We're kings of the killing, we hunt for blood

[CONCLUSA] ASTRID NYSTRÖM & VICTOR KRIEGER | STREETS - 20/11/2020 NIGHT (22:30, NUVOLOSO)

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    Victor era stato chiaro: non voleva rotture di coglioni. Non era facile definire il suo concetto di rottura di coglioni, ma un collega esaltato e alle prime armi come compagno di ronda rispecchiava più o meno il sentimento.
    «Brr. Questa desolazione fa quasi venire i brividi, non trova Primo Grado Krieger? Sembra proprio la serata adatta per incontrare un ghoul!»
    «Fossi in te non spererei d'incontrarne uno.» rispose Victor a quell'affermazione, non meno seccato del solito.
    Le strade dell'undicesima circoscrizione erano sul serio semi-deserte, probabilmente perché era metà novembre inoltrata e le temperature avevano finalmente cominciato ad abbassarsi. La settimana prima non aveva fatto altro che piovere. Normalmente Victor non sarebbe stato di pattuglia in quell'area così a sud dal centro di Tokyo, ma apparentemente il collega con cui era stato accoppiato per la sorveglianza di uno dei quartieri di Shinjuku aveva chiesto di essere riassegnato perché non lo sopportava, tuttavia dato che lavorava già da parecchio tempo a dei casi riguardanti i Raptors che si trovavano lì, alla fine avevano riassegnato lui, che era finito nel distretto di Ota.
    A Victor ovviamente non importava, quello che faceva da una parte lo faceva dall'altra. Gli bastava, appunto, non avere rotture di coglioni. O averne poche. E invece no, gli avevano assegnato un collega di classe più bassa.
    Ora, non che il problema fosse quello. Vero, Victor fino a quel momento era sempre stato appaiato ad investigatori di grado pari o più alto, fino a che qualcuno non aveva detto che, beh, era un primo grado, non poteva mica aspettarsi di lavorare sempre con un prima classe, no? Doveva essere in grado di gestire anche qualcuno di più immaturo e comportarsi da senpai responsabile.
    Onestamente, gli era sembrata un po' una scusa, ma aveva ascoltato a braccia conserte e non aveva battuto ciglio, come al solito. Poi gli avevano presentato Toruu. Ventiquattro anni, capelli neri medio-lunghi, occhi celesti ereditati da chissà quale branca di parenti europei, diplomato all'accademia della CCG da soli tre mesi.
    Quello era stato il problema.
    Non perché fosse inesperto, Victor aveva addestrato parecchi soldati in vita sua, ma perché era la persona più impicciona con cui ricordava di avere avuto a che fare da un anno a questa parte. Non stava zitto un secondo, e fremeva dalla voglia di incontrare i ghoul quasi non avesse altro motivo di vivere. Insomma, un esaltato. Eppure, al di là di questo, era una persona normale. Senza alcuna tragica storia alle spalle e animato solo dal classico desiderio giapponese di fare carriera. Ad una persona con zero problemi per la testa sarebbe quasi venuto da chiedersi come mai avesse scelto di diventare un assassino: fortunatamente Victor non era tra questi, a lui importava che facesse il suo lavoro e che lo facesse in modo decente. Toruu non aveva alcun segno distintivo: aspetto normale, carattere normale, vita normale. L'unica sua particolarità era forse quella sua anormale capacità di sopportare Victor. Ormai erano due settimane che lavoravano insieme e non si era ancora lamentato.
    Al momento erano lì ad indagare perché già tre persone avevano segnalato alcuni movimenti sospetti nell'arco della stessa settimana.
    «Beh, ma prima o poi dovrò incontrarne uno. Meglio ora che in futuro, almeno mi abituo subito.» fece eco, il più giovane.
    Victor sbuffò come un drago disturbato dal proprio sonno, ma non rispose. Toruu gli camminava davanti di qualche metro, la divisa in ordine e la custodia contenente la sua quinque sulla spalla. Una Koukaku a forma di scudo triangolare di circa centoventi centimetri di altezza, nella sua forma a riposo assomigliava ad una semplice tavola di legno rettangolare. Victor non l'aveva ancora vista in azione, ma a quanto aveva capito - una volta attivata - diventava una sorta di scudo medievale i cui bordi erano taglienti, e che volendo poteva essere usata anche come arma contundente.
    Avrebbe dovuto essere infastidito dal fatto che l'altro gli camminasse davanti, essendo lui di grado più alto, ma in realtà preferiva così, non sapeva perché, ma credeva di aver bisogno di tenerlo d'occhio.
    «Ah-! Potremmo fare così! Io vado a controllare quel vicolo laggiù avanti, e lei può andare dall'altro lato della strada, così finiamo prima.»
    Onestamente Victor voleva solo fumare.
    «Mi declassano se ti lascio solo, idiota.» ringhiò.
    L'altro non lo ascoltò più di tanto e si diresse in avanti a passo spedito, esclamando qualcosa che suonò come "non si preoccupi!" e distanziandolo di qualche metro.
    E Victor per un attimo ci credette pure.
    Sembrava una serata tranquilla. Li avevano spediti ad Ota proprio perché di norma non lì non succedeva nulla degno di nota, no? Come detto, voleva solo fumare.
    Nessuno lo avrebbe ucciso per una sigaretta sul lavoro. O gli investigatori non avevano diritto alla classica pausa sigaretta?
    Non fece nemmeno in tempo a finire di formulare il pensiero. Da lontano, vide Toruu affacciarsi sul vicolo e portare la mano alla custodia della propria arma, di colpo rigido come un tronco di legno, ed intuì immediatamente che qualcosa non andava.
    «Cazzo.» mormorò, a fior di labbra, portando la mano alla cintura, dove teneva le quinque, ma anche la radio per contattare il quartier generale. Dietro quell'angolo c'era qualcosa che non doveva esserci.
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    Edited by Ryuko - 26/1/2021, 21:06
     
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    Non c’era niente di meglio, per me, di avventurarmi nei vicoli di Tokyo. La temperatura della città ad autunno inoltrato era simile a quella di Stoccolma in estate, quindi, finalmente, il caldo torrido e insopportabile di quest’ultima era finalmente terminato. Sopportare meglio le temperature voleva dire, per me, cacciare con ancora maggior frequenza. Dopotutto, perché trattenersi quando il primo accenno di una kakuja poteva essere a un kakuhou di distanza? Erano ormai anni che controllavo la mia kagune giorno dopo giorno, rimanendo sempre delusa, ma sapevo che una mutazione così drastica non sarebbe avvenuta in poco tempo. Mi servivano più cellule RC, quindi più sforzi e più tempo per sforzarmi. Niente che non avrei ottenuto. Ormai ero andata troppo avanti per poter tornare indietro e non mi sarei fermata senza il mio trofeo di caccia. Sfortunatamente per qualcuno, quella notte avrei cacciato. Fortunatamente per me, non sarei tornata a casa a mani vuote.
    Hive, nei primi tempi, aveva eliminato molti clan ghoul violenti a Stoccolma per prendersi i loro territori. Addentrandomi a Shinjuku, avevo imparato a mie spese che cosa significasse trovarsi nel territorio sbagliato, ma presto sarei stata in grado di cacciare indisturbata in tutta la città, Ventiquattresimo Distretto incluso. Già pregustavo tutto ciò che la vita mi avrebbe dato: sarei stata abbastanza forte da non essere disturbata nemmeno dalla CCG e qualunque ghoul mi avrebbe temuta e rispettata o sarebbe stato un esempio per gli altri. Il mondo sarebbe stato costretto a sorridermi e soddisfarmi per sempre, ma prima avrei dovuto diventare abbastanza forte da potermelo permettere. Per il momento, scegliere le mie prossime mosse con cura sarebbe stato fondamentale.
    Avevo già cacciato diverse volte a Ota, quindi sapevo che, bene o male, sarei tornata a casa sazia. Ormai sapevo anche dove lasciare i vestiti e cambiarmi senza essere vista. Magari, in futuro, avrei potuto aprire un’attività di copertura e far pagare i miei clienti ghoul per cambiarsi in segreto prima di andare a caccia. Chissà che non mi tornasse indietro qualcosa, in termini di conoscenze e semplicemente pecuniari. Per quelle considerazioni, però, era ancora troppo presto.
    Mi cambiai e uscii dal vicolo col mio ultimo abito, cortesia di un ottimo sarto non troppo locale. Avevo abiti neri da caccia fatti su misura, abbastanza larghi da non lasciare intravedere le mie forme nel dettaglio e abbastanza stretti da non intralciare i miei movimenti. Li adoravo. Avevano anche un cappuccio capace di attaccarsi alla maschera e nascondere i miei capelli, legati dietro la testa affinché m’intralciassero il meno possibile. La cosa che preferivo, però, era la maschera. Era anch’essa nera e, sotto l’occhio sinistro, aveva quattro graffi paralleli dorati, da cui usciva anche una goccia di sangue. Avevo sempre desiderato una maschera che mi coprisse tutto il volto e potesse liberarmi la bocca a piacimento. Infatti, solo la parte che mi copriva fino al naso era saldamente attaccata al mio viso. L’altra utilizzava magneti per reggersi e, per quanto i primi giorni avessi paura di dovermi abituare a fare pochi scatti repentini, constatai con felicità quanto quei magneti potessero essere forti.
    Ero contenta dei miei nuovi abiti da caccia: erano talmente comodi che me li sarei anche messi in casa, ma la caccia, invece, non mi aveva accontentata ugualmente. Non avevo trovato nemmeno un ghoul da quando ero uscita. Avevo addirittura ucciso un umano per attrarre i miei simili con l’odore della sua carne, ma nemmeno quello era bastato. Ormai ero fuori da più di un’ora e stavo iniziando a perdere la pazienza. Sapevo che un mio possibile bersaglio non si sarebbe fatto aspettare, eppure non ne avevo ancora visto uno. Che qualcuno avesse fiutato la mia esca e stesse aspettando che facessi una mossa sbagliata? Avrebbe potuto essere il caso, quindi perché non provare a fregare chi avrebbe potuto pensare di essere più furbo?
    Mi avvicinai alla mia esca, staccando la parte inferiore della maschera e tenendola in una mano, mentre, cercando di dissimulare il mio stato di allerta, staccai qualche morso da quello che avrebbe dovuto essere un diversivo. Qualche minuto più tardi, mentre ancora ero intenta a masticare lentamente, un rumore di passi si fece sempre più vicino.
    “Finalmente!” Pensai, riattaccando le due parti della mia maschera. Sollevando la testa, però, mi accorsi subito che quell’essere aveva qualcosa di sbagliato. Era vestito troppo bene per essere un ghoul e la sua rigidità mi fece intuire quanto poco fosse abituato a vedere la vera cima della catena alimentare. Tuttavia, il suo primo istinto non fu correre via, ma portare una mano verso una custodia.
    “En quinque!”
    Desiderosa di trovare qualche mio simile o di finire il mio pasto di consolazione com’ero, una squadra di colombe era l’ultima cosa che volevo incontrare. Ormai, però, scappare era impossibile. La mia lunga attesa era stata premiata solamente da esseri inutili, che non avrebbero potuto nutrirmi meglio di ciò che già stavo mangiando. Tuttavia, non tutto era perduto. Quel ragazzino avrebbe potuto farmi da sacco da boxe prima che tornassi a casa, permettendomi di sfogare la frustrazione e di allenarmi un po’. Inoltre, non avevo mai preso in mano una quinque, quindi perché non provare con la sua?
    Scattai verso di lui mentre la mia kagune prendeva forma. Se lo avessi raggiunto, per lui sarebbe stata la fine. L’avrei attaccato alle gambe usando le code, puntando a sbilanciarlo. Il mio piano era tramortirlo o ucciderlo in fretta: sapevo troppo bene che gli investigatori della CCG non andassero mai in giro da soli. Avrei potuto divertirmi con chiunque fosse con lui.
    Non appena fui abbastanza vicina, tentai di disarmare la quinque con le code, usandone una per parare eventuali colpi e l’altra per avvicinarmi il più possibile al suo braccio. Se ci fossi riuscita, glielo avrei tagliato di netto. Dopodiché sarebbe stata solo questione di coglierlo impreparato e lanciarlo con forza verso una parete. Con un po’ di fortuna, avrei potuto tramortirlo e prendere la sua quinque per ucciderlo. Tuttavia, prima di compiere quest’ultima azione, avrei dovuto vedermela con qualunque altra colomba nell’area. Avrei preferito abbattere e mangiare un ghoul, ma, in loro assenza, mi sarei accontentata. Ero nata per essere una jägare, per uccidere chiunque mi si opponesse e per mostrare al mondo quanto fossi pericolosa. Quella notte ero intenzionata a dimostrarlo.


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    Edited by Antoil69 - 1/3/2021, 08:09
     
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    Era sempre così che funzionava. Tutti smaniosi di andare in guerra, proteggere il proprio paese, incontrare i ghoul, fino a quando poi non ti ci ritrovavi veramente faccia a faccia e capivi che di bello non c'era niente. Al massimo ti ci potevi abituare, e poi dopo un po' le cose smettevano di impressionarti; oppure ti ossessionavi e perdevi la testa per il sangue, come Victor. Tooru era ancora un novellino quindi era un po' presto per stabilire a quale categoria si sarebbe trovato ad appartenere. Quello che era certo, era che stando con Victor non sarebbe rimasto puro per sempre, dovendo assorbire la sua lenta e nociva capacità di diffondere negatività ovunque.
    Beh, sempre che fosse uscito vivo di lì. Non era proprio il momento adatto per parlarne. Tooru era addestrato, ma il non aver mai incontrato un ghoul prima di quel momento gli sarebbe potuto essere fatale come no, se non avesse fatto attenzione. Mini-Victor Toruu scattò improvvisamente all'indietro con un colpo di gambe, senza dare le spalle a qualunque cosa ci fosse nel vicolo, e Victor vide una frusta cremisi infrangersi sul suolo, nell'esatto punto in cui meno di un secondo prima si trovava il più giovane. Il ragazzo sfoderò e attivò la sua quinque, manifestando uno scudo di una sfumatura scura venato di rosso scarlatto. Fu veloce, ma non abbastanza. La kagune color porpora del ghoul vestito di nero emerso dal vicolo al suo seguito, lo colpì sul braccio sinistro, lasciandovi un taglio netto e probabilmente piuttosto profondo; Toruu strinse i denti e non emise un lamento, da bravo giapponese modello, ma la sua camicia si macchiò comunque di rosso e, meno di un istante dopo, venne sbalzato via dalla mastodontica forza avversaria.
    Forse il suo errore era stato voltarsi appena in direzione del proprio superiore per cercarlo con lo sguardo in cerca di non si sa cosa, l'agitazione - a volte - fa comportare le persone in modo assurdo, Victor lo vide sbattere la schiena contro una delle transenne che delimitavano il marciapiede e lo sentì emettere un sofferto lamento soffocato.
    «Tch. Fanculo.» soffiò, con la sua solita gentilezza, e mise mano alla quinque. Non ebbe bisogno di ragionarci molto, le distanze erano quelle che erano, già sapeva che non lo avrebbe raggiunto in tempo correndo, non prima che lo facesse il ghoul quantomeno, quindi sfoderò una delle sue pistole e sparò. Un colpo diretto al bersaglio ed uno poco più avanti, con un millisecondo di ritardo, volto ad impedirgli proprio di scattare in avanti ed avvicinarsi all'investigatore che aveva appena tramortito. Nella sua testa, la priorità andò a due cose: la prima, impedire che uccidesse il suo compagno; la seconda, impedire che si appropriasse della quinque di quest'ultimo, perché se un ghoul era pericoloso... figurarsi un ghoul con una quinque.
    Se avesse avuto successo nel mettere all'erta la figura incappucciata facendogli capire che era sotto tiro, Victor si sarebbe avvicinato con un rapido scatto al collega steso a terra, frapponendosi fra lui ed il ghoul, solo per constatare che Toruu era ormai privo di sensi: doveva aver preso un colpo in testa nello sbalzo precedente.
    E se quello mandava a farsi fottere tutte le sue possibilità di abbattere quella creatura, creava anche un altro problema: da solo, non credeva di essere in grado di impedirgli di scappare, se quello lo avesse voluto. Lo considerava un problema perché Victor odiava il pensiero di perdersi un'occasione per andare a caccia. Ultimamente aveva svolto parecchie indagini per conto della CCG, ma i ghoul si incontravano meno spesso di quanto avrebbe voluto, quindi non gli restava che sperare di non aver incontrato una bestia codarda.
    Tenendo la pistola tesa di fronte a sé, pronto a far fuoco al minimo movimento allarmante del nemico, analizzò velocemente la situazione: il ghoul aveva già mietuto una vittima, alle sue spalle, nel vicolo, riusciva ad intravedere ciò che ne rimaneva; aveva una bikaku, il che lo metteva in condizione di vantaggio, e... dai vestiti e dal volto non si capiva, ma dalla statura e dalla corporatura Victor ipotizzò d'aver di fronte una femmina.
    Toruu avrebbe dovuto essere il suo supporto, ma ora non solo era svenuto, era anche ferito e Victor non poteva certo mettersi a medicargli la ferita sebbene avesse le sue basi di pronto soccorso, sarebbe stato come offrire un banchetto a... quella cosa là. Sospirò. Beh, sempre meglio vedere il bicchiere mezzo pieno, no? Per lo meno, non doveva preoccuparsi di nascondere la sua sete di sangue, ora. Prese dalla cintura la radio usata per comunicare con il quartier generale e la portò affianco al volto.
    «Primo Grado Krieger. Ota-City, 3 Chome 5-2. Ghoul sconosciuto. Agente ferito, ho bisogno di rinforzi.» annunciò, comunicando nome e posizione ad alta voce. comunicando nome e posizione ad alta voce. La ghoul avrebbe potuto sentirlo senza problemi. Victor non ebbe la minima cura di nascondersi, anzi. Annunciare il nome sul campo di battaglia era segno della convinzione di essere in una posizione di potere. Era l'arrogante definizione di "non ho paura di te". Attese due miseri istanti prima di sentire un "ricevuto" in risposta. Ogni tanto essere sintetici faceva bene.
    Ora iniziava il conto alla rovescia.
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    La colomba scattò all’indietro mentre il suo scudo si formava. Aveva evitato il mio attacco per pura fortuna, ma la dea bendata aveva deciso di voltargli le spalle subito dopo. Che cosa credeva di fare quell’umano? Credeva davvero di riuscire a battere un ghoul in velocità? Di fatto, quello scudo lo aveva rallentato parecchio. Raggiungerlo e metterlo al tappeto fu facile, ma sapevo che, da bravo investigatore, non sarebbe mai uscito da solo.
    Tentare di scattare in avanti per finirlo sarebbe stata l’opzione migliore. Se fossi stata io quella con la pistola, l’avrei sistemato molto volentieri per concentrarmi sul suo compagno, ma sarebbe stato stupido non agire con cautela in quell’istante. Infatti, come per mostrarmi quanto avessi ragione, il compagno in questione attirò la mia attenzione con qualche sparo.
    Scattai all’indietro quasi istintivamente. I proiettili sarebbero stati più veloci di me, ma riuscii a evitare che mi colpissero in punti vitali. Un dolore al braccio destro mi avvertì di una ferita superficiale. Un proiettile non mi aveva mancata, ma la rigenerazione avrebbe sistemato quel danno in poco tempo. La manica, però, non si sarebbe riparata da sola.
    Con mia grande sorpresa, quel cretino smise di sparare. Sfortunatamente per lui, mi diede tempo di osservare meglio tutto ciò che avevo intorno. La cosa più interessante, stando a una rapida analisi, si rivelò lui. La sua arma non sembrava una pistola d’ordinanza: non ne avevo ancora vista una con un coltello innestato. Probabilmente era la sua quinque, il che voleva dire un’ukaku. In uno scontro a distanza avrei sicuramente avuto la peggio e probabilmente lui si aspettava un mio scatto verso il suo compagno per prendere lo scudo. Avrei dovuto coglierlo di sorpresa e avvicinarmi. Una volta abbastanza vicina, sarebbe stato alla mia mercé.
    L’altezza di quell’umano era notevole. Avrebbe potuto far paura a qualcun altro, ma non a una ghoul. La sua pistola era tutto ciò che lo separava dal diventare una bistecca, nonché tutto ciò che avrei dovuto toglierli. Tuttavia, quando sollevai lo sguardo all’altezza del suo, trovai qualcosa d’inaspettato ad accogliermi.
    Era raro trovare umani così alti anche per chi veniva dalla gelida Svezia, ma trovare lo stesso due volte era quasi uno scherzo del destino. Non appena riconobbi quel gorilla dell’Hanami, la mia bocca si curvò in un sorriso sardonico.
    «Primo Grado Krieger. Ota-City, 3 Chome 5-2. Ghoul sconosciuto. Agente ferito, ho bisogno di rinforzi.»
    Avrei voluto scattare direttamente verso di lui, ma decisi di lasciarlo finire non appena sentii il suo nome. Non gli sarebbe servito, dopo quella notte, ma decisi di tenerlo a mente.
    “Trevligt at träffas.” Pensai, divertita “Jag heter Astrid.”
    Aveva chiamato i rinforzi, come mi aspettavo. Avrei potuto scattare e fermarlo prima che indicasse la sua posizione, ma anche il mio stare ferma aveva un significato. Lui era la mia preda, il mio antistress del giorno, che non avrei lasciato andare fino a quando non fossi stata soddisfatta. Niente avrebbe potuto salvarlo, nemmeno i suoi rinforzi. Ero sicura di me, di tutte le volte che avevo combattuto loro o i miei simili e del fatto che non avessi di certo paura di lui. “Chiamali pure. Sei comunque già morto.”
    Krieger aveva una pistola e, probabilmente, sapeva come usarla. La mia kagune, invece, aveva un raggio molto più corto. Avrei dovuto avvicinarmi.
    Utilizzai la mia kagune come una molla per spingermi il più possibile verso il muro alla mia sinistra, cercando di prepararla a rifare lo stesso ancora e ancora. Muovendomi a zig-zag sarebbe stato più difficile per lui prendere la mira. L’unica cosa rimasta da fare, quindi, sarebbe stata avvicinarmi attraverso scatti a destra e a sinistra. Una volta abbastanza vicina, l’avrei fatto pentire di essere nato con un rapido affondo nell’addome, cortesia di una delle mie code. Se ci fossi riuscita, il divertimento sarebbe appena iniziato, in quanto avrei subito pensato a bloccargli il braccio con cui teneva la pistola con le mie mani per poi strapparglielo via. Solitamente agivo in fretta e puntavo subito a uccidere, ma con lui sarebbe stato diverso. Avevo passato una pessima serata, qualche mese prima, per colpa sua. Era più che giusto che in quel momento fossi io a divertirmi.


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    Se avesse avuto tempo da perdere, Victor avrebbe potuto giurare che quella Ghoul gli si fosse mentalmente appena presentata davanti, pur senza proferire una parola.
    Fortuna che di tempo da perdere non ne aveva.
    La soddisfazione di averla colpita svanì all'istante. Victor aveva i suoi modi di fare le cose ed adagiarsi sugli allori non rientrava fra di essi. L'istinto gli diceva che ci fosse un qualche ironico paradosso in quella situazione, come una fregatura sottesa in un'offerta che sembra anche troppo conveniente, ma più che prestare attenzione non poteva fare, quindi si convinse rapidamente che fosse solo attrito insito di due esseri, nemici per natura, portati a scontrarsi fra loro. Giusto o sbagliato che fosse, non lo riguardava.
    Aveva un compagno ferito e, sebbene fosse sbagliato dire che gl'importasse della sua sorte, aveva il dovere - come collega - di difenderlo e, se possibile, abbattere il ghoul.
    Ad onor del vero, Victor si aspettava che raccogliesse gli scarti della sua preda e che scappasse, perché ancora non gli riusciva distinguerli da degli animali inseguiti dai bracconieri. Feroci, ma pur sempre animali.
    E non era detto che avrebbe mai imparato, a distinguerli.
    Quindi quando scorse, nella media oscurità di quel vicolo che dava sulla strada principale, la kagune della ghoul molleggiare contro i muri, dapprima se ne sorprese, poi quella strana e familiare sensazione, quella lussuria che provava nei confronti della violenza e della lotta, cominciò a pervadergli le membra, rendendolo qualcosa di molto vicino all'uomo più felice sulla faccia della terra.
    «Quindi non scappi.» ghignò, una velata soddisfazione negli occhi dorati. Non era una vera domanda, è che ogni tanto, quando si eccitava a quel modo, si dimenticava di pensarle e basta, alcune cose.
    La ghoul vestita di nero cominciò a muoversi rapidamente a zig-zag, e Victor comprese seduta stante che volesse avvicinarsi impedendogli di sparare o prendere la mira.
    Bene, un punto per lui.
    A quanto pareva, lì erano in due, a mangiare sicurezza a colazione. Victor indietreggiò di un paio di passi. Paura? Agitazione? Assolutamente no. Victor aveva paura di una sola cosa, ed era che gli portassero via Momo, tutto il resto era solo polvere che sapeva benissimo scrollarsi via dal cappotto. Indietreggiò rapidamente fino a che le sue scarpe non incontrarono il bordo della quinque del suo collega, ancora riversa a terra come quel poveraccio. Sì, in effetti ad averne avuto il tempo avrebbe almeno dovuto medicargli la ferita. Beh, almeno sanguinava poco.
    La superficie concava dello scudo era tanto lucida tanto che avrebbe quasi potuto rifletterlo: Victor ci schiantò un piede sopra, la rialzò con un calcio e imbracciò le cinghie che servivano a reggerlo, riponendo frattanto la pistola allacciata al fianco destro, dove l'aveva presa poco prima. Perché se era lo scontro fisico e ravvicinato che voleva, l'avrebbe accontentata. Victor era ben più che convinto di esser in grado di riuscire a tener testa ad un ghoul anche in uno scontro a mani nude, figurarsi.
    Nei pochi secondi che ci mise lui a recuperare la quinque-scudo, la ghoul lo raggiunse e Victor la scorse puntare al suo addome con una delle due code. La reazione, forse, più naturale sarebbe stata quella di schermarsi dietro lo scudo per rifendersi dal colpo, ma bastava pensare a quanto successo poco prima con Tooru per giungere alla conclusione che non fosse una grande idea, anche se lui era discretamente più massiccio e robusto del collega. Si sarebbe comunque esposto agli attacchi dell'altra coda, finendo anche per perdere una porzione del suo campo visivo. Quindi scartò di lato, sulla sinistra, stesso lato della coda che la femmina aveva usato per attaccare, afferrò la quinque con entrambe le mani, la sollevò, prendendo un discreto slancio, e - facendosi trascinare giù dal suo peso - tentò di piantare il vertice del triangolo formato dallo scudo addosso ad Astrid, mirando fra capo e collo.
    Forse sarebbe rimasto scoperto sul fianco destro per una frazione di secondo, ma poco importava, si sarebbe fatto colpire più che volentieri se avesse avuto la possibilità di spiaccicargli il cranio come contro-guadagno. Non temeva il dolore, anzi, era solo una caratteristica che aggiungeva un po' di adrenalina alla battaglia. D'altronde quella punta sembrava parecchio affilata, forse quasi quanto la kagune della sua avversaria, e se lo avesse colpito dubitava avrebbe anche avuto tempo per sottrarsi a quell'affondo.
    «Fatti sotto, puttana.» avrebbe detto, sia che l'avesse colpita, di striscio o meno, sia che non lo avesse fatto.
    Forse Hibiki aveva ragione: avrebbero dovuto dargli una Koukaku. Chissà.
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    Ci tengo pubblicamente a scusarmi per il linguaggio colorito di Victor, perché da qui in poi mi sa che sarà solo così. Non fustigatemi.
     
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    Quell’umano era esattamente come lo ricordavo: sfacciato, sicuro e un gran coglione. Avrebbe potuto scappare, magari coprendosi con la sua arma. Non sarebbe stato nobile, ma in quel mondo i nobili d’animo erano i primi a morire. Invece no: aveva scelto di nuovo di sfidarmi. Quella volta, però, ero io quella in vantaggio.
    «Quindi non scappi.» Il pensiero era stato reciproco. Forse entrambi ce lo saremmo aspettati dall’altro. A quanto pare, lui voleva morire. Quella notte gli avrei fatto pentire di essere nato. Non gli risposi: le mie azioni avrebbero parlato per me. Mi sarebbe piaciuto farlo, ma il fiato mi sarebbe servito per combattere.
    A differenza del suo collega, lui era riuscito a evitare uno dei miei colpi. Non male per un umano, ma non gli sarebbe andata sempre così bene. Mi stavo solamente scaldando e presto, una volta persa quella pistola, se ne sarebbe accor-
    “Vad?”
    L’unica possibilità che quel cretino avesse di darmi fastidio sarebbe stata la sua pistola e il suo piano geniale era stato riporla per prendere lo scudo del suo collega? Non volevo crederci: finalmente avrei potuto avvicinarmi. Era troppo bello per essere vero e presto anche lui avrebbe capito perché.
    Come se non bastasse, l’ennesima idea geniale di Krieger era stata attaccarmi con la parte appuntita dello scudo. Incredibile. Stava davvero cercando di uccidersi. Si era avvicinato e mi aveva colpita di striscio, caricandomi con lo scudo e tutto il suo peso. Quella bestia non aveva fegato solamente contro le ragazzine, pareva. Presto gli avrei strappato anche quell’organo, se avesse continuato così. Se la quinque in mano a quel gigante fosse stata un’altra, gli avrei volentieri mostrato che cosa significasse lasciare scoperte le gambe alle mie code, ma quel colpo non sarebbe stato semplice da parare, quindi preferii spostarmi di lato. Lo scudo colpì di striscio il mio avambraccio destro, producendo lo stesso suono della stoffa squarciata. Un rivolo caldo mi annunciò il fatto che lo scudo avesse tagliato più del mio vestito, ma non troppo in profondità. Ritrassi l’arto istintivamente, accorgendomi di poterlo ancora utilizzare. Mi avrebbe fatto molto male una volta finito l’effetto dell’adrenalina, ma mi sarei consolata col corpo del mio sfidante.
    «Fatti sotto, puttana.» Aveva fiato da sprecare, il tipo. Io non ne avevo. “Parlano quelli le cui mani non parlano.”, gli avrei detto in un’altra occasione. Me lo ripeteva sempre mia madre, ma io non ero lei e non lo stavo allenando. Quel cretino aveva sfidato una delle migliori cacciatrici di Stoccolma, sia di umani sia di ghoul. Gli avrei presto fatto vedere di che cosa fossi capace, ma, per il momento, quello scudo avrebbe dovuto sparire.
    La forza bruta non sarebbe bastata: quello scudo sembrava molto resistente e non sarei riuscita a romperlo in tempo utile. Avrei dovuto colpire altrove. Tuttavia quell’arma era abbastanza pesante, soprattutto per un umano. Un ottimo vantaggio per me.
    Approfittando del mio spostamento verso sinistra, cercai di aggirare Krieger. Non avevo intenzione di spingermi fin dietro di lui: arrivare a prendergli il bordo dello scudo sarebbe stato sufficiente. Mossi entrambe le code all’unisono, chiudendole su quel gorilla. Quella destra avrebbe probabilmente colpito lo scudo, forse con abbastanza forza da farsi sentire, ma sarebbe stata una semplice distrazione. La sinistra avrebbe cercato di divincolarsi dietro la quinque, mentre la mano destra, seguita poi dalla sinistra, avrebbe fatto il possibile per guadagnare una solida presa sullo scudo, possibilmente in alto, lontano dalla punta. Se ci fossi riuscita, rendere inoffensiva quella colomba sarebbe stato un gioco da ragazzi: mi sarebbe bastato poco per tagliargli gli arti di netto e guardarlo dissanguarsi. Non che per lui potesse finire diversamente, dato che aveva scelto di combattere...



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    Ci sono situazioni che gli uomini colgono per istinto senza riuscire a commentarle a parole; in casi del genere, il più grande poeta è chi lancia il grido più violento e naturale. La folla scambia quel grido per un racconto, e a ragione se ne accontenta, trovandolo sublime nella misura in cui è vero. Era ciò che stava avvenendo. Non vi erano parole, solo respiri, affanni, ghigni malevoli, passi sdrucciolevoli sull'asfalto, colpi e percosse: era la lingua dei cacciatori, e i due avversari stavano conversando in un dialetto che nessun altro avrebbe potuto comprendere.
    Victor aveva il suo modo di fare le cose, e non tollerava che qualcuno gli dicesse di comportarsi in modo diverso. Per questo gli piaceva lavorare da solo, ma - in quel momento - si ritrovò a ringraziare il collega riverso a terra per avergli procurato una controparte così tenace. Erano quei brividi, quelle scariche d'adrenalina, che lo tenevano in vita. Lui era una macchina da guerra. Una macchina da guerra perfettamente integrata nella società moderna, per questo la maggior parte del tempo era costretta a stare sopita in quel silenzio che gli altri chiamavano civiltà. Era solo quando quest'ultima veniva meno che era libera di fare ciò per cui era stata progettata, e non c'era momento più bello.
    Astrid era convinta di essere in vantaggio, Victor pensava la stessa cosa. Che si stessero suicidando a vicenda?
    Probabile, ma il vantaggio dell'investigatore non era fisico. Era qualcosa di mentale, che lo distingueva dalla maggior parte dei suoi altri colleghi. Victor non aveva paura di morire. La morte, l'oblio eterno, il freno comune alla vita umana. Quante cose sarebbe portato a fare un essere umano se non dovesse avere paura della morte?
    Ve lo siete mai chiesto?
    Victor no. Non ricordava un singolo giorno in cui avesse mai avuto paura della morte. Se ne teneva lontano per puro istinto di autoconservazione, ma paura? No. Forse aveva smesso di averla nell'esatto momento in cui l'aveva accettata, a dodici anni, con un coltello puntato alla gola, quando aveva sputato in faccia ai poveri stronzi che lo stavano minacciando. Fatto stava che non aveva il freno comune che fermava le persone normali dal fare pazzie scellerate. Come quella.
    Sfiorata di striscio, la ghoul schiantò la propria kagune sullo scudo con forza. Victor percepì le suole delle sue scarpe slittare di qualche centimetro sull'asfalto, ma la quinque era piantata nel cemento, e non cedette. L'odore del sangue era abbastanza per tenerlo in forze, manco il ghoul fosse lui. Poi la intravide, una di quelle code rosse, muoversi sinuosa per afferrare l'arma. Troppo vicina.
    Per lui, ma anche per lei stessa.
    ...si era mica dimenticata delle sue pistole?
    Un ghigno malsano si dipinse sul volto dell'investigatore. Fortuna che Toruu era privo di sensi, o lo avrebbe preso per pazzo. Non fece in tempo a impedirgli di afferrare lo scudo: per quanto allenato e veloce era pur sempre un uomo adulto di un metro e novanta per ottanta chili di puri muscoli che stava affrontando una ghoul altrettanto rapida e dalle forme molto più sottili delle sue. Quando capì che voleva prendersi lo scudo per disarmarlo e con ogni probabilità tranciargli di netto le braccia era già troppo tardi per avere ripensamenti. Non poteva batterla in uno scontro di mera forza fisica probabilmente.
    Ma Victor sapeva meglio di chiunque altro che quando non puoi fare nulla contro un avversario più forte di te, l'unica soluzione era ritorcergli tale forza contro.
    Sfruttando il suo punto cieco e il fatto che lei fosse alla sua destra, fece slittare una mano sul fianco sinistro ed estrasse la pistola gemella di quella che prima aveva riposto. Non appena vide la kagune tentare di allacciarsi attorno allo scudo e percepì la ghoul fare forza su di esso, piantò la canna dell'arma nel muscolo cremisi e fece fuoco, poi inclinò appena lo scudo verso di lei, mollò le cinghie, schiacciò la suola della scarpa destra sul suo interno e la usò come leva per schiacciarla a terra.
    Nel farlo, se ci fosse riuscito, sarebbe probabilmente caduto a sua volta, visto che l'intento era usare i pesi di entrambi e la mastodontica forza della ghoul come trampolino per farli rovinare entrambi a terra. Cosa sarebbe successo allo scudo da quel momento in poi... solo il fato poteva deciderlo.
    In quell'esatto istante si udì un brusio disturbato provenire dalla radio appesa sua cintura, quella usata per comunicare con il quartier generale. Victor non lo capì all'istante, troppo concentrato sulla ghoul, probabilmente avrebbe automatizzato dopo, ma erano i rinforzi: tra meno di cinque minuti sarebbero stati lì. Fine dei giochi.
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    Era stato troppo facile. Sarei riuscita comunque a strappargli quello scudo, ma ciò non m’impedì di capire che lui non stesse ponendo resistenza. Non solo: aveva tolto un braccio, che in quel momento rappresentava il maggior pericolo. Ci misi poco a capire dove stesse andando: un riflesso metallico e un rapido movimento del braccio mi avvertirono della presenza di una pistola. Dovevo assolutamente bloccarla.
    Riuscii ad aggrapparmi allo scudo, spingendolo verso di me con le braccia. Tagliare il braccio destro dell’agente sarebbe stato facilissimo, ma la pistola aveva la priorità. Per questo la kagune sinistra andò dritta verso la pistola, cercando di avvolgere o la canna o il polso di Krieger, per poi tirare via tutto ciò che fosse riuscita a prendere. Dovetti agire fulmineamente per evitare che il colpo partisse o mi prendesse. Se fossi riuscita a prendere la pistola, probabilmente l’avrei lanciata via: la presa sullo scudo era troppo preziosa e la mia coda non sarebbe stata in grado di sparare. M’interessava più che non l’avesse lui.
    Lo sforzo sulla pistola, però, m’impedì di concentrarmi sul resto: quel cretino decise di lanciarsi verso di me e riuscì in qualche modo a farmi perdere l’equilibrio. Caddi a poca distanza da lui, ricevendo tutto il peso dello scudo che ancora tenevo in mano.
    Un ghigno si dipinse sul mio volto quando lo realizzai. Avevo perso le tracce della pistola e lo scudo era in mano mia. Krieger aveva appena fatto il suo più grosso errore. Senza nessuna possibilità di difesa, ora sarebbe stato in balia del mio volere.
    Senza perdere tempo, lanciai lo scudo lontano da me, nella direzione opposta nella quale, se ci fossi riuscita, avrei lanciato la pistola poco prima. Ancor prima di sentire il tonfo della quinque, mi lanciai sull’umano. Sentii un brusio provenire da lui, ma non me ne curai. Avrebbero potuto essere i rinforzi e, per quando sarebbero arrivati, l’avrebbero trovato morto. Ormai era arrivato il mio momento.
    Mi lanciai verso Krieger il più velocemente possibile, cercando di lasciargli il minor tempo possibile per realizzare l’accaduto. Avrebbe potuto avere altre armi con sé, soprattutto delle temute pistole, quindi sarebbe stato necessario agire con rapidità. Con la kagune puntata verso il mio obiettivo, avrei puntato al suo busto, cercando di avvicinarmi per non sbagliare il colpo, bloccarlo e piantargli una coda su un fianco, per poi scavare fino a farla uscire dall’altro. Se ci fossi riuscita, l’avrei finito subito dopo, infilzandolo in modo che, nei suoi ultimi istanti, potesse vedere la mia kagune spuntargli dal petto. Non sarebbe sopravvissuto. Non avrebbe dovuto sopravvivere. Era stato un allenamento decente e una valvola di sfogo nella media, ma era arrivato il momento di farla finita.



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    Da quando aveva scoperto dell'esistenza dei ghoul, Victor si rammaricava spesso della debolezza del corpo umano. Era quasi incoerente nel suo pensiero; era un dipendente della CCG - un investigatore - ed in quanto tale avrebbe dovuto repellerli, ma invece non lo faceva. Li repelleva in quanto uomo di legge. In quanto nemici, e perché non sopportava l'idea che ci fosse qualcuno più in alto di lui nella piramide che regolava l'esistenza umana secondo il principio del più forte. Chiaramente poi sarebbe stato più corretto affermare che non gli importava un cazzo della loro sorte, ma qualcuno gli avesse offerto la possibilità di acquistare la loro costituzione, avrebbe firmato senza pensarci due volte. Insomma, Victor era sempre Victor. E l'idea della forza, del potere, era quanto di più languido per lui potesse esistere.
    Le cose non erano andate come programmato, tuttavia, nonostante la personalità fredda e calcolatrice dell'uomo quando c'era da predisporre un piano d'azione fosse dai più conosciuta, chi aveva avuto modo di osservarlo in azione sapeva anche che quando c'era di mezzo il fattore imprevedibilità, Victor non programmasse proprio un bel niente. Bel modo per non rimanere delusi, no? D'altronde, si sa, è proprio quando le cose non vanno come previsto che le persone rischiano di andare nel panico, e lui quel problema non l'aveva mai avuto.
    La sua pistola effettuò una traiettoria ad arco sopra le teste dei due avversari, ma - nel prendere la quinque - la ghoul si sbilanciò abbastanza da consentire a Victor di schiacciarla a terra. Rotolarono entrambi al suolo per un paio di metri e lo scudo venne catapultato via quasi nella stessa direzione della sua pistola. Victor si rialzò in fretta, essendo stato addestrato ad effettuare cadute fin da ragazzino non era neanche finito disteso. Poi successe tutto molto rapidamente: la ghoul si era infuriata, Victor la vide slanciarsi verso di lui e, capendo che non avrebbe fatto in tempo a sparare con la pistola che gli era rimasta, agì d'istinto. Sfoderò la pistola e scartò di lato, tenendo la parte della canna rivolta all'infuori per pararsi. Forse non fu abbastanza rapido, la kagune strisciò sopra la lama ricurva sotto la pistola, e Victor riuscì a limitare i danni, ma gli aprì lo stesso un lungo squarcio sull'addome, strappandogli la camicia e macchiando all'istante di rosso i lembi di tessuto bianco.
    Victor ringhiò come un cane rabbioso, ma ignorò la sensazione di dolore diffusa con cui il suo cervello lo avvertì del pericolo.
    Alla fine, cos'era il dolore se non uno stato transitorio in cui il corpo fisico poteva trovarsi in determinati momenti? L'aveva superata da un po' quella fase psicologica.
    Scattò subito indietro, per allontanarsi dalla bestia, ma proprio in quel l'esatto istante un fischio sibilante gli passò non troppo distante dall'orecchio, ed un colpo si infranse al suolo: era un proiettile. Il proiettile di una quinque si era inchiodato nell'asfalto a pochi centimetri da lui e Astrid. Era appuntito come il pungiglione di un'ape e veniva da uno degli edifici alle spalle di Victor.
    Un cecchino. I rinforzi.
    Scacco matto.
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    CITAZIONE
    Il cecchino in questione è Yun-ho Son. Chiaramente la sua presenza è stata concordata con yume!


    Edited by Ryuko - 13/12/2021, 16:37
     
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    Era incredibile, anzi, impensabile che quel Krieger fosse riuscito a scampare anche a quel colpo. Di che cosa era fatto quell’uomo per avere così tanta fortuna? Sì, era senza dubbio fortuna. Non poteva essere così bravo da tenermi testa, non lui. Eppure si era rivelato un avversario notevole anche da solo. Perché continuava a non morire? Era riuscito a pararsi con un’arma che non avevo visto, facendo scivolare via la mia kagune quanto bastasse affinché non lo uccidessi. Non avrebbe resistito per sempre, ma l’idea che fosse ancora combattivo iniziava a non piacermi.
    Un ringhio si levò da quella bestia, seguito da uno scatto all’indietro e da una sensazione di calore in una delle mie code. L’odore che si diffuse poi, sempre più forte, mi confermò che l’avessi almeno ferito. Eppure era riuscito a rialzarsi. Era addirittura scattato all’indietro e, ancor prima che potessi raggiungerlo per finirlo, sentii un sommesso sparo provenire da lontano.
    Essendomi fermata in tempo, il colpo non riuscì a raggiungermi, ma il messaggio era chiaro: stavano arrivando altri combattenti. Nessuno si era annunciato, ma il rumore delle sirene, che notai solamente in quell’istante, si fece assordante tutto in una volta. Era la CCG.
    Non c’era più tempo da perdere. Per quanto mi sarebbe piaciuto staccare la testa a Krieger, rimanere in vita era la mia priorità. Avevo troppi piani per il futuro per farmi uccidere in quel vicolo e non ero abbastanza forte da eliminare da sola i rinforzi. Non ancora. Notte dopo notte, preda dopo preda, lo sarei diventata. Tuttavia, non era quello né il tempo né il modo.
    Non lo salutai quando me ne andai: avevo individuato la direzione da cui il cecchino stesse sparando e sapevo che avrebbe sparato ancora. Certamente, però, non mi avrebbe colpita.
    Mi voltai e procedetti a zig-zag. Sarei entrata nel primo vicolo e sarei uscita dalla visuale mantenendomi adiacente all’edificio che mi avrebbe separata da lui. Non sarei stata un bersaglio se lui non avesse potuto vedermi. Avrei comunque continuato a correre. Entrare in qualche edificio mi avrebbe messa in pericolo, dato che la CCG avrebbe potuto bloccare le vie d’uscita. Non avrei avuto il tempo di far niente, dato che i rinforzi erano lì.
    Corsi alla cieca finché non riuscii a seminare i miei inseguitori, poi tornai dove avevo lasciato il mio cambio d’abito. Avevo sopportato il dolore lancinante delle ferite senza fermarmi ed ero stata ricompensata: si erano rigenerate tutte. Avrei potuto tornare a casa senza farmi notare, quindi decisi di farlo. Avrei ripreso la caccia l’indomani.
    Il resto della notte mi sarebbe servito per riposarmi e riflettere sull’accaduto. Il fatto che un umano fosse riuscito a tenermi testa non mi era piaciuto, quindi, oltre a ucciderlo, avrei dovuto continuare ad allenarmi e a rafforzarmi. Io e lui ci saremmo rincontrati e, la volta successiva, gli avrei fatto rimpiangere tutto quanto.


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    Era impensabile che fosse riuscito a scampare anche a quel colpo. Beh, in realtà no.
    Primo, non era totalmente scampato, come dimostrava la sua ferita sull'addome; secondo, non era affatto una cosa incredibile, era tutto allenamento. Al massimo era degno di nota il fatto che il cecchino avesse mancato la ghoul, ma di questo si sarebbe preoccupato più tardi.
    Non appena la ghoul gli diede le spalle Victor imbracciò la pistola ancora una volta e finì di svuotarle il caricatore addosso, cercando di sincronizzarsi il più possibile con il cecchino per renderle più difficile la fuga. Purtroppo non era in condizione di correre, anche se lo squarcio non era profondo con ogni probabilità avrebbe richiesto un paio di punti di sutura, quindi la sua unica scelta fu quella di lasciarla andare, proprio come aveva ipotizzato all'inizio.
    «Primo grado Krieger! S-Secondo grado M-Mikiya a rapporto! Dov'è l'agente ferit-- ma è ferito anche lei!» Una voce alle sue spalle lo avvisò del fermarsi di uno dei veicoli medici della CCG nei pressi del marciapiede. Era scesa una ragazzina che sembrava avere vent'anni.
    Seriamente, quella cosa che incontrava soltanto ragazzini doveva finire. Victor fece un cenno verso le transenne, indicando ciò che rimaneva di Tooru, ancora svenuto.
    «Sto bene.» asserì, osservando altri due soccorritori scendere dall'auto e lanciarsi subito in direzione del suo compagno. Non era del tutto vero, la ferita faceva male, e il sangue che si era raccolto ai suoi piedi confermava che ne aveva perso abbastanza da aver probabilmente bisogno di una trasfusione per sicurezza.
    E non fu l'unico ad accorgersene. «A-Assolutamente no! Ha bisogno di cure immediate!»
    «Sto bene, ho detto. C'è un deceduto in quel vicolo, vada a confermare la sua identità piuttosto e mandi degli agenti ad inseguire la ghoul.»
    «H-Ho già mandato tre agenti all'inseguimento! E-E sta arrivando il resto della mia squadra! A-Anche se non credo lo prenderanno... Lei n-non si preoccupi e si faccia curare!» Victor inarcò un sopracciglio stupito, quasi non si aspettasse tutta quell'efficienza da una donna.
    «Non importa. Cercate negli archivi. Maschera nera con quattro graffi dorati sulla sinistra. E una lacrima, rossa.»
    Un sospiro decisamente esasperato proruppe dalle labbra della giovane. «Signore, la prego...»
    «Sto. Bene
    Probabilmente sarebbero andato avanti così per un po'.
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