Bad Romance

[CONCLUSA] ALEXANDRE "ROMAIN" DE LACROIX & DARIEN LOCKWOOD | SAMURAI MUSEUM - 14/02/2021 AFTERNOON

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    Che orribile sensazione di déjà-vu. Alexandre era al cento per cento sicuro di aver già vissuto una cosa del genere prima, e il problema era che sapeva anche quando, quindi chiamarla a quel modo non era nemmeno fondamentalmente corretto.
    L'anno prima, proprio nello stesso periodo: San Valentino e la settimana successiva, quella del suo compleanno, quando la sua migliore amica, Chinatsu, si era divertita ad organizzargli un appuntamento al buio a sua insaputa. E poi vabbè sulla via del ritorno era stato attaccato da un Lazar famelico che gli aveva quasi staccato il collo a morsi ed era finita come era finita. Non era quello l'importante, ormai ci aveva messo una pietra sopra. E non quella di una tomba.
    Comunque il punto era quello: Chinatsu lo aveva incastrato di nuovo. Anche se quella volta metà della colpa era sua e del suo non prestare attenzione alle cose. In realtà la storia dietro tutto quel discorso era piuttosto divertente ed era cominciata un pomeriggio di qualche settimana prima al cinema. Alex e Chinatsu erano andati a vedere un film, seguito di un anime che entrambi aspettavano da novembre quando avevano visto il trailer, e mentre si annoiavano in sala con le pubblicità a schermo, lui i pop-corn in mano, lei a scorrere il feed su B-Social, l'aveva visto: un simpatico evento che si premurava di trovarti l'anima gemella per San Valentino!
    Incuriosita e divertita, lo aveva fatto vedere ad Alex e tra uno scherzo e l'altro aveva minacciato il classico "guarda che ti iscrivo". Lui non ci aveva creduto granché, perché figurarsi se bastava un username per iscriversi ad una roba del genere, di solito volevano nome, due e-mail, numero di cellulare e cognome di tua nonna, quindi alla sterile minaccia dell'amica aveva più o meno riso ed aveva minacciato la stessa cosa ai suoi danni. Chinatsu l'aveva presa un po' come una sfida, e figurarsi se una persona con il carattere esuberante come il suo si tirava indietro di fronte ad una sfida. Alexandre di solito lo faceva, ma in quel frangente aveva altro per la testa (il film ed i popcorn) per cui non si era neanche accorto di aver ricevuto il sospetto messaggio di conferma che lo informava dell'avvenuta iscrizione. Poi era cominciato il film ed entrambi se ne erano entrambi dimenticati. Era stato decisamente heartbreaking, nel caso ve lo steste chiedendo.
    A ricordarglielo era stato quel tale Darien Lockwood.
    Alexandre non considerava molto le sue notifiche sui social, ci entrava una volta ogni due settimane, scriveva qualcosa di stupido e tornava alla sua pace interiore di prima, circa.
    Ecco perché quando aveva visto l'anteprima di quei messaggi era rimasto a fissare stordito lo schermo per qualche lungo, lunghissimo istante, chiedendosi cosa avesse sbagliato nella sua vita. La risposta era probabilmente nascere.
    No, non era per niente vero che stava lavorando.
    Quella era una scusa che si era inventato dopo.
    È che prima di rispondere aveva dovuto chiamare Chinatsu (dalla quale aveva avuto conferma che gli era successa la stessa cosa, anzi lei era persino capitata con una sorta di gnocca strafiga e mezza celebrità dell'internet), Lazar (ma è meglio risparmiare la conversazione avuta con quest'ultimo) e Kyoko (così per fare tombola e ricevere conforto).
    Poi aveva dovuto razionalizzare che non era uno scherzo, e quello era sostanzialmente il motivo per cui adesso si trovava davanti al Samurai Museum di Shinjuku.
    In realtà non proprio davanti, era dall'altro lato della strada a fissare l'ingresso del museo come un condannato a morte fissa il patibolo, ma siamo lì.
    Una parte della sua testa sta ripetendo in loop che era ancora in tempo per scappare ed andarsene, l'altra gli diceva che con tutta quell'ansia che aveva addosso non sarebbe riuscito nemmeno a raggiungere di nuovo la macchina parcheggiata pochi isolati più in là.
    Non che Alexandre fosse tanto contrario a conoscere persone nuove, per carità, era contrario a conoscere persone nuove per quello specifico fine a cui lo aveva condannato il social. E dato che la sua prima ed unica esperienza di appuntamento al buio era stato un vero e proprio flop totale non smaniava di ripeterla. Soprattutto con una persona che gli sembrava tutto il suo opposto.
    Alexandre aveva dato un'occhiata al suo profilo e...
    Va bene, era carino, lo poteva ammettere.
    Ma troppo socievole.
    Troppo giovane.
    Troppi follower.
    Troppe provocazioni.
    Insomma, troppo.
    Era sicuro che non sarebbe mai potuta andare bene. E non importava ciò che dicevano gli altri, lui era un inetto sociale e quello non faceva tenerezza, faceva pena.
    E anche se fosse andata bene, Alexandre non era per niente sicuro di voler intraprendere di nuovo una relazione.
    Non capiva perché tutti sentissero quello stupido bisogno di accompagnarsi sempre a qualcuno, lui stava bene così non è vero. San Valentino era una festa stupida. O almeno dal punto di vista di Alexandre, a cui stare in coppia aveva sempre trasmesso una specie di sicurezza, che ricordava di non avere nel momento in cui gli importava l'idea di avere un partner, ovvero a San Valentino. E quindi che festività di merda.
    In conclusione Alex era sempre stato un po' quella persona ipocrita che da non fidanzato odiava San Valentino perché il contrario sarebbe stato triste, ed affermava che si trattava di una festa capitalista, ma nella situazione opposta non avrebbe esitato a comprare rose rosse e orsacchiotti di peluche come un'idiota. Aveva... i suoi ricordi imbarazzanti, diciamo.
    Alla fine aveva anche seguito i consigli di Lazar nello scegliere i vestiti, si era legato i capelli arancioni in una coda alta, come al solito, ed aveva cercato di sistemarsi nel miglior modo possibile. Non aveva idea di come avrebbe fatto a riconoscere... Darien, ma forse se aveva davvero i capelli bianchi non sarebbe stato troppo difficile. Non che l'altro non avrebbe potuto riconoscere lui, visto che una chioma come la sua condita con i suoi occhi verdi non erano proprio la cosa che passava più inosservata di tutte in Giappone.
    Era anche arrivato in anticipo, perché quella storia dei biglietti realmente non gli era andata giù, ed erano le tre ed un quarto circa. Voleva davvero scappare, ma ormai aveva fatto un mantra delle parole del suo consigliere con i capelli blu.
    Just relax and act normal.


    Edited by alyë - 6/9/2021, 20:27
     
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    Aveva passato gli ultimi giorni a sogghignare divertito ogni volta che la sua mente tornava ai piani per quella giornata: l'idea di incontrare qualcuno di nuovo, una papabile vittima per le sue cacce, lo esaltava in maniera indescrivibile. Era anche un gran bel figo, un po' gli sarebbe dispiaciuto.
    ...
    ... nah, non era vero, non gli sarebbe dispiaciuto poi così tanto. Era più allettante l'idea di mangiarselo, o di vederlo correre da una parte all'altra della sala seguito da uno scrapper, che tenerselo come amico. Anche perché aveva la pessima sensazione che gli diceva si sarebbe trovato davanti un blocco di legno. E per carità, a lui divertiva vedere le persone incapaci di rispondergli, era particolarmente divertente, ma alla lunga diventava noioso.
    Il suo cervello funzionava così: poteva andargli bene avere davanti una persona timida o incapace di porsi agli altri, come no. Stava tutto nella giornata. Si sperava, quantomeno per il povero Alexandre, che quella giornata sarebbe stata una di quelle a cui andava bene. Anche se, ad essere del tutto sinceri, non era detto fosse una cosa positiva.
    In ogni caso, quel giorno era particolarmente allegro: fischiettava motivetti felici, si era pure seduto sul letto, Boo il riccio a crogiolarsi nel palmo delle sue mani, e le aveva parlato dei suoi progetti a lungo termine con Alex, perché sperava effettivamente di aggraziarselo in qualche modo e riuscire, quindi, a conoscerlo abbastanza bene per poi approfittare della sua fiducia. Il pensiero gli provocò un brivido lungo la schiena: era davvero esaltato. Perciò si era preparato in largo anticipo, approfittando del tempo a sua disposizione per farsi qualche maschera in tessuto. Apparire al meglio non solo per lasciare una buona impressione, ma perché sapere di essere anche più bello del naturale lo riempiva d'orgoglio, perciò si era proprio impegnato per crearsi un'autentica spa fai-da-te.
    E dopo essersi spruzzato qualche goccia di profumo, si era avviato fuori casa, con tanto di sua madre che gli urlava di non combinare pasticci. Che donnaccia psicopatica.
    Il tragitto sul taxi da Koto a Shinjuku (perché di prendere la metro era fuori discussione, troppo rozza e affollata per una persona del suo stampo) lo impegnò al telefono con la sua amica Kanako, che gli aveva fatto mille raccomandazioni sull'andarci piano. Lo conosceva, sapeva com'era fatto e sapeva perfettamente che se non si fosse posto un freno, avrebbe sicuramente esagerato. E doveva evitare di farlo, ad ogni costo. Senza contare che si trattava della prima volta in cui usciva con un uomo per certi scopi. Mai dire mai, ma lo aveva fatto di proposito, ed essere alla prima esperienza non faceva che aumentare l'adrenalina che scorreva per tutto il suo corpo.
    Una volta arrivato sul posto, si era guardato attorno ed aveva dato un'occhiata al proprio orologio da polso, le cui lancette segnavano esattamente le 15:26. Guardò l'ingresso del museo, alzando un sopracciglio e sospirando rassegnato, dopotutto anche per lui non era una scelta azzeccata, ma si trattava pur sempre di una nuova esperienza e nessuno poteva dare per scontato non gli sarebbe piaciuto. Si era guardato attorno un'altra volta, prima di realizzare che Alex era già arrivato, stava solo aspettando dall'altra parte della strada. Il sorriso che gli si formò istantaneamente aveva tutta l'aria di essere un ghigno, il che non era per nulla rassicurante, ma non se ne fece un problema: alzò il braccio e pronunciò un casuale «hello there!», controllando la strada per attraversarla poco dopo a passo veloce. Quando raggiunse l'altro, scostò gli occhiali per poggiarli sopra la chioma bianca che aveva per capelli, lasciando intravedere gli occhi e, inevitabilmente, la macchia bianca causata dalla vitiligine.
    «Credevo di essere arrivato troppo presto, e invece mi hai preceduto.»
    Gli porse una mano, pronto a presentarsi in via del tutto ufficiale al suo partner per quella giornata. Sfoggiò il sorriso più carismatico del suo repertorio, chinando la testa di qualche grado verso destra.
    «Darien Lockwood, at your service.»
    Nice, aveva la conferma di avere davanti a sé un umano. Il sorriso, istintivamente, si allargò e gli occhi si socchiusero.

    «Parlato.»
    "Pensato."
     
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    Just relax and act normal. Il vantaggio di essere sé stesso era anche quello di avere quella meravigliosa capacità di mandare a farsi friggere entro sera pressoché tutti i buoni propositi che faceva la medesima mattina. Un po' come quelle persone che dicevano che avrebbero cominciato la dieta di lunedì senza specificare lunedì di quale settimana.
    Per quanto mediamente brava persona, c'erano due cose che ad Alexandre non andavano giù: la prima erano i dolci con i canditi e l'uvetta, la seconda erano le persone sbruffone.
    I canditi e l'uvetta erano solo una storta imitazione della frutta vera, orribili; le persone sbruffone non le sopportava - perché gli ricordavano Julian. E forse quello era un po' meno ipocrita dei canditi, dell'uvetta, ma anche delle rose rosse e gli orsetti di peluche. Chiunque aveva il diritto di non sopportare una determinata cosa se ti ricordava il tuo ex, no?
    Per lui era una sorta di reazione naturale.
    Perché chi conosceva Alexandre, generalmente lo classificava come quel genere di persona innocua e troppo innocente per fare male persino ad una mosca, ma... non era così.
    Alex era perfettamente in grado di sfoderare i propri artigli se ce n'era bisogno. Non per ferire gli altri, quanto per difendere sé stesso. E contro alcune determinate categorie di persone sentiva a priori la necessità di doversi difendere.
    Darien faceva parte di queste.
    L'aveva capito parlandoci in chat: per intenderci, il coraggio di rispondergli a tono non l'aveva mica tirato fuori dal nulla.
    Normalmente era una persona più cortese e affabile, per così dire. Oppure qualunque altro aggettivo vi passi per la testa e sinonimo di "gentile". Erano solo alcune cose, tipo chi cercava di mettergli i piedi in testa, che lo infastidivano di base.
    Ovviamente, come al solito, non avrebbe assolutamente fatto niente per farlo capire agli altri e si sarebbe tenuto tutto per sé stesso, ciò non toglieva che non voleva assolutamente essere lì, meno che mai voleva passare tutto il pomeriggio con quel tipo. Ma era abituato a non avere mai quello che voleva dalla vita, quindi tutto sommato era una situazione normale.
    Per questo aveva provato a fare delle parole di Lazar il suo nuovo mantra momentaneo.
    Just relax and act normal.
    Fu il vederselo comparire davanti, sorriso da schiaffi e tutto il resto, che gli diede la conferma che no, non ce l'avrebbe fatta. Non si sarebbe mai potuto comportare come faceva con i suoi amici perché quello non sarebbe mai potuto diventare suo amico. Era quel tipo di persona da cui normalmente si teneva ben alla larga. Quel tipo che era stato anche Julian.
    Non fece neanche in tempo a sperare che una macchina lo tirasse sotto (anche se col senno di poi probabilmente non si darebbe fatto granché) che si ritrovò davanti un luminoso paio di occhi azzurri, una macchia bianca sul viso - aspetta, una macchia bianca? - e una mano tesa verso di lui.
    Alexandre sorrise, socchiudendo gli occhi verdi, ed estrasse le mani di tasca, dove le aveva tenute fino a quel momento per ripararle un po' dalle basse temperature di febbraio.
    «Era per darti una ragione per pagare davvero i biglietti.» rispose, rammentando la loro prima e unica conversazione, ed in qualche modo ignorando quel fastidioso e terribile nodo che gli stringeva gola e stomaco. Odiava doverlo ammettere, ma Darien era davvero carin-NO. NO. Non lo era.
    A parità di cose Ryoga e Lazar erano decisamente più carini di lui e forse lo era persino quell'investigatore dai capelli neri che riportava la quinque alle sette tutti i giovedì sera.
    Alexandre lo squadrò per qualche altro secondo, pensando prima quanto poco sembrasse giapponese e poi quanto lui sarebbe sembrato ridicolo ed inutilmente emo se avesse provato a vestirsi come l'altro, ma - infine - si arrese.
    «Alex. – mormorò, abbassando lo sguardo, per poi allungare a sua volta il braccio per ricambiare la stretta e presentarsi a sua volta. – Io non sono al tuo servizio, però.» aggiunse.
    Meglio mettere in chiaro le cose subito. Non aveva mica la parola "cameriere" scritta in fronte. E anche se ce l'avesse avuta scritta sarebbe stata coperta dalla frangia arancione, quindi tanti saluti. Aveva intenzione di dirgli il cognome? Ovviamente no. Nell'ultimo anno aveva imparato tante cose. Anche sugli stalker.
     
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    Era giunto sul posto con un unico obiettivo: tornare a casa trionfante. E per "tornare a casa trionfante" non intendeva di certo un appuntamento da sogno. Anche perché, rivelazione delle rivelazioni, quell'appuntamento non doveva essere un appuntamento da sogno. Doveva rappresentare le basi per costruire un rapporto di falsa fiducia sulla quale avrebbe successivamente potuto ricavarci qualcosa. Come ogni singolo rapporto umano decidesse di instaurare, perché Darien Lockwood non si circondava di amici, ma di occasioni fruttuose e affari. Erano tutti degli affari, ed Alexandre non faceva eccezione. Per questo le raccomandazioni del sergente Yamamoto Kanako, l'unica persona che si avvicinasse al concetto di amica, ma non abbastanza da ritenerla tale, dovevano diventare realtà ed essere applicate religiosamente.
    No, niente attacchi di galanteria melensa ed inverosimile usciti da un film scadente ispirato ad uno young adult ancor più scadente.
    No, niente approcci troppo azzardati, battute squallide che dovrebbero fingersi d'effetto.
    No, non ci sarebbe stato niente di tutto ciò. Quell'appuntamento poteva benissimo andare a farsi benedire e risultare uno dei peggiori che abbia mai dovuto vivere, ma ciò non toglieva che da quell'appuntamento dovesse uscire vittorioso. E per uscirne vittorioso doveva comportarsi in modo tranquillo, cosa che non gli si addiceva per niente, ma perché doveva conquistarsi una fetta di fiducia altrui. Doveva farselo amico, niente di più.
    Eppure Darien stava realizzando, secondo dopo secondo, quanto quella sarebbe stata un'impresa degna di essere raccontata nei migliori libri. Se ci avessero fatto un documentario, probabilmente avrebbe potuto catturare l'attenzione di un sacco di persone in giro per il mondo, ma all'atto pratico aveva davanti a sé un insormontabile muro di pietra, che lo separava in maniera quasi del tutto definitiva da un tentativo di conoscenza andato a buon fine. E quel muro era saldamente eretto dallo stesso Alex: niente presentazione completa, lui era solo Alex. Alex e basta. E non era nemmeno al suo servizio, che tristezza. Se si fosse comportato come al solito avrebbe già schioccato la lingua contro il palato, incrociato le braccia conserte al petto, arricciato le labbra e sbuffato un fintamente annoiato "come siamo freddi e rigidi, se avessi voluto parlare con un muro, sarei rimasto a casa mia". Ma si era dovuto trattenere, perché stava comprendendo che a fare il simpaticone ci guadagnava un altro strato di calcestruzzo ad ispessire il muro che li separava. Per cui decise di mantenere quel sorriso fintamente angelico, stringendo saldamente la presa sulla mano dell'altro, per poi scioglierla e rimettere ambo le mani in tasca, anche perché avrebbe volentieri evitato di farle seccare dal freddo pungente, che già gli aveva regalato uno strato lievemente arrossato su zigomi e ponte del naso.
    Facciamo anche la punta del naso. Brutta faccenda la pelle sensibile.
    «Ti sei giocato la carta della colpevolezza, ho capito.»
    Purtroppo non poteva trattenersi dal fare commenti sarcastici, era più forte di lui. Non aveva mai promesso a se stesso che si sarebbe trattenuto dal farli, ma avrebbe cercato di moderarsi. Se lui non avesse fatto il simpatico e non avesse cercato di intavolare un discorso, anche stupido perché no, probabilmente avrebbe davvero passato tutta la giornata in silenzio. E onestamente non era ciò a cui aspirava: quell'appuntamento poteva anche finire come fiasco totale, da Guinness World Record, ma non avrebbe mai voluto annoiarsi.
    Mai mai mai. Mai.
    «Allora Alex, sto un po' congelando, perciò entrare non mi farebbe schifo.»
    Lanciò un'occhiata furtiva all'ingresso: non c'era molta gente, perché di base chi passava il San Valentino in un museo? Sui Samurai? Nessuno, appunto. Avrebbe preferito il parco divertimenti, ma ahimé gli era toccato quello. Pazienza, se ne sarebbe fatto una ragione. Magari avrebbe trovato ispirazione per una maschera più originale, anziché andare in giro completamente coperto di nero. Ma non era quello il punto.
    Evitò di tendergli un braccio soltanto perché non voleva farlo sentire a disagio, anche se doversi trattenere dal mostrare un po' di riguardo e galanteria era qualcosa che non faceva per lui. Era abituato ad incontrare gente che si scioglieva con qualche parola, e come dar loro torto? Ma Alex sembrava un tipo tosto tostissimo, e ciò lo metteva seriamente in difficoltà. Neanche tutto il suo charm avrebbe fatto qualcosa contro l'imperscrutabile barriera in cui si era barricato il suo accompagnatore. Sigh, si prospettava una giornata dura. Ma non voleva assolutamente, per nessuna ragione al mondo, demordere. La difficoltà gli avrebbe dato modo di divertirsi maggiormente, no?
    ... no? No.
    Si guardò attorno, per evitare di essere tirato sotto da un'auto (al massimo avrebbe potuto fare la parte della tragica eroina che aveva bisogno di essere salvata e no, quello sarebbe stato un biglietto di sola andata per quella magnifica meta turistica denominata A Mai Più Rivederci, un posto senza dubbio esotico e divertente), per poi attraversare le strisce ed intrufolarsi nel museo, dove ad attenderli c'era niente meno che la biglietteria. Già, quei biglietti che aveva promesso.
    Fece in fretta, dopotutto non c'era questa grande folla. E con suo sommo gaudio il prezzo non era neanche così alto: 3.600 yen in due, era una bazzecola. Sarebbe stato tutto una bazzecola, ma per un avaro come lui non era poi così scontato. Tornò coi biglietti in mano, porgendone uno al suo "legittimo proprietario", senza farsi mancare il sorriso falsissimo che dipingeva il suo volto da schiaffi.
    «A te~ Spero che non ti senta in colpa.»
    Non era per niente vero, non ci sperava. Ma la cortesia gli era stato insegnato fosse un biglietto da visita fondamentale nei rapporti umani e ciò lo costringeva ad applicarla ovunque. In quel caso sentiva fosse ancor più necessario del normale.
    «Andiamo?»

    «Parlato.»
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    Alex da bambino era appassionato di Lego, probabilmente era lì che aveva imparato a costruire muri. Col tempo aveva solo affinato le sue capacità da muratore, ma al di là di quanto potesse essere bravo a impilare mattoni su mattoni, Alexandre era anche abbastanza bravo a far dimenticare agli altri che questi muri fossero lì. Un po' come fossero trasparenti.
    Principalmente perché era comunque una persona gentile e le sue emozioni positive erano sempre in grado di surclassare le altre che si annidavano nel suo cuore. Beh, quasi sempre.
    Ma degli emotional breakdown parleremo un'altra volta.
    Quindi forse più che muri erano lastre di vetro.
    Avrebbe dovuto fare l'artigiano, altro che il ricercatore.
    Si trattava solo di prendere le misure, capire come rivolgersi a chi aveva di fronte ed aggiustare l'opacità del vetro a seconda del caso. Purtroppo quello di far sentire gli altri a proprio agio era un talento che non avevano tutti: per quello Alex credeva che instaurare dei rapporti non superficiali fosse difficile per le persone, come lui, che avevano bisogno di cautela. Bastava pensare anche alla mole di suoi colleghi e investigatori con cui interagiva tutti i giorni, tutti chiusi nelle loro bolle di orgoglio, la maggior parte li conosceva da anni, ma giusto il necessario da poter scambiare con loro i classici convenevoli, se lo avessero obbligato a sostenerci una conversazione più lunga di cinque minuti sarebbe stato costretto ad arrampicarsi sugli specchi in modo disastroso.
    Darien gli sembrava una persona estroversa e socievole, un po' in questo gli ricordava Lazar: sempre in ordine, perfetto e con la cosa giusta da dire sempre fra le labbra. A differenza di quella persona che ormai considerava sua amica, però, c'era una strana sensazione, qualcosa, che non lo convinceva del tutto, riguardo alla persona che aveva davanti; ancora non sapeva cosa, ma qualcosa. Fosse anche il contesto in cui B-social li aveva piazzati per conoscersi.
    Ricambiata la stretta, Alex ritrasse la mano a sua volta, riponendola in tasca. Le mani di Alexandre non erano bianche e perfette come quelle di Darien: erano piene di piccoli graffi e minuscole cicatrici, tutto merito di quella belva dal pelo fulvo che si teneva in casa.
    «Più o meno. – sorrise, alzando appena le spalle. – Ti avevo detto che non ti avrei reso la vita facile, no?»
    Per il momento, a meno che non volesse morire d'infarto, si era detto, era saggio cercare di andarci d'accordo. Le persone espansive lo spaventavano proprio perché erano in grado di fare quello che a lui riusciva estremamente difficile: prendere l'iniziativa. Annuì e seguì lo sguardo azzurro di Darien verso l'ingresso del museo, non soffriva particolarmente il freddo - fare immersioni d'inverno con l'acqua a dodici gradi lo aveva decisamente svezzato - ma non questo gli piaceva rimanere a prenderselo, dato che non aveva nemmeno dei guanti.
    «Certo che è proprio un posto strano per passare San Valentino.» mormorò, seguendo la sbarazzina chioma bianca lungo la strada. Non era un tentativo di fare conversazione quanto più una constatazione per sé stesso di quanto bizzarra fosse la situazione. Chissà quale dei programmatori di B-Social aveva pensato fosse una buona idea, cioè ci arrivava persino lui che non era un granché come scelta a meno che non stessero cercando di accoppiare due professori di storia giapponese.
    Quando il suo compagno gli porse i biglietti, inarcò appena un sopracciglio. Ecco, primo dubbio della giornata. Che doveva fare? Quella faccia da schiaffi lo irritava un pochino, ma tutto sommato forse...
    Forse doveva solo comportarsi come faceva con Chinats--no, in quel caso avrebbe detto un mucchio di cavolate. Meglio di no. Non ci teneva particolarmente a fare bella figura; non per questo si sarebbe comportato da incivile.
    Vabbè.
    Forse doveva solo smetterla di fare il pezzo di legno e provare a divertirsi. Darien aveva ventidue anni, dal punto di vista di Alex era praticamente un ragazzino. Figurarsi se si sarebbe fatto mettere i piedi in testa da un ragazzino.
    «In colpa? Per averti fatto pagare i biglietti? – chiese, un po' perplesso, allungando una mano per cogliere fra le dita il pezzettino di carta. – Certo che no, te lo meriti.»
    Non lo aveva detto con tono cattivo, più una via di mezzo fra l'amichevole e il "nice-try-ma-so-rispondere-al-tuo-sarcasmo", che aveva appena inventato. Detto quello, smorzò un sorriso e lo sorpassò, avviandosi verso l'ingresso: lì ovviamente mostrò il biglietto a chi di dovere ed entrò. Ora lo aspettava un bellissimo tour di armature e spade di cui non avrebbe capito assolutamente niente con una persona con cui non aveva assolutamente niente in comune. Fantastico. Mentalmente, si maledisse per non aver prestato più attenzione al famoso format di iscrizione che gli aveva mostrato Chinatsu. Magari avrebbe potuto scriverci qualcosa, magari.
    Anche se col senno di poi forse se lo avesse visto per bene non si sarebbe proprio iscritto.
    «Sei per caso un appassionato di storia?» chiese al suo interlocutore, una volta entrati entrambi. Si tolse il cappotto, rimanendo con una maglia color panna dallo scollo a V, decidendo di tenerlo sotto braccio, e gli lanciò un'occhiata curiosa. Giusto per rendere ancora più evidente il suo dubbio sul non sapere come fossero finiti lì.
     
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    "Oh sì, lo è eccome."
    Aveva trattenuto quel commento circa la stranezza del luogo scelto dagli organizzatori dell'evento, più per il tono irritato che per altro. Irritato perché si rendeva conto che dover trascorrere la giornata insieme ad un tizio che ergeva muri, in un luogo noioso come quello, rendeva il tutto più difficile. E se da un lato la difficoltà di non saper come tastare il terreno con l'altro lo esaltava, d'altra parte si sentiva un po' preso in giro e quando le cose non si facevano positive per se stesso, allora cominciava a reputare tutto un'enorme seccatura. Darien non era una persona così paziente, cercava di sopperire imponendosi di avere pazienza per dei risultati migliori, ma l'essere messo così a dura prova lo disturbava.
    Quella situazione non gli piaceva, se doveva essere sincero se la sentiva stretta addosso. Ma quando Alex decise di rispondergli con dell'altro sarcasmo, quelle spalle rigide si sciolsero un po' di più: non era poi così difficile, doveva solo dargli il tempo di abituarsi! ... o almeno, sperava fosse così e che non stesse facendo un grandissimo buco nell'acqua.
    «Immagino che il meritarmelo rientri nel tuo modo di rendermi le cose meno facili» bofonchiò "fintamente" offeso, nel mentre mostrava il biglietto di ingresso a chi di dovere, oltrepassando i famigerati controlli. Ora che erano dentro, Darien si sentiva come in gabbia. Non sapeva definire se fosse un fatto positivo o meno, ma cercava di guardare sempre al suo obiettivo e forzandosi a vederla in maniera positiva per permettersi di essere ad un passo più vicino al suo scopo. Dopotutto non era davvero lì per partecipare ad un appuntamento serio, lui non era serio. E Alexandre sembrava non essere propenso a lasciarsi andare abbastanza al punto da considerarlo davvero un appuntamento. Si domandava cosa effettivamente avesse spinto l'altro ad iscriversi se normalmente era così... "riservato"? Non sapeva nemmeno come definirlo, era dannatamente difficile inquadrarlo. Tutto era più difficile, ed erano solo trascorsi pochi minuti da quando avevano valicato la soglia del museo, chissà come sarebbe finita quella giornata.
    "Vincendo, solo questo."
    Cercava di motivarsi da solo, pensando unicamente alle ragioni per cui si trovava lì. Alexandre sembrava una preda perfetta, era alto, in forma... non poteva sapere se davanti a sé ci fosse una persona poco in salute o con qualche problemino di dipendenza, ma il faccino dolce gli stava dicendo che non doveva farsi venire simili dubbi. Alexandre, per Darien, non aveva assolutamente la faccia di uno con questo genere di problemi, a meno che non fosse una trappola. Ciononostante, più lo guardava, più aveva voglia di affondare i denti nella sua carne.
    Doveva trattenersi. Si mordicchiò distrattamente l'interno guancia destro, mentre lo sguardo passava dalla figura di Alex, che nel frattempo aveva deciso di togliersi il cappotto, a ciò che teche e vetrine attorno a loro avevano da offrire: leggeva distrattamente i cartelli informativi, fermandosi soltanto al nome di ciò che contenevano, non approfondendo con una lettura delle didascalie. Non ne aveva granché voglia, a lui la storia aveva sempre annoiato, se proprio doveva essere onesto. E si vedeva dallo sguardo poco assorto: era difficile guardare delle armature quando si aveva di meglio su cui posare lo sguardo.
    Alla domanda altrui scosse il capo, facendo spallucce.
    «No, per niente» commentò divertito, rivolgendogli un sorriso, «mi ha sempre annoiato parecchio.»
    La sincerità era la miglior cosa. Non si poteva pretendere che gli altri parlassero onestamente di loro stessi se non si era i primi a socchiudere leggermente la propria porta. Cercò di distogliere lo sguardo da Alex, puntandolo piuttosto su un'armatura piuttosto piccola: a giudicare dalle dimensioni, gli uomini giapponesi di un tempo non erano per niente alti.
    «Tu hai la faccia di uno che invece studiava sodo.»
    Si lasciò sfuggire quel commento del tutto sincero, soffocando una risata. Sarebbe stato da emeriti idioti ridere di un commento azzardato come quello, meglio darsi una regolata.
    «Però i messaggi che ci siamo scambiati in chat mi hanno fatto capire che tu non sia molto interessato a questo genere di cose.»
    Ogni parola era un enorme azzardo: poteva simboleggiare un passo più vicino al suo obiettivo, o cento più lontano. La simpatia, o un gesto che l'altro poteva interpretare come positivo, gli avrebbero dato modo di avvicinarsi maggiormente, ma un errore era ben peggiore: sbagliare equivaleva ad indietreggiare bruscamente, e dover ricominciare da capo, con la consapevolezza di aver sbagliato a rapportarsi all'altro. Ed era una cosa che gli era già capitata. Inutile dire che Darien detestava sbagliare, con tutto se stesso. Perciò si stava trattenendo, per questo motivo cercava di andarci piano: doveva sondare il terreno, non causare una voragine.
    «E, onestamente, non potrei darti torto.»

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    Come dire, si sentiva osservato.
    La cosa non lo metteva esattamente a disagio, perché un po' ci aveva fatto il callo ad essere fissato dai giapponesi (se non stava camminando ad Harajuku) perché si vedeva lontano un miglio che era un gaijin e vagamente quella persona che in un anime avresti scambiato per il protagonista a causa dei capelli colorati in una classe dove tutti li avevano castani o neri.
    Il pensiero che a farlo potesse essere Darien rendeva il fatto di una spanna più difficile da digerire, soprattutto perché non ne era neanche certo: ogni volta che si voltava a guardarlo lo vedeva fissare le teche di vetro e i cartellini sui muri, eppure appena si metteva a leggere qualcosa a sua volta... ecco che quella strana sensazione spuntava di nuovo. Non che fosse superstizioso, però gli sembrava quasi di essere in uno di quei videogiochi horror in cui c'è il quadro che ti fissa con gli occhi iniettati di sangue quando sei di spalle e che torna normale come per magia appena ti volti a guardarlo, manco stessero giocando ad "un, due, tre, stella". Non era mai stato bravo in quel tipo di videogiochi ed era una cosa per cui Julian l'aveva spesso preso in giro. Gli piacevano, ma moriva quasi sempre malissimo. A volte un po' meno peggio, ma moriva comunque e poi doveva cercarsi le soluzioni su internet.
    Hobby videoludici a parte, ciò non cambiava che continuasse a sentirsi osservato. Si sarebbe voluto convincere ad ignorare del tutto la cosa, il problema era per lo più che non era facile perché lui aveva la tendenza a farsi mille paranoie sempre e comunque, e figurarsi se il suo subconscio aveva intenzione di farsi sfuggire l'occasione per ricordargli ogni secondo che era ad un appuntamento. Già, perché per quanto gli sarebbe piaciuto pensare che non lo fosse, in realtà lo era e lo sapeva benissimo. Conoscendosi, Alex sapeva che avrebbe ripensato a quel pomeriggio per giorni, se non settimane, mangiandosi le unghie e ripetendosi come un mantra le solite cose in stile "ma se avessi detto, ma se avessi fatto".
    Poi un giorno di punto in bianco avrebbe digerito l'imbarazzo, si sarebbe ricordato che la storia non si costruiva con i "se" e sarebbe andato avanti, ma fino ad allora... buona fortuna.
    Ciò che gli attanagliava le membra in quell'istante era il motivo per cui Darien lo stesse fissando. Sempre ammesso che lo stesse facendo, dato che - per l'appunto - non ne era per nulla certo. Alexandre non si riteneva una persona particolarmente attraente, nonostante più volte alcune persone gli avessero fatto notare il contrario. Era per lo più convinto di avere lo stesso fascino di una carota e credeva che fossero gli altri a non aver mai visto una persona bella. Quindi i suoi pensieri si potevano essenzialmente riassumere con una semplicissima domanda: cosa pensava di lui Darien?
    Non voleva che gli interessasse, ma gli interessava.
    Perché? Bella domanda.
    Sapeva solo che non voleva finisse come l'ultima volta che si era cacciato in una situazione simile. Anche perché un ghoul lo aveva quasi ucciso, quindi aveva anche le sue ragioni, ma pensava più all'essere un concentrato di banalità e noia.
    Per ora l'unica cosa diversa era che era passato un anno.
    «Beh, studiavo. Ma non mi sono mai ammazzato sui libri.» sospirò, stringendosi nelle spalle e lasciando ondeggiare i capelli arancioni sulla nuca, rispondendo alla curiosità altrui. Decisamente no. Non era una cosa che avresti detto di lui, forse, perché a guardarlo sembrava davvero il bravo ragazzo che ogni padre avrebbe voluto vedere a fianco della propria figlia, ma aveva saltato anche la scuola parecchie volte per scansare delle interrogazioni o altro.
    Depennò l'ipotesi che Darien avesse scritto del museo nel format dell'evento dalla sua lista. Aveva trovato la prima cosa che avevano in comune, mitico.
    «Decisamente no. Non credo di poter proprio dire che "mi annoia", ma sono più... come dire, un uomo di scienza?» rispose, lasciando scorrere gli occhi smeraldo sulle armature in mostra.
    Non che le materie umanistiche non lo interessassero, ma era sempre stato più propenso per argomenti come matematica e scienze. Inoltre, non avendo studiato lì in Giappone per tutti gli anni che precedevano l'università, veniva da sé che quando si era trasferito la sua preoccupazione primaria era stata quella di imparare la lingua e non la storia giapponese. Del resto quando lo avevano assunto alla CCG non gli avevano chiesto se conosceva a memoria la biografia di Oda Nobunaga o Hijikata Toshizo, ma se sapeva distinguere una kagune Ukaku da una Bikaku. «Posso recitarti la presa della Bastiglia a memoria, ma in storia giapponese non sono ferrato, non ho studiato qui. – commentò, sott'intendendo quello che già si capiva dal suo aspetto fisico e dal nome. Spostò di nuovo lo guardo sull'altro, fissandolo un po' dubbioso. Perché la presa della Bastiglia? Nessun motivo, era davvero una delle poche cose che si ricordava bene. – Tu, invece, immagino di sì? Hai una pronuncia nettamente migliore della mia.»
    Piccoli dettagli a cui faceva caso uniti al fatto che, nonostante gli paresse d'aver letto sul suo profilo che veniva dal Kansas, parlava davvero bene.
     
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    Se Darien avesse saputo quanto in soggezione stesse mettendo Alex, probabilmente si sarebbe emozionato. Gli piaceva avere talmente tanto potere da esercitare un certo tipo di pressioni sugli altri, gli dava l'idea di essere superiore e, sotto certi aspetti, invincibile. Perché lui difficilmente si sentiva pressato dagli altri, viveva la vita con estrema leggerenza pur riconoscendosi come mostro. E, insomma, riconoscere di non essere la persona più buona del mondo, andare d'accordo con questa visione e non farsi il minimo problema, era già allarmante di suo. Ciò però non influenzava minimamente la sua persona, piuttosto si sentiva terribilmente orgoglioso. E se Darien riusciva ad essere assurdamente tranquillo nella veste di pazzo narcisista, allora era assolutamente difficile metterlo in soggezione.
    L'idea che gli altri, invece, provassero emozioni talmente forti da sentirsi a disagio anche solo alla sua presenza lo esaltava. Peccato Alexandre non lo stesse dicendo chiaramente: Darien era bravo a leggere gli altri, ma non era abbastanza empatico da capire che c'era qualcosa che non andava. Perché, dopotutto, come avrebbe potuto uno come lui, che difficilmente si interessava a qualcun altro che non fosse se stesso, capire davvero gli altri? Non era umanamente possibile.
    E infatti lo si poteva notare da quanto tranquillamente si guardasse attorno, senza farsi il minimo scrupolo. Guardare Alexandre gli dava la forza di continuare su quella strada, perché se si fosse concentrato soltanto su tutto il noioso materiale culturale che li circondava, sarebbe già scappato da un pezzo. Ma oltre ad essere ben educato, era una persona che difficilmente rinunciava ai suoi obiettivi, e dal momento in cui aveva scambiato i primi messaggi con Alex, quel ragazzo era diventato la sua preda. Ed una preda andava assecondata, corteggiata e soltanto dopo averla finalmente conquistata la si poteva trucidare definitivamente, distruggendo speranze, emozioni, vita. Il fatto che tali pensieri fossero all'ordine del giorno e li reputasse normali era agghiacciante.
    «Un uomo di scienza? Davvero?»
    Interessarsi all'altro era più facile che interessarsi alle armature attorno a loro, gli toglieva persino la voglia di sbadigliare annoiato. A pensarci bene, Alex gli aveva dato l'impressione di essere stato uno studente modello, insomma... era stato a scuola anche lui e le divisioni in "fittizie" classi sociali dettate dagli standard le aveva vissute anche lui. Alex aveva proprio la faccia di uno di quei ragazzini noiosi, studenti modello e con un'ottima media, capaci di vincere la borsa di studio. Darien, ovviamente, non era stato assolutamente uno di questi, andava bene solo se ci si impegnava seriamente, e la voglia non l'aveva mai avuta. Ma farsi delle opinioni pregiudizievoli sull'altro lo stava portando a dei punti d'incontro su cui basare, finalmente, una conversazione che non fosse unilaterale. Meno male sapeva parlare, altrimenti si sarebbe annoiato a morte anche a cercare di tirare fuori validi argomenti.
    ... non che parlare di scuola fosse valido e interessante, quello non lo sarebbe mai stato, ma era già qualcosa rispetto a quelle occasioni in cui aveva dovuto dar fondo a tutta la sua estroversione per cercare di portare avanti una conversazione, con scarsi risultati. Detestava gli introversi.
    «Non l'avrei mai detto, ti dirò.»
    Doveva rimanere onesto, dirgli la verità, non dimostrarsi la persona poco raccomandabile che era. Era abituato a mentire in ogni occasione o circostanza, perché non gli andava di essere onesto con gli altri e di se stesso non voleva parlare, ma la carta della verità in questo caso sembrava essere la scelta migliore: doveva guadagnarsi la sua fiducia, ad ogni costo.
    «Beh sì, mi sono trasferito qui che ero ancora un bambino troppo piccolo, ma se dovessi spiegarti la storia giapponese farei scena muta: non ricordo niente, ho passato gli esami per miracolo.»
    A lui della storia non interessava un fico secco, per essere dannatamente sinceri. Aveva altre priorità nella vita, come nuotare nei soldi, comprarsi tutto ciò che voleva, fosse stato questo persino un buon voto a scuola per potersi evitare grane in futuro. La storia apparteneva al passato, e per quanto avessero tentato di dirgli che la storia del passato aveva influenzato il presente, aveva sempre fatto spallucce e sbuffato, magari masticando una gomma da masticare e rispondendo con un annoiatissimo «sì sì, come vuoi».
    Il fatto che ad Alexandre interessasse molto di più la scienza gli aveva dato un ottimo spunto. Ripescò dal suo repertorio di "espressioni da mostrare in contesti sociali" un sorriso tranquillo, mentre si sfilava a sua volta il cappotto: ora che aveva trascorso un po' di minuti dentro l'edificio, lontano dal freddo che c'era fuori, poteva anche lui disfarsi di quell'indumento.
    «Visto che sei un uomo di scienza, sono troppo sfacciato se ti chiedo di cosa ti occupi? Per quanto possa non sembrare, la scienza la trovo affascinante.»
    ... o non si sarebbe iscritto a scienze farmaceutiche. E poi parlare di scienza in un museo storico era interessante, magari avrebbero discusso degli atomi che componevano quei pezzi unici al mondo, piuttosto che del perché indossassero quelle robe scomodissime e di ciò che effettivamente rappresentavano.

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    Se doveva essere onesto, Alex non pensava che sarebbero mai potuti diventare amici, nemmeno nella più lontana ipotesi in sui sarebbero andati d'accordo. Darien non aveva proprio la faccia di uno a cui saresti andato a raccontare i tuoi segreti e il fatto che Alexandre raccontava poco di sé in generale era esplicativo del perché contava i suoi amici stretti sulle dita di una mano. Però si era imposto almeno di provarci, ad andarci d'accordo ovviamente, non ad essere suo amico.
    Conclusa quella giornata, nel mondo ideale che viveva nella sua testa, non si sarebbero visti più e tanti saluti.
    «Ahah. Me lo dicono spesso, sì.» mormorò, in reazione allo stupore altrui, passandosi leggermente una mano sulla nuca, con l'aria di uno che è davvero abituato a quel commento.
    Perché effettivamente lo era. A volte gli davano persino meno anni di quanti ne avesse in realtà.
    In realtà, era anche piuttosto ironico il fatto che a lavoro fosse visto come una persona tendenzialmente affidabile e capace, quando la gente ignorava che aveva tre o quattro ghoul fra gli amici più stretti e che non ne faceva parola con nessuno e, anzi, diceva loro di fare attenzione con le poche informazioni che aveva.
    Nella sua mente ad avere la meglio erano sempre sentimenti come l'affetto o l'amicizia.
    «Di te invece credo lo avrei detto.» ridacchiò, dopo qualche istante, guardandosi intorno distrattamente. Ah, in che stanza erano? Aveva perso già l'orientamento. Aveva letto su internet che la visita era piuttosto lunga, però loro non avevano preso la guida, forse ci avrebbero messo un po' meno. Se fosse stato intraprendente forse avrebbe proposto di sbrigarsi ed andare da qualche altra parte, fortuna che non lo era.
    «Ah. Aspetta, n-non nel senso che...» arrancò, a seguito.
    Che? Cosa? Sembri uno scappato di casa?
    No, non voleva dire quello.
    È che aveva fatto una palese gaffe, non voleva mica dargli indirettamente dell'incapace sul discorso che non passava gli esami anche se lo aveva detto per primo lui.
    È che aveva un po' quell'espressione opportunista e sbruffona che continuava a ricordargli Julian e voleva mandarla via a tutti i costi. Si fece sfuggire un sospiro. «Non importa, scusa. – borbottò, gesticolando appena, portandosi una mano alla fronte. – Io faccio ricerca. Però non ti dirò su cosa, perché tutte le volte che lo faccio le persone si spaventano, non è molto vantaggioso. Immaginami con un camice bianco e andrà bene.» sorrise, cercando di tornare in carreggiata.
    Certo Alex, perché andavi a dire di lavorare alla CCG davanti ai Ghoul, ovvio che ti guardano storto dopo.
     
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    ... gli aveva davvero detto che aveva la faccia di uno che non era bravo nello studio? Sul serio? For real?
    Se Darien non fosse stato consapevole di dover sembrare affabile e, sopra ogni altra cosa, decisamente non se stesso, probabilmente avrebbe dimostrato di essere offeso.
    Oh no, non poteva di certo legarsi al dito una cosa del genere-- o forse sì? Beh, dipendeva da come si sarebbe comportato l'altro di lì in avanti. Non era una persona particolarmente rancorosa, anzi, forse si sarebbe davvero offeso sulle prime, perché detestava chi lo sminuiva o insultava, ciononostante se ne sarebbe sicuramente dimenticato più avanti. A volte dimenticava come si chiamassero i suoi compagni di campus, figurarsi se mai poteva ricordarsi che Alexandre lo aveva velatamente offeso. Non era quel genere di persona.
    E poi si era scusato, dai, poteva mandarla giù. Doveva proprio aver tanta voglia di vederlo fare una brutta fine se era realmente riuscito a rivolgergli un sorriso tranquillo. Le mani erano nuovamente scivolate in tasca, come a dare l'idea di sembrare particolarmente tranquillo.
    No, non avrebbe mai dato modo ad Alex di comprendere quanto fosse suscettibile. Le persone suscettibili non erano simpatiche, lui lo sapeva bene. E nonostante sapesse perfettamente di essere un pomposo altezzoso che sapeva solo darsi delle arie e vaneggiare su quanto fosse bello e perfetto, era consapevole quelli fossero difetti. Lui non li vedeva propriamente così, ma ne era perfettamente consapevole.
    Perciò non poteva dar l'idea di essere una primadonna particolarmente permalosa, era un biglietto di sola andata per A Mai Più Rivederci, di nuovo. Se la sarebbe evitata volentieri.
    «Non preoccuparti, it's okay.»
    E rispondere spontaneamente rassicurandolo poteva essere la carta vincente. Era consapevole di non avere l'aspetto di una persona affidabile, le persone più coraggiose glielo avevano detto senza troppi peli sulla lingua. Darien gli aveva dato ragione.
    Non era, quindi, il tipo che non riconosceva i suoi lati peggiori, ne era a conoscenza e di solito faceva ben poco per nasconderli. Ma quando era a caccia, quei suoi lati negativi dovevano rimanere sepolti, lasciando spazio a pregi che con enormi probabilità nemmeno gli appertenevano. Tipo l'essere pacato e gentile, o dire la verit-- no dai, era una persona schietta, non sempre mentiva. Quando c'era bisogno di tener nascosto qualcosa, ovviamente non si faceva scrupoli a raccontare cavolate, ma in compenso era piuttosto sincero. E c'era qualche malato là fuori che lo apprezzava. Ma tu guarda che bel mondo.
    «Sono consapevole di non dare l'impressione di uno studente modello, mi guardo allo specchio abbastanza spesso da essermene convinto da solo.»
    Oh, ma guarda, era persino auto-ironico! Che spasso, già. Peccato che a guardarsi allo specchio poco ci mancava che accarezzasse il proprio riflesso con una mano e si mormorasse da solo di essere un bel manzo. Il sex symbol Darien Lockwood, non suonava neanche mal-- non era quello il punto.
    Meglio concentrarsi nuovamente su Alex, non voleva perdere di vista l'obiettivo. Era decisamente più importante di lui, purtroppo.
    «Quindi sei una sottospecie di scienziato, giusto? Figo, è affascinante.»
    L'idea che avesse omesso il genere di lavoro che faceva perché "di solito le persone a cui lo diceva si spaventavano" non gli aveva fatto venire nessun dubbio. Per quanto prudente, Darien a volte era troppo spensierato per abbandonarsi a simili "sciocchezze", per quanto in quel caso sapere che chi aveva di fronte lavorava per la CCG non era per nulla una sciocchezza. Già. «Non so quanto vicino possa essere il tuo lavoro a ciò che faccio, ma studio scienze farmaceutiche.»
    Non glielo aveva assolutamente chiesto nessuno, ma lui sentiva la necessità di dirlo. Insomma, era un'informazione che poteva, potenzialmente, avvicinarli? Ed ogni tentativo sarebbe stato buono. Oltre al fatto che adorava parlare di se stesso, dopo un po' sentiva l'impulso irrefrenabile di dire qualcosa di sé.
    Darien Lockwood il gallo.
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    Alexandre tentò di sorridere, non ci riuscì e si ritrovò ad abbassare lo sguardo sul pavimento del museo con un'espressione a metà fra il mesto e il "stavo scherzando abbi pietà di me per piacere" stampata in viso. Era carino che l'altro non se la fosse presa troppo; lui era consapevole di non aver detto un'eresia che si meritava il rogo, però sentirsi dire che non passi gli esami perché magari sei un asino da un completo sconosciuto non era proprio nella lista di migliori cose da dire per ingraziarsi una persona. Non che stesse cercando di ingraziarsi Darien, chiaramente. È che ogni tanto si dimenticava che non poteva parlare a chiunque come parlava con le persone che gli facevano la grazia di sopportarlo. Il suo proposito di starci più attento andò a farsi friggere in meno di un secondo.
    «Avrei detto anche questo.» mormorò infatti, al commento del ragazzo dai capelli bianchi sul "guardarsi allo specchio". Niente, proprio non ce la faceva a stare zitto. Se non altro questa volta non se ne pentì per niente perché Darien gli dava proprio l'impressione di essere un novello Narciso. Si chiedeva se non avesse passato un'oretta davanti allo specchio anche per prepararsi quel giorno, perché Alexandre ci aveva passato una mattina intera, più per l'ansia che per controllare di essere effettivamente in ordine, però.
    Quando Darien gli mormorò che fosse affascinante, Alex per poco non ebbe un mancamento, perché si era distratto mezzo secondo a causa di una donna - probabilmente un'altra delle poche persone presenti nel museo quel giorno - che gli era sfilata accanto e ci mise un secondo di troppo a far macinare al suo cervello l'intera frase ed a capire che l'altro si stava riferendo al suo lavoro e non a lui.
    «E-Eh? Ah, d-dici...?» annaspò, cercando di non far notare quanto fosse stato preso in contropiede e con ogni probabilità fallendo miseramente. D'altro canto, fu immensamente grato al ghoul quando questi decise di cambiare argomento e concentrarsi su sé stesso.
    Sì, finalmente. Alexandre ne aveva già abbastanza di parlare della propria vita, non la riteneva per nulla avvincente, come un vecchio libro dalle pagine ingiallite. Quella di Darien invece dava l'idea di essere un e-book di ultima generazione, altroché.
    «Oh, davvero? Anche quello è piuttosto affascinante. — mormorò, rigirandogli il complimento, prima di cogliere la palla al balzo. In realtà Alexandre si poteva classificare come una persona che parlava generalmente abbastanza, ma se c'era una cosa che sapeva fare meglio di parlare, quella era senza dubbio ascoltare. E se a Darien piaceva parlare di sé stesso e mettersi in mostra chi era lui per dirgli di no. — Ma immagino che parlare di università faccia quasi concorrenza a questo posto come livello di noia, vero?» ironizzò, smorzando un sorriso. Se poi ora se ne usciva fuori che voleva raccontargli tutta la sua carriera universitaria omestamente al diavolo, aveva già fatto abbastanza supposizioni seguite da figuracce.
    «Quindi... scienze farmaceutiche no, storia non ti piace, beh, avrai qualche hobby?» tentò, nella maniera più innocente possibile. Lui, davvero, non aveva nessun secondo fine, stava cercando di sopravvivere a quell'uscita nel modo più indolore possibile. E magari così avrebbe smesso di sentirsi a disagio per l'angoscia di essere noioso.
     
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    Quel posto stava diventando esasperante. Giravano molto distrattamente tra una sala e l'altra, probabilmente senza che entrambi ci capissero davvero qualcosa di ciò che stava scritto. Darien non aveva interesse per la storia, se non la propria. Simpaticissimo e poco poco egocentrico, già.
    Però, davvero, quel posto era di una noia mortale. Non dava nemmeno interessanti spunti di conversazione: di solito a San Valentino si andava al cinema, o al parco divertimenti, quantomeno era intrattenente e se l'appuntamento era al buio si aveva occasione di fare qualcosa di esaltante, e non scavare compulsivamente nelle domande di cortesia e nelle frasi fatte per mandare avanti una conversazione. Non che lui ne avesse bisogno, era particolarmente spigliato, ma essere particolarmente spigliati non equivaleva a riuscire con assoluta certezza a non annoiarsi. E infatti dovette trattenersi dal sospirare rassegnato e sbuffare per il sonno che quel noioso posto, che sapeva di troppo vecchio per catturare la sua attenzione, gli stava instillando.
    Sorprendentemente, Alexandre continuava a sembrare estremamente a disagio. O almeno, era così che gli occhi di Darien lo avevano percepito: quando gli rispose come se fosse appena caduto da un pero, l'albino si domandò più volte che cos'avesse detto per averlo fatto reagire così. Forse ancora non aveva compreso che davanti a sé aveva un pezzo di legno più che una persona in carne ed ossa. Scoppiò a ridere, non riuscendo proprio a trattenersi.
    «Sei tremendamente carino, non ce la faccio.»
    Avrebbe voluto dire buffo, più che carino, ma una parte di sé si rendeva perfettamente conto che poteva offenderlo e non era di certo ciò che voleva ottenere. Sfumò la risata in un sorriso lascivo, che probabilmente avrebbe istigato più agli schiaffi che a rilassare l'altro, ma non era un suo problema. Non lo preoccupavano le persone manesche, più o meno. L'importante era evitare di deturpare il suo bel visino.
    Ma piuttosto che abbandonarsi ad eventuali attimi di imbarazzo collettivo, preferì agire come se non avesse potenzialmente rovinato tutto coi propri commenti: delle precedenti risa non rimase niente, piuttosto solo un sorriso furbetto che tirava gli angoli della propria bocca. E parlare di sé lo rendeva davvero troppo felice, al punto che fu particolarmente difficile non gonfiare il petto d'orgoglio quando Alex ammise di trovare affascinante il suo campo. Ora, che fosse ricambiato per circostanza e non perché lo pensasse davvero poco importava, l'importante era riuscire a contenersi e non scoppiare in un monologo self-centered. Per quanto non avesse idea di come Alex apprezzasse di più non parlare di sé, doveva evitare di risultare la rappresentazione umana dell'egocentrismo. Dubitava seriamente che le persone non apprezzassero di essere al centro dell'attenzione, soprattutto quando sono i complimenti a pioverti addosso. E onestamente parlando, le lodi erano troppo belle.
    «Sì, forse parlare solo di scuola e lavoro non è il massimo» decise di dargli retta, mentre oltrepassavano il varco verso un'altra delle sale di quel noioso ed infinito museo, che oramai si era realmente trasformato semplicemente nello sfondo che li ospitava.
    «Videogiochi e fumetti, per la maggiore, quando non ho niente da fare mangio più serie tv che cibo» commentò distrattamente, mentre lo sguardo si fermava ad osservare un set di katane così in bello stato che dubitava risalissero realmente a chissà quanti anni prima. «Probabilmente di questo non lo avresti detto, vero?»
    Non era per vantarsi di essere imprevedibile, ma perché nessuno prima d'ora era riuscito realmente ad immaginare Darien come un giovane otaku-wannabe. Anche se la parola otaku aveva un significato particolarmente dispregiativo in quelle terre. Però era vero che sbalordiva tutti ogni volta che lo diceva, ma se Alexandre avesse ancora una volta affermato che invece lo avrebbe benissimo detto, voleva dire che aveva finalmente trovato qualcuno che non aveva pregiudizi e non si fermava alla copertina del libro. Già. Che poi gli fregasse relativamente poco era un altro discorso, insomma.
    «Tu invece? Non ho la presunzione di dire che potremmo avere qualcosa in comune, ma più che altro ci spero, almeno non dovremmo continuare a sforzarci di parlare quando non sappiamo cosa dire.»
    Che avesse esagerato? Forse, ma non se ne pentiva neanche un po'. E poi era convinto che forse questo avrebbe potuto sbloccare Alexandre e sperava vivamente che fosse la volta buona perché, assurdamente, non riusciva più a sopportare l'idea di dover tirar fuori a forza le parole per intavolare un discorso che non fosse ai limiti del disagio.

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    Non era leale. Non era leale dargli della persona "carina" e poi scoppiare a ridere a quella maniera. Cos'era, la scena di un manga shojo? Alexandre incatenò le iridi smeraldine al profilo sorridente di Darien e arrossì malamente per la seconda volta nel giro di una manciata di minuti, trovandosi a combattere contro l'istinto di prendere e tirarsi qualche schiaffo in faccia per riprendere a ragionare a mente lucida. Non riuscì comunque a smettere di guardare il ragazzo dai capelli bianchi finché quello non volse lo sguardo verso di lui e si sentì un perfetto idiota, manco un adolescente alle prese con la prima cotta. Come se non avesse già la sua da sbrigliare poi, di cotte problematiche.
    Solo, avrebbe voluto sapere perché, ma Darien gli aveva fatto... uhm, tenerezza?
    Forse, o una sensazione simile o perché lo aveva trovato un briciolo più genuino in quel frangente che in tutti gli istanti passati fino ad ora.
    Alexandre apprezzava molto le persone sincere, ma non pretendeva assolutamente che tutti lo fossero: d'altronde era il primo a raccontare sempre le mezze verità, sarebbe stato presuntuoso. Sorprendentemente non gli dava fastidio essere preso in giro, riteneva giusto che le persone gli dicessero in faccia quello che pensavano di lui, piuttosto che accavallarsi dietro montagne di moine e complimenti fasulli per guadagnarsi la sua simpatia. Non che pensasse che qualcuno avrebbe voluto voler entrare nelle sue grazie, chiaro. Nessuno ci guadagnava nulla, perché ancora non aveva imparato a stampare i bollini come la promozione di un supermercato e raggiungendo un certo livello di affinità non regalava né peluche, né figurine da collezione.
    Con un po' di confusione in testa si passò un paio di dita sulla guancia destra, cercando di scacciare quella strana sensazione, sperando che si portasse via anche il suo imbarazzo.
    Assieme al pensiero che Darien era effettivamente più carino quando rideva che quando faceva lo sbruffone.
    Scusa il gay panic, mi sento in imbarazzo io.
    Chiusa, per fortuna, la parentesi scuola-lavoro-università, il ghoul tirò fuori un argomento che Alexandre non si sarebbe mai aspettato.
    Ma proprio mai.
    Il ragazzo dai capelli bianchi era un suo simile?
    No, non l'avrebbe decisamente mai detto. Non da uno con la sua faccia, il suo stile, il suo... essere così lui.
    Non c'erano proprio più gli otaku di una volta.
    Eppure non lo diede a vedere per nulla perché... beh, a quel punto forse era bene dirlo, Darien cascava decisamente male: il livello di nerdaggine di Alex era molto alto, quindi al massimo il problema non era trovare cosa avessero in comune, ma il contrario.
    Alexandre sorrise di sottecchi e raddrizzò le spalle, soffocando un lieve colpo di tosse dietro una mano chiusa a pugno che si era appena portato alle labbra.
    «Hannibal è la mia serie TV preferita.» dichiarò impettito, senza nascondere una punta d'orgoglio. Era molto fiero dei suoi gusti ed il suo abbonamento a Netflix lo sapeva molto bene, perché non c'era serie televisiva che non valutasse. Il museo, già poco interessante di suo, passo definitivamente in secondo piano.
    «Preferisco i gialli o i thriller, però ogni tanto guardo anche cose più rilassanti. E collezionavo manga già prima di trasferirmi in Giappone. A dire il vero avere metà della mia libreria in francese e metà in giapponese mi disturba un po'.» riprese, dopo quella piccola pausa ad effetto e sorrise, senza più traccia di alcuna forma di disagio o timidezza sul viso. C'era da sperare che l'altro non si spaventasse, perché Alexandre sapeva di essere capace di essere anche troppo entusiasta su determinati argomenti.
    Anche lui poteva vantarsi di consumare una bella dose di serie televisive, forse non più che cibo, ma ovviamente non poteva sapere né cogliere l'ironia nell'affermazione di Darien, che era ovvio mangiasse più serie TV che cibo perché - essendo ghoul - non mangiava affatto, o almeno non nella connotazione in cui pensava lui.
    «Forse sono un po' meno ferrato sui videogiochi. Preferisco le visual novel e gli RPG. — ammise, con una punta d'incertezza, prima di sollevare appena il mento e puntare di nuovo gli occhi verdi in quelli azzurri dell'altro, mentre spostava il giubbotto da un braccio all'altro, quasi tentato di rimetterselo addosso per non doverselo più trascinare dietro. — Ti prego dimmi che non giochi a Dark Souls. Lo odio, e se lo fai me ne vado.»
    Motivo dell'odio: non pervenuto.
     
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    Bingo, aveva fatto centro.
    Aveva smesso di crederci, da lì il motivo per cui se ne era uscito con quell'affermazione un po' infelice. Ma il fatto che Alex fosse interessato al suo stesso genere di cose aveva significativamente cambiato le carte in tavola. Non aveva minimamente dimenticato l'imbarazzo di poco prima, che lo aveva fatto sorridere sotto i baffi in maniera quasi indecorosa (anche quel suo imbarazzarsi tanto facilmente era carino, ma sopra ogni cosa divertente, non poteva negarlo), ma i commenti stupidi ed imbarazzanti se li era tenuti per sé, anche perché di dover affrontare un possibile gay panic a cuore aperto non lo avrebbe retto. Non ce l'avrebbe proprio fatta, non era assolutamente abituato.
    Però doveva ammetterlo: era più facile andare d'accordo con altri ragazzi, ancora meglio se si trattava di gente che aveva i suoi stessi interessi. Era una questione di principio: era bello ritrovarsi con gente che spettegolava e si vantava di cose assolutamente inutili come lui faceva costantemente, ma il piacere di poter parlare apertamente di interessi veri superava di gran lunga qualsiasi altra cosa.
    ... tranne la caccia e il poter assaporare carne di alta qualità, quello era assolutamente insuperabile.
    «Hannibal? L'ho adorato!» esclamò, cercando di contenere l'entusiasmo quanto più possibile, per evitare di attirare l'attenzione su di loro: okay, quel museo era praticamente vuoto, ma non mancavano comunque le persone che ci stavano facendo visita ed erano realmente interessate a tutte quelle cianfrusaglie vecchie e pacchiane. Per la prima volta, forse, Darien si era sinceramente tolto la maschera da ragazzino spocchioso e altolocato snob, per indossare quella del ragazzino entusiasta che aveva trovato l'amico definitivo. Forse l'unica persona a cui aveva mostrato quel suo lato tanto fanciullesco era stata la sua amica Kanako. Anzi, forse neanche lei lo aveva del tutto visto. Sapeva di non dover abbassare la guardia, che era lì per abbindolare Alex più che farci amicizia, ma era bello poter parlare di qualcosa in comune.
    Era, comunque, inutile dire anche per quale motivo avesse adorato Hannibal, ma diciamo che l'atmosfera meravigliosamente artistica e gli intrighi psicologici avevano di gran lunga superato l'acquolina per quei piatti particolarmente gourmet.
    «Quanto ti capisco, mi piacciono un sacco i thriller~» affermò divertito, distogliendo completamente lo sguardo dalle teche che li circondavano. Affermativo, voleva uscire da quel posto quanto prima e godersi solo una magnifica chiacchierata. «La libreria "più o meno" a metà ce l'ho anche io, quindi ti capisco.»
    Probabilmente i "ti capisco" più sinceri della sua intera esistenza. Non era propriamente a metà, diciamo che lo disturbava avere i primi volumi di One Piece in inglese e il restante in giapponese, ma aveva sopperito accantonandoli e sostituendoli con gli originali. Quante mensole di camera sua aveva occupato quel manga? Pure troppe, per questo i volumi inglesi erano finiti in una scatola, per conservarli bene, sì, ma meno orgogliosamente dei volumi originali. Era un vanto che non aveva sbattuto in faccia alle persone troppo spesso, anzi.
    Che fosse meno ferrato in videogiochi, comunque, non lo tangette particolarmente: vedere l'altro molto più tranquillo e sciolto gli bastava e avanzava. Essere tranquillo lo avrebbe reso più avvicinabile e quindi una preda più facile-- non era ancora detto, però quel pensiero lo fece sorridere incontrollabilmente; fu istintivo, e quando si accorse di essersi lasciato andare si sentì come in gabbia. Controllare i propri istinti era particolarmente difficile, se si era così rilassati. La tranquillità di Alex lo aveva reso una forse-più-facile preda, ma non poteva permettersi di abbassare la guardia... non era così svampito ed imprudente da lasciarsi fregare così. Doveva fare attenzione.
    «Mh-mh, capisco» asserì, portando una mano al mento, con fare pensante, un po' come se nel mentre camminava cercasse di pensare a qualche titolo che poteva conoscere. Ma la domanda su Dark Souls spazzò via la fitta coltre di pensieri, lasciandolo per qualche istante attonito. Dopo qualche breve attimo, scoppiò a ridere, portando una mano davanti la bocca per coprirsi e non risultare eccessivo. Cercò di trattenere le risa più che poté, per non disturbare i visitatori, e sorprendentemente dovette addirittura asciugarsi una lacrima dall'occhio sinistro, che aveva misticamente fatto capolino. Ah, non rideva così genuinamente da troppo tempo.
    «Ho provato a giocarlo, e forse quando ero più piccolo mi piacque anche... crescendo ho capito che non faceva per me, è un titolo un po' sopravvalutato.»
    Era indubbiamente sincero: col tempo aveva imparato a non apprezzarlo. Probabilmente il primo titolo di quella serie videoludica era ancora a prendere la polvere in qualche scaffale di camera sua, ma sicuramente non lo aveva continuato.
    «Quindi perdona il giovane Darien incosciente, adesso sono una persona meritevole della tua compagnia?»
    Il trasporto con cui aveva pronunciato quelle parole era portato all'estremo da una teatralità esagerata. Lo faceva per scherzare e forse perché era insito nella sua natura di cazzone seriale, che pensava di risultare simpatico con qualche battuta un po' più ironica, ma era in qualche modo sincero: sperava che la risposta fosse affermativa, perché sentiva di poter avere realmente successo con Alexandre.
    «In ogni caso» continuò, mentre si guardava attorno per capire dove dovessero effettivamente andare: non sapeva quanto tempo fosse passato, né quanto avessero camminato, ma in cuor suo sperava che quella visita stesse raggiungendo le battute finali, perché di starsene dentro quel noioso museo non ne poteva più. «il mio gioco preferito è Devil Survivor, non so se lo conosci.»
    Aveva trovato poche persone che lo conoscevano, e nella maggior parte dei casi la risposta era sempre «sì, ma non ci ho giocato», il che lo lasciava piuttosto a bocca asciutta. Aveva persino costretto Kanako a giocarci, e come risultato aveva ottenuto un'amica ossessionata. Doveva ancora recuperare il manga, ma era nella lista di cose da acquistare il prima possibile.

    «Parlato.»
    "Pensato."
     
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    Per la prima volta da quando aveva messo piede fuori di casa per andare a quello pseudo appuntamento, nello scorgere le reazioni di Darien, Alexandre si sentì leggermente in colpa. Che avesse fatto male a giudicarlo così di sana pianta fin da subito quando si erano parlati in chat? In fin dei conti non sembrava per niente un bravo ragazzo, ma forse era solamente apparenza. Chissà, probabilmente doveva ancora farsi un'idea precisa su di lui: al momento, anche se avevano scoperto di avere qualcosa in comune, non pensava lo stesso che sarebbero potuti diventare amici, gli sembrava che ci fossero ancora troppe spanne di differenza fra i loro rispettivi caratteri. Eppure saperlo così, più alla mano, era leggermente confortante.
    Certo, se avesse saputo che l'obiettivo del ragazzo dai capelli bianchi era tutt'altro neanche se lo sarebbe posto il problema, ma non lo sapeva. Ed a volte l'ignoranza era davvero un bene superiore che andava protetto ad ogni costo.
    Avrebbe fangirlato volentieri su Hannibal, ma non voleva ammorbare troppo l'altro con i suoi inutili castelli di carta, né rendere troppo palese la sua disastrosa cotta per Mads Mikkelsen quindi evitò, avendo già ampiamente constatato quanto fosse meglio tenere il focus dell'attenzione su Darien e i suoi gusti. In realtà il suo nuovo hobby pareva essere diventato quello di far scoppiare a ridere il giovane ed era un po' imbarazzante ammetterlo, ma non lo stava trovando fastidioso. Istintivamente, infatti, quando lo vide ridere di nuovo sorrise appena a sua volta, divertito da quella reazione.
    Beh, ovviamente stava scherzando. Non era un tipo così permaloso e non pretendeva certo che a tutti piacesse quello che piaceva a lui. Probabilmente Dark Souls non rientrava fra i giochi che preferiva solo perché a lui piacevano i giochi con una trama e quella del famoso gioco fantasy non l'aveva mai capita. Nulla da togliere agli sviluppatori ovviamente, ma come si dice: de gustibus.
    «Pff. Beh, ci ho giocato anche io, altrimenti non potrei dire di odiarlo. Quindi sì, sei perdonato.» mormorò, soffocando lo sbuffo di una risata, prima di sollevare il mento con fare altezzoso, come se da quel verdetto dipendessero le sorti del mondo intero. Forse si era lasciato trasportare un pochino dal tono teatrale dell'altro.
    Alla menzione di Devil Survivor, tuttavia, si stupì appena.
    «Ah sì, certo che lo conosc--cioè, no!» esclamò, correggendosi a metà frase. Si era di nuovo lasciato distrarre, anche lui confuso dal percorso del museo, che più che quello, complice la poca attenzione che aveva prestato per tutto il tempo, ormai gli pareva un labirinto. Sentì un paio di occhiataccia trafiggergli la schiena e non riuscì a fare a meno di immaginarsi gli altri visitatori sussurrare a denti stretti "gaijin" con tono sdegnato o qualcosa di simile.
    «Allora. Io non sono molto navigato a dire il vero, ho un'amica che è molto appassionata di... tutta la serie e famiglia... Shin Megami Tensei, giusto?» chiese, abbassando notevolmente il tono di voce.
    Non credeva avrebbe avuto senso mentire solo per apparire più figo ai suoi occhi, anche se gli sarebbe dispiaciuto se all'altro fosse dispiaciuto se avesse scoperto che non lo conosceva. Che sensazione strana. Però aveva detto il vero, lui non ne sapeva granché, ma Chinatsu aveva giocato praticamente tutti i giochi della compagnia. Anche se credeva fosse più una fan delle serie di Persona.
    «Ho visto l'anime, però. O almeno credo.» mormorò, prima di estrarre il cellulare dalla tasca. Sbloccò lo schermo e cercò la sua fidata applicazione con la quale teneva il conto degli anime e delle serie TV viste. La aprì, digitò un paio di parole e dopo aver trovato quello che cercava sporse il cellulare verso Darien.
    «Questo. — disse, mostrandogli la scheda dello show. La copertina diceva "Devil Survivor 2" e raffigurava un ragazzo dai capelli neri, gli occhi blu e un cappuccio bianco che ricordava vagamente un coniglio. Già il fatto che ci fosse un due affianco al titolo suggeriva che probabilmente non stessero parlando della stessa cosa, ma tant'è. Quando Dio distribuiva la furbizia Alexandre aveva sbagliato posto in cui fare la fila. — In realtà non so se è lo stesso o se è fedele, nel caso lo sia. L'ho comunque visto molto tempo fa, e mi ricordo poco. Ma gli ho dato un buon voto, quindi doveva essere carino.» borbottò, aggrottando appena le sopracciglia.
    «Io sono più quel genere di persona degenerata che spende i propri soldi sui gacha.» ammise infine, scrollando le spalle. Non si vergognava minimamente ad ammetterlo, anzi scoprire che in giappone era piuttosto normale per lui era stato un vero sollievo, e considerando che il suo stipendio gli serviva a mantenere solo sé stesso e il suo gatto... poteva permettersi di farlo.
    Avendo preso il cellulare, ne approfittò per lanciare un veloce sguardo all'orologio, rimanendo di sasso nello scoprire che era già passata quasi un ora e quarantacinque. Non lo diede comunque a vedere, anzi, all'ennesimo incrocio fra due corridoi sbuffò, a metà fra lo spazientito e il rassegnato.
    «Senti che ne dici se... cerchiamo l'uscita? — chiese ingenuamente, sempre a bassa voce, sperando di guadagnarsi la comprensione e la complicità dell'altro. Tanto ormai lo avevano capito entrambi che il museo non faceva per loro. — Non credo che quelli di B-social ci denunceranno per non aver rispettato le regole, no?»


    Edited by Ryuko - 2/4/2021, 11:01
     
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