo più sfogarmi con quel buon samaritano né samaritano né buono, avrei ridotto in purea quel gigante e mi sarei rifatta la bocca con un liquido rosso certamente più buono di quello che avevo bevuto quella sera, tutto prima che lui potesse anche solo pensare di andare alla CCG. Fortunatamente, però, sentivo odore di ghoul, seppure non potessi identificarne troppo bene la fonte, o le fonti, tra tutte quelle pietanze. Avrei dovuto trovare un modo per scoprire che sapore avrebbe avuto quel ragazzo davanti a me senza che lo mordessi o lo attaccassi, anche perché ancora non conoscevo la sua forza: avrei potuto ridurlo in pappa come lui avrebbe potuto fare altrettanto con me. "Meglio non rischiare, per ora..."
    Mi limitai a squadrarlo a mia volta, non alla ricerca di chissà quale pezzo di pelle esposta, come avrebbe potuto fare lui con me, ma alla ricerca di qualche dettaglio nel costume, alternato a qualche istante di contatto oculare, giusto affinché la situazione non diventasse imbarazzante. Killing the vibe, infatti, avrebbe significato perdere un'occasione d'oro per ottenere un abito migliore delle mie felpe e della maschera che avevo e non avrei perso quell'occasione a qualunque costo.
    Il mio squadrarlo durò giusto qualche istante, poi, prima che potessi aprire bocca, lui si voltò, dopo aver ricevuto un colpetto su una spalla da parte di un'altra ragazza, vestita come lui, che, a quanto pare, aveva tanta voglia di tornare a casa con un braccio in meno. Sì, la cosa m'infastidì, ma non quanto il vedere il mio obiettivo voltarmi le spalle e mettersi a parlare con lei in una lingua che non capivo. Quell'imprevisto non mi era piaciuto per niente, ma, fortunatamente, durò solo un attimo, poi il presunto Lazar tornò a girarsi verso di me, per trovarmi ancora intenta a sorridergli, seppure con lo sguardo dubbioso di chi non si aspettasse che la sua chiacchierata venisse stroncata sul nascere. Tenni quello sguardo, all'apparenza innocente, per qualche istante, poi tornai ad occuparmi di trovare qualcosa da dire, non prima di venir bruscamente interrotta di nuovo, questa volta dal mio interlocutore, affinché lui chiamasse un barman e ordinasse.
    «Un Martini, e per la Mistress vampira...?»
    «Un Japanese Ice Tea.» Dissi, senza smettere di cercare di sembrare allegra.
    Era arrivato il mio momento, finalmente: eravamo solo io e Lazar e, finalmente, avrei potuto chiedergli ciò per cui avevo deciso di andare a quella festa. «Ero seduta qui accanto, poco fa...» Iniziai a dire, con un tono non troppo serio, come se stessi reggendo il gioco di qualcun altro e non il mio, «... non so se mi avessi notata. Io ho notato il tuo costume e-»
    «WOW! Che bei costumi! Dove li avete presi? Sono davvero ben fatti! Sarebbero delle bambole kokeshi o qualcosa del genere?»
    Solo la freddezza accumulata negli anni m'impedì di mandare all'aria tutto non appena l'ennesimo esserino esordì con una voce che, in quel momento, era tutto fuorché appropriata. Nel giro di qualche minuto ero già stata interrotta tre volte e la cosa stava iniziando a innervosirmi. Maledii mentalmente quella ragazzina, pregando affinché potesse tornarsene quanto prima nel nulla da cui era venuta e lasciarmi in pace. La terza interruzione era la quarta di troppo che subivo e, certamente, non era apprezzata. Per di più ero anche stata interrotta mentre stavo parlando, cosa che non mi piaceva per niente, e quella... cosa uscita dalla penna di Lewis Carroll o dei fratelli Grimm non avrebbe di certo favorito i miei piani... "Eller kanske..."
    Forse, non tutto era perduto: anche lei, in fondo, aveva parlato di costumi. Tra i due avrebbe potuto iniziare una conversazione e, volendo, anche io avrei potuto inserirmi, magari semplicemente scoprendo qualcosa di utile o, in caso, riuscendo a scoprire davvero se Lazar fosse chi pensavo che fosse. Nel caso, tanto, quello non sarebbe stato di certo il nostro ultimo incontro. M'interessava solo sondare le acque, cosa che avrei preferito fare da sola, ma che avrei potuto benissimo fare anche con lei, se non si fosse spinta su altri temi. Per il momento, dopo un attimo di finta sorpresa, rimasi in silenzio, guardando un po' Lazar, come per chiedergli implicitamente chi dei due dovesse parlare. Immaginai che entrambi capissimo che, dopo tre interruzioni, nessuno sarebbe rimasto troppo contento. Volli giocarmela un po' sui sensi di colpa: dopo tutto, avevo offerto io da bere apposta per avere una conversazione con lui, non per venire interrotta troppe volte prima di poter tentare qualsiasi approccio. Non lo feci, però, con invadenza, bensì provai a guardarlo in maniera calma e gentile, come se, nonostante tutto, avessi ancora voglia di godermi una genuina conversazione con lui, nonostante quella ragazza, nonostante la sua chiamata al barman proprio quando stavo per iniziare a parlare e nonostante, Alice, Askungen, Snövit o qualunque altro personaggio interpretato da quella ragazzina a cui avrei volentieri staccato le braccia, se l'avessi incontrata più tardi.
    Come se niente fosse, però, e senza mai smettere di sorridere, chiesi, per essere certa di entrare nella discussione: «Era anche la mia domanda, a dire la verità. Dove avete preso quei costumi? Sembrano fatti con molta cura.» Le interruzioni al mio tentativo d'approccio non avevano funzionato, ma, di certo, non avrei mollato: avevo un costume da farmi fare e non avrei permesso a nessuno di mettersi tra me e il mio obiettivo. Ero stata costretta a improvvisare un po', ma, per il momento, non era successo ancora niente d'irreparabile. L'importante era riuscire a mandare la conversazione dove avrei voluto io e, per fare ciò, dovevo solo aspettare una risposta.


    «Astrid Hedvig»;
    «Inés»;
    «Keira»;
    «Saki».


    Nota per il lettore: Askungen e Snövit sono le protagoniste di due fiabe molto conosciute, ossia, rispettivamente, Cenerentola e Biancaneve.
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    Continuava a sentire odore di ghoul, un intenso odore di ghoul, e Viktoriya non ne era l’unica colpevole. Qualcuno tra i presenti era un suo simile, forse proprio la donna di fianco a lui.
    “Avanti, smetti di fare la misteriosa e dimmi che cosa vuoi.”
    «Ero seduta qui accanto, poco fa… non so se mi avessi notata.»
    “No, non ti ho notata.”
    Cinque parole dall’ingiustificabile maleducazione che abortì un attimo prima di pronunciarle. Dava le spalle alla direzione da cui ella si era materializzata con quell’abito troppo rozzo per i suoi gusti: era ovvio che non l’avesse notata. Un bel faccino sorridente non avrebbe cambiato niente. Vinse quindi un silenzio neutrale, le labbra del russo strette in un sorriso granitico che né confermava né smentiva.
    Non era sua intenzione scacciarla, ma neanche assecondarla più di quanto ci si aspetti da una persona educata. Era molto attento a non apparire gretto col gentil sesso anche quando, come in quel caso, la persona che aveva davanti non gli piaceva a pelle. Non aveva però alcuna base oggettiva su cui costruire castelli di diffidenza, solo il suo sesto senso umanamente fallace.
    «Io ho notato il tuo costume e...»
    «WOW! Che bei costumi! Dove li avete presi? Sono davvero ben fatti! Sarebbero delle bambole kokeshi o qualcosa del genere?»
    Evidentemente era destino che non si arrivasse al punto con la donna.
    Lazar aggrottò le sopracciglia, senza capire che la voce cristallina si era rivolta a lui e Viktoriya fino all’accenno alle bambole… кокэси. O qualcosa del genere, un anno di permanenza in Giappone non era ancora riuscito a colmare le sue imbarazzanti lacune. Bastò però la parola bambole perché i criceti che abitavano il suo cervello cominciassero finalmente a fare aerobica. Viktoriya lo anticipò, inserendosi nella conversazione subito dopo colei che era stata battezzata la Mistress Vampira.
    «Non li abbiamo comprati, li ha fatti lui.» strinse la mano sinistra e ruotò il polso fino ad indicare il fratello, sorridendo orgogliosa.
    «Ma sono uno straniero normie e non so cosa siano le bambole… kokechi?»
    «Kokeshi, Zarya. Quelle che Alisha ha regalato a Ninochka lo scorso Natale.»
    «… Ah, quelle!» i criceti ora correvano veloci come il vento. Lazar si sporse in avanti, in modo da superare con lo sguardo i profili della sorella e del suo accompagnatore e avere così un contatto visivo con la ragazzina. «In tal caso sì, mi sono leggermente rifatto anche a quelle. Ti ringrazio, Alice! Spargi la voce nel Paese delle Meraviglie!»
    Quanto gli piacevano le feste in maschera! Liberarsi dei propri panni per vestire quelli di un personaggio era così divertente, capiva bene perché in quel Paese il cosplay fosse tanto in voga.
    Adesso però doveva seriamente dedicarsi a Madame Sadomaso. Essendo abituato ad interagire con più persone contemporaneamente, Lazar aveva cercato di coinvolgerla almeno un minimo in quel breve scambio di battute voltandosi verso di lei più volte. Non si sarebbe stupito se avesse levato le tende, e invece era ancora lì a ronzargli intorno nonostante le interruzioni. Poche volte nella sua carriera di avventore si era imbattuto in qualcuno tanto perseverante: chapeau.
    «Scusa. Offro io per te, è il minimo.» disse, abbozzando un sorriso dispiaciuto.

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    «Parlato.»
    "Pensato."

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    Edited by Yukari - 4/3/2020, 17:37
     
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    Dalla sua postazione seduta, Rosaliya continuava ad ammirare, con quella che a parere suo doveva essere discrezione, i costumi in stile tradizionale di quei due ghoul. Ne era proprio ammaliata, erano davvero belli e ben fatti! Guarda poi che dettagli! Il suo monologo interiore su quanto trovasse graziosi quei kimono fu però interrotto per qualche istante dall’arrivo della coca-cola che il suo attuale baby-sitter le aveva ordinato. Dopo aver ringraziato il barista (sua madre le buone maniere gliele aveva insegnate, o meglio, ci aveva provato), prese un lungo sorso, la gola ancora secca da tutto quel canto a squarcia gola fatto poco prima, per poi girarsi nuovamente verso di loro vedendo che la donna tra i due aveva risposto alla sua domanda, indicando l’altro come l’artefice di quelle creazioni.
    Rosaliya non esitò nemmeno per un secondo ad aprire la sua bocca e a far uscire un nuovo ma entusiastico fiume di parole «Oh, davvero?! Sono incredibili, davvero belli! Quindi sei un sarto? Sei bravissimo!» fu dunque quello che disse, annuendo con convinzione. Quando lei faceva i complimenti, a differenza di qualcun altro di suo conoscenza, erano sempre sinceri. Beh, era anche vero che lei non riusciva mai a stare zitta e a non dire tutto quello che le passava per la testa ma questi sono solo dettagli. Si stava, tuttavia, impegnando da diverso tempo per rendere la sua persona più cool e meno imbarazzante. Come si era potuto osservare, i risultati non erano costanti.
    Ascoltò con attenzione lo scambio di battute tra i due, sempre ignorando la vampira borchiata seduta sull’altro lato (a pelle non le piaceva proprio, per qualche ragione le faceva venire i brividi), per poi sorridere ai due «Ma certamente! Cotanto incanto va condiviso! La mia reg- re! Il mio Re ne sarebbe molto lieto!» aggiunse poi, dopo essersi morsa la lingua nel mezzo della frase in modo da correggersi (insomma, si era creata tutta una storyline per quei costumi, voleva rispettarla), alzando poi in su il pollice della mano libera come a convalidare le sue stesse parole. Quei due erano proprio gentili, le piacevano proprio! Già l’averle prestato attenzione era per lei qualcosa.
    Prendendo coraggio, decise di provare ad interrogarli un altro po’, vedendo che voleva conoscere meglio quei due (la sua natura di Zeiva si stava facendo un po’ sentire, eh). Per cui, di nuovo, non esitò a porre le sue domande.
    «Hai per caso un negozio? Dove si tr-» iniziò a chiedere per poi essere, ahimè, interrotta da Drev che le aveva sfiorato un braccio per fermare il suo parlottare.
    «Rosaliya, ci aspettano di sopra» fu quello che le disse l’uomo dopo che la ragazzina si fu girata verso di lui con un sopracciglio alzato, indicandole con lo sguardo il cellulare che aveva appoggiato tra di loro sul bancone, evidenziando il messaggio visibile sullo schermo, per poi rimetterselo in tasca.
    Nel mentre che Rosaliya si era messa a chiacchierare con quegli sconosciuti, sorseggiando il suo drink Andrej aveva finalmente controllato il suo cellulare e aveva così letto il messaggio lasciato dal suo protetto numero uno nonché boss. Il membro che stavano investigando si era finalmente fatto vivo per cui ora toccava a loro tenerlo d’occhio. Infondo, se il tipo stava complottando qualcosa, beh, quella sera e quel luogo era perfetto per uno scambio di informazioni.
    «Oh...» mormorò dunque dispiaciuta la ragazzina, abbassando un po’ le spalle, per poi riprendersi e andare a scuotere la testa. Aveva un compito da svolgere ed era molto fiera che Tetsuya glielo avesse affidato, per cui doveva lasciar andare con amarezza quel momento di socializzazione.
    Si alzò dallo sgabello, pronta a seguire Drev verso le scale che portavano al piano superiore. Quasi si dimenticò di prendere il suo bicchiere per poi andare a sventolare una mano a mo’ di saluto ai due (no, non a te Miss Dracula!) «Allora bai-bai!» per poi sgattaiolare via al fianco di Andrej. Tutto sommato si stava divertendo, per cui era più che felice che i due l’avessero portata con sé quella sera (beh, solo dopo che lei aveva insistito così tanto ma queste sono piccolezze).
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    Edited by alyë - 12/2/2020, 20:21
     
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    «Non li abbiamo comprati, li ha fatti lui.»
    Finalmente qualcuno aveva detto qualcosa di utile! Forse, le avrei lasciato in pace il braccio, dopotutto. La descrizione del ragazzo iniziava a combaciare. Peccato, però, che fossero venute fuori cose che già sapevo. Il ragazzo avrebbe davvero potuto essere chi stavo cercando, ma dovevo cercare qualche altro indizio diverso dal forte odore di ghoul che sentivo, per esserne totalmente certa. La mia alternativa era seguirlo per i vicoli bui e ferirlo, per vedere senza equivoci se si trattasse di un umano o di un ghoul, ma non sarebbe successo quella sera e, di certo, avrei preferito trovare un modo più "diplomatico" per scoprire ciò che m'interessava, magari uno diverso dal chiedergli direttamente se fosse un ghoul, cosa che avrebbe potuto far saltare la sua copertura, facendomi tornare al punto di partenza, o, peggio, vanificando la mia.
    La discussione si stava facendo interessante e Lazar aveva iniziato a parlare dell'ispirazione di tali costumi, le bambole Kokeshi. Ne avevo avuto una, in passato, con un kimono tra il rosa e il rosso. Mi era stata regalata da Naoko, la mia "insegnante" di tempo addietro, che aveva deciso di regalarne una a ogni componente del mio vecchio gruppo, in occasione di uno dei suoi viaggi in Giappone. La misi sulla mensola nella mia vecchia stanza per darle un tocco di colore, dato che ci stava bene. Tuttavia, non aveva significato, per me, quindi non fui troppo dispiaciuta di lasciarla a Stoccolma, quando me ne andai. Mi dispiacque molto di più lasciare il mio multitool e il mio set di grimaldelli, che, purtroppo, non sarebbero passati attraverso i controlli dell'aeroporto. Recuperare il primo attrezzo fu facile, dal momento che, una volta ottenuta una carta di credito, potei ordinarne un altro, mentre per gli altri ancora stavo lavorando. Tuttavia, la cosa più importante in qual momento sarebbe stata riuscire a recuperare degli abiti da caccia degni di una jägare. Fortunatamente, Lazar aveva deciso di considerare anche me, voltandosi ogni tanto nella mia direzione, come per rendermi partecipe nella discussione che stava avendo con quell'esserino tanto fastidioso spuntati dal nulla poco prima.
    «Devi averci messo tanto a farli.» Dissi, in una di queste occasioni, con una punta di finta ammirazione verso l'opera, che avevo continuato a esaminare. «Per curiosità, quanto tempo ci vuole, più o meno?»
    La mia, però, non era curiosità. Avevo avuto modo di vedere un abito da caccia fatto, presumibilmente, da lui e, in quel momento, stavo ammirando due suoi costumi fatti per una festa in maschera. Se fosse stato davvero lui il sarto che cercavo, avrei potuto contare su un lavoro ben fatto e avere una tempistica indicativa, per quanto si trattasse di lavori diversi, sarebbe stato utile, almeno per comparare diversi lavori. Inoltre, l'avrei tenuto a parlare dei suoi lavori di sartoria, cosa che mi avrebbe permesso di scavare più a fondo nell'unica parte di lui per cui nutrivo interesse.
    Avrei dovuto, però, fare in fretta: avevo seminato le mie tre umane da compagnia già da un po' e, prima o poi, almeno Saki avrebbe dovuto iniziare a preoccuparsi, se la conoscevo bene. Avrebbero potuto iniziare a cercarmi, non vedendomi tornare e, data la vicinanza alla posta da ballo, dopo avermi cercata in bagno, avrebbero potuto iniziare a cercarmi. Non avrebbero impiegato troppo a trovarmi, ma la situazione era ancora troppo rischiosa per potergli chiedere ciò che m'interessava. Avrei dovuto assicurarmi che Lazar volesse seguirmi, magari entrando abbastanza in intimità con lui da portermi assicurare della razza di chi avessi davanti. Se avessi alzato il tiro già da quel momento, però, sarei stata troppo frettolosa e lui avrebbe potuto capire. Non avevo ancora visto segni d'interesse da parte sua e non avrei potuto sciogliermi da un momento all'altro così, come se niente fosse.
    «Scusa. Offro io per te, è il minimo.» Dopo quella frase, la situazione sembrava aver preso una piega abbastanza favorevole ai miei intenti: dopo uno scambio di battute su Alice i Underlandet, la ragazzina fastidiosa che mi aveva interrotta poco prima se n'era andata, lasciando chi m'interessava quasi tutto per me, sperando che la mia "contendente", alla destra del presunto Lazar, non avesse altri piani e tenesse alla vita. Inoltre, mi era toccato ordinare un'altra dose di brodaglia alcolica, nonostante avessi troppo poco alcol in corpo affinché il sapore di quel drink potesse essere offuscato, ma, almeno, non avrei dovuto pagarla.
    «Grazie mille.» Dissi, gentilmente, continuando a sorridergli. «Lo apprezzo molto.»
    Lazar, o chi per lui, nel caso in cui fossi stata mandata dalla persona sbagliata, stava, a poco a poco, iniziando ad aprirsi con me. Se avessi fatto pressione, abbastanza gentilmente, sulla piccola apertura che avevo creato, avrei potuto spingerlo a fidarsi di me. In quel momento, avrei potuto cercare di avvicinarmi ancora di più a lui, magari presentandomi e, con la scusa delle "abitudini occidentali dure a morire," stringergli la mano e creare contatto fisico. Avrei dovuto tenerlo per poco tempo, non essere troppo intensa e vedere la sua reazione, quindi procedere con cautela. Fui tentata di utilizzare un altro nome, rispetto a quello che avevo adottato una volta arrivata a Tokyo, ma, se quei tre spuntini che mi ero portata dietro fossero tornati al momento sbagliato, mi avrebbero chiamata col nome che conoscevano e avrei perso irrimediabilmente ogni possibile progresso ancora prima di essermene resa conto.
    «E comunque, io sono Hedvig.» Dissi, tendendogli gentilmente la mano. «Piacere di conoscerti.»




    «Astrid Hedvig»;
    «Inés»;
    «Keira»;
    «Saki»;
    «Lazar»;
    «Viktoriya».
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    I giapponesi erano troppo parchi di complimenti secondo il personalissimo metro di giudizio di Lazar, le cui energie si ricaricarono alla grande grazie alla pioggia di entusiasmo della insolita Alice dalla chioma color giada. Aveva dedicato quasi un mese della sua vita alla realizzazione dei tre costumi di quella sera, prodigandosi nella cura dei particolari fino a, addirittura, ingaggiare Kohaku come truccatrice affinché anche ciò che lui non era in grado di svolgere in prima persona risultasse perfetto. Si sentiva alquanto colpevole nei confronti dell’amica, la quale non aveva esitato un solo momento a farsi in quattro per aiutarlo nonostante la sua agenda straripasse di impegni e scadenze, pertanto Lazar aveva il fermo proposito di ripagarla in qualche modo. Magari le avrebbe confezionato un abito per uno dei suoi live.
    “Ma certamente! Cotanto incanto va condiviso! La mia reg- re! Il mio Re ne sarebbe molto lieto!”
    Inevitabilmente l’occhio di Lazar si spostò su colui che, a giudicare dal costume da Bianconiglio, era l’accompagnatore di Alice. Stando a quanto detto doveva esserci una terza persona, probabilmente un uomo, bardata da Re di Cuori. Il riferimento al re aveva catturato tanto l’attenzione del russo giacché era assolutamente sicuro di averlo visto, qualcuno mascherato da Re di Cuori, ma nessuno sforzo di memoria valeva ad assegnare un volto all’individuo.
    Solitamente Lazar poteva vantare una buona memoria visiva ed uditiva, ma la situazione era nel complesso troppo rumorosa e caotica per consentirgli un alto livello di concentrazione, per di più su un particolare tanto insignificante. Pertanto gettò la spugna e si rivolse alla donna seduta al suo fianco, che intanto era riuscita ad intervenire nella conversazione.
    Quanto tempo era necessario per confezionare tre costumi di quella fattura?
    «Normalmente molto più di quanto ne ho impiegato io. Ma la deadline era incombente, e così ho fatto in modo di avere tutto pronto in ventisei giorni.» “e non lo farò mai più”, completò mentalmente, mentre la donna accettava di buon grado che il suo drink venisse offerto da lui.
    Di nuovo, la palla passò ad Alice. Si preparò a rispondere alla domanda - era sempre il momento adatto a fare un po’ di sana pubblicità all’atelier -, quando quest’ultima venne troncata dall’intervento del Bianconiglio, accortosi di essere ancora una volta in ritardo.
    “Hai per caso un negozio? Dove si tr-”.
    “Rosaliya, ci aspettano di sopra”.
    Rosaliya, quel nome e l’accento russo con cui ella fu richiamata all’ordine colpirono con la forza di uno schiaffo. Lazar batté le palpebre, un breve lampo di sorpresa ad illuminargli lo sguardo che ancora correva dalla vampira ad Alice, fermandosi su quest’ultima.
    “Per trattarsi del Giappone, circolano molto più russi di quanti pensa--...”
    Ma quella voce non l’aveva già sentita? Un’eco lontana, indefinibile in mezzo alle tante altre voci che popolavano la sua quotidianità, eppure ora che quel nome era venuto a galla aveva come acceso una lampadina nel suo cervello...
    No. Forse era davvero stremato dal lungo mese di lavoro, oppure quelle schifezze umane di cui doveva imbottirsi per non destare sospetti lo stavano rincitrullendo. Odiava diffidare di ogni ombra ed era vergognoso che sospettasse di una ragazzina nei suoi confronti aveva avuto solo gentilezza. Eppure...
    “No, non ora...”
    Sembrava che il tempo a loro disposizione fosse già terminato; la parentesi con Alice infine non si rivelò altro che, appunto, una breve parentesi. Lazar, come in una bolla di sapone che scoppia, per salutarla ricambiò il pollice in su e il sorriso benevolo - il quale però, coinvolgendo un viso pallido e venato di trucco che riproduceva la crepatura della porcellana, non rientrava esattamente nella definizione di piacevole.
    E adesso Madama Sadomaso.
    Nel labirinto di pensieri e supposizioni in cui si era perso, bastava alzare lo sguardo al cielo per ricordarsi di dov’era e chi stava ascoltando. Le parole della donna fluivano mescolandosi e perdendosi nella musica, ma le frasi terminanti in un innalzamento della voce furono tutte captate e registrate dal cervello del russo come domande in attesa di risposta, in primis un tacito invito a presentarsi.
    «Hedvig.» ripeté appoggiando il mento alla mano chiusa a pugno, un nome piuttosto semplice da pronunciare, molto più nelle sue corde rispetto a quelli giapponesi che utilizzava giornalmente. «Sa di germanico, è raro da queste part-» e così in quella serata in cui le interruzioni andavano tanto di moda, Lazar venne nuovamente interrotto.
    Le loro ordinazioni fecero capolino sul bancone: un Japanese Ice Tea e un Martini, la tortura è servita. Cosa non si faceva per non allarmare le gazzelle. Senza che la maschera, quella che la gente normale chiamava volto, fosse incrinata da una nuova crepa di autentico fastidio, Lazar strinse con delicatezza pollice, indice e medio intorno allo stelo dello stem e se lo avvicinò.
    Dunque… Hedvig, aveva detto di chiamarsi. A Lazar piacevano gli scambi equivalenti: un nome per un nome.
    «Puoi chiamarmi Nikanor.»
    Niente però lo obbligava a presentarsi come Lazar Stefanović Khabarov, mentre prendeva un sorso dal Martini. I suoi occhi adesso erano solo per Hedvig, con la quale aveva la strana sensazione di star giocando al gatto col topo.
    «Altrettanto raro da queste parti. Cosa ti porta a Tokyo?» un altro sorriso benevolo per il topolino dai capelli chiari.

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    Edited by Yukari - 4/3/2020, 23:37
     
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    "Tjugosex dagar..." Per due costumi, avrebbe potuto essere ragionevole, considerando che, essendo un sarto, il presunto Lazar avrebbe dovuto dedicare tempo anche ad altri capi, per lui redditizi. O, almeno, quello era il mio giudizio, che non si basava sull'esperienza diretta. L'unica sarta con cui avevo avuto a che fare dava la priorità alle consegne provenienti da Hive e io non sapevo nulla sulla sartoria. Con lui non sarebbe stato così facile ottenere quel trattamento di favore: avrei dovuto sondare il terreno e trovare la giusta strategia per convincerlo. In fondo, non ero interessata a cacciare solo una volta al mese e neanche solo umani. Mi sarebbe servito qualcuno in grado di crearmi un costume resistente e comodo, possibilmente in fretta, con tanto di una maschera scomponibile, perché non mi sarei accontentata di un semplice pezzo unico come in Svezia: volevo qualcosa di meglio, capace di celare anche la parte inferiore del mio volto e di potersi scomporre nel caso in cui avessi trovato del cibo. C'era da dire, però, che il mio buon samaritano sembrava piuttosto a suo agio nel suo costume e sì, quest'ultimo aveva dimostrato di essere piuttosto resistente e degno di essere chiamato un abito da caccia. "Peccato che non mi stesse..."
    Il mio piano riguardante il contatto fisico non aveva funzionato: non seppi dire se il mio interlocutore mi avrebbe stretto o meno la mano, potendo, ma uno dei barman c'interruppe nuovamente, per mio sommo fastidio, appoggiando la brodaglia che, almeno, non avevo dovuto pagare. Il fatto di non dovermi versare era stato, per il momento, l'unica nota positiva della serata, vanificata dal fatto che, per consegnarcela, il barman ci aveva interrotti sul più bello. Cercai di dargli uno sguardo fugace e di memorizzare il maggior numero di dettagli possibile di quel volto: non sarei andata a caccia, quella sera, ma, semmai l'avessi rincontrato, mi sarei ricordata di lui.
    Osservai il presunto Lazar sorseggiare parte del suo drink rimanendo impassibile come se stesse indossando una maschera. Sembrava che il sapore non gli desse minimamente fastidio, ma sapevo fin troppo bene che i ghoul che tenevano alla vita avrebbero dovuto imparare a dissimulare la loro natura. Avevo imparato anch'io a farlo dalla tenera età e un comportamento del genere non mi avrebbe mai stupita. Dopotutto, ero io la prima a farlo, durante il lavoro, ogni volta che mi toccava stare vicina a quelle maledette paste o a quei maledetti snack. Un odore altrettanto nauseabondo era quello che si sentiva all'interno di quel locale, tra il buono degli esseri umani, la bontà minore dei ghoul, i profumi messi senza moderazione e il tanfo degli alcolici. Se non fosse stato per quello, forse, avrei già potuto identificare il mio interlocutore, essere certo che lui fosse un ghoul o no e agire di conseguenza. Invece, mi toccava ancora giocare al gatto col topo, nella speranza che lui lasciasse sfuggire qualche indizio che potesse confermare la mia teoria, cosa molto difficile, dal momento che, essendo lui ancora in vita, tali indizi non avevano mai lasciato intendere alla CCG qualcosa di sospetto.
    Forse mi sarei dovuta rassegnare all'idea di terminare quella discussione e usare metodi meno diplomatici in un futuro incontro non-pianificato, ma decisi di continuare a tentare, anche perché andarmene così sarebbe stato sospettoso. Sorseggiai una parte del mio drink, sicura di non mostrare il benché minimo cenno di fastidio. Avrei retto il gioco, sperando che mi capitasse una mano migliore o qualche punto d'appoggio dal quale poter far iniziare una discussione più interessante.
    «Puoi chiamarmi Nikanor.»
    Avevo già sentito quel nome. O, meglio, l'avevo letto tante di quelle volte, cercando e leggendo i suoi post come se m'importasse qualcosa di lui. Era il suo nome d'arte, da quanto mi era sembrato di capire, ma, per quanto non mi aspettassi che lo usasse con me, presentandosi, in quel momento potevo avere la certezza di non aver preso un abbaglio: davanti a me si trovava il Lazar Stefanović Khabarov che ero venuta a cercare. Ora, però, avrei dovuto scoprire se lui davvero fosse un ghoul.
    Il fatto che lui avesse usato quel nome d'arte con me, però, m'insospettii. Usarlo non avrebbe avuto senso, a meno che anche lui non stesse cercando di nascondere qualcosa. Ero consapevole che i russi, così come gli svedesi, non fossero un popolo caloroso, ma il suo sorriso benevolo, la sua cordialità e il fatto che si fosse rifiutato di dirmi il suo nome erano, per me, campanelli d'allarme più forti anche della musica che, in quel, momento, mi stava martellando le orecchie. O stava simulando, o stava dissimulando, ma, certamente, mi stava nascondendo qualcosa.
    Un'attenta analisi del suo linguaggio corporeo, però, non avrebbe potuto mentire. Io mi stavo sforzando, nonostante l'alcol mi stesse rendendo leggermente più istintiva, di rimanere del tutto orientata verso di lui, anche con la parte inferiore del corpo: volevo dargli l'impressione di essere interessata a lui, mentre lui, in fondo, sembrava che si stesse chiudendo sempre più su sé stesso.
    «Altrettanto raro da queste parti.»
    "Sì, sì..." Pensai tra me e me, mentre, all'esterno, mi comportai come se Hedvig, un nome, tra l'altro, non mio, avesse creduto che il ragazzo si chiamasse davvero Nikanor. "Quel nome è talmente raro che nemmeno tu ti chiami così." Purtroppo, però, dovevo trattenermi, perché giocare a carte scoperte con così tante persone intorno non era possibile. Ormai era chiaro che io avessi sbagliato approccio e, forse, lui sospettava delle mie intenzioni, ma non tutto era perduto, stando a quello che mi chiese dopo.
    «Cosa ti porta a Tokyo?»
    La sua era una domanda di cortesia, forse, ma sarebbe bastata a darmi altro su cui fare leva. Continuai a sorridergli benevolmente, per, poi, rispondere in tono innocente: «La voglia d'avventura e la passione per il Giappone.» Quanto tempo avevo passato a studiare la storia di Hedvig... Se avessi studiato così tanto per un esame, mi avrebbero offerto un posto come tutor, subito dopo avermi assegnato il massimo dei voti e la lode. Ormai sapevo subito che cosa dire e come dirlo, fingendo in maniera encomiabile l'euforia che si prova a raggiungere un obiettivo tanto atteso e per cui si aveva lavorato tanto. Forse, un giorno, avrei provato di nuovo davvero quell'emozione, resami finalmente conto dell'inizio dello sviluppo di una kakuja. Per il momento, però, avevo imparato che cosa fare per dare quell'impressione e ciò avrebbe dovuto bastare.
    «Non sono giapponese, ma sono venuta qui molte volte, coi miei, e ho sempre desiderato trasferirmici. È stato difficile, ma ora vivo qui, sto perfezionando la lingua e stare qui ripaga tutti gli sforzi.» Approfondii un po', rimanendo sempre sul vago, perché, altrimenti, Lazar avrebbe potuto pensare che anch'io fossi criptica e insospettirsi di più. Dopotutto, ero pur sempre una sconosciuta, quindi non potevo permettermi di far conoscere anche a lui Hedvig così nel dettaglio come solo le mie umane da compagnia la conoscevano. Dovevo mantenere l'aria da sconosciuta o Lazar si sarebbe comunque insospettito.
    Presi un altro sorso dal mio drink, emulando il suo gesto, senza mostrare il fastidio che stavo provando, poi gli chiesi: «E a te, invece, cosa porta a Tokyo?» Il fatto di stare usando la sua stessa domanda non era casuale. Stavo cercando di emulare qualche aspetto del suo comportamento, in maniera sottile, per cercare di accativarmelo. Certo, non lo stavo copiando in maniera evidentissima come se fossi il suo riflesso allo specchio, ma, ogni tanto, qualche gesto avrebbe potuto aiutarlo ad aprirsi. Per non parlare, poi, del fatto che anche la sua risposta sarebbe stata oggetto del mio interesse: volevo vedere fino a che punto stesse simulando o cercando di essere vago con me. Certo, ero una sconosciuta, ma, alla fine della serata, puntavo a lasciargli un'impressione positiva, in qualunque modo lui ritenesse opportuno, e a scoprire se, dietro la sua maschera da ragazzo gentile, ci fosse il ghoul che avrebbe, poi, creato la mia.




    «Astrid Hedvig»;
    «Inés»;
    «Keira»;
    «Saki»;
    «Lazar»;
    «Viktoriya».
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    Lazar Stefanović Khabarov
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    Gli umani avevano reso il consumo di alcol una pratica comune per mettere alle strette i ghoul che sceglievano di non vivere in isolamento. No, era ovvio non fosse andata affatto così, ma quel pensiero tornava a galla ogni volta che l’intenso sapore dell’alcol stimolava in Lazar tanto il senso del gusto quanto il disgusto. Saper dissimulare la ripugnanza provocata dal cibo degli umani era tuttavia essenziale, perciò, volente o nolente, non avrebbe sprecato una goccia della seconda schifezza della serata - che, per la cronaca, era peggiore della prima, forse perché le sue papille gustative erano già state ampiamente compromesse.
    Chi invece compativa un po’ era Viktoriya, ancora seduta accanto a lui, che davanti un cocktail si sentiva ancor più fuori luogo e inadeguata del solito. Sin dal primo momento Viktoriya non aveva fatto mistero della sua riluttanza a partecipare al party di Halloween, la sua presenza era dovuta unicamente al senso del dovere. In breve era lì per i fratelli minori, pertanto Lazar non poteva fare a meno di sentire il senso di colpa aggrovigliato in fondo allo stomaco. Anche per questo, per non sprecare quello che per Viktoriya era un sacrificio, aveva intenzione di divertirsi. Magari avrebbe raggiunto Ninel’ ai piedi del palco, non poteva di certo ballare con indosso quell’abito ingombrante, ma la musica era di qualità e poteva scattare qualche foto da inoltrare a Kohaku.
    Prima però doveva liberarsi di Hedvig.
    No, liberarsi era un termine piuttosto infelice ed inappropriato; non aveva niente contro di lei, non poteva avere niente contro una persona praticamente sconosciuta, ma non capire dove volesse andare a parare lo rendeva irrequieto. Tutto ciò che non poteva controllare lo rendeva irrequieto. Qualcosa continuava a sfuggirgli, verosimilmente a causa del bombardamento di stimoli esterni, la musica trapanava i timpani e gli odori si mescolavano in ondate talvolta davvero fastidiose.
    Escludeva a priori che così poco alcol potesse annebbiare le sue capacità cognitive, dopotutto era stato temprato da Матушка Россия, e allo stesso modo escludeva che il senso di disagio fosse causato dal semplice interagire con una sorta di femme fatale. Non aveva alcun tipo di problema con le donne, ne era circondato dacché aveva memoria.
    Era proprio Hedvig il problema, e più ella cercava di attaccare bottone, più lui diventava ritroso. Non riusciva ad evitarlo e proprio per questo sperava di mettere presto fine a quella conversazione, per evitare a lei una perdita di tempo e a se stesso altro disagio.
    “Non sono giapponese, ma sono venuta qui molte volte, coi miei, e ho sempre desiderato trasferirmici. È stato difficile, ma ora vivo qui, sto perfezionando la lingua e stare qui ripaga tutti gli sforzi.”
    La storia stava in piedi, niente da ridire - e se anche non fosse stata in piedi, Lazar non aveva motivo di interrogarsi oltre. Dopo quella sera non l’avrebbe probabilmente più rivista. Si era tristemente abituato a non dare per scontato qualunque cosa gli dicessero corrispondesse al vero. In quella città un po’ tutti sembravano avere grandi segreti, ma il compito di scavare lo lasciava volentieri agli Zeiva.
    La domanda fu comprensibilmente rigirata e lui, dall’alto del suo metro e una pertica, sorrise in modo affabile.
    «Lavoro, avrai già capito in che ambito.»
    Rivelare informazioni spicciole, soprattutto riguardo un argomento già venuto a galla, non era per lui un problema; ciò che voleva tenere per sé era ben altro. Ma, a differenza di Hedvig, Lazar non aveva alcuna intenzione di soffermarsi troppo su se stesso, così dirottò l’argomento su qualcosa probabilmente inaspettato, abbassando il tono della voce in modo da essere udito solo da lei e accompagnandosi con una lieve incrinatura nel sorriso, ancora placido ma più affilato.
    «Sei a caccia, Hedvig?»
    Una domanda con troppe chiavi di lettura, elaborata in modo da adattarsi tanto ad un ghoul quanto ad un essere umano in un’occasione mondana. A caccia di qualcuno da rimorchiare? O a caccia di qualcuno da sbranare? Le avrebbe lasciato una manciata di secondi prima di riprendere la parola, quanto bastava a cogliere reazioni interessanti, se ce ne fossero state. Chi, dopotutto, avrebbe considerato la seconda eventualità se non qualcuno abituato all’idea di caccia come attività fine al nutrimento?
    «Qui dentro è pieno di gente molto più interessante di me, come mai hai rivolto la parola proprio a me?»
    Un’altra domanda con troppe chiavi di lettura. Era peggio sapere di essere stata riconosciuta come ghoul o che era sospettata di avere un secondo fine? Di chi o che cosa era a caccia, Hedvig? Una volta appuratolo, quella conversazione sarebbe potuta andare avanti, forse finalmente al sodo.

    -------------------
    «Parlato.»
    "Pensato."

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    Lazar/Accenni a Viktoriya


    «Lavoro, avrai già capito in che ambito.»
    Più di quanto immagini, Kärlek.
    Era evidente che il mio interlocutore non fosse proprio in vena di parlare. Chiunque avrebbe potuto vedere quanto, tra noi, fossi io l’unica intenzionata a mandare avanti quella conversazione. Dopotutto, ero io quella che doveva guadagnarci. Il poverino stava solo vedendo rovinata la sua serata di festa, per quanto ne sapessi, ma poco importava. Il suo tono ritroso non mi avrebbe fermata.
    Dovetti convenire di aver sbagliato approccio con lui: certamente il suo essere poco incline al dialogo doveva essere dovuto a questo, ma almeno i miei continui tentativi mi avevano fatto capire di star parlando con la persona giusta, quella che lavorava in quell’ambito e che, con un po’ di fortuna, sarebbe stata chi pensavo che fosse. Il consumo di alcool, in fondo, non poteva suggerire nulla sulla sua natura, dato che molti ghoul sapevano dissimulare il loro disgusto e reggerlo abbastanza bene. Io stessa venivo dalla Svezia, un Paese dove la gente beveva così tanto da rendere necessario monopolizzare gli alcolici. Le mie uscite col mio vecchio gruppo di convenienza mi avevano insegnato presto quanto fosse importante sviluppare la resistenza all’etanolo, specialmente quando andavamo a delle feste con qualcuno abbastanza grande da poter comprare qualcosa al Systembolaget.
    Dalla descrizione del profilo su cui mi stavo basando, potei dedurre che Lazar fosse russo, quindi, se gli stereotipi fossero stati veri, beh… per lui la vodka e il succo d’arancia sarebbero state due bevande dagli effetti piuttosto simili e lui sarebbe stato di certo abbastanza lucido da dissimulare bene il suo disgusto. Dopotutto, noi ghoul interessati a vivere in società ci eravamo evoluti per simulare e dissimulare. Da lui non avrei potuto aspettarmi nient’altro.
    «Sei a caccia, Hedvig?»
    Quella domanda mi colse alla sprovvista: era molto diretto o era molto vago? Avrei potuto interpretare quelle parole in diversi modi, tutti intriganti. Che cosa stavo cacciando, secondo lui? Ero alla ricerca di qualcuno con cui passare la notte, qualche bel bocconcino o entrambi? Per il momento no, ma, nonostante l’evidente provocazione, non mi scomposi. Reagii nell’unico modo in cui non avrebbe reagito una ghoul intenta a parlare col suo futuro pasto: ricambiai il sorriso che mi venne mostrato con uno abbastanza affilato e con uno sguardo complice. Volevo creare intesa, mostrargli che avesse indovinato, ma non gli avrei detto così facilmente che cosa. Mi mostrai nuovamente sicura di me e pronta a reggergli il gioco. Volevo vedere dove volesse andare a parare, dopo avermi implicitamente detto che sospettava che non fossi un’umana. Peccato, però, che i suoi atteggiamenti confermassero la mia teoria e, quindi, a non essere umani saremmo stati in due. Dopotutto, avevo sentito parlare di lui da un ghoul, avevo spiato la sua vita per un po’ ed ero certa che lui non fosse della CCG, né un poliziotto, né un investigatore privato. Oltre a queste categorie di persone, solo gli stolti e i masochisti potevano non temere i ghoul, ma lui aveva appena dimostrato di essere abbastanza perspicace e potei escludere l’ultima categoria quasi certamente grazie al nostro amico in comune.
    Era ormai scontato che lui fosse chi cercavo, che fosse un ghoul e che potesse essere la persona giusta per restituirmi abiti da lavoro buoni quanto quelli del mio periodo in Hive. Mancava solo l’ultima parte del piano: scoprire se fosse disposto ad aiutarmi. Per quella, però, era necessario aspettare la sua reazione successiva.
    Rimasi in silenzio per un attimo, guardandolo come per spronarlo a continuare, come se mi stessi divertendo e volessi che lui continuasse. La cosa, però, aveva un fondo di verità: la questione si stava facendo interessante e volevo proprio vedere che cosa mi avesse chiesto. La mia prossima mossa sarebbe dipesa dalla sua, come in una partita a Schack, e ciò che aspettavo non tardò ad arrivare.
    «Qui dentro è pieno di gente molto più interessante di me, come mai hai rivolto la parola proprio a me?»
    Quella domanda era vaga quanto la precedente, ma era anche altrettanto diretta. Che cosa mi aveva spinto, precisamente a chiedere una cosa a un uomo così arguto e ben vestito? Per lui potevo essere molte cose, ma la domanda di prima riduceva notevolmente le opzioni in gioco. Ormai entrambi eravamo a conoscenza della nostra natura e quello era il momento di scoprire tutto ciò che mi mancava.
    «Sei perspicace.» Iniziai a dire, con un tono complice. «Ma dipende dai punti di vista. Per quanto mi riguarda sto solo tastando il terreno.» Una leggera punta di sensualità non lasciava spazio a interpretazioni errate… o forse sì? Il tutto sarebbe dipeso da ciò che lui stesso avesse voluto sentirsi dire. In fondo non funzionava forse così? Non bastava apparire piacevole e dire le cose giuste e nel giusto tono per spingere gli altri a fare qualunque cosa avessi voluto? Forse avrei visto la sua espressione facciale cambiare, magari in un sorriso davvero affilato, quello che mi piaceva riservare agli ultimi istanti dei miei spuntini. O, forse, sarebbe diventato più serio e ritroso, imbarazzato dal vedere le forme e i modi di qualcuna che imbarazzata a quanto pare non era? C’era un solo modo per scoprirlo.
    «Diciamo che… c’è troppa gente per poter chiedere certe cose, non credi?» Che cosa avrei voluto dire? In altre occasioni avrei dubitato del fatto che il mio interlocutore potesse arrivarci, ma lui mi aveva già stupita in positivo e volevo vedere se ci potesse riuscire di nuovo. Tuttavia, prima di una sua reazione, decisi di giocare la mia ultima carta, quella che avrebbe potuto trasformare la conversazione e darmi il controllo che non avevo, dato che era ancora Lazar a tenere le redini del gioco. Lo guardai con uno sguardo provocante, mentre mi alzai lentamente. Non lo stavo invitando a seguirmi: semplicemente volevo dimostrare di avere la situazione sotto controllo. Chissà come l’avrebbe presa.
    «Per ora, mi ha fatto piacere conoscerti. Arrivederci, Lazar. Ti dovrò un drink quando ci rivedremo.» Perché sì, ci rivedremo. Non terminai neanche il drink e me ne andai, sorridendo al mio interlocutore un’ultima volta e cercando di mischiarmi a quel gruppo di bistecche danzanti dal quale ero spuntata fuori. Avevo avuto un primo contatto con Lazar, scoprendo che il mio buon samaritano non mi avesse mentito, almeno per il poco che avevo visto. Avevo ottenuto ciò che volevo e l’unica cosa rimasta da fare, ormai, era far sì di non scomparire dalla mente di quel ghoul ancora per un po’, giusto per quanto bastasse a potermi presentare più tardi senza essere una totale sconosciuta. Dovevo far sì che si chiedesse che cosa volessi fino a quando io non sarei tornata da lui in un modo un po’ meno festivo, pronta a parlare di affari in un posto nel quale davvero avrei potuto chiedere certe cose indisturbata. Avevo già pensato alla strategia per continuare il mio piano e, per ora, tutto sembrava andare per il verso giusto. L’unica cosa importante, per il momento, era far finta di non accorgersi di eventuali suoi richiami e sparire… e raggiungere le mie umane da compagnia prima che i loro sospetti potessero acuirsi troppo. Rimaneva ancora l’ultima parte del piano: scoprire se lui fosse stato disposto ad aiutarmi, ma tutto stava filando liscio, per il momento, e io avevo appena iniziato la mia partita.
    ”Hej då, Lazar.”




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    Lazar Stefanović Khabarov
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    Un sorriso: di tutte le reazioni che avrebbe potuto avere, la prescelta di Hedvig era tra le più vicine ad un’ammissione di colpevolezza. Non gli rimase dunque che supporre che avesse intuito la multipla chiave di lettura della sua prima domanda, rimanendo però troppo spiazzata per rispondere prontamente. Almeno per come la vedeva Lazar. Tutto avrebbe infatti potuto rivelarsi un clamoroso fraintendimento, veicolato dall’odore della carne dei ghoul che, pur appestando l’aria intorno a loro, sarebbe potuto appartenere a qualcun altro - tranne a Viktoriya, sarebbe stato assurdo da parte sua non saper riconoscere l’odore delle sorelle.
    Ovviamente non gli importava davvero di sapere se fosse a caccia di uno spuntino, di un giocattolo o di entrambe le cose. Per quanto lo riguardava, Hedvig avrebbe potuto sbranare tutti gli umani del locale e portarsi a letto i restanti ghoul - giù le manine dalle sorelline, però, altrimenti si sarebbe arrabbiato un po’. Era la seconda domanda quella a cui voleva risposta. Aveva o no il diritto di capire perché gli stesse stando così incollata nonostante non le stesse quasi per nulla dando corda?
    “Sei perspicace.”
    Cominciò Hedvig, un esordio lusinghiero ma poco entusiasmante, che fece morire il sorriso sulle labbra di Lazar; pur non avendo la sua curiosità, la donna aveva la sua attenzione.
    “Ma dipende dai punti di vista. Per quanto mi riguarda sto solo tastando il terreno.”
    In pratica non aveva detto niente se non che lo stava tenendo d’occhio per un motivo che andava ben oltre il semplice incontro casuale. Dubitava fortemente si trattasse di un semplice adescamento per passare la notte in compagnia di qualcuno, sarebbe stato poco verosimile. Troppa fatica per troppo poco. Assottigliò gli occhi e alzò un sopracciglio, senza nascondere l’arroganza tipica della sua famiglia che, pur venendo convenientemente addolcita dalla sua naturale gentilezza, gli scorreva sotto la pelle.
    Solo una cosa era chiara: avevano finito, almeno per il momento.
    Con l’ultima domanda, ovviamente retorica, Hedvig aveva però detto molto più che con tutto il resto del discorso.
    C’era troppa gente, quindi presto o tardi si sarebbero rivisti, per chiedere certe cose, quindi si parlava di questioni da ghoul. Ma non solo. Il messaggio implicito di quel star solo tastando il terreno era ben più inquietante di tutto il resto: Hedvig sapeva chi era e come rintracciarlo, e lo sapeva già da prima di approcciarlo.
    Fu tentato di chiederle chiaro e tondo se fosse una tirapiedi degli Zeiva o dell’infame duo Xiao & Ouroboros, ma se era piuttosto certo di non dover temere alcunché dai primi ed assolutamente certo di non interessare per niente ai secondi. Sarebbe stata una clamorosa ingenuità da parte sua, ammettere così candidamente di avere in qualche tipo di connessione con dei nomi così grossi.
    Dunque, mentre lei si metteva in piedi, Lazar scelse di ostentare una falsa tranquillità, rilassando le spalle e sorridendole nuovamente, come chi è tanto sicuro delle proprie carte in gioco da non temere la guerra.
    “Per ora, mi ha fatto piacere conoscerti. Arrivederci, Lazar. Ti dovrò un drink quando ci rivedremo.”
    «Mi dovrai molte cose quando ci rivedremo, Hedvig.»
    Risposte, motivazioni e anche un drink, sì.
    La osservò con la coda dell’occhio un’ultima volta, prima di darle le spalle per allungare quel che rimaneva del suo drink al barman qualche centimetro alla sua destra. Per un momento rimase immobile, in silenzio. Avrebbe dovuto fare estremamente attenzione adesso che aveva la certezza che Hedvig sapesse benissimo chi era Lazar Khabarov. Non per se stesso, il brivido del pericolo era uno dei suoi guilty pleasure, ma per le sorelle, la cui protezione era al primo posto nella sua scala delle priorità.
    Doveva recuperare Ninel’. Non importava che Hedvig lo vedesse in sua compagnia, presto o tardi avrebbe comunque appreso dell’esistenza di una seconda sorella. Scivolò con lo sguardo alla sua destra, dove Viktoriya chiacchierava ancora col tipo vestito bene. Viktoriya era forte, molto più forte di Ninel’ sotto innumerevoli punti di vista. Poteva permettersi di allontanarsi qualche minuto.
    Così si intromise nella loro discussione passando le braccia intorno al collo della sorella, appoggiando poi il mento sulla sua spalla sinistra.
    «Извини́те*, perdonate l’interruzione!» esclamò, senza apparire neanche un po’ dispiaciuto. Dondolava la testa sull’incavo del collo della sorella, con un sorriso sfacciato rivolto all’interlocutore mascherato. «Volevo solo avvisare la mia sorellina che, ora che la mia tortura è ufficialmente finita, vado a cercare l’ultima bambola della collezione.»
    Questi parve felicemente sorpreso, a giudicare dal sorrisino compiaciuto che gli arricciò gli angoli della bocca. «Ah, siete più di due, quindi.»
    «Ben tre, ma in edizione limitata!» e con un occhiolino complice, si defilò tra la folla.

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    *Извини́те = scusatemi.

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    La conclusione con Ichigo è stata scritta con Aika :3
     
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8 replies since 8/12/2019, 17:16   364 views
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