Iniziare con il piede giusto, lo stai facendo malissimo.

[CONCLUSA] Milo Onishi & Kimiko Takeda, Caffetteria - 09/02/2020 Mattina (Dalle 10.00), Tempo sereno 6°C)

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    Quel giorno si era svegliato presto, come era solito fare, e sarebbe stato anche tranquillo, se non fosse per il fatto che non aveva per nulla dormito, troppi pensieri per la testa: sembrava non riuscisse per nulla a riprendere il suo meritato riposo, complice forse anche chi era venuto a trovarlo.
    Quindi, con le poche ore che aveva si era alzato, più seccato che altro, ancora di più nel vedere che di nuovo il posto accanto al suo letto era nuovamente vuoto.
    Era routine che se ne andasse prima di lui, forse aveva aspettato che crollasse, ma si rendeva conto che non avevano poi così tanta scelta visto ciò che erano.
    Era rimasto seduto a letto a guardare per qualche secondo il posto vuoto, per poi sospirare seccato e buttare le lenzuola al diavolo per potersi fare una doccia e scendere: era un giorno libero quello, non aveva intenzione di sprecarlo standosene a rimuginare su chissà cosa.
    Si era vestito con dei pantaloni palazzo a quadrettoni blu con strisce bianche, una maglietta verde chiaro con qualche scritta nera incomprensibile anche a lui, e un giaccone pesante oversize rosso e nero, con tanto di bracciale borchiato al polso: diciamo che quando non era in servizio il tipo di abbigliamento che Milo portava, si poteva definire tra lo street-style ed eccentrico, non era decisamente sobrio.
    Prese al volo il suo berretto nero, e dopo aver chiuso la porta si diresse verso la prima circoscrizione, aveva intenzione di fare una lunga camminata per girare un po' e schiarirsi i pensieri: si mise le cuffie nelle orecchie e le mani in tasca, camminando.
    Per fortuna la giornata era serena, il tempo sembrava a volergli sollevare un po' il morale: lo sapeva che a pensarci troppo si sarebbe solo accartocciato su se stesso e non poteva permettersi un simile errore da parte sua.
    Osservò ad un certo punto l'orologio che aveva all'altro polso, rendendosi conto che era ancora relativamente presto, e che era davanti una caffetteria.
    Ci era andato già qualche volta quando era in zona, ma non gli sarebbe dispiaciuto ripassarci e prendere un caffè, rilassarsi un po' per poi tornare a camminare.
    Dunque decise di entrare, ordinando un caffè americano lungo macchiato: se lo fece mettere nel tipico bicchiere da asporto, anche se sapeva di rimanere un altro po', ma con una madre americana era oramai abituato a bere quello che molti consideravano una brodaglia.
    Allo stesso tempo era utile per scaldarsi le mani, e sopratutto se il calore durava decisamente di più di un caffè in tazza normale secondo lui.
    Aspettò l'ordinazione, e appena la prese, si diresse verso la parte più interna della caffetteria, guardandosi attorno in cerca di un posto libero: non notò di essere vicino ad una persona che in realtà avrebbe dovuto riconoscere subito, o almeno non ebbe il tempo di farlo perchè qualcuno distrattamente nella fretta, aveva ben deciso di andargli a sbattere contro, facendogli scivolare da mano il caffè.
    «EHY» Disse istintivamente: si era anche ustionato la mano, ma il tipo sembrava già essere fuggito prima che potesse riacciuffarlo con le proprie mani! Ma guarda te che gente! Tutte a lui dovevano capitare?
    Si, decisamente.
    Anche perchè ci vollero pochi secondi per rendersi conto che quell'incidente non aveva coinvolto solo lui e la sua mano, ma anche un povero cliente della caffetteria.
    ''Fantastico...''
    Pensò istintivamente, guardando il tavolo, cercando un fazzoletto per tamponarsi la mano e vedendo di aver macchiato un album da disegno...bene, ora si che si sentiva mortificato: ma quando alzò lo sguardo, incontrando quello di una ragazza, si rese conto di averla già vista e non era di certo un caso quello.
    Sbattè qualche secondo le palpebre, e il suo cervello ci mise poco a intuire che quella ragazza l'aveva vista per un semplice motivo, non si erano mai parlati fino ad allora, solo visti per i corridoi, ma non credeva di dover fare la conoscenza di una sua collega nel peggior modo possibile.
    ''Merda...che figura...''
    Decisamente quel giorno la fortuna non sembrava essere dalla sua parte, per niente.
    «Cavolo...ehm...scusami....»
    Non era abituato a parlare con i suoi colleghi più del necessario, già era una fatica con la sua squadra per cercare di non farli essere troppo impiccioni, ma voleva proprio evitare di avere problemi a lavoro. Scusarsi, anche se in quel modo incerto, era stato pur sempre un inizio...sperava solo che non fosse roba importante.
    Era rimasto come congelato i primi secondi, visto che sentiva dentro di sè un velato istinto di imbarazzo, che non era per nulla abituato a gestire visto che non gli capitava spesso.

    «Parlato»
    ''Pensato''


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    Edited by »¢hë§hî®ë - 10/2/2020, 00:31
     
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    La sveglia suonò alle sei del mattino, come ormai d'abitudine. Il giorno prima avevo lavorato, così come in quelli precedenti e, nonostante toccasse a me staccare dal lavoro, per poter affrontare i giorni successivi con un po' di riposo alle spalle, avrei dovuto comunque essere produttiva: non avevo tempo da perdere. Avevo, ormai, imparato a lanciare via le coperte non appena avessi sentito la sveglia e, come sempre, il contatto tra l'aria all'interno della mia stanza, non riscaldatasi sotto le coperte, e il mio corpo eliminò nel giro di pochi istanti qualunque traccia rimasta di sonno o il desiderio di stare sotto le coperte. Mi alzai subito dopo, rifeci il mio letto e andai a vestirmi con una canadese grigia, sotto la quale misi una maglietta bianca col logo della CCG, e il mio smartwatch. Non indossai, però, dell'intimo, sostituendolo con un costume da nuoto che avevo lasciato asciugare sul termosifone il giorno precedente. Subito dopo, preparai la borsa per il nuoto e i capi sporchi che, poi, avrei dovuto portare in tintoria. Mi feci una crocchia, prima di uscire, poi mi diressi verso la piscina vicina al dormitorio nel quale alloggiavo.
    Alle 7:05, come al solito, entrai in acqua e, dato che non avrei dovuto lavorare quel giorno, decisi di rimanerci tre quarti d'ora, uno in più del solito. Lo feci perché stare in acqua mi piaceva e perché, avendo più tempo, quel giorno, avrei potuto utilizzarne una parte per poter rendere meglio sul campo i giorni successivi. Per me, infatti, il riposo non era diventato altro che un modo per riprendere a lavorare i giorni successivi in condizioni migliori rispetto a quelle precedenti. Infatti, nonostante quello fosse il mio giorno libero, sarei andata comunque ad allenarmi nella palestra della CCG, quella sera.
    Una volta terminato l'allenamento, tornai al mio appartamento e, dopo aver disfatto la borsa e lasciato tutto ad asciugare, decisi di cambiarmi, mettendomi uno degli smoking ancora nel mio armadio, rendendomi conto di non voler andare a sbrigare altre faccende in canadese e di non avere nell'armadio molti altri capi che non fossero attinenti al lavoro o allo sport. Ne era rimasto qualcuno, dato che gli altri erano stati tutti preparati per essere portati in tintoria. Inoltre, mi piaceva l'idea di essere sempre vestita bene e, ormai, mi ero abituata a indossare abiti tutto il giorno e tutti i giorni. Mi vestii, quindi, con uno smoking bianco, delle scarpe nere a suola piatta e una cravatta nera. Grazie alla crocchia fattami in precedenza, inoltre, sembravo pronta per andare al lavoro: mi mancava soltanto la spilla metallica caratterizzante gli agenti in servizio.
    Misi la canadese nella borsa che avevo appena svuotato, poi presi i capi, il mio portafoglio, il mio astuccio con la cancelleria e il mio cellulare e mi diressi verso la tintoria, dopo aver aggiunto un cappotto bianco, una sciarpa nera e un paio di guanti sempre neri al mio vestiario. Anche quella era piuttosto vicina ai dormitori. "Probabilmente, il proprietario avrà pensato di riuscire ad arricchirsi, lavando gli abiti di servizio di noi investigatori..." Se fosse stato quello il caso, quell'uomo avrebbe avuto un'ottima intuizione, dal momento che andavo lì una volta a settimana a portare i miei abiti e che non era raro che incontrassi qualche mio collega, andato lì per la stessa ragione. Consegnai i miei abiti, per poi ritirarne altri, tornare a casa e sistemarli ognuno al suo posto, secondo un ordine a scala di grigi.
    Si erano, ormai, fatte le 9:00 e avevo ancora solo due compiti da fare: passare l'aspirapolvere nei miei alloggi e andare a comprare della cancelleria, dal momento che i miei materiali da disegno e quelli da lavoro, avevano bisogno di essere riforniti prima che la possibilità che potessero terminare nel momento del bisogno diventasse considerabile. Terminai il primo compito nel giro di mezz'ora e il secondo nel giro di altrettanto tempo, andando a comprarmi due scatole di mine, quattro taccuini e un nuovo album da disegno, per essere sicura di avere abbastanza materiale da non dovermi preoccupare per un po' e poter fare il mio lavoro e trascorrere il mio tempo libero al meglio.
    Stavo ritornando a casa quando il mio stomaco mi ricordò di non aver fatto colazione, mettendosi a brontolare di fronte a una caffetteria. Avrei potuto tornare a casa, ma decisi di entrare direttamente con ancora la busta dei miei precedenti acquisti appresso. Avevo deciso di entrare in quanto tutti i miei compiti erano stati completati e avevo lavorato secondo i miei standard di produttività anche i giorni precedenti. Avrei preso una pasta per ricompensarmi, in modo da tirarmi su il morale ed essere più incline a dare il meglio di me nei giorni successivi. Ordinai un cornetto al cioccolato e una tazza di caffè, pagando subito, poi mi sedetti a un tavolo libero e iniziai a guardare fuori dalla finestra vicino al mio posto, godendomi la mia colazione mentre guardavo la gente passare. La vista m'ispirò e, dato che avevo tempo e che avevo finito i miei compiti, tirai fuori l'astuccio col portamine da una tasca del mio cappotto e il mio album da disegno dalla busta dei miei acquisti, per poi prendere un foglio e mettermi a disegnare ciò che vedevo dalla finestra, escludendo le persone, che, poi, avrei aggiunto più tardi. Quel disegno mi stava piacendo, quindi, almeno in quel momento, non l'avrei stracciato. Lo sfondo mi stava anche uscendo bene e, tutto sommato, anche se stavo utilizzando il mio intero album come superficie da disegno, approfittando del pezzo di cartone dietro tale supporto, stavo disegnando comodamente e, nonostante mi stessi concentrando sul lavoro, iniziai a trovare quell'esperienza rilass-
    «Ehy!»
    Quell'esclamazione mi fece ritornare alla realtà, data la sua incoerenza con quello che era il mio stato d'animo attuale. Feci appena in tempo a guardare da dove provenisse per accorgermi di quello che mi stava per raggiungere. Mi alzai istintivamente, cercando di allontanarmi dal tavolo, ma non feci in tempo a portare con me il mio album, sul quale si formò una macchia marrone piuttosto estesa, che rovinò irreparabilmente un disegno che mi stava uscendo così bene...
    Una persona con le mani di burro aveva, evidentemente, fatto cadere del caffè sul mio tavolo, mancandomi per poco e rovinando ciò che avevo appena comprato e io non ero riuscita a evitare che la sua azione avesse ripercussioni su di me. Questi due fatti mi fecero adirare sia con lui, sia con me stessa. Ero entrata lì per rilassarmi e godermi un momento di pace, ma, invece, avevo finito per perdere tutto il buonumore col quale ero entrata.
    Acchiappai istintivamente la busta coi miei acquisti, scoprendo che la plastica del sacchetto aveva protetto il contenuto della busta in maniera efficace, ma, in compenso, ogni foglio del mio album era stato macchiato e avrei dovuto ritagliare le macchie, una volta a casa, per limitare i danni il più possibile. Tolsi in fretta tutti i fogli dall'album e utilizzai la sedia su cui ero seduta fino a poco prima, insieme a un'altra vicina a me, per disporli in modo da non macchiarsi ulteriormente a vicenda, sperando che il caffè asciugasse quanto prima.
    «Cavolo...ehm...scusami....» Mi sentii dire, mentre ritiravo il mio portamine e controllavo i miei vestiti, alla ricerca di qualche macchia che non trovai. Mi sforzai di non fulminare con lo sguardo chi mi aveva rovinato la mattinata, ma non sapevo fino a che punto fossi riuscita nell'intento. Inizialmente non risposi, chiedendomi se l'avessi già incontrato da qualche parte. Quel ragazzo, infatti, aveva un viso familiare, seppure non riuscissi a ricordarmi dove l'avessi visto. Istintivamente, pensai di averlo incontrato al lavoro, dato che, tra i dormitori, gli allenamenti, la mensa, l'ufficio e le ronde, la CCG era responsabile della maggior parte delle mie interazioni interpersonali da quando ero uscita dall'Accademia. Avrebbe potuto essere un civile, ma, essendomi quella faccia non troppo nuova, optai per un mio collega, probabilmente di un'altra squadra, probabilmente incontrato nei corridoi o durante la strada per la mensa. Se la mia ipotesi fosse stata corretta, noi due non avevamo mai avuto un incarico in comune. Altrimenti, avrei potuto anche averlo visto da qualche altra parte.
    In ogni caso, decisi di rispondergli con un «Nessun problema.» in un tono calmo, che sperai non tradisse il mio nervosismo. Così facendo, avrei potuto evitare d'inimicarmi un collega o, peggio, un mio superiore, per un'azione che era stata colpa di entrambi. Altrimenti, un civile incontrato a lavoro avrebbe potuto associare altri miei possibili comportamenti alla CCG e, semmai l'avessi incontrato in veste d'investigatore, sarebbe stato meglio continuare a comportarmi con lui in maniera calma e professionale. La mia unica preoccupazione, ormai, era aspettare che il caffè si asciugasse dai miei fogli, tornare in cartoleria prima della pausa pranzo, comprare un nuovo album e far finta che niente fosse accaduto.
    «Vado a prendere qualche fazzoletto per pulire.» Dissi, volendo rimediare al disastro combinato dal mio presunto collega, per poi andare a prendere una manciata di fazzoletti dal bancone e, subito dopo, iniziare a pulire, lasciando alcuni fazzoletti in una parte pulita del tavolo, come per spingerlo a prendersi la responsabilità delle sue azioni. Certo, il fatto che l'album da disegno si fosse macchiato era dovuto alla mia distrazione e al mio non essere stata abbastanza pronta o veloce, ma era stato lui a rovesciare il caffè sul tavolo. Iniziai a pulire perché lasciare quella macchia di caffè mi dava fastidio e perché mi sarei solo infastidita di più litigando con qualcuno che era andato a prendere solo un fazzoletto per la sua mano. Per rimediare alla mia colpa, avrei dovuto comprare un altro album e cercare di salvare il salvabile dal mio nuovo acquisto, ma, dato che quest'ultimo stava ancora asciugando, avrei potuto fare qualcosa di produttivo nel mentre, che avrebbe potuto evitarmi un litigio con un civile, un collega o, peggio, un superiore.



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    Edited by Antoil69 - 26/2/2020, 10:45
     
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    Non era così che sperava di tenersi lontano dagli occhi, spesso indiscreti, dei suoi colleghi: se la ragazza fosse stato un superiore qualche altra matricola sarebbe stata anche peggio, a Milo invece poco importava. Sarebbe stato il contrario invece, se un eventuale superiore o collega, avesse iniziato a impicciarsi troppo della sua vita privata, quello sarebbe stato un problema, forse anche per questo cercava di estraniarsi il più possibile: ma solo il suo cognome la diceva lunga su come gli fosse quasi impossibile.
    Mosse appena le dita della mano, temendo che presto o tardi sarebbero uscite delle bolle, e avrebbe dovuto senz'altro metterci qualcosa sopra, al momento però la sua preoccupazione fu più rivolta alla ragazza che gli assicurava non ci fosse alcun problema.
    Per esperienza potè immaginare che quella fosse solo cortesia tra colleghi, se fosse stata al suo posto non avrebbe nascosto la sua irritazione verso se stesso, era una reazione più che lecita e normale.
    Sospirò, scuotendo la testa.
    «Non credo che non lo sia, insomma, anche io mi urlerei contro al tuo posto...ma immagino che dire che è stato un incidente non aiuti molto...non ti sei bruciata vero?»
    Ammise, non che volesse darsi nuovamente la zappa sui piedi, ma neanche si aspettava di dover gestire una situazione simile: ''''''combatteva''''' ghoul, quello avrebbe dovuto essere una bazzecola, ma forse anche per il fatto che non vi ci si fosse mai trovato, lo faceva tentennare appena.
    Perchè esistevano i rapporti sociali? Perchè tutte a lui manaccia ? Ecco, forse quest'ultima frase poteva essere il sunto della sua vita.
    Di nuovo, si rese conto di aver sbagliato una seconda volta perchè aveva pensato istintivamente a sè stesso più che prendere dei fazzoletti in più, ma allo stesso tempo aveva pensato alla prima necessità, che era la sua mano, che fino a prova contraria ancora gli serviva.
    Dunque, capì che non stava andando poi così bene, anzi, forse stava affondando ancora di più verso il fondo.
    Cercò di ricordare come si chiamasse quella ragazza, forse aveva sentito il nome da qualche parte? No, nulla, il vuoto totale. Non ricordava assolutamente in questo caso.
    La vide pulire il suo album, o quanto meno cercare di tamponare il disastro compiuto: per fortuna che non aveva macchiato anche l'altra busta che aveva la ragazza...il minimo pensò fosse quanto meno offrirsi di ripagare il danno.
    Si, quello poteva farlo, non era un animale.
    «Te lo ripagherò»
    Disse, non sapeva dove andare a comprare un album del genere o se nelle vicinanze ci fosse qualcuno attrezzato...forse una cartoleria? Un negozio di belle arti? Ipotesi fattibili, ma anche se poteva non sembrare, un po' era dispiaciuto di quell'incidente per quanto volesse avere meno a che fare con il suo lavoro anche fuori l'orario.
    «Insomma, non so esattamente dove andare a comprarlo, se mi indichi il posto posso andare anche subito...o sennò posso darti l'importo per ricomprarlo....»
    E magari un nuovo caffè per lui: almeno la proposta l'aveva fatta, di cercare di riparare all'errore, per quanto non fosse stato causato da lui.
    Come si vedeva che poco aveva a che fare con i suoi colleghi al di fuori del lavoro? Ancora non si era presentato, insomma, non era stato molto bravo in quel senso, ma si sforzava, davvero.
    «Tu sei...un investigatore, giusto? Credo di averti vista fra i corridoi...»
    Era quasi certo di averla vista da qualche parte in ufficio, ma era anche pronto all'eventualità che lei gli dicesse semplicemente di sparire, cosa che avrebbe agevolato lui per svignarsela, e in parte avrebbe compreso, perchè probabilmente anche lui sarebbe stato allo stesso modo irritato se fosse stato nei suoi panni.


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    Edited by »¢hë§hî®ë - 12/2/2020, 00:53
     
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    «Non credo che non lo sia, insomma, anche io mi urlerei contro al tuo posto...ma immagino che dire che è stato un incidente non aiuti molto...non ti sei bruciata vero?»
    Niente di quello che disse aiutò la mia situazione, né la mia considerazione nei suoi confronti. Certo, era vero, se fosse successo qualche anno prima mi sarei lasciata andare alle peggiori urla e imprecazioni nei confronti di qualcuno che avrei nominato in maniera piuttosto colorita, dicasi colui che avevo davanti, ma farlo in quel contesto non avrebbe risolto niente. Sarei semplicemente rimasta lì a sfogarmi fino a sentirmi meglio, ma ciò non avrebbe riportato indietro il mio album, né consentitomi di rimediare alla parte di quel problema che da me era dipesa. Non Sarebbe cambiato niente, quindi tanto sarebbe valso risolvere il problema quanto prima.
    «Sto bene.» Risposi, in maniera diretta e senza giri di parole inutili. Il mio tempo sarebbe stato speso meglio altrove e solo il fatto che il buon nome mio o della CCG potesse essere a repentaglio mi avrebbe impedito di andarmene o di troncare tale discussione con un mio possibile superiore non appena il caffè fosse asciugato e avessi finito di pulire, cosa che, con mio disappunto, mi ritrovai a fare senza aiuto. Ero stata stupida anch'io, altrimenti il mio album sarebbe stato ancora come nuovo, ma aver fatto cadere il caffè era stata colpa sua e avevo rimediato io al danno da lui causato. Lasciai i fazzoletti, ormai zuppi di caffè, sul tavolo per un istante, giusto per il tempo necessario a voltarmi di nuovo verso di lui, non appena lo sentii dire che avrebbe ripagato il mio album.
    «Insomma, non so esattamente dove andare a comprarlo, se mi indichi il posto posso andare anche subito...o sennò posso darti l'importo per ricomprarlo....»
    «Apprezzo il pensiero...» Dissi, riconoscendo in lui la voglia di rimediare a un errore commesso da me, forse perché era toccato a me occuparmi del suo. «... ma non importa.» Non seppi esattamente perché gli avessi detto ciò. La vecchia me stessa se ne sarebbe fatti comprare due, ma lei non aveva uno stipendio suo su cui contare. Lei aveva i pochi soldi che riusciva a conservare, mentre io non avevo molte cose per cui valesse davvero la pena spenderli. Inoltre, avrei potuto liberarmi di quel mio collega senza effetti collaterali, se avessi continuato a essere educata e distaccata ancora un po'. Era ancora metà mattina, io avevo il resto del giorno libero, escludendo la sessione di allenamento, e la cartoleria sarebbe rimasta aperta abbastanza a lungo da permettermi di tornare subito dopo essere uscita da lì per comprarmi da sola quei due nuovi album, che non sarebbero usciti dalla nuova busta degli acquisti fino al mio ritorno al mio appartamento. Andai a buttare i fazzoletti, poi tornai dov'ero desiderosa solo di rimettere i fogli al loro posto e andarmene, ma consapevole del fatto di dover ancora aspettare un po'.
    «Tu sei...un investigatore, giusto? Credo di averti vista fra i corridoi...»
    Il mio presunto collega non era sparito, anzi. Era rimasto più o meno dove l'avevo lasciato, forse desideroso di pormi la stessa domanda che mi stavo chiedendo io. Dopo così tanta insistenza, la vecchia me stessa gli avrebbe detto, in maniera abbastanza colorita, di sparire, ma non era il caso di abbandonarsi agli istinti. Con un po' di educazione e distaccamento avrei potuto allontanarmi da qualunque mio pari grado o superiore, possibilmente minimizzando gli effetti collaterali. Nell'ipotesi, però, di star parlando con un mio superiore, sarebbe stato il caso di rispondere alla domanda, giusto affinché, in futuro, sapessi chi fosse il mio collega, semmai ci fosse capitato di lavorare insieme, cosa che, dopo l'incidente di quel giorno, avrei preferito che non accadesse. Come avrei potuto affidare la mia vita sul campo a qualcuno che non si era nemmeno dimostrato capace di tenere una tazza di caffè? "E se, in maniera analoga, non riuscisse a tenere la quinque in battaglia, lasciandola cadere al primo colpo subito?"
    Fu in quell'istante che mi ricordai, però, di tutti i fogli sporchi di caffè che, per colpa dei miei scarsi riflessi, stavano asciugando e che sarebbero rimasti per sempre sporchi di caffè. Se avessi usato Prima per pararmi con la stessa efficacia, qualcun altro avrebbe dovuto proteggermi e sarei stata solo un peso per la CCG. Anche la mia sbadataggine era imperdonabile. Allenarmi più del dovuto, quel giorno, sarebbe stato imperativo. Allenarmi più duramente per tutti i giorni a venire sarebbe stato imperativo. Migliorare i miei riflessi sarebbe stato imperativo. Durante un ingaggio non me la sarei cavata con qualche foglio sporco e un po' di smacchiatore a secco. Per il bene della squadra avrei dovuto migliorare ulteriormente, allenarmi ancora di più e risultare più utile di quanto lo ero stata trecentocinquantotto giorni prima, quando il mio caposquadra contava su di me, io non avevo fatto niente per aiutarla e, se anche l'avessi fatto, non avrei potuto fare la differenza. "Imperdonabile."
    «Esatto. Sono il Secondo Grado Takeda Kimiko.» Risposi, alla fine, col tono educato e distaccato che avevo usato fino a quel momento. «Anch'io ricordo di averti visto, ma mi sfugge il tuo nome, al momento. Potresti ricordarmelo?» Risposi utilizzando lo stesso livello di confidenza usato con me, pur sapendo che, se si fosse trattato di un mio superiore, da quel momento in poi, i miei modi sarebbero subito diventati più rispettosi, per evitare possibili eccessi di confidenza con qualcuno sopra di me e che, se si fosse trovato in quella posizione, avrebbe avuto un motivo per esserci. Solo il tempo e la sua risposta me l'avrebbero detto e lui aveva tutto il tempo necessario ai miei fogli per asciugare per presentarsi. Dopotutto, conoscere un collega sarebbe stato meglio di non conoscerlo.



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    Quella risposta lo fece sbuffare, seccato, e non lo nascose neppure: quella giornata non sembrava voler andare per il verso giusto purtroppo, e più la ragazza rettificava che stava bene, più sentiva il disagio di prima aumentare.
    Non era una bella sensazione, ne lui sapeva di essere bravo a gestire quelle situazioni, non lo era per nulla, perché sapeva che spesso aveva il tatto di un elefante, e cercare di ponderare il suo caratteraccio non era esattamente la cosa più facile del mondo.
    Non voleva neanche problemi a lavoro, per carità: gli bastavano già quello che aveva, non voleva mettercene altri, ecco perché cercava sempre di più di evitare che quei due mondi interagissero, allo stesso tempo però si rendeva conto di non poter controllare tutto come avrebbe voluto.
    Per come aveva risposto precedentemente, il fatto che avesse declinato la sua offerta di aiuto o di ripagargli l’album, non aiutò l’altro a togliersi l’impressione che fossero solo parole di cortesia e che probabilmente sperava di prenderlo a calci ma per buon senso non lo stava facendo.
    Il cervello di Milo si sforzava di pensare ad una qualche soluzione alternativa, che non trovò: probabilmente non sarebbe stata ne la prima ne l’ultima che non lo sopportava, e dunque in quel caso non poteva poi farci nulla.
    Finché però non interferiva con la sua vita gli andava pure bene, se invece avesse avuto problemi a lavoro ....be’ quello sarebbe stato difficile da gestire con una calma che non aveva.
    Sperò dunque di essersi sbagliato.
    «Ok va bene»
    Rispose solamente, lui si era offerto, se all’altra stava bene così non aveva voglia di insistere, già stava rosicando per il fatto di aver speso soldi per il suo povero caffè che non era neanche riuscito a bere.
    Magari il giorno dopo gli sarebbe andata bene, forse, non ne era poi così sicuro...
    «Non credo che più di così tu possa pulirlo...»
    Oramai sapeva che era rovinato, per quel poco che aveva visto, le onde create per colpa della sua bevanda sarebbero rimaste, dubitava che sarebbero mai tornate bianche ...magari però se l’altra aveva uno spirito artistico come sembravano dimostrare quei pochi schizzi che era riuscito ad intravedere, forse da li avrebbe potuto crearci qualcosa di nuovo.
    Lui non era per nulla creativo in quel campo, non avrebbe minimamente saputo come fare: decisamente l’arte del disegno non era il suo campo.
    Ritornò alla realtà quando l’altra chiese anche il suo nome, ah giusto erano arrivati alle presentazioni...cercò di sforzarsi nel ricordare se avesse già sentito quel nome, ma non trovò nulla nei suoi ricordi, di certo però dopo quella magra figura Milo se la sarebbe ricordata bene la sua collega.
    «Milo Onishi»
    Disse solamente, il suo nome era già tutto un programma: paradossalmente odiava presentarsi, perché il suo cognome non gli portava altro che comportamenti che lui non sopportava.
    Sapeva quanta potenza potesse avere un cognome simile, ma era una delle cose che più odiava: di solito c’erano due reazioni, ma oramai sembrava averci quasi fatto il callo.
    Le persone non sembravano mai entusiaste di ritrovarsi un Onishi davanti, e non poteva poi dargli così tanto torto.
    «Ed immagino che non sia un piacere conoscermi»
    Aggiunse poco dopo, non le avrebbe dato poi così tanto torto, dai suoi comportamenti e dalle sue risposte aveva l’impressione di non essere tanto lontano dalla verità.
    Non aveva neanche intenzione di scagliarsi ancora più addosso da solo il carico da 100, ma non era proprio riuscito a tenerselo, tanto per lui le presentazioni erano faticose.
    Probabilmente Junichi si sarebbe arrabbiato di nuovo con lui, e sul fatto che se continuava così non avrebbe avuto nessun amico: ma Milo era ancora fermamente convinto di non averne assolutamente bisogno, perché non poteva fidarsi di nessuno, era inutile dunque per lui legarsi ad altri se sapeva che avrebbero potuto tradirlo.

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    «Non credo che più di così tu possa pulirlo...»
    Purtroppo, il mio interlocutore aveva ragione. Quell'album non sarebbe ritornato bianco, mentre il caffè che non ero riuscita a togliere dal tavolo avrebbe presto reso la superficie appiccicosa. Avvertire un cameriere sarebbe stato doveroso. Non c'era troppo che potessi fare, quindi lasciai stare i fazzoletti, che sarei andata a buttare più tardi, per poi concentrarmi sull'album da disegno. Dopo essermi asciugata la mano al meglio, cercai di tastare le macchie di caffè per scoprire quanto fossero ancora fresche. Me ne sarei andata non appena fossero asciugate, per far sì di passare dalla cartoleria a prenderne un altro prima di ritornare a casa. Non mi sembrò che mancasse ancora molto, quindi, col benestare di chi mi aveva detto di essere un mio collega, non sarei rimasta lì ancora a lungo.
    «Milo Onishi.»
    "Onishi?"
    Era la prima volta che incontravo personalmente qualcuno con quel cognome fuori dal lavoro, ma il fatto che lui lavorasse alla CCG poteva significare solo una cosa: a meno di casi di omonimia, dei quali, però, non ero al corrente, avevo davanti un membro del clan Onishi, i direttori della CCG. Ero stata certamente colta di sorpresa e non in maniera positiva. Per via delle circostanze, probabilmente, saremmo tutti e due andati via con una pessima opinione dell'altro. Lui avrebbe potuto essere meno disposto nei miei confronti, vista la freddezza con cui era stato trattato dalla sottoscritta. Non sapevo se ciò avesse potuto ritorcermisi contro, in futuro, ma non avrei potuto rimediare al danno, quindi avrei dovuto cercare di minimizzare le conseguenze. Avevo mancato di rispetto a un mio probabile superiore, che si era rivolto a me come se avessi dovuto conoscere chi fosse, dal momento che lui non aveva rivelato il suo grado.
    «Avremmo potuto incontrarci in situazioni migliori...» Mi limitai a dirgli, con un tono leggermente meno freddo. «... ma è comunque un piacere, Onishi-san.»
    Non sapevo come comportarmi, in quel momento: se avessi continuato a trattarlo con la freddezza di prima, avrei potuto mancare di rispetto a un mio possibile superiore, cosa inaccettabile, ma, se il mio atteggiamento fosse cambiato, avrei potuto dare un'impressione di me diversa da quella che avrei voluto. Passare per una leccapiedi sarebbe stato, per me, inaccettabile. Forse, anche il mio leggero cambio di tono derivava da quell'indecisione. Che cosa avrei dovuto dire, o fare, in quel momento, per evitare di rientrare in uno dei due casi estremi che volevo a tutti i costi evitare? Decisi di scegliere l'ignavia. Forse lui stesso mi avrebbe indicato come avrebbe preferito che la discussione continuasse, assumento il fatto che lo volesse. In fondo, avevo ancora qualche minuto da attendere, prima che il caffè si asciugasse del tutto. Avrebbe potuto essere il tempo necessario per riparare a un eventuale errore.




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    Mise le mani nelle tasche del giubbotto, in lieve tensione mentre si aspettava la reazione della sua collega: il cognome che portava per lui era sempre stato un ostacolo, lo odiava nel profondo, e al momento dubitava che sarebbe cambiato così facilmente la sua percezione di esso.
    Credeva che il mondo che gli Onishi avevano costruito attorno a loro fosse del tutto distorto: e si sentiva impotente, come se non potesse cambiarlo, così gli toccava nascondersi da esso.
    Quasi temeva il cambio di atteggiamento al suo presentarsi, non potè non notare come la sua espressione fosse cambiata: lui non si era identificato effettivamente, ma non aveva intenzione di farlo.
    Non era a lavoro, era al suo giorno libero, dunque era solo Milo.
    Immaginò però per l'altra non era la stessa cosa, e non poteva poi farci molto: conosceva molti investigatori della ccg che reagivano in maniera molto simile a quella della ragazza, sebbene lui non ne avesse una conoscenza approfondita, ne volesse averne.
    Certo, non avrebbe fatto male almeno sapere i nomi di chi lavorava lì per avere meglio sotto controllo la sua stessa posizione.
    «Un caso sfortunato»
    Commentò, di certo non era stato subito simpatico alla ragazza per l'incidente, così come lui non riusciva a nascondere del tutto la sua ritrosia verso nuove conoscenze, sopratutto se lavorative.
    Non era dunque, così sicuro che fosse un piacere conoscerlo, o almeno era ciò di cui si convinceva sempre, come se nessuno volesse realmente avere a che fare con lui, e sapeva che era meglio così: meno si avvicinavano, più al sicuro sarebbe stato da occhi indiscreti, cosa che invece non sembrava mettere d'accordo lui e Junichi, che continuava a dirgli che doveva farsi qualche amico.
    Milo, del resto, di farsi amici a lavoro non ne aveva intenzione per il momento: uccidevano ghoul, non facevano biscotti in casa.
    Annuì dunque alla sua risposta, non volendo risultare troppo scortese, sebbene lo accompagnasse sempre questa sensazione negativa.
    «Altrettanto, Takeda»
    Non usò nessun suffisso di proposito, si sentiva troppo diverso per essere anche un giapponese, anzi, spesso si era sempre sentito legato alla parte americana che si portava dietro grazie a sua madre.
    Credeva inoltre che ogni tanto si sentisse qualcosa di strano nel suo accento, sebbene molti non notassero la differenza e forse era effettivamente solo nella testa di Milo questa piccolezza, proprio come a volersi distaccare con tutto se stesso da quel mondo.
    In parte però, forse un po' voleva confonderla con il suo comportamento.
    «Hai talento comunque»
    Le disse, aveva avuto modo di dare un'occhiata a quello che stava disegnando, e dal tratto sicuro che aveva sembrava davvero brava...lui per nulla, era già tanto se disegnava gli omini con gli stecchini.
    Non sapeva bene neanche lui come intavolare quella discussione, perchè significava restare lì altri minuti, volontariamente, forse sarebbe riuscito a fronteggiare meglio una litigata che una situazione così apparentemente tesa e di disagio.
    Ecco: quella sensazione, quella che gli veniva subito dopo essersi presentato, le persone sembravano temere quel cognome, e si comportavano nelle maniere più strane e bizzarre.
    Dubitava che si sarebbe calmato tutto così in fretta se non fosse stato accompagnato da quel cognome.
    «Hai imparato da sola?»
    Fu l'unico spunto di conversazione a cui aggrapparsi, per tentare di non pensare nè al cognome, nè al fatto che potesse risultare scortese altrimenti troncare lì e andarsene. Lui voleva meno problemi possibili a lavoro, quindi, tentare di rimanere in una relazione neutrale era quasi fondamentale per lui.


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    Kimiko Takeda
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    Aspettai un istante, giusto il tempo necessario per permettergli di ricambiare il mio saluto, poi, dopo un semplice «Con permesso, mi allontano un attimo.» ripresi in mano i fazzoletti, andai a buttarli e, subito dopo, mi avvicinai al bancone, per avvertire un cameriere dell'accaduto. Mi limitai a dire «È caduto del caffè su quel tavolo.» indicando il tavolo al quale mi ero seduta e sorridendo rispettosamente al cameriere. «Ho provato a pulirlo, ma non ho potuto fare molto.» avevo deciso di sorridergli leggermente, perché, per quanto il fatto che il caffè fosse caduto non fosse colpa mia, avrei dovuto comunque fargli fare del lavoro in più, in quanto i miei metodi di pulizia non erano stati abbastanza e non avrei comunque lasciato che il successivo cliente del locale si trovasse un tavolo sporco, dato che, quando ero entrata io, suddetto tavolo era in perfette condizioni. Lasciare una cosa in condizioni peggiori rispetto a come l'avessi trovata mi dava fastidio, ma, dopo aver avvertito chi di dovere, mi sentii un po' più sollevata e tornai dalle mie cose, che, constatai, erano state tenute d'occhio dal mio presunto superiore.
    «Hai talento comunque.» Mi sentii dire, senza preavviso, quando tornai. Con me, Milo Onishi parlava in modo informale, come se fosse estraneo alle norme di confidenza e all'uso dei suffissi o come se tra di noi ci fosse un livello di confidenza prossimo all'intimità. Fui spaesata dal suo modo di fare, in quanto nessuno, alla CCG, mi aveva trattato in modo simile. Tuttavia, il mio interlocutore non era stato il primo a usare tali modi con me.
    Hai talento, sai? Il paragone con quel verme che ancora stava marcendo a Cochlea mi fu spontaneo, più per le parole usate e per i modi che per la somiglianza con l'investigatore accanto a me. Chi mi aveva lasciato una cicatrice sulla spalla era vista, da me, come una figura forte e sicura di sé, mentre Onishi aveva mostrato comportamenti diametralmente opposti a quelli che lei avrebbe avuto e il tono di costui mi trasmetteva imbarazzo, mentre quello di Kaoru era capace di convincere con la sua sicurezza. Probabilmente, lei se ne sarebbe già andata, indispettita dai miei modi freddi, o avrebbe iniziato a litigare con la vecchia me stessa, cose che lui non aveva fatto.
    «Apprezzo molto.» Dissi, con un tono leggermente meno freddo, seppure l'impersonale non permettesse chissà quale contatto. Scelsi quelle parole attentamente, in quanto il mio interlocutore avrebbe potuto essere un mio superiore e non avrei potuto permettermi un'informalità come la sua, né avrei potuto permettermi di sottolineare un suffisso, cosa abbastanza rude. Inoltre, sembrando distaccata, avrei potuto far notare un po' meno il fatto che non sapessi troppo bene come rapportarmi a lui.
    «Hai imparato da sola?» Sembrava che il mio interlocutore avesse voglia di parlare. Non riuscii a capire il perché di quella frase, anche perché, al suo posto, avrei rimediato al danno da me causato e, dopo aver chiesto scusa, me ne sarei direttamente andata. Intavolare una conversazione non era tra le mie priorità: con un mio pari grado o sottoposto, per quanto all'epoca avessi pochissimi sottoposti, avrei stroncato tale tentativo sul nascere, per avere più tempo da dedicare al lavoro, mentre, con un mio superiore, non avrei parlato se non interpellata. Ero stata, però, interpellata, e, nel caso in cui stessi parlando con un mio collega di grado maggiore, avrei dovuto rispondere.
    «Esatto.» Iniziai a dire, cercando di togliere ogni traccia di nervosismo rimasta dal mio tono di voce, per rispetto nei confronti del mio presunto superiore «So disegnare da quando ero una bambina, seppure non fossi sempre stata così brava. Ho imparato perlopiù tramite l'esperienza e molti tentativi falliti. Poco più di un mese fa, però, ho scoperto una piattaforma con corsi online molto curati e, nel tempo che non dedico alla CCG, cerco d'imparare qualche tecnica in più.»
    Era stata mia madre a regalarmi, per il Natale appena passato, due mesi d'iscrizione premium alla piattaforma "Skillshare." Io, prima, non la conoscevo, ma, stando a ciò che lei mi disse, aveva trovato lezioni interessanti sull'organizzazione del lavoro e sulla fotografia, un hobby che aveva scoperto di avere, viaggiando per il mondo. Le lezioni erano in inglese, lingua che non sapevo oltre il livello prettamente scolastico, ma lei aveva insistito affinché accettassi quel regalo. «Imparerai qualche tecnica in più e migliorerai il tuo inglese.» Mi aveva detto «La CCG opera in tutto il mondo. Magari, un giorno, potresti averne bisogno per qualche operazione congiunta.» Lei non sapeva come funzionassero le operazioni congiunte e, per il momento, nessuna di quelle mi aveva visto operare con colleghi di sedi straniere: ero ancora troppo impreparata, inesperta e poco importante. Solo il tempo avrebbe potuto dire se io fossi stata all'altezza di tali incarichi, ma, con le motivazioni datemi da mia madre, Skillshare mi avrebbe aiutato a essere più pronta e a diventare un'investigatrice migliore, obiettivo in cima alla mia lista delle priorità.
    «Tuttavia, il tempo che posso dedicarci non è molto.» Dissi, poi, un po' per informare il mio presunto superiore e un po' per ricordarlo a me stessa, «Ho scelto io di dedicare la mia vita alla CCG, quindi molto del mio tempo va alla Commissione, cosa che non mi dispiace. Quindi non posso ancora aver imparato troppo o essere migliorata sensibilmente. Come ho detto, la CCG viene prima.»
    Ero stata del tutto onesta, con lui, ma, subito dopo aver parlato, mi resi conto di quanto sbagliato potesse sembrare quel discorso in quelle circostanze. Dopotutto, ero una sua possibile sottoposta, che, in quel momento, avrebbe potuto sembrare intenta a ottenere un favoritismo fuori dal lavoro. In ufficio ero sempre tra i primi a entrare e tra gli ultimi ad andarmene, non rifiutavo mai gli straordinari e cercavo di utilizzare il mio tempo nella maniera più produttiva possibile e di dare il meglio di me negli allenamenti e nelle missioni. Avrei scalato da sola le graduatorie della CCG, perché non volevo solo fare carriera: volevo essere promossa fino ai ranghi più alti, quelli che molti non avrebbero mai raggiunto, consapevole del fatto di essere arrivata a quei livelli da sola e di essere semplicemente stata troppo abile, precisa, efficiente ed esperta per non venir passata di grado. Sarei stata l'ingranaggio migliore della macchina della CCG e non per aver fatto colpo su un mio superiore, ma per il mio livello di esperienza e abilità, che avrebbe dovuto essere impareggiabile. Sperai di non aver dato quell'impressione al mio presunto superiore, rendendomi conto, però, che, un po' per il fatto di aver parlato di argomenti interessanti, un po' perché avevo avvertito un cameriere e, presto, tutto sarebbe stato risolto, e, un po' perché stavo parlando con un mio superiore e non potevo mostrare segni di ostilità, il mio nervosismo stesse incominciando a scemare.




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    Milo Onishi
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    La vide allontanarsi mentre lui rimase lì ad aspettare, chiedendosi effettivamente perchè non se ne fosse scappato prima: la verità era anche che non gli andava di avere rogne a lavoro e quindi cercava di non fare passi falsi.
    Allo stesso tempo si credeva in una situazione in cui si sentiva parecchio stretto, dover fingere anche durante il suo giorno libero non gli andava poi così tanto, ma a quanto pare non sembrava avere scelta in quel momento.
    Un po', si sentiva in difficoltà a dover continuare quella discussione, non sapeva esattamente che altro dire, si chiedeva in effetti come poter continuare senza sentire il disagio e farlo avvertire anche alla sua interlocutrice: dopotutto erano in una situazione un po' precaria, dove ancora lui era in ''difetto'' per aver rovesciato quel caffè.
    Vederla rispondere in parte lo fece sospirare sollevato, anche perchè continuare a fare un discorso forse a monosillabi non era ciò che aveva in mente per quella giornata: forse era riuscito effettivamente a beccare un argomento che la tranquillizzasse o che non le seccasse raccontare.
    Forse era andato un po' a giocare facile visto che per forza di cose dubitava che disegnasse perchè non le piaceva o costretta, ma almeno si sentiva un po' meno a disagio nel sentirla parlare più spedita anche nei suoi confronti, sebbene avesse percepito un certo 'rispetto' che non si sentiva gli appartenesse.
    Forse proprio perchè un Onishi?
    La cosa non poteva non disturbarlo nuovamente nel profondo a pensarci, aveva idee ben chiare sulla sua famiglia: idee che non poteva di certo esprimere, non con una sconosciuta, per giunta della CCG.
    Certi pensieri li sapeva solo Junichi, e per il resto non è che riuscisse a nascondere spesso il suo astio per alcuni membri in particolare della sua famiglia, sebbene la tensione fosse palpabile durante le fantasmagoriche cene di famiglia.
    Dove tra l'altro cercava sempre di non esserci, senza riuscirci.
    «Il lavoro prende molto tempo» commentò vago, cosa che neanche lui sopportava. «Però ci sono giorni liberi e permessi...dovresti respirare un po' in più» Commentò, poichè la ragazza da come parlava sembrava tremendamente dedita alla CCG, una cosa pericolosa e nociva per lui: pensava a quell'organizzazione come a qualcosa di tossico e che andava cambiato.
    Il suo era un consiglio, probabilmente non richiesto, anzi...assolutamente non richiesto, e non era affari suoi, ecco perchè non si era sbilanciato più di tanto: la sua frase voleva apparire come un consiglio innocente, poichè non poteva dire ciò che realmente voleva o pensava.
    Quell'argomento infatti lo irrigidiva, era uno di quelli che odiava di più...vedere dei giovani più di lui spesso o della sua età, buttare la propria vita per qualcosa che secondo lui era marcia fin dall'interno.
    «Più per te stessa, che per la tua arte»
    Aggiunse, altrimenti temeva che si sarebbe inesorabilmente spezzata. E purtroppo non la vedeva uno scenario molto lontano dalla realtà se avesse realmente dedicato tutta la sua vita alla CCG.
    Ma giustamente, poteva attualmente apparire come il ''sei un onishi, hai tutte le possibilità di prenderti i permessi, tu non sgobbi come noi, non puoi capire ecco perchè parli così'': e lo avrebbe anche capito, per quanto in realtà era una cosa che lo irritava profondamente come ragionamento, era per la meritocrazia, non riusciva a pensare di avere un favoritismo solo perchè un Onishi. Purtroppo le persone spesso non ci credevano, dunque non sarebbe stata una novità per lui.
    «Il pericolo è sempre dietro l'angolo, ma dobbiamo essere al massimo sempre, il riposo è essenziale...Ma ovviamente...ognuno sfrutta il suo tempo come vuole»
    Lui ogni momento libero lo sfruttava per se stesso e per Junichi, non sarebbe altrimenti sopravvissuto in tutto ciò. E dopo ciò non avrebbe voluto che la discussione si evolvesse in qualcosa che voleva evitare con tutte le sue forze: mentire era all'ordine del giorno, e questa cosa gli aveva già fatto chiudere lo stomaco.


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    Kimiko Takeda
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    «Il lavoro prende molto tempo, però ci sono giorni liberi e permessi...dovresti respirare un po' in più, più per te stessa, che per la tua arte.»
    Ascoltai tutto ciò che ebbe da dire riguardo al riposo, cercando di capire che cosa volesse dirmi e arrivai a concordare con lui. Era vero, il pericolo era una costante, nel mio lavoro, e riposare era essenziale quanto allenarsi, in quanto avrebbe permesso alla mente di essere più lucida e al corpo di avere più energie. Tenere in equilibrio gli allenamenti e il risposo era difficile, per me, in quanto non mi piaceva l'idea di buttare via il mio tempo e tendevo sempre a cercare di essere il più produttiva possibile. Tenevo alla CCG e volevo dedicarle tutto il mio tempo, affinché meno persone possibili potessero rischiare di morire per mano di un ghoul. Era il mio modo di fare qualcosa di utile per il mondo e di dare un senso alla mia vita: eliminare i ghoul dalla faccia della Terra avrebbe reso il pianeta un posto migliore. A lungo andare, la CCG avrebbe cambiato il mondo e poter contribuire a quel cambiamento era ciò che motivava ogni mia giornata. Questa mia motivazione, però, mi faceva concentrare molto sugli allenamenti e, anche nei giorni di riposo, avevo molte cose da fare. Essere produttiva mi piaceva, ma il riposo ne risentiva. Tuttavia, cercavo sempre di andare a letto presto, per avere abbastanza ore di sonno per affrontare al meglio la giornata, e cercavo di dormire, lavoro permettendo, anche prima di ogni turno notturno. Cercavo, inoltre, di rilassarmi, nei miei giorni liberi e ad allenamenti e compiti fatti, per riprendere al meglio le attività lavorative dei giorni seguenti. Bilanciare le due cose non era facile, per me, ma ci mettevo tutta me stessa, allenandomi e riposandomi per rendere meglio alla CCG.
    «Capisco.» Dissi, dopo essermi resa conto che lui non avesse altro da dirmi. «Certe volte, trovare un equilibrio tra il riposo e gli allenamenti può essere difficile. Per ora, però, sto cercando di farmi bastare i turni di riposo.» Non avevo intenzione di prendermi permessi extra, in fondo. Tenevo alla mia produttività e iniziare a prendersi permessi l'avrebbe danneggiata, quindi riposarsi più del dovuto sarebbe stato fuori discussione. Purtroppo, inoltre, le mie giornate libere non erano del tutto libere, dal momento che avevo sempre qualche commissione da fare, come comprare cancelleria, pulirmi l'appartamento o andare in tintoria. Tuttavia, avrei potuto provare ad approfittare della disponibilità del mio interlocutore.
    Avevo la fortuna di avere davanti a me un Onishi, una persona che aveva sempre vissuto con investigatori di ghoul e che tale era diventato. Gli Onishi avevano fondato la CCG e, probabilmente, avrebbero potuto aver trovato un modo per trarre il massimo dal loro riposo e, magari, trasmetterlo di padre in figlio così come mia madre mi aveva trasmesso quelle piccole cose che mi avevano resa una donna curata. Era stata lei a insegnarmi come truccarmi, cosa che, per le occasioni speciali, facevo, come scegliere i miei vestiti e come prendermi cura del mio corpo nei modi che solo una donna conosce. Analogamente, se avessi scelto la strada della diplomazia, mi avrebbe insegnato i segreti del suo mestiere, cosa che mio padre avrebbe avuto intenzione di fare, se mi fossi arruolata. Forse, anche i suoi genitori, anni prima, avrebbero potuto insegnargli qualche trucco utile per la sua futura carriera, oltre che i metodi migliori per tagliarsi la barba, o avrebbero potuto suggerirglielo una volta dentro la CCG.
    «Se mi è permesso proporlo...» Iniziai a dire, per prepararlo alla domanda successiva, «... potrebbe essere utile confrontare i modi in cui ognuno di noi spende il proprio tempo libero.» Quella richiesta era molto personale e invadente, quindi, senza neanche smettere di parlare, mi sentii in dovere di spiegare che cosa davvero m'interessasse sapere. «Non intendo parlare di abitudini personali, bensì di trucchi organizzativi o modi per riuscire a trarre il massimo dal proprio riposo.» Conoscerli avrebbe potuto essere utile a entrambi, ma non avevo intenzione di risultare invadente con chi avrebbe potuto essere un mio superiore. Era stato rischioso proporre una tale domanda, ma, se non fosse stata gradita, mi sarei scusata. Avevo usato un tono serio per chiederla, lo stesso da me usato in precedenza, cercando di dare l'idea di non essere né un leccapiedi, né di essere interessata alla sua vita privata. Stavo solo cercando d'imparare qualcosa da un investigatore molto probabilmente più esperto di me e che aveva avuto almeno un genitore nella CCG, sempre che lui fosse a suo agio a condividere tali informazioni con me.




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    Purtroppo non era raro trovare quel tipo di persone alla CCG, così dedite alla causa, suo padre era uno di quelli, e allo stesso tempo dopo anni aveva trovato il suo equilibrio, ma era completamente assorto dalla sua missione di vita in quanto Onishi, contro il completo mondo ghoul.
    Probabilmente tutt'ora si sarebbe ribaltato nella tomba ad osservare le ''scellerate'' decisioni del figlio che disonorava ogni giorno la famiglia e la CCG stessa con la sua stessa esistenza e le sue azioni.
    Per fortuna, i morti non possono parlare.
    Forse un pensiero crudele e cinico da parte di Milo, ma era in completo disaccordo con quella vita, e sebbene lo nascondesse, non poteva che ammettere, che tutta quella discussione gli stesse particolarmente stretta.
    Stava andando oltre al suo tipico limite che metteva fra lui e il mondo, e quello, poteva essere molto pericoloso ai suoi occhi, ecco perchè ora più che mai cercava di rientrare dentro quei limiti più velocemente possibile.
    L'equilibrio, non era mai stato parte di se stesso, per nulla, lui era molto estremo nel bene e nel male.
    «Non può essere, lo è» Confermò, se non impossibile da parte sua, ma allo stesso modo c'erano persone che a quanto pare dopo anni di prove ci riuscivano...lui dubitava di riuscirci mai realmente.
    «Ci vuole tempo per queste cose»
    Aggiunse, sebbene, di nuovo, non credesse fosse una cosa fattibile per se stesso.
    Un po' si sentì tendere i nervi nel sentire quelle ultime parole...confrontare? Davvero? Proprio a lui lo chiedeva? Ah, be' avevano modi totalmente diversi di spendere il proprio tempo libero, e di certo, non sarebbe andato a dirlo alla prima che passava, sopratutto della CCG.
    Dubitava infatti che avessero gli stessi modi di scaricare stress e pensieri, lui tutto il tempo che poteva lo dedicava esclusivamente a Junichi, la persona più importante della sua vita, era dunque, suo dovere proteggerlo da quei pazzi esagitati della CCG.
    Nella mente paranoica di Milo, però, temeva che non rispondere sarebbe potuto risultare sospetto (non aveva tenuto in conto del fattore privacy in sè, ma oramai si guardava sempre le spalle, e anche quella volta non poteva essere diverso), dunque l'altra opzione era rispondere, ovviamente non con la verità, o forse ovattarla, in qualche modo doveva fare.
    «Non sarebbero comunque affari tuoi» Disse istintivamente, senza riuscire a trattenere quelle parole, ma poi decise comunque di continuare: la privacy era qualcosa a cui lui teneva moltissimo.
    Non si era preoccupato di sembrare brusco, semplicemente perchè lui teneva a proteggere la sua riservatezza con una completa sconosciuta.
    Non era dunque, tenuto a risponderle, a prescindere dalla richiesta che non voleva essere invasiva, ma Milo l'aveva comunque avvertita purtroppo come tale.
    «Però, una cosa che posso dirti è di fare qualsiasi cosa che non abbia a che fare con il tuo lavoro, starci sempre dietro diventa deleterio» Aggiunse, senza mezzi termini, senza girarci attorno. «Non essere schematica, alle volte anche il solo uscire senza sapere cosa fare è la cosa migliore che tu possa fare» E probabilmente dirlo ad una persona, che gli era sembrato a tatto una che organizzasse ogni singola ora della sua vita, era una vera e propria eresia.
    «Per quanto uno possa avere hobby particolari, il tempo che ci è concesso è limitato, sopratutto su questa terra»
    Era una cosa risaputa: non tutti gli investigatori sopravvivevano, forse neanche arrivavano ai gradi superiori, e non era di certo per demoralizzare nessuno, ma era la verità. Dire che erano al sicuro era una scemenza.
    «Non ci sono trucchi dunque, per poter trarre il massimo...solo scelte istintive»
    Per fino suo fratello e sua sorella adottavano quella tecnica, dedicandosi completamente a se stessi nei momenti liberi, perchè sapevano che non era sicuro che ci sarebbero stati il giorno dopo.
    «Ed essere egoisti verso se stessi» Aggiunse, forse non era una cosa da dire, ma anche quello, credeva che fosse vero: sopratutto con il loro lavoro, bisognava esserlo, avere un briciolo di amor proprio e dimenticare gli altri quando non si era intenti a salvarli.
    Nel suo caso specifico però, questo implicava non pensare a nessun altro se non a Junichi, l'unica vera motivazione per cui Milo continuava a camminare e andare realmente avanti.
    Dubitava che avrebbe allentato la presa nonostante ciò che aveva detto, nessuno cambiava abitudini così facilmente, ma alla fine una risposta l'aveva data.


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    «Non sarebbero comunque affari tuoi.»
    Ero mentalmente pronta a un rifiuto, ma il tono con cui quelle risposte arrivarono, brusco e quasi violento, riuscì comunque a ferirmi. Fare quella domanda era stato un errore e, a giudicare dal tono della sua voce, un errore molto grave, che non avrei mai più ripetuto. Era colpa mia. Un tono del genere, da un sospettato, sarebbe stato molto sospettoso, ma lui era un investigatore di ghoul e, per giunta, un Onishi. Non avevo motivo per sospettare di lui, ma ne avevo per sospettare di un mio errore. Dopotutto, avrei potuto star parlando con un mio superiore e un errore del genere, con qualcuno come lui, era imperdonabile.
    Ascoltai in silenzio tutto ciò che lui volle dirmi subito dopo, constatando il fatto che le sue parole stessero sempre di più andando nella direzione contraria rispetto alle mie aspettative. Avevo fatto dell'organizzazione la mia vita, l'inglese che mi era rimasto dalla scuola mi serviva anche a imparare come organizzarmi meglio e la mie routine cercava di massimizzare la produttività di ogni cosa. Quei consigli discordavano con tutto ciò che avevo imparato a mie spese e grazie alla mia caposquadra, l'investigatrice di Prima Classe Shimizu Yuka, colei che ammiravo per come avesse scalato i ranghi della CCG, la stessa Commissione creata dagli Onishi. C'era qualcosa di sbagliato in tutto ciò. Come avrebbe potuto un Onishi consigliarmi di perdere tempo, cosa che la mia caposquadra mi aveva insegnato a evitare? E, se si fosse sbagliata lei, come mai era stata promossa a investigatrice di Prima Classe senza aver nemmeno compiuto venticinque anni?
    Lei doveva avere ragione, ma questo avrebbe comportato un ulteriore problema: quanto sarebbero stati validi i consigli che stavo ricevendo? Commettere un errore grave come porre una domanda troppo invasiva era già imperdonabile di suo, ma aver commesso tale errore per niente sarebbe stato anche peggio. Decisi di analizzare a uno a uno i suoi consigli, scoprendo che, istintività a parte, erano tutte cose che già facevo. In fondo, per dare il meglio di me al lavoro, era necessario avere qualcosa di non-collegato al lavoro a cui alternare i compiti della CCG. Una volta finito con il lavoro, gli allenamenti, tutti i compiti correlati e le faccende di casa, avevo qualcosa da fare. Quello era il momento in cui coltivavo la mia arte, il disegno, cercando di fare qualcosa di bello per il semplice gusto di farlo e, per questo, prendendomela se le mie opere non fossero uscite bene. Ero molto precisa nel disegno, così come lo ero al lavoro, ma, nonostante l'intenzione, sempre presente, di creare qualcosa di buono e degno di esistere, disegnare non aveva mai smesso di rilassarmi e piacermi.
    Forse, era vero, avrei potuto cercare di uscire di più, magari iniziare a frequentare un parco o più di uno, in modo da utilizzarli per fare una corsa e godermi la vista senza smettere di essere produttiva, ma, altrimenti, non avrei visto il motivo di uscire, come se il mio scopo fosse altrove. Una volta resami conto per davvero di ciò che era successo tra me e Kaoru, avevo deciso di cambiare vita e di dedicarmi all'eliminazione dei mostri come lei. Il mio scopo era lì, alla CCG, e non avrei voluto passare diversamente il mio tempo. Non sentivo la mancanza di un amante, di un amico o di qualcosa. "Anzi, conoscendomi, è meglio che resti senza i primi due."
    Anche l'egoismo era qualcosa che avevo dentro, ormai, da anni. La mia parte altruistica, in fondo, si sfogava attraverso il lavoro e l'altra mia parte, quella più vecchia e caratterizzante, non era mai stata abbandonata. Da ragazza, erano il mio egoismo e il mio lasciar perdere la volontà dei miei genitori per stare con chi credevo che mi sarebbe stato accanto per sempre i miei modi di manifestare una forte tendenza all'appagamento delle mie voglie. Divenendo adulta tutta in una volta, utilizzai quella stessa forza sia contro i buoni a nulla che prima chiamavo amici, evitandoli per concentrarmi sul mio futuro, sia contro mio padre, confermando definitivamente il fatto che la tradizione militare della nostra famiglia non sarebbe continuata con me. Lui non mi aveva ancora perdonata e, forse, non l'avrebbe mai fatto, ma il mio scopo era la CCG e l'avevo raggiunto. Ormai ero dentro e il mio nuovo scopo era quello di eliminare quanti più ghoul possibile e di fare carriera, costruendomi una strada verso i ranghi speciali con le carcasse dei ghoul che avrei ucciso. Avrei dato tutto per quello scopo, perché era quello che motivava il mio continuare a camminare e andare avanti.
    Insomma, non avevo ottenuto niente, se non l'ira di un mio collega, forse un mio superiore. «Chiedo scusa per la domanda indiscreta.» Dissi, ritornando a irrigidire il mio tono di voce, seppur, questa volta, perché mi sentivo in colpa io e non per far capire a lui il fatto che dovesse provare tale emozione. Ero seria, quando gli avevo posto quell'interrogativo, così come lo ero in quel momento. Non dissi altro, forse per troncare la discussione o, forse, perché temevo che qualunque altra cosa avessi detto o fatto avesse potuto solo peggiorare la situazione. Avrei lasciato a lui la conduzione della discussione. Se avesse voluto continuare a parlare, gli avrei risposto, ma, per evitare di soffermarsi inutilmente su un argomento che a lui, a quanto sembrava, non fosse piaciuto, decisi, per il momento, di non parlare ulteriormente.




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    Milo Onishi
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    Immaginava che quella risposta avrebbe dato il via di nuovo ad una chiusura, non avrebbe voluto ritornare nuovamente al punto di partenza, ma, allo stesso tempo, non aveva potuto fare diversamente.
    Sapeva che i suoi consigli potevano non essere condivisi dalla maggior parte dei cadetti alla CCG, eppure era il suo modo di fare, quello che gli aveva permesso di non impazzire e sopravvivere, pazienza se non fosse condiviso.
    Aveva una visione forse completamente diversa, anzi, ne era consapevole di averne, ma allo stesso tempo non gli sembrava poi così distante dall'essere un buon consiglio.
    Era fermamente convinto che chi le diceva di doversi auto-annullare per la CCG, non voleva di certo il suo bene: ma, ancora, non erano affari suoi.
    Non lo sarebbero stati ora, ne mai, e dunque se aveva scelto una strada, non sarebbe stato lui a tirarla via da quella.
    Sospirò, rendendosi conto di essere sembrato anche piuttosto brusco, ma non era riuscito a fare diversamente: in tutto ciò credeva di non poter tornare indietro, ne rimangiarsi le parole, nè voleva farlo.
    Non sapeva cosa dirle, davvero: gli era stato chiesto scusa, un po' si ridimensionò a quelle parole.
    «Oramai è andata...»
    Commentò, prima di aggiungere altro. «...ma accetto le scuse» Finì, in tono più neutrale, ora erano arrivati al brutto bivio del...cosa dire ora?
    Non aveva la più pallida idea, nuovamente, di come far muovere la conversazione: non voleva continuarla se sarebbe finita nuovamente in imbarazzo, ma alla fine ci era finita lo stesso, quindi...
    «La privacy è una delle cose che devi tenerti più stretta» Disse semplicemente, e quello era davvero un consiglio dato con le migliori intenzioni.
    «Perchè più avanti andrai, meno ne avrai...e ti mancherà, credimi» Lui in qualche modo lo sperimentava già essendo semplicemente un Onishi, ma sapeva anche lui che sarebbe stata ancora più dura quando avrebbe fatto carriera all'interno dell'organizzazione.


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    Kimiko Takeda
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    «Ormai è andata, ma accetto le tue scuse.» Purtroppo, però, l'errore era stato già commesso. Non dissi nulla, perché non credevo che ci fosse niente da dire: prendermi una libertà con un mio possibile superiore aveva portato solamente a conseguenze negative e, rifacendomi a ciò che era appena accaduto, decisi che non rischiare fosse la scelta migliore.
    «La privacy è una delle cose che devi tenerti più stretta.» Disse, allora, lui. «Perchè più avanti andrai, meno ne avrai...e ti mancherà, credimi»
    Che cosa intendeva? Non riuscii a trovare una risposta a quella domanda, ma sapevo che sarebbe stato meglio seguire quel consiglio. In fondo, anche quel consiglio era qualcosa che già mettevo in pratica per conto mio. Ero consapevole di non avere dialogo coi colleghi, all'infuori della CCG. Nessuno mi aveva presa in simpatia, né io avevo cercato di compromettermi per attirare qualche sorriso. Semplicemente, non m'interessava perdere tempo coi colleghi: volevo fare il mio lavoro al meglio e, poi, andarmene a casa. Forse, all'interno della Commissione, gli unici a sapere di Kaoru erano gli investigatori che avevano indagato su di lei e l'avevano rinchiusa a Cochlea. Non avevo idea di quanto lei sarebbe stata ancora utile alla causa, ma sperai che le indagini su di lei si concludessero quanto prima e che lei venisse freddata quanto prima. In fondo, il tempo che avevo passato con lei era qualcosa che avrei preferito tenere per me. Il mio passato non avrebbe giovato al lavoro, né il fatto che, purtroppo, non riuscissi a trovare interesse negli uomini. Tutto ciò avrebbe potuto solo ritorcermisi ulteriormente contro. Nessuno lo avrebbe saputo.
    «Lo terrò a mente.» Dissi, senza alcuna traccia d'ironia, convivialità o altre emozioni. Cercai di essere seria, perché ero convinta che la serietà, coi superiori e coi colleghi, non fosse mai troppa.
    Non aggiunsi altro, ma, a interrompere la discussione, pensò il cameriere di prima, che, chiedendo educatamente scusa, iniziò a passare uno straccio sul tavolo. Decisi di spostarmi, per permettergli di lavorare più comodamente e, approfittando del fatto di essermi mossa, andai a ricontrollare i fogli che, pur essendo sempre in pessime condizioni, almeno si erano asciugati abbastanza da poter essere messi nell'album senza creare ulteriori danni. Infilai tutto nell'album da disegno, per, poi, mettere il tutto nella busta degli acquisti e riprendere anche il mio cappotto, che tenni piegato in due, appoggiato alla mia mano destra, mentre la sinistra teneva i miei acquisti di poco prima. «La ringrazio.» Dissi al cameriere, prima che se ne andasse, poi tornai a rivolgermi al mio interlocutore.
    «Ormai, i fogli si sono asciugati.» Dissi, come se volessi giustificare il fatto di aver raccolto le mie cose, per paura che gli sembrasse che volessi andarmene. In un certo senso, era così: non avevo niente da fare, in quella caffetteria, se non rimanere a conversare, tra l'altro in piedi, col mio presunto superiore. Per di più, avevo anche già pagato. Avrei dovuto allenarmi, quella sera, poi avrei potuto riposarmi, rilassarmi e guardare videolezioni di disegno fino al momento di dormire, ma prima avrei dovuto uscire da lì, comprare un altro album e, poi, trovarmi qualcosa da mangiare per pranzo che non fosse così pesante da compromettere i miei allenamenti di quella sera. Forse, a seconda di come fossero andati gli allenamenti, mi sarei concessa un dolce, a cena, ma non era il momento di pensarci e avevo già mangiato un dolce, quel giorno. Presi, alla fine, la decisione di andarmene davvero, perché perdere tempo, in quel momento, non mi sarebbe servito nemmeno a rilassarmi. Riposare più tardi sarebbe stato più efficace: l'indomani avrei avuto un nuovo turno alla CCG e avrei dovuto essere pronta.
    «Con permesso, Investigatore Onishi, ora dovrei andare: ho dei compiti che mi attendono.» Salutai, quindi, con un inchino leggermente più profondo del normale, accompagnando il gesto dicendo: «È stato un piacere conoscerLa. Buona giornata.» Da ottima Investigatrice di ghoul, cosa che mi sforzavo di essere il più possibile, mi sarei fermata e sarei tornata indietro, se lui mi avesse fermata, ma, se nessuno mi avesse chiamata, mi sarei diretta verso l'uscita, avrei indossato il mio cappotto, la mia sciarpa, i miei guanti e me ne sarei andata prima in cartoleria e poi nel mio appartamento: i miei compiti giornalieri non erano finiti e, per arrivare pronta al turbno dell'indomani, adempiere a tutti loro era un mio inderogabile dovere.




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    Milo Onishi
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    Milo si sarebbe ricordato di certo quella giornata, e ora un po' temeva di incontrare nuovamente la collega per i corridoi della CCG.
    Quando non conosceva le persone, poteva ignorarle, poi significava doverle salutare, ma in parte sperava che dopo quell'episodio si sarebbero limitati a quello a lavoro.
    La verità era che, meno aveva a che fare con la CCG, più la lasciava fuori dalla sua vita priva, o quel poco che gli rimaneva, meglio era per lui, anche se ciò implicava al restare irrimediabilmente solo.
    Aveva però la convinzione che chiunque fosse lì, o almeno, la maggior parte, avrebbe potuto costituire un pericolo per se e per il suo segreto, ecco perchè non voleva far avvicinare nessuno.
    Aveva perso da tempo la fiducia nell'umanità, quello sicuramente.
    Si fece indietro quando arrivò il cameriere per pulire il tavolo, sospirando appena, e stette attento a ciò che disse la ragazza: forse era un segnale che se ne sarebbe andata?
    A quanto pare era così, perchè aveva raccolto tutte le sue cose, forse, aveva raggiunto anche lei il limite di sopportazione nello stare a contatto con Milo e neanche l'avrebbe biasimata.
    Non era per nulla una persona facile.
    Nonostante vivesse in Giappone da praticamente tutta la vita, sua madre aveva influenzato parecchio il suo modo di comportarsi, motivo per cui, si trovava ridicolo mentre si inchinava per salutare qualcuno, ma sapeva che alle volte era necessario.
    Era però, fortemente legato ad un comportamento estremamente occidentale, quello Americano per giunta.
    Si inchinò leggermente, come forma di saluto , non come l'altra , non si sentiva per nulla a suo agio in quel contesto, anzi, forse era sembrato anche un po' buffo, o forse era solo una sua impressione.
    Pensò però che almeno questo un po' glielo doveva, uno sforzo, visto quel che aveva combinato, anche se non per colpa sua...non del tutto almeno.
    «Certo, comprendo...»
    Aveva detto.
    «Anche per me, buona giornata»
    Parole di cortesia, ma che erano giuste in quel momento, così non la fermò ma la lasciò andare, vedendo che usciva dalla caffetteria...lui invece, sarebbe rimasto in caffetteria, aveva decisamente bisogno di un altro caffè.


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