Bad Romance

[CONCLUSA] ALEXANDRE "ROMAIN" DE LACROIX & DARIEN LOCKWOOD | SAMURAI MUSEUM - 14/02/2021 AFTERNOON

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    La sua recita al limite della teatralità in merito a Dark Souls fu, credette, assecondata da Alex, che con fierezza aveva ammesso di averci giocato anche lui, ovviamente, e che lo perdonava per il suo oscuro passato.
    Anche se parlare di oscuro passato quando ora faceva sicuramente di peggio rispetto a giocare un gioco che lui avrebbe definito mediocre era fin troppo esagerato. Tuttavia scacciò il pensiero e si concentrò solo sull'ascoltare l'altro, completamente trascinato all'interno di una conversazione che, a dirla tutta, non avrebbe mai sognato di intrattenere. Che strano posto, il mondo. A volte gli sembrava che attorno a lui vivessero persone che valeva la pena di considerare bene, ma il suo cervello era troppo fissato con la supremazia dei ghoul e il buon cibo per assecondare quei minimi attimi di défaillance. Erano attimi come quelli, però, che incrinavano anche solo leggermente la quasi inesistente sfera emotiva di Darien, che si lasciava per poco abbindolare da pensieri quantomeno pacifici.
    Era strano, e quando accadeva non sapeva mai come comportarsi. Aveva imparato ad affrontare il mondo come un mare pieno di occasioni di cui usufruire e sfruttare senza alcun rimorso, ma a volte gli dava da riflettere.
    Ciononostante scacciò il pensiero, ancora una volta, mantenendo gli occhi azzurri fissi sul profilo altrui, ignorando completamente le teche attorno a loro, così come le persone. Erano uno sfondo, non erano meritevoli della sua attenzione. E anche se quest'ultimi probabilmente si sentivano disturbati dal loro chiacchierare entusiasta, a Darien non importava un fico secco. Il suo essere egocentrico precedeva di gran lunga l'educazione.
    Alexandre, però, si era premurato di abbassare il tono della voce: questo fece intendere a Darien che forse era il caso di seguire le sue orme ed avere un minimo di riguardo anche per gli altri.
    «Esattamente, Shin Megami Tensei» confermò poco dopo, sistemandosi la giacca contro la propria spalla sinistra, lasciando ricadere la stoffa in parte contro la sua schiena e il restante sul proprio petto; si era stufato di tenerlo sul braccio, così era decisamente meglio. Per quanto un po' gli dispiacque sapere che non lo conosceva tanto quanto lui, fu un sollievo comunque sapere che quantomeno lo aveva sentito nominare. Aveva scelto un ambiente troppo lontano dai videogiochi e più vicino alla scienza, oltre ad essersi circondato di gente figli di papà con una grande passione per il lusso, piuttosto che per un settore dell'intrattenimento che valeva la pena di scoprire. Quando Alexandre gli mostrò la copertina della serie animata, Darien annuì, nel tentativo di fargli intendere avesse compreso.
    «Credo sia più o meno un'altra cosa» mormorò, mentre il suo sguardo si trascinava dalla copertina raffigurata nel cellulare altrui al viso di Alex, a cui rivolse un sorriso piuttosto pacifico e tranquillo, rispetto a tutti quelli che aveva mostrato fino ad ora, «ma devo ancora vederlo, lo ammetto, per cui non ti saprei dire con certezza. So che dovevo recuperare il manga, probabilmente sono la stessa cosa-- anche perché quel ragazzino ha un volto familiare.» aggiunse poco dopo, scrollando le spalle. Magari avrebbe potuto recuperarlo, anche se l'altro non si ricordava granché. Beh, potevano avere altro di cui parlare, bastava buttarsi nell'esplorazione dei suoi gusti. Glieli avrebbe tirati fuori, uno ad uno, così magari sarebbe riuscito ad avvicinarsi un po' di più. Trattenne un sospiro speranzoso, così come incatenò nella sua mente quello che ormai era divenuto un pensiero fisso: ce la doveva fare, era importante abbindolarlo.
    Alla richiesta altrui, ancora una volta, Darien scoppiò a ridere. Probabilmente qualcuno in quelle sale lo stava maledicendo, ma non gli importò granché. Il proprio laugh counter era arrivato a quota tre, ed era tutto merito delle uscite di Alex. Era più divertente di quello che avrebbe mai potuto immaginare, probabilmente neanche nei suoi sogni più reconditi c'era un'immagine di Alex tanto simpatica. Accidenti.
    «Oddio sì, ti prego, scappiamo. Non ce la faccio più.»
    L'onestà prima di ogni cosa, vero? Fosse stato per lui glielo avrebbe chiesto molto tempo prima, ma aveva promesso a Kanako che avrebbe seguito i suoi consigli, e uno di questi era quello di avere sì spirito di iniziativa, ma di certo non quello di trascinarlo da qualche altra parte, senza aver sentito il suo parere, dopo neanche dieci minuti di visita. Forse era poco carino? Boh, che ne sapeva lui.
    Peccato fosse molto bravo a pensare quanto a fare le cose d'impulso: lasciatosi prendere da un'irrefrenabile voglia di uscire da quel posto, complice una crisi isterica che si sarebbe potuta manifestare di lì a poco, da brava drama queen qual era, aveva avvolto un braccio attorno all'altrui più vicino, che poco prima aveva liberato dal cappotto, e rivolgendogli un sorriso complice ed un «perciò andiamocene~» particolarmente divertito, aveva preso a "trascinarlo" a passo sostenuto, alla ricerca dell'uscita. Bastava guardare i cartelli e avrebbero potuto raggiungerla in fretta, no? Infatti non perdeva l'occasione di guardarsi attorno, senza rendersi minimamente conto dell'azzardo appena mosso.

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    Del tutto inconsapevole della marea di pensieri che si stavano affollando nella mente di Darien, Alexandre si fece sfuggire dalle labbra un "oh, capisco" un po' deluso, quando il ragazzo gli confermò che quello show che lui si era visto chissà quanto tempo fa non seguisse alla lettera il videogioco di cui stavano parlando, ma non era niente che non potessero aspettarsi nel magico mondo dell'intrattenimento, quindi borbottò qualcosa che suonò come un "pazienza" e scrollò le spalle, intascando nuovamente il cellulare.
    Quantomeno anime, manga e videogiochi sembravano aver stabilito uno strano accordo di pace fra quelle due anime probabilmente progettate per non essere compatibili, almeno dal punto di vista del ragazzo dai capelli arancioni.
    Quel che non si aspettava, era di scatenare una reazione così eclatante nell'animo del suo provvisorio compagno. Successe un po' all'improvviso per i tempi con cui era abituato a fare le cose Alexandre, ma fu talmente imprevedibile che non ebbe nemmeno l'ombra del tempo materiale per ribellarsi o anche solo reagire.
    Darien emise un sospiro sollevato e lui si sentì allo stesso modo, felice che avesse accettato di uscire da quel posto che si sarebbe ritrovato negli incubi per tre settimane a seguire, ma a nemmeno un secondo di distanza si sentì afferrare per un braccio per poi essere letteralmente trascinato in mezzo alle sale del museo sotto lo sguardo allibito degli altri visitatori, ed ebbe un poco gradevole flashback prima di Chinatsu e poi di Kyoko che lo trascinavano a giro come un peluche.
    La gente si doveva proprio divertire.
    Ora, pur essendo una persona riservata, Alexandre non aveva alcun problema con il contatto fisico, quel gesto tuttavia - forse perché improvviso e inaspettato - gli fece mancare un battito e gli mandò in cortocircuito il cervello, complici un'altra miriade di variabili che si erano aggiunte all'equazione che aveva cominciato a risolvere quella mattina.
    «Asp--! E-Ehi!» biascicò il povero ricercatore, cercando subito di stargli al passo ed abbassando ancora la voce, sentendosi terribilmente in colpa mentre seguiva quel piccolo uragano.
    Piccolo metaforico, visto che era alto un metro e novanta.
    L'uscita del museo non fu difficile da trovare, anche perché Alex aveva guardato più i cartelli che la indicavano rispetto a spade e armature per tutta la visita e - ci avrebbe messo una mano sul fuoco - Darien aveva fatto lo stesso. Per cui, quando riuscirono ad imboccarla e a fermarsi poco davanti all'ingresso l'unica cosa che riuscì a mormorare, il viso paonazzo per il falso sorriso di circostanza che gli era toccato rivolgere alla cassiera che li aveva accolti un'ora prima e li aveva guardati malissimo in realtà no, ma Alexandre vedeva tutto dalla sua prospettiva, fu solo qualcosa di molto confuso.
    «T-Tu sei... sei...»
    Un pazzo? Uno scemo? Un idiota? Chissà cosa voleva dire.
    «N-Non lo so, ma qualcosa che si avvicina ad un pericolo pubblico di sicuro.» borbottò, fintamente offeso. Fintamente, perché era troppo impegnato a digerire la figuraccia appena fatta per offendersi. Alexandre era quel tipo di persona che perdeva una quantità spropositata di tempo a rimuginare sulle proprie gaffe, bastava pensare che ogni tanto si soffermava ancora ad imbarazzarsi su cose banali che gli erano successe al liceo, tipo l'essere stato quasi beccato in situazioni ambigue col suo ragazzo dal professore di ginnastica negli spogliatoi della palestra o aver parlato male della prof di inglese mentre quella gli passava alle spalle.
    Non che volesse farlo, ma Darien aveva praticamente appena obliterato tutte le sue possibilità di rimettere piede lì dentro.
    Il ragazzo con i capelli bianchi, d'altro canto, sembrava il suo completo opposto, molto più propenso a lasciarsi scivolare le cose addosso e a non farsi uno straccio di problema. E infatti, in tutto quello, mentre si lamentava e decideva che aggettivo affibbiargli, Alexandre si sentiva scoppiare il cuore.
    Perché gli venivano in mente troppe cose, troppi ricordi che con lui non c'entravano neanche niente, era il suo solito problema di non riuscir a lasciar andare il passato, il fatto che suo malgrado si stesse divertendo, ed l'essere combattuto fra lo sperare che quella giornata finisse il prima possibile e il volere che non finisse affatto.
    Gli mancavano quelle sensazioni, ma aveva paura di provarle.
    Con un sospiro rassegnato raddrizzò le spalle ed incrociò le braccia, tornando a guardare il suo compagno.
    «Beh, dove vuoi andare ora? Scommetto che non ne hai la minima idea...»
    "...perché sei una persona impulsiva."
    Ugh.
    Un nodo alla gola.
    Non. Riusciva. A. Farcela.
    Non gli era neanche passato per la testa di chiedere se fosse ancora libero o dovesse tornare a casa. Non andava bene. Si stava abituando. Lo stava confondendo e trattando come cosa che non era. E quello era un problema.
    Per quanti anni fossero passati e per quanto gli piacesse convincersi di esserci passato sopra alcune ferite non si sanavano proprio mai.
    Ma quel ragazzo non era Julian.
    Non lo sarebbe mai stato.
    Come non lo sarebbe mai stato Lazar né nessun altro.
    Alexandre assottigliò appena le iridi smeraldine, disgustato da sé stesso. Ma prima che Darien potesse interrogarsi sulla sua pausa più lunga del dovuto, sollevò una mano per indicargli di stare zitto e non dire una parola e continuò di persona.
    «No, aspetta. Ho un'idea. Non sei di queste parti, vero?» chiese, ed abbozzò un sorriso scacciando via qualsiasi cosa avesse per un secondo ombreggiato il suo viso.
    Si odiava davvero.
    Però ci avrebbe pensato più tardi.
    Ora forse poteva concedersi di essere un po' selfish.
    Per "di queste parti" intendeva Shinjuku, chiaramente. Lui per svariati motivi ci passava piuttosto spesso, ma non tutti sapevano come muovervicisi o come trovare quello che cercavano in una megalopoli come Tokyo. Questa volta fu lui a fare di testa propria. Senza chiedere, prese Darien per mano - senza particolare malizia, più come si prende per mano un bambino capriccioso - e cominciò a trascinarlo per un braccio lungo il marciapiede. Doveva ripagarlo per prima.

    Più o meno dieci minuti dopo, davanti alla bizzarra coppia che B-social aveva deciso di inventare si stagliava un alto edificio a cinque piani con la maggior parte delle finestre in vetro e "Tokyo Mystery Circus" scritto sopra a caratteri cubitali.
    «Come te la cavi con le escape room, Darien?» sarebbe stata la domanda di chi l'aveva trascinato fin lì.
     
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    Era stato decisamente impulsivo, doveva ammetterlo. Avrebbe dato volentieri ascolto ai consigli di Kanako, che si era premurata di ricordargli che doveva andarci piano se avesse voluto avere successo, ma a Darien non piaceva restarsene calmo e semplicemente obbedire a quello che altre persone gli dicevano di fare, non era da lui.
    E poi, in ogni caso, era sfrontato abbastanza da sapere che chiunque avrebbe apprezzato, perché era sempre successo così. Lo spirito d'iniziativa non era nulla di sbagliato o controverso, no? Eppure non riusciva a fare quella sottile distinzione tra gli altri e Alexandre: gli altri avrebbero gioito interiormente, perché in altre occasioni era uscito con qualcuno perché l'altra persona lo voleva, in questo caso non era così. Eppure, era stato più forte di lui.
    Si era trattenuto tutto il tempo, era stato bravo: cosa mai sarebbe potuto accadere se solo si fosse azzardato a trascinare fuori Alex da quel noiosissimo museo? Alla peggio lo avrebbe messo a disagio o imbarazzato. In quel caso, visto che non era uno sprovveduto né un senza cuore (forse), avrebbe chiesto scusa.
    Non appena usciti dal museo e salutata la bigliettaia con un sorriso raggiante spiaccicato in volto come se fosse costretto, si rimise gli occhiali da sole sul ponte del naso, e la giacca che si era sfilato all'interno del museo tornò ad avvolgergli le braccia e a coprirgli la schiena. Aggrottò la fronte al farfugliare sconnesso dell'altro, aspettandosi solo che lodi come "sorprendentemente meraviglioso" gli venissero tessute. Invece, con suo sommo dispiacere, venne paragonato più ad un pericolo pubblico. Beh, non poteva dire non lo fosse, ma schioccò la lingua al palato fintamente dispiaciuto, roteando gli occhi al cielo.
    «Mah, come siamo esagerati» ridacchiò, lanciando uno sguardo divertito al ragazzo, enfatizzato da un sorriso sardonico. La sua opinione di lui non era assolutamente cambiata, stentava a credere a quanto fosse buffo. Ma constata la reazione da "allarme! incendio in corso!" di prima, si sarebbe di gran lunga evitato di ripetersi: gli piaceva scherzare e punzecchiare gli altri, ma si rendeva perfettamente conto di non potersi prendere certe libertà.
    «Comunque no, in effetti non ci ho--» incominciò, per poi vedersi zittire con un piccolo cenno della mano, che rispettò, ingoiando l'ultima parte di frase che era rimasta bloccata in gola. Era ovvio non ci avesse pensato perché sì, era vero: Darien era terribilmente impulsivo. Ma così come Alexandre non aveva esternato quel suo pensiero, Darien si era tenuto per sé la sua spicciola spiegazione.
    Il fatto fu che tra le tante cose non programmate per quell'uscita, c'era anche la possibilità che Alexandre, di sua spontanea iniziativa, lo trascinasse in giro. E ciò lo sorprese piacevolmente, tanto da averlo costretto a sfumare il sorriso che aveva indossato prima (e che gli donava un'incredibile faccia da schiaffi) in un'espressione attonita. Darien era altresì una persona semplice, non si perdeva a pensare a ciò che muoveva le azioni altrui, era un dato di fatto. Forse un po' perché non era così empatico, forse perché effettivamente gli era sempre importato poco degli altri, al punto da non prestare particolare attenzione se non fosse stato esplicitamente richiesto. Quindi, in cuor suo, non aveva la benché minima idea del perché Alexandre, che sembrava quasi fosse rimasto sconvolto dalla sua precedente presa di posizione, adesso lo avesse preso per mano e lo stesse trascinando a sua volta per le affollate strade di Shinjuku, facendo slalom tra le persone che passeggiavano attorno a loro. E visto che Darien si divertiva particolarmente in contesti di cui non aveva completo controllo, decise di lasciarsi trascinare, cercando di stare però al suo passo per non affaticarlo e, divertito dalla situazione, strinse la presa alla mano altrui, a cui rivolse un ghigno soddisfatto.
    La cosa positiva fu che in tutto il lasso di tempo del tragitto, se ne stette in silenzio. Avrebbe potuto fare il pappagallo di turno e punzecchiare l'altro con mille domande, a cui probabilmente non avrebbe ricevuto risposta, ma non l'aveva fatto. E forse se n'era stato in silenzio proprio perché sapeva che non gli avrebbe minimamente dato ascolto. Così come lui prima non lo aveva ascoltato e se l'era trascinato per le rimanenti sale del museo, sotto lo sguardo infastidito degli altri visitatori.
    O semplicemente aveva deciso di rimanere all'oscuro di tutto proprio per non rovinarsi la sorpresa.
    Quando però arrivarono di fronte a quel palazzo, Darien ci mise il suo tempo per realizzare le intenzioni altrui. Aveva portato lo sguardo verso l'alto, il naso rivolto al cielo e gli occhi che seguivano le finestre che ricoprivano totalmente la facciata di quel palazzo non gigantesco, ma comunque grande abbastanza da avergli lasciato sfuggire un fischio divertito. Tokyo Mystery Circus, recitava. E Alexandre gli aveva chiesto come se la cavasse con le escape room.
    «Okay, mi hai decisamente colto alla sprovvista» ammise in tono leggero, seguito da una risata sommessa, che soffocò poco dopo nella propria gola per poterla schiarire. «Non ci ho mai messo piede, sarò sincero.»
    Il che, un po', lo preoccupava. Okay, non era uno stupido e il suo ego era talmente smisurato da essersi spesso ritenuto abbastanza intelligente rispetto alla media, però le cose nuove avevano le loro difficoltà e al mondo c'era solo una cosa che metteva a disagio Darien: il non rispettare le aspettative che gli altri si facevano. Era vero che dava poco conto all'opinione altrui, ma gli piaceva primeggiare e dimostrare di essere grande in ogni cosa. La leggera preoccupazione provata, però, non riuscì a manifestarsi in maniera così palese da permettere ad Alexandre di percepirlo chiaramente: a meno che l'altro non fosse stato particolarmente bravo a leggere le persone, forse non lo avrebbe compreso. Ma sul volto di Darien, oltre alla sorpresa e al sorrisetto ancora presente, non si manifestò nulla che lo desse a vedere in maniera troppo eclatante.
    E visto che non voleva dare l'idea di uno a cui certe cose mettevano a disagio (perché non era così, assolutamente, ma il suo essere estremamente orgoglioso a volte lo rendeva un pazzo visionario), dopo aver dato una lunga occhiata alla faccia del palazzo, rivolse il proprio viso ad Alexandre, stringendo nuovamente la presa sulla sua mano, tiracchiandola leggermente verso di sé.
    «Però ammetto di essere curioso, perciò io direi di entrare, che ne dici?»
    Non avrebbe fatto brutte figure. Era già bastato l'aver dato l'idea di essere stato uno a cui dello studio fregava ben poco, voleva evitarsi altri imbarazzi di quel genere.

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    Alexandre non lo diede a vedere, ma fu piuttosto soddisfatto della reazione di Darien. Non aveva chissà che motivo per volerlo sorprendere, ma avrebbe preferito che non si annoiasse, anche perché avrebbe voluto dire che aveva fatto una scelta peggiore di B-social, e no. Lui non era un assiduo frequentatore di posti del genere sia chiaro, ci era stato giusto un paio di volte e non ricordava di preciso nemmeno quando. Sicuramente in occasione di qualche compleanno o festa strana, ed era al cento per cento certo di non averci voluto mettere piede fino all'ultimo secondo, quando qualcuno, nel migliore dei casi, ce lo aveva trascinato di peso. Non è che frequentava gente strana, in realtà Alexandre aveva un numero di amici che si contavano letteralmente sulle dita delle mani, però - purtroppo - erano i suoi amici che frequentavano persone strane (insomma, tre quarti di loro studiavano moda e design) e fra amici degli amici e non, ogni tanto si trovava incastrato in situazioni bizzarre. Escape Room comprese.
    Non era stato proprio lì, nello specifico, ma tant'è. Non doveva essere troppo diverso da un altro posto qualunque. A dire il vero, sapeva dell'esistenza di quel posto perché... beh, una volta avevano fatto una collaborazione con Attack on Titan e a lui era capitata la notizia sotto gli occhi, ecco tutto.
    «Missione compiuta, allora.» mormorò, lasciando vagare lo sguardo lungo le vetrate del palazzo.
    Beh, non aveva molto di cui vantarsi, se voleva dirla tutta. L'altra opzione era "andiamo in un bar-gelateria e ci mettiamo a sedere davanti ad un caffè a parlare del più e del meno fino a quando uno dei due non si annoia e va a casa?" ed era decisamente molto meno esaltante, anche perché aveva già finito le domande di cortesia.
    Ciò detto, c'era una cosa che andava puntualizzata. Alexandre non era chissà quale scienziato pazzo malefico in grado di prevedere il comportamento del suo avversario (= leggasi Darien) sempre tre o quattro mosse in avanti, ma a capire qualcosina ce la faceva benissimo. E quel che aveva capito di Darien, forse comparandolo proprio alla persona a cui voleva pensare meno di tutte in quel momento, era che quel tipo fosse un maledetto approfittatore. Ad esempio, Alexandre lo aveva preso per mano e tirato a zonzo come un cagnolino, ben conscio che sarebbe finita esattamente come stava andando adesso, ovvero che a fare il cane c'era finito lui. Ma pazienza, doveva solo ristabilire l'ordine, o almeno provarci.
    Quindi, all'esortazione di entrare, da parte del ragazzo quasi albino, si fece sfuggire un sospiro e volse il viso verso quello di Darien a sua volta. Maledetta differenza di altezza.
    «Sai... puoi anche lasciarmi ora. — mormorò e sollevò il braccio, sventolando la propria mano unita a quella dell'altro davanti al suo viso, prima di sogghignare appena. — O ti sei affezionato?» lo punzecchiò, esponendo un sorrisetto sulle labbra che la diceva lunga e che, forse, lasciava anche intravedere uno spiraglio su quello che era il vero Alexandre, quello che non si tarpava le ali da solo oppresso dalle sue stesse insicurezze.

    Che Darien lo avesse fatto o meno non aveva importanza, Alexandre era comunque un uomo adulto e vaccinato, di certo non si sarebbe imbarazzato perché un ragazzino appena uscito dalla pubertà voleva tenergli la mano (non è vero in realtà stava morendo dentro). Era meglio che pensassero ad entrare e a chiedere le regole, magari scansando quell'enorme tipo vestito da orso verde che faceva da mascotte poco davanti all'ingresso.
    Il Tokyo Mystery Circus... beh, sembrava offrire davvero una numerosa gamma di modi per divertirsi. Le opzioni erano tante ed andavano dal vero gioco classico dell'escape room, in cui ti davano un certo setting con vari enigmi da risolvere, allo stesso gioco, ma in versione ridotta, dove ti chiudevano proprio fisicamente in una finta cella e avevi un tempo limite per risolvere degli enigmi ed uscire, a cose più originali come "real stealth game" in cui dovevi far finta di essere diventato una spia e dovevi provare ad infiltrarti nella base nemica senza farti beccare dalle guardie, che altri non erano che gli impiegati del centro. Si poteva giocare in gruppo o a coppie, con tempi che variavano dai trenta minuti alle due ore. Dal punto di vista di Alexandre la soluzione era piuttosto ovvia, perché non sarebbe voluto rimanere bloccato da solo in una stanza con Darien nemmeno se lo avessero pagato loro al posto suo, ma era meglio non dirlo.
    «Tu cosa preferisci?» chiese, rivolto all'altro, una volta che l'operatrice dell'info point aveva dato loro tutte le informazioni. «Prima che tu lo dica, pago io.»
     
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    "Vacci piano."
    "Sì, va bene."
    "Vacci piano."
    "Okaaay."
    "Vacci pian--"
    "Sì va bene, ho capito."
    ... no, Darien non aveva assolutamente capito un cavolo, questo era certo. Forse perché era uno sbruffoncello con la puzza sotto il naso, che si riconosceva un valore fin troppo alto per la persona orribile che era realmente, si dava troppe arie e puntualmente credeva che qualsiasi cosa facesse non importava assolutamente a nessuno, perché se la faceva lui andava bene. Era un bambino troppo cresciuto che giocava fin troppo col fuoco. Ogni sua mossa era un azzardo e, nella sua testa, tutto accadeva per una ragione.
    In quel preciso istante, fu istintivo pensare che Alexandre se la stesse proprio andando a cercare. Gli tirava certi assist che solo uno scemo avrebbe rifiutato di ricevere e sfruttare a modo. E lui scemo non era.
    «Ah sì?» ridacchiò, assottigliando lo sguardo ed accompagnandolo con il più perfido dei sorrisi. Il suo sguardo passò lentamente a guardare le loro mani, per poi tornare ad incastrarlo negli occhi altrui. «Se ti disturba così tanto, perché non l'hai lasciata tu per primo? Comincio a credere che quello affezionato sia tu.»
    Agli occhi di Darien, Alexandre stava scherzando con la persona sbagliata. Permettersi di punzecchiarlo era assolutamente okay, a lui non creava alcun disturbo, ma chiunque osasse doveva essere pronto a ricevere altrettanto indietro. Insomma, il fasullo albino non aveva nulla da perdere e non era certo il tipo che si imbarazzava per cose simili, non era un ragazzino piagnucolone, dopotutto. E fu presto detto: divertito dalla questione, decise che sarebbe stata una saggia idea azzardare un altro po', finendo così a tentare un approccio più diretto, intrecciando le dita a quelle altrui. Per lui andarsene in giro mano nella mano non era niente di esaltante, significava ben poco se doveva essere completamente onesto. Ma era abituato alle giapponesine fintamente pure e caste che se possibile si sarebbero trasformate in balbettanti pomodori ambulanti per un gesto del genere. In quel posto tutto sembrava fin troppo volgare, anche un gesto insignificante come quello.
    «Okay, ora possiamo andare~»
    E così erano entrati dentro il palazzo con ancora le mani unite in quel decisamente insignificante contatto. Ancora una volta era stato trascinato da Alexandre, e perciò non ebbe molta altra scelta se non seguirlo oltre le porte automatiche di quel posto, fermandosi a guardarsi intorno nel tentativo di capirci qualcosa. L'addetta al benvenuto li accolse con un sorriso calmo e rilassato, ed un modestissimo cenno del capo, prima di abbandonarsi in una serie di spiegazioni circa le attività e i servizi che il posto offriva. Il fatto che fosse così variegato aveva fatto tirare un sospiro mentale a Darien, che magari avrebbe potuto salvarsi in calcio d'angolo con ciò che riteneva "più semplice". Il che non voleva necessariamente dire fosse facile, ma questo era un discorso del tutto superficiale.
    Quando la gentile signorina finì il suo monologo illustrativo, Alexandre si voltò in sua direzione e... gli porse la patata bollente.
    Quindi doveva scegliere lui? Con trattenuto scetticismo, inarcò un sopracciglio, scostandosi gli occhiali da sole con la mano libera, i quali finirono nuovamente sopra la sua testa, bloccando i ciuffi ribelli che fino a poco prima gli coprivano parzialmente la fronte.
    «Agli ordini~» commentò divertito, sporgendosi per guardare il catalogo e fare mente locale sulle effettive proposte, nonostante gli fossero state appena elencate. Lo stealth game sarebbe stata una proposta allettante, proprio perché fin troppo abituato ad intrufolarsi in situazioni che non lo riguardavano, ma non lo sconfinferava più di tanto. Erano in un'escape room, avrebbe dovuto approfittare per sperimentare qualcosa di effettivamente nuovo. Per cui, dopo una manciata di secondi persi a riflettere, rivolse lo sguardo prima alla ragazza e poi ad Alex, riservando a quest'ultimo un sorriso tranquillo.
    «Allora buttiamoci sul classico, sono certo sarà molto divertente~»
    Aveva spontaneamente sorvolato sulla precisazione del pagamento, senza riservare alcun genere di lamentela, proprio perché sapeva che sarebbe accaduto. In fin dei conti pareva particolarmente a disagio per la questione dei biglietti del museo, lo avrebbe tranquillamente lasciato pagare al posto suo, così, come unico (e reale) gesto di magnanimità nei suoi confronti: gli andava bene punzecchiarlo, ma se poi si fosse sentito troppo a disagio avrebbe finito col perderci soltanto e, ricordandosi del suo obiettivo, non poteva di certo permetterselo.
    In quel momento decise anche di lasciargli la mano: aveva giocato abbastanza con lo stato d'animo altrui, poteva anche smetterla. (o forse no, dipendeva sempre da Alex)
    «Tieni, ti libero così puoi pagare.»
    Il tono sfacciato e divertito lasciava intendere lo avesse fatto soltanto perché costretto, la verità era decisamente un'altra. Ma Darien Lockwood che ammetteva il vero e risultava onesto e sincero? Giammai.

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    Alexandre sospirò, socchiudendo gli occhi, ed inclinò appena il viso, sconsolato. Ehi, andiamo, dov'erano? Alle elementari? Chi lascia la mano per primo perde? Niente più migliori amici? Eppure da una parte si sentiva quasi vittorioso.
    Lui non si riteneva una persona chissà quanto imperturbabile, anzi spesso e volentieri bastavano tre o quattro parole messe nel posto giusto parole per farlo diventare rosso come un pomodoro per i motivi più stupidi come poteva essere l'aver messo una maglia al contrario, ma ne doveva passare di acqua sotto i ponti se Darien pensava che rispondendogli così lo avrebbe fatto pentire di averlo punzecchiato. Più che altro perché Alexandre poteva essere tante cose, ma sicuramente non era un santo: a dire il vero si era aspettato ben di peggio e, dato che si sentiva l'adulto della situazione, aveva tutte le intenzioni di non farsi mettere i piedi in testa da un ragazzino. Quindi proseguì imperterrito per la sua strada. Darien non gli sembrava per niente il tipo di persona da imbarazzarsi per questioni triviali come il tenersi per mano, lo aveva per lo più inquadrato come quel tipo di persona sfuggente che non capisci mai cosa pensa (e infatti non lo capiva minimamente), fiero, sicuro di sé, e con probabilmente decine di spasimanti che lo corteggiavano un giorno sì e l'altro pure. Sì, ecco, c'era un motivo se gli aveva ricordato Julian.
    Insomma, era un simpatico stronzetto snob e arrogante che di legami e relazioni impegnative manco a parlarne. E quanto poteva essere una buona idea fare perno sulla questione per tentare di mettergli un po' di soggezione? Probabilmente un numero molto vicino allo zero, ma ad Alexandre - sebbene fosse stato sempre bravino in matematica - i limiti non erano mai riusciti un granché. Magari lui la considerava una cosa seria e non stava affatto scherzando, poi dopo erano problemi di Darien.
    «Chissà. Magari sì.» rispose quindi, con nonchalance, posando lo sguardo sulle loro dita intrecciate con un sorriso stranamente morbido, prima di lasciarlo fare.
    In realtà l'unica cosa a cui era affezionato era l'idea di tirargli un pugno in faccia, ma sfortunatamente era una persona con del decoro in corpo, e non era necessario che Darien sapesse neanche una delle due cose.

    - - -

    Una decina di minuti più tardi Alexandre stava affrontando l'esperienza peggiore della sua vita.
    Rettifichiamo, in realtà non era la peggiore e i lettori lo sanno bene, ma in quel momento gli sembrava, la peggiore.
    Era chiuso in una stanza, al buio, con una sola torcia per farsi luce ed aveva il polso destro ammanettato al sinistro di Darien. L'altro era ovviamente nella sua stessa situazione, solo con la cosa dei polsi invertita.
    Entrambi si trovavano prigionieri nelle stanze di un resort in riva al mare. No, non sul serio, era semplicemente il setting della loro escape room.
    Le cose erano andate in modo piuttosto semplice.
    Alexandre aveva chiesto cosa l'altro preferisse e Darien aveva scelto di andare sul classico, quindi - solo perché gli aveva fatto la carità di lasciarlo - aveva scelto una delle stanze libere a caso, pagando l'ingresso per due, ed un impiegato abbastanza gentile li aveva accompagnati su fino al terzo piano.
    Aveva spiegato loro le regole e cosa si sarebbero trovati a fare, aveva dato loro un iPad con un timer ed una guida come da classico e delle torce (delle torce?). Poi aveva chiesto loro i polsi, e forse erano stati un po' ingenui a porgerglieli così senza fiatare, ma era un impiegato, al massimo ti dava un braccialetto o qualcosa, no? Eh, no. Anche quello faceva parte del gioco, e in men che non si dica quello gli aveva allacciato alle braccia un finto paio di manette con un lucchetto, li aveva fatti passare dietro una tenda et voilà: si erano trovati in trappola.
    E giustamente.
    Solo che... beh, Alexandre quello non lo aveva messo in conto ed ora si sentiva incredibilmente in imbarazzo. E non sapendo cosa dire, optò per rimanere in silenzio come un idiota.
    Il perché delle torce e di tutto il resto almeno adesso era chiaro. Era buio pesto e accendendole il loro debole fascio di luce illuminava un'ampia stanza arredata come quella che sembrava proprio una residence estiva.
    Era un vano ampio, il pavimento era il legno scuro, le pareti bianco panna, in alcuni punti vi erano delle fotografie appese. Al centro della stanza c'era un tappeto, con sopra un basso tavolo di legno che fronteggiava un divano bianco con dei cuscini azzurri dalle svariate fantasie. Sopra il tavolino c'era un portagioie sigillato ed una fruttiera con delle mele. Addossati ai muri dei mobili: una cassapanca con sopra un televisore e dei cassetti poco sotto, un armadio sigillato ed un ripiano con sopra una macchinetta del caffè e delle tazze capovolte. Dal soffitto pendeva un lampadario con un ventilatore, ovviamente spento, ma - cosa più importante - su un muro c'era un quadro elettrico, il che significava che potevano accendere la luce... se avessero trovato la chiave del lucchetto che lo chiudeva dietro un pannello di plastica, chiaramente.
    Qualche altoparlante nascosto stava riproducendo il suono del mare, e loro stavano giocando la parte di due persone rapite e rinchiuse in quel posto. Per uscire dovevano indovinare come aprire la porta dietro la tenda da cui erano entrati. Avevano un'ora di tempo per liberarsi, a tempo scaduto avrebbero ovviamente perso.
    Se Darien non avesse preso parola per primo, dopo un tempo che gli parve di gran lunga interminabile, Alexandre avrebbe cercato di rimettersi in carreggiata. Perché per lui potevano anche rimanere lì, ma voleva le chiavi di quelle manette il prima possibile, e sicuramente erano nascoste lì da qualche parte. «Uhm... c-cominciamo ad aprire i cassetti?»


    Edited by Ryuko - 19/5/2021, 10:31
     
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    Alexandre lo aveva inquadrato anche piuttosto bene, se proprio bisognava essere sinceri: a lui dei legami non fregava un accidenti, e legarsi a qualcuno equivaleva a sentirsi in trappola, più che sentirsi bene. Era quella sorta di spirito libero a cui piaceva cambiare e non affezionarsi alle cose, ai luoghi o alle persone, perché tanto si stancava facilmente. Quindi sì, il tentativo di metterlo in soggezione affermando una cosa del genere era assolutamente azzeccato, se non fosse che il motivo per cui si trovava lì era proprio quello di riuscire a stabilire una qualche sorta di rapporto, per consentirgli di mantenersi in contatto e poi sbarazzarsi di lui gettandolo tra le fauci di affamati ghoul al Fleur de Lys. Insomma, Darien non stava aspettando altro! ... ed era per questo che, dopo quel "magari sì", era, se possibile, diventato ancor più pimpante di prima.
    Però quella gioia che gli faceva brillare gli occhi come due zaffiri era sfumata quando si erano trovati in quella stanza al buio, da soli, con soltanto un iPad tra le mani che segnava il tempo ed una torcia ciascuno. Ah già, le manette che tenevano legati tra loro i polsi, non permettendo ai due di muoversi in direzioni opposte senza strattonarsi e farsi inutili ed involontari dispetti l'un l'altro.
    La situazione era, in realtà, piuttosto divertente. Per una persona come lui, dopotutto, certe difficoltà gli regalavano quel po' di adrenalina di cui aveva disperato bisogno per farsi venire la voglia di fare le cose ed impegnarsi. Essere legato all'altro era proibitivo, e con enormi probabilità rendeva più difficile per loro trovare le cose.
    ... senza contare che non erano affatto in sintonia, per quando a Darien dispiacesse enormemente ammetterlo. E non essere in sintonia equivaleva ad avere idee opposte e la sperava-parziale-impossibilità a venirsi incontro.
    «Ah-ah, avrei preferito rimanere con le mani intrecciate piuttosto che dover stare ammanettato~» sbuffò il ragazzo, anche se nel tono di voce si poteva notare una leggera nota di divertimento. Alzò la propria mano sinistra, costringendo l'altro a fare lo stesso, mentre puntava la propria torcia sulle manette, alla ricerca della fessura nella quale avrebbero dovuto infilare la chiave, constatando si trattasse di una serratura molto piccola. Probabilmente l'unica chiave davvero piccola presente in quella stanza.
    La fortuna era che, per quanto non fosse mai stato una cima a scuola (più per noia che per altro), era una persona piuttosto intelligente, oltre che calma e razionale. Era davvero raro che il panico lo assalisse, se non impossibile, e l'ansia non era qualcosa che esisteva in quella piccola bolla qual era il suo mondo. L'espressione rilassata che aveva in volto parlava per lui.
    Ascoltò l'invito dell'altro, rivolgendogli lo sguardo e riflettendo un attimo sul da farsi. Beh, non era un'idea malvagia.
    «Ci sto» asserì convinto, mentre puntava il fascio di luce prodotto dalla torcia in giro per la stanza, per poi fermarsi su quella che aveva tutta l'aria di essere una credenza, in legno proprio come il basso tavolino da caffé posizionato al centro della stanza.
    «Dovremmo controllare anche sotto il tappeto» mormorò poco dopo, mentre cominciò a muovere i primi passi verso il mobile che aveva individuato, con cautela e puntando la torcia ai propri piedi, per evitare di inciampare o far ruzzolare a terra entrambi, «è una cosa comune nascondere le chiavi sotto i tappeti.»
    Solo perché lui era americano e tutte le persone che aveva conosciuto lo avevano fatto almeno una volta nella loro vita. Anche nelle serie tv era una cosa terribilmente comune, e forse chi aveva progettato quell'escape room faceva leva proprio su questo: una cosa troppo scontata difficilmente veniva presa in considerazione, proprio perché era un pensiero fin troppo semplice, e proprio perché le persone tendevano a non considerare la possibilità che fosse così semplice, poteva essere una buona alternativa.
    Arrivarono vicino al mobile, dunque, e dopo aver osservato per qualche istante quelle piccole vetrinette che ospitavano qualche cianfrusaglia inutile, lo sguardo cadde sui primi cassetti, disposti in due file da tre cassetti ciascuna, per poi lasciare spazio a due piccole ante in legno, poco sotto. Quando andò ad aprire il primo cassetto, però, realizzò amaramente come questo fosse chiuso.
    «... ovviamente» biascicò seccato, passandosi la mano libera tra i capelli, scostandoli con fare nervoso. Tentò di aprire anche quello sotto, chiuso a sua volta.
    «Che mi dici di quelli?» domandò ad Alexandre, indicando i cassetti davanti al suo compagno, «Si aprono?»
    Forse non era poi così calmo e razionale. O meglio, razionale lo era senza dubbio, calmo un po' meno: i sospiri sconsolati che aveva nuovamente esalato erano una prova molto più che evidente.

    «Parlato.»
    "Pensato."
     
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    Alexandre non lo capiva proprio. Darien, s'intende. Certo, era anche vero che aveva smesso di provarci da un pezzo, ma ogni sua nuova uscita aveva la capacità di farlo rabbrividire per metà e divertirlo dall'altra.
    Motivo per il quale quando l'altro gli indirizzò la frecciatina sul fatto che avrebbe preferito rimanere con le mani intrecciate, sospirò sconsolato prima di rispondere con un "sì, anche io" piuttosto stringato e sarcastico, salvo poi rendersi conto di quel che aveva detto e darsi dell'idiota da solo. Non si corresse solo perché sarebbe stato equivalente a regalare all'altro ancor più materiale per prenderlo in giro e, sebbene ad Alexandre non importasse quando la gente lo prendeva in giro, Darien stava mettendo a ferro e fuoco i suoi nervi già da un bel po'.
    Comunque, quando l'albino accettò la sua proposta (che in realtà proprio una proposta non era, aveva solo detto la prima cosa che gli era venuta in mente per cavarsi dall'imbarazzo del silenzio), s'impose di calmarsi e... boh, fare qualcosa che equivalesse a prendere in mano la situazione, anche se lui era un pessimo leader. Bastava far finte di essere in uno di quei giochini per cellulare che gli piacevano un sacco, no? Ne aveva risolte a bizzeffe di escape room in 2D, non poteva mica essere così diverso, anche se lì c'erano i suggerimenti e il tempo non ti penzolava come una spada di Damocle sopra la testa.
    Prendere in mano o meno la situazione, si fece trascinare verso il mobile in ogni caso. Dubitava ci fosse qualcosa sotto il tappeto, ma acconsentì comunque a controllare, più per farlo contento che altro. Non era troppo banale come idea?
    «Mmh, non credo ci troveremo niente, ma...» mormorò, scostando una parte del tappeto con una scarpa, ma... ma invece Darien aveva ragione, cosa che costrinse Alex ad ingoiarsi il resto della frase. Non c'era una chiave però, c'era un foglietto. Alexandre si accigliò appena.
    «Oh, beh. Questo è inaspettato.» disse, illuminandolo con la torcia e chinandosi a raccoglierlo, mano sollevata per non costringere Darien a chinarsi con lui. Era un semplice foglietto di carta, bianco, con un triangolo ed un numero sette disegnati sopra. «Probabilmente da qualche parte c'è una cassaforte.» continuò, rigirandoselo fra le mani, prima di rialzarsi e puntare gli occhi verdi su Darien e poi scrollare le spalle. Beh, per il momento lo avrebbe tenuto in tasca. E poi spense la sua torcia. «Comunque, teniamo accesa solo la tua. Le batterie di queste cose dureranno sì e no dieci minuti. Tanto non è che possiamo allontanarci.» borbottò, spiegando il perché di quel gesto. Non perché lo sapesse a priori o avesse chissà che esperienza, ma il gioco era fatto apposta per metterli in difficoltà e una cosa del genere se la immaginava molto palpabile.
    Tornate a rivolgere le proprie attenzioni al mobilio, la reazione del ragazzo al suo fianco lo fece sorridere sommessamente. Beh, era normale che i cassetti fossero quasi tutti chiusi (anche se andando per esclusione almeno uno aperto doveva esserci), ma ciò che lo divertì fu più il tono dell'americano.
    «Sei nervoso?» domandò, distogliendo lo sguardo e puntandolo sui cassetti da lui indicati, senza malizia alcuna. Anzi, a dire il vero il suo tono era molto calmo e rilassato rispetto a qualche attimo prima, quasi dolce, come se stesse parlando con un fratello minore o qualcosa del genere. In realtà si stupì anche lui del fatto che si stesse interessando allo stato d'animo di Darien, ma decise di accantonare immediatamente quel pensiero: i cassetti, erano più importanti i cassetti.
    La sua ipotesi, stranamente, si rivelò corretta. Il primo cassetto era effettivamente chiuso, ma quello sotto - quando Alexandre lo tirò verso di sé - venne via senza fare alcuna resistenza, tanto da lasciare di sasso anche l'artefice dell'azione.
    «Oh. Sì. Uhm... delle formine? — mormorò stupito, osservando il contenuto del cassetto. Sul fondo dell'incavo c'erano infatti delle piccole formine rettangolari con dei simboli impressi sopra, simili a dei pezzi di domino in tutto e per tutto. Erano quattro e ritraevano i classici simboli delle carte: cuori, fiori, picche e semi. Alexandre le prese e le squadrò abbastanza confuso per qualche istante, per poi esordire con un'esclamazione abbastanza eccitata, come se gli fosse venuto in mente o qualcosa di estremamente stupido o qualcosa di estremamente geniale. — Ah! Darien!»
    Erano quasi totalmente al buio, ma i suoi occhi scintillavano talmente tanto che c'era il dubbio potessero fare concorrenza alla torcia.
    «Cerca una fantasia del genere, tipo dipinta da qualche parte in qualche ordine. Ci deve essere qualcosa che si apre se incastri queste cose in un ordine particolare. Magari... una scatola? Sono chiaramente fatte apposta ribadì, convintissimo di quello che stava dicendo.
    Sì, ad Alexandre quelle cose piacevano abbastanza, si notava senza difficoltà.
     
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    Darien dovette mordersi la lingua per non rispondergli con un allarmato «ovvio che non sono nervoso!», che non avrebbe fatto altro che accentuare il fatto che, all'atto pratico, lo era eccome. La sensazione era strana, comunque. Non avrebbe mai detto di essere nervoso, perché per quanto fosse evidente, non si sentiva realmente così. Gli piacevano le nuove sfida, soprattutto se lo mettevano in difficoltà, la voglia di fare veniva stranamente boostata, come se fosse il personaggio di un gioco al quale una determinata cosa o situazione sbloccava dei nuovi livelli.
    ... era un esempio assurdo, ma era un videogiocatore, e non c'era esempio più azzeccato di quello. D'altro canto, però, le nuove sfide lo mettevano in agitazione, perché aveva paura di commettere errori di cui poi si sarebbe pentito, o per i quali avrebbe provato imbarazzo.
    Ma non era da lui. Era come ammettere di avere una sfera emotiva, quando aveva vissuto i suoi ventidue anni di vita imparando che il coinvoglimento emotivo portava solo guai, ed aveva finito per accantonare la propria emotività. Non era più il bambino che piangeva vedendo la madre triste, o che si sentiva insicuro guardandosi allo specchio. Era una persona diversa.
    Ciononostante la situazione l'aveva messo in difficoltà, ed erano solo all'inizio dei giochi. Era stato tranquillo fino a che non si erano avvicinati alla credenza della stanza, ma prima di ciò si era pure pavoneggiato per aver avuto ragione. Era ovvio, dopotutto era così stupido pensare di trovare qualcosa sotto il tappeto che la maggior parte delle persone si sarebbero rifiutate che una cosa del genere fosse sensata e funzionasse. Eppure aveva fatto centro. E la realizzazione gli aveva disegnato un ghigno beffardo e soddisfatto sul volto, che sembrava dire chiaramente «visto? Ho ragione, io ho sempre ragione», sorrisetto che nel giro di un minuto era completamente svanito, lasciando soltanto la rappresentazione della stizza ad impadronirsi del suo volto. Più o meno.
    Ma Darien Lockwood era un bravo ragazzo, o almeno lo era all'apparenza. E non poteva di certo far cadere la maschera che si era impegnato ad indossare! Suvvia, non ce n'era bisogno.
    «No━ ... sì.»
    Bruciava ammetterlo? Sì, eccome se bruciava, ma non era lì per risultare il superuomo perfetto che, in fin dei conti, maschera o non maschera, non era. Per cui lo ammise, e sul momento si costrinse a fingere un sorriso imbarazzato, portando la mano libera sulla testa━ finendo per colpirsi da solo con la torcia. Well played, Darien.
    Non aveva avuto il tempo, però, di scoraggiarsi. Il volto di Darien si illuminò nel vedere almeno uno dei cassetti aprirsi, il sollievo provato sul momento piacevole tanto quanto una ventata d'aria fresca durante un'afosa estate.
    Prima di commentare, però, buttò lo sguardo al suo contenuto, sorprendendosi di trovare quelle sottospecie di tasselli di domino, che non aveva la benché minima idea di quale sarebbe potuta essere la loro funzione. Ma ci pensò Alexandre col suo entusiasmo a trascinarlo verso un ragionamento che nella testa di Darien sembrava la cosa più insensata che la superficie terrestre avesse mai potuto vedere.
    «Cosa━ scherzi?» domandò in quell'attimo di confusione, che venne spazzato via violentemente dall'espressione che l'altro aveva assunto. Diciamo che non era per nulla abituato ad affrontare situazioni del genere, ma non poteva nemmeno dirgli apertamente che credeva fosse un'idea sciocca. Il punto era che, per quanto odiasse ammetterlo, non aveva voce in capitolo. Lui e le escape room avevano vissuto in due universi diversi fino a quel giorno, era la prima volta che metteva piede dentro una di quelle strutture, perciò il suo parere era quello di un inesperto per nulla abituato a grattacapi simili. Scosse il capo, riprendendosi da quel momento di riflessione: avrebbe dovuto dargli retta, o non sarebbero usciti di lì a breve. Quantomeno dovevano riuscire a fare qualcosa per ribaltare la situazione... ed era inutile dire che sperava si ribaltasse in positivo.
    «Okay, so...» mormorò, guardandosi in giro e cominciando a puntare la torcia ovunque gli capitasse. Lo sguardo correva da una parte all'altra della stanza, nel tentativo di individuare qualcosa che potesse fare al caso loro. Aveva passato in rassegna la stanza, puntando principalmente a ciò che poteva avere anche solo le fattezze di una scatola, ma niente che riportasse i semi delle carte da gioco. Il suo sguardo cadde poco dopo su di uno dei quadri appesi al muro, che custodiva una fotografia in bianco e nero di quella che aveva tutta l'aria di essere una partita a poker in un comunissimo casinò.
    «Quel quadro» pronunciò subito dopo, trascinando con sé il suo compagno, per avvicinarsi al quadro che aveva individuato. Effettivamente erano visibili tutti i semi, ma non c'era niente che potesse ricordare una sottospecie di serratura per infilare le formine trovate nel cassetto. Spostò la torcia nella mano ammanettata, per poter utilizzare la mano come meglio credeva. Quindi si avvicinò al quadro e tentò di spostarlo, scoprendo quindi che il quadro non si poteva rimuovere dal muro, come se fosse incollato. Riusciva a muoverlo di poco, ma scostarlo o rimuoverlo dal proprio chiodo sembrava impossibile.
    «Non si muove, non posso togliere il quadro» commentò sul momento, cominciando a guardarsi intorno per ulteriori indizi. «Forse il quadro indica qualcosa..?» provò a buttare lì un'idea, idea che gli sembrava a dir poco ridicola, ma gli era passata per la testa, perciò poteva essere un indizio. Se non c'erano altri semi sparsi per la stanza oltre a quelli rappresentati nel quadro, qualcosa voleva pur dire, no?

    «Parlato.»
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    Alexandre si sorprese appena a quell'accenno di atteggiamento tsundere da parte di Darien, ma non così tanto da rimanerne interdetto. Come dire, da una parte si era aspettato una simile reazione, anche se non avrebbe saputo spiegarsi il motivo per cui ci aveva pensato, dall'altra tuttavia non si era aspettato che l'albino lo ammettesse così quasi a cuore aperto. Quasi, perché comunque si era notato che era stato restio a farlo. Beh, Alex non era comunque il tipo di persona che avrebbe fatto pesare una cosa del genere a qualcuno, a meno che quel qualcuno non fosse un suo amico stretto e lo scopo della conversazione non fosse stato prendersi in giro a vicenda. E poi, per qualche motivo trovò la scena incredibilmente divertente, tanto che si costrinse a girare la testa dall'altra parte per non far vedere a Darien che stava ridacchiando sotto i baffi.
    «Beh, puoi stare tranquillo, non ho intenzione di prenderti in giro se dici o fai qualcosa di stupido. — asserì, raddrizzando di nuovo il capo, una volta digerita l'ilarità della situazione, diretta conseguenza della torcia. Era un ragazzo alquanto comprensivo, in fondo. D'altro canto, non gli importava minimamente che Darien lo facesse con lui, perché, per quanto poco simpatico da dire, ci era abituato ad essere lo zimbello della gente, seppur non in un'accezione negativa. Ogni tanto si chiedeva se il suo ruolo non fosse quello di essere la comic relief nella vita altrui, visto che nella propria non era in grado di compicciare alcunché. — Non ancora, almeno.» aggiunse, ed accennò una smorfia sorniona, acchiappando le tesserine del domino. Magari la prossima volt— No. Fermi tutti. Quale prossima volta, Alex? Aveva già detto a sé stesso che non ci sarebbe stata nessuna prossima volta, non era il caso di farsi abbindolare da un sorriso innocente velato di imbarazzo che per quanto carino e ben incorniciato nel viso del suo compagno, con ogni probabilità non aveva assolutamente niente di vero. Sì, le opinioni che Alexandre si era costruito (e si stava tutt'ora costruendo) di Darien erano un po' in contrasto fra di loro, come se l'angioletto e il diavoletto sulla sua spalla si stessero litigando per far decidere ad Alex in che ottica dovesse vederlo.
    Ad ogni modo, non lo avrebbe scoperto a breve.
    Non con un escape room da risolvere ed il tempo che continuava a scorrere sotto i loro nasi.
    «E poi non siamo stati davvero rapiti.» aggiunse a mezza voce, più per sé stesso che altro. Chissà perché si era sentito in dovere di dirlo. Forse perché se li avessero rapiti sul serio non sarebbe stato in grado di mantenere la calma manco per scherzo. Essendo una persona molto realista, separare realtà e fantasia gli riusciva abbastanza bene ed era una manna dal cielo: probabilmente era anche l'ultimo motivo per cui non era un fifone di prima categoria nonostante tutti gli scherzi che gli giocava la vita.
    Una volta davanti al quadro, Alex lo squadrò allo stesso modo in cui un gatto avrebbe squadrato un'espressione di matematica.
    «Uhm, poker...?» fece, perplesso, più pensando ad alta voce che impegnandosi effettivamente a dire qualcosa di utile. Non era un granché con i giochi di carte, anzi a dire il vero forse sapeva giocare solo a carte uno e unicamente perché se non sai giocare a carte Uno probabilmente il titolo di inetto sociale se lo meritava tutto. Sperava però che non ci fosse qualche enigma strano da risolvere per cui bisognava conoscere le regole del poker perché sennò potevano anche sedersi sul divano e farla finita lì, perché per quanto riguardava lui erano fregati.
    Il quadretto era semplice, era abbastanza grande e raffigurava tre persone: la prima era di spalle ed aveva delle carte in mano, la seconda era il mazziere e non stava facendo nulla di notevole, la terza era un altro giocatore, in piedi e sembrava star inveendo contro il primo, indicandolo arrabbiato. Alexandre corrucciò le sopracciglia.
    «Ehi, illuminalo un po' meglio.» commentò, dando un lieve colpetto sul braccio del compagno. Se Darien gli avesse dato ascolto, Alexandre si sarebbe preso qualche altro minuto per fissare il quadro, prima di concludere che no, non ci aveva capito un fico secco, ma che forse l'idea dell'altro era più furba del previsto.
    «Okay, my take mormorò, tentando di alzare le braccia in segno di resa, salvo ricordarsi delle manette e rinunciare con una smorfia. Forse aveva un'idea, ma solo perché quella era una strategia trita e ritrita nei giochi per cellulare e lui, che aveva finito tutta la serie di Cube Escape, ci aveva fatto il callo.
    «Credo che tu abbia ragione. Il quadro non si muove perché non va mosso e questo tizio... — disse, indicando il tizio che a sua volta stava indicando l'altro giocatore. — Sta indicando una direzione, in realtà. Dietro di noi e verso il basso, visto com'è messo il dito. Credo.» continuò, spostandosi e indicando il resto della sala a cui loro momentaneamente stavano dando le spalle, nella direzione in cui c'era il tavolino basso di fronte al divano. «Mentre questo giocatore che mostra le carte ci dovrebbe dire in che ordine usare le pedine. Vedi? Ha l'indice dell'altra mani su questa, quindi probabilmente vuol dire che bisogna cominciare dai fiori, poi picche, cuori e semi.» concluse, spiegando la sua teoria, mentre indicava il susseguirsi delle carte che si intravedevano nella mano del tizio, interrompendosi quasi di colpo nell'istante successivo, alla debole luce della torcia.
    «U-Uhm. S-Sto parlando troppo, vero?» borbottò, cercando lo sguardo di Darien che aveva ignorato fino ad ora, troppo concentrato sullo spiegare la sua teoria astrale. «V-Vabbè. O-Oh, giusto! M-Magari è quella scatola di prima, era sul tavolo, no?»
     
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    Sapeva che quel quadro nascondeva qualcosa, ma era forse troppo stupido per capire cosa. O meglio, il Darien che interpretava in quell'uscita era troppo stupido per capire cosa celasse quel quadro. Una parte di sé aveva pensato che dietro quel quadro potesse esserci nascosto qualcosa, motivo per cui era così ben fissato al muro. Il punto era un altro: era realmente possibile trovarsi solo ed esclusivamente davanti a marchingegni da aprire e nulla di effettivo per aprirli? Solo bigliettini, delle tesserine del domino wannabe e cose da aprire. Una moltitudine di cose da aprire, il che stava diventando a tratti frustrante, se solo ci pensava.
    Ma doveva mantenere la calma, com'era solito fare. Perché per quanto fosse realmente infastidito da tutti quei grattacapi da risolvere, in verità doveva pensare al suo scopo e non poteva lasciarsi sopraffare dalle emozioni.
    ... aveva quasi un che di melenso per lui, ogni volta che si parlava di emozioni gli veniva il voltastomaco. E neanche a dire che se ne stesse parlando, era tutto nella sua testa. Desiderava così tanto che andasse tutto per il meglio che si stava facendo abbindolare da strani pensieri. Doveva mantenere la concentrazione e i nervi saldi se voleva davvero concludere qualcosa. Perciò, quando l'altro lo "rassicurò" in quella via di mezzo tra il bonario e l'irrisorio, Darien sorrise divertito. Fintanto che sapeva che tutto ciò che stava vivendo fosse una mera bugia, ammettere di essere sollevato dalle parole altrui non sarebbe stato un problema, ma non ci si sprecò minimamente. Dopo aver mormorato un fintamente sincero «grazie», si concentrò esclusivamente a fare da supporto alla mente assurdamente geniale di Alexandre, dandogli il giusto spazio per riflettere; puntò la torcia contro il quadro, proprio come gli fu richiesto, e rimase ad ascoltarlo in silenzio, senza emettere un solo fiato.
    In effetti a sentirlo quel ragionamento filava. Anzi, era incredibilmente azzeccato. Finse stupore dopo averlo sentito parlare così tanto, avvicinando la mano libera a quella ammanettata, simulando un breve e per nulla fragoroso applauso, ovattato dalla torcia che teneva tra le mani.
    «That was amazing.»
    Sotto un certo punto di vista stava dicendo il vero, quel ragazzo ci sapeva fare, ma convincersi di non star facendo realmente dei complimenti a quello che non vedeva come nient'altro che cibo era più importante che ammettere di essere sincero. Insomma, ci si complimentava soltanto dopo aver mangiato, no? E quello non era ancora il caso, purtroppo.
    «Me lo sentivo che partecipare ad un'escape room con te avrebbe portato dei buoni risultati» asserì, concludendo il tutto con una breve risata, scaturita dall'improvviso imbarazzo altrui. Oh, era quel classico tipo di persona che si lasciava trascinare dall'entusiasmo e parlava a ruota libera, per poi sentirsi in imbarazzo dopo aver realizzato di averlo fatto?
    Se così fosse stato, Alexandre si sarebbe reso ancor più buffo di quanto già non fosse agli occhi dell'albino. E forse era il caso di tenerlo per sé, quel pensiero, volendo evitare di scatenare un'irreparabile situazione di cui poi si sarebbe potuto pentire. Meglio pensare al suo ragionamento e a nient'altro.
    Una breve scrollata di spalle sottolineò la sua noncuranza, e dopo aver mormorato un «e allora verifichiamo la tua teoria», si appropinquò al tavolino da salotto, chinandosi poco dopo per raggiungere una buona altezza, slanciando il peso sulla punta dei piedi e "sedendo" sui propri talloni, mantenendo la mano ammanettata il più in alto possibile per evitare di far sforzare inutilmente l'altro. Pure galante, ma tu guarda un po' la vita a volte.
    «Allora» mormorò, passando la torcia ad Alex, chiedendogli implicitamente di tenerla in mano al posto suo, per poi analizzare la scatola, scoprendo nei successivi istanti che il fianco sinistro conteneva proprio quattro fessure che, a giudicare dalla grandezza, parevano perfette per le formine trovate nel cassetto.
    «Okay okay, allora, è il momento della verità!» esclamò con un entusiasmo forse troppo plateale, alzando lo sguardo verso il suo compagno, porgendogli la scatola. «Dai dai, metti le tesserine!»
    ... comportarsi in quel modo gli creava un senso di disgusto nei suoi stessi confronti. Stava un po' impersonando quella personalità allegra che in genere detestava con ogni fibra del suo essere, ma fare lo sforzo, per apparire il più innocuo e carino possibile agli occhi di Alexandre, era necessario.
    Wow, tragicomico.
    Nei desideri di Darien, dentro quella scatola doveva esserci una chiave, ma non quella per le manette. Perché, dopotutto, era veramente troppo divertente sapere che l'altro potesse essere a disagio, e voleva che questa probabile sensazione rimanesse quanto più a lungo possibile. Il motivo non lo sapeva, sapeva solo di essere fin troppo divertito al solo pensiero. E questo probabilmente perché sapeva perfettamente di essere un sadico.
    «Quindi? Cosa c'è dentro?»

    «Parlato.»
    "Pensato."
     
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    Fortuna che erano al buio, davvero, perché quando Darien si profuse in quella serie di complimenti, per quanto insignificanti, Alexandre arrossì talmente tanto che avrebbero potuto dipingere l'urlo di Munch usando le sue guance come sfondo e non si sarebbe notata la differenza dall'originale. Che dire, sì, era esattamente il tipo di persona che parlava troppo, si lasciava prendere dall'entusiasmo per cose stupide, e poi si imbarazzava per il terrore d'aver costretto la gente ad ascoltare sproloqui di cui magari a loro non importava un bel niente. Ovviamente la ragione per la quale la maggior parte delle volte arrossiva così non era perché non sapeva come reagire ai complimenti, ma perché le persone tendevano a prenderlo in giro per quella sua indole bonaria e ingenua: non che gl'importasse, insomma, non protestava mai, ma non poteva negare di sentirsi un idiota, di tanto in tanto. Era come una specie di cagnolino troppo buono per arrabbiarsi quando il bambino di turno finiva a fargli i dispetti. Bambino che in quel frangente era rappresentato da Darien, con la sua faccia da schiaffi e i suoi applausi da quattro soldi. Ma appunto, Alexandre era troppo scemo buono per prendersela e ormai si era abituato ad avercelo intorno, quindi fece solo quello che sapeva fare meglio: il caso umano.
    «Oh... uhm, beh... metà dell'idea era comunque tua...» annaspò, grattandosi il capo con la mano libera, con la sua solita abitudine di sminuirsi qualsiasi cosa facesse. Che poi era vero. In realtà, Alex non era nemmeno chissà quale grande cima a partorire idee proprie, era molto meglio a rielaborare quelle altrui, ma pazienza, non era necessario che Darien lo sapesse. Forse una parte di lui voleva ancora farla la figura del senpai intelligente.
    A portare avanti la situazione comunque ci pensò la spigliatezza dell'albino, che - in un batter d'occhio, stabilito il piano d'azione - lo trascinò verso il tavolino di cui avevano discusso fino ad ora, inginocchiandovisi davanti. Alex rimase in piedi per qualche istante, ma non appena il ragazzo gli passò la scatola si chinò al suo fianco, appoggiando la torcia sul tavolo. Non riusciva a capire se Darien si stesse divertendo o stesse solo facendo finta, ma se ne infischiò. Onestamente, lui aveva cominciato a divertirsi abbastanza, nonostante quella strana e opprimente sensazione di nostalgia che a tratti faceva capolino, quindi - dato che a quell'appuntamento non ci era mai neanche voluto andare in primis - decise, per una volta, di curarsi prima del proprio benessere.
    «Sembra un himitsu-bako.» osservò fra sé e sé, rigirandosi il contenitore di legno fra le mani e rammentando quelle buffe scatole giapponesi che si aprivano risolvendo dei puzzle. Dato che ad esaminarla però ci aveva già pensato il compagno non stette ad agitarla più di tanto, ed individuate le fessure incastrò le tesserine al loro posto nell'ordine che avevano ipotizzato: la scatola si aprì e sul tavolo caddero e rimbalzarono una chiave ed un foglietto di carta piegato a metà.
    Era fatta, si disse il rosso. Primo enigma risolto, quanti altri ce ne potevano essere, tre o quattro? Considerato il tempo molto stringato a disposizione non dovevano essere molti. Alex dubitava che sarebbero riusciti a risolvere tutta l'escape room, di solito quei posti erano costruiti proprio per fartici tornare, ma almeno la luce avrebbe gradito accenderla.
    «Una chiave. — replicò dunque, senza girarci troppo intorno, visto che l'avevano previsto entrambi. — E un foglietto...?»
    Beh, sebbene questo lo stupisse di più, gli bastò una veloce occhiata per riconoscere che fosse dello stesso stampo di quello che avevano trovato sotto il tappeto: sopra c'era un altro numero (un nove) ed un altro triangolo equilatero, questa volta sbarrato con una linea verticale che lo divideva in due metà. Molto interessante, ma le attenzioni di Alexandre vennero magnetizzate tutte dalla chiave. Doveva per forza essere quella delle manette, ci sperava, ma era anche la soluzione più logica. Era il primo ostacolo di cui dovevano liberarsi per procedere, quindi aveva senso che la soluzione fosse nascosta più in vista delle altre.
    «Mmh, speriamo sia questa.» mormorò, e sollevò appena un secondo lo sguardo su Darien, per poi chinarlo sulla serratura delle manette, quasi trattenendo il respiro. Non gli restava che pregare Dio che fosse quella giusta. Normalmente forse gli avrebbe chiesto se voleva provare lui, ma... si fece prendere un po' dalla fretta, dopotutto non vedeva l'ora di togliersi quel giogo dal collo. Quindi colse la chiave fra le mani e, avvicinandola all'incastro dell'arnese che allacciava i loro polsi, la inserì nella bocchetta, tentando di farla girare. In realtà non si aspettava un esito positivo, ma le sue dita non incontrarono la minima resistenza e la serratura scattò con un click meccanico.
    Erano liberi. Era libero!
    Per un momento Alex si scordò di conoscere Darien solo da un paio d'ore e, preso dalla gioia del momento, si voltò verso di lui, scoppiò a ridere sommessamente, spalancò le braccia e gliele gettò al collo, abbracciandolo per mezzo secondo manco avessero vinto la coppa del mondo.
    «Hehe~ Ce l'abbiamo fatta!» esordì, ridacchiando. Non si sentiva così dall'ultima volta in cui gli erano arrivati i risultati positivi di alcune analisi di laboratorio per un progetto che stava svolgendo assieme a due colleghi. Aveva abbracciato anche loro? Quasi, fortuna che a lavoro chi lo conosceva era abituato al suo non essere giapponese e al fatto che ogni tanto gli prendessero i momenti espansivi™. Ogni tanto succedeva: Alexandre in fin dei conti era un gran fesso e molte volte si rendeva conto di quello che faceva solo che l'aveva effettivamente fatto.
    Per l'appunto caso volle che quella volta non andò neanche così, perché ancora prima che potesse realizzare il cringe, la torcia di Darien si spense e ciò indusse Alex a staccarsi dal compagno praticamente subito, come se un problema nuovo avesse sovrascritto quello vecchio.
    «Oh. Ecco vedi, te l'avevo detto che le batterie duravano poco.» borbottò Alex a quel punto, cercando a tentoni la sua torcia ed accendendola una volta trovata. Il fascio di luce illuminò prima il suo viso, perché come un idiota se l'era quasi puntata in faccia, e poi il tavolo su cui erano rimasti i foglietti, l'altra torcia e la scatola vuota. «Beh, direi che dobbiamo cavare qualcosa anche da questi.» disse, abbozzando un tenue sorriso, forse anche un briciolo troppo allegro.
    Come infastidire l'inner monster di Darien: lezione uno.
     
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    Quando sentì l'ovattato tintinnio di metallo, che segnava così che quasi sicuramente fosse una chiave quella ad essere balzata fuori dalla scatola, i pensieri di Darien volsero automaticamente verso un'unica direzione: le manette. Fu infatti istintivo per lui dare uno sguardo alla piccola chiave che era caduta sul tavolo assieme a quel foglietto, per poi abbassarlo verso le loro mani, ancora incatenate tra le manette. Era l'opzione più scontata a cui potessero pensare, perciò quando Alex tentò di utilizzare la chiave per liberarsi da quelle manette, non si sorprese minimamente di sentire quest'ultime aprirsi con un piccolo scatto.
    "E' finito il divertimento" fu il suo primo pensiero. Non perché l'escape room non fosse divertente, tutti quegli enigmi da risolvere lo stimolavano a mettere in moto il cervello, per quanto in quel senso stesse volutamente facendo la figura della persona troppo poco intelligente per essere in grado di risolvere degli enigmi, ma essere legato ad Alexandre gli permetteva di limitare la sua libertà e divertirsi come poteva per metterlo in soggezione o in imbarazzo. Ma quel giochetto di potere che sperava di esercitare ancora per un po', purtroppo, si era concluso. Finse sollievo lasciandosi cadere di sedere per terra, sospirando sollevato e massaggiandosi per poco il polso che era stato vittima della gelida morsa delle manette, per poi ridere.
    «Il primo ostacolo è stato super━»
    Si interruppe nell'esatto momento in cui le braccia altrui avvolsero il suo collo in un abbraccio alquanto inaspettato. E per quanto Darien fosse abituato a certi tipi di situazioni, si era convinto l'altro fosse troppo frigido per lasciarsi andare ad effusioni del genere. Con uno sconosciuto, poi... e invece sembrava stesse recitando la parte della principessa che, a dire il vero, utilizzava l'entusiasmo nato dall'essersi liberata per continuare a stargli appiccicata. Anche in questo caso, si sarebbe trattato di cose viste e riviste, e forse banali e cringe tanto quanto i cliché in quelle bruttissime soap asiatiche che piacevano tanto a sua madre. Darien era fin troppo malizioso ed era anche esageratamente sicuro di sé, non credeva minimamente che quella fosse naturale e genuina spontaneità, ma aveva evidentemente inquadrato male il compagno.
    Approfittò della cosa per poggiare una mano sulla testa rossiccia dell'altro, muovendola piano per accarezzargli i capelli.
    «Se desideri così tanto starmi appiccicato possiamo rimetterci le manette.»
    La battuta idiota non poteva mancare. Non sapeva neanche lui se fosse per deformazione professionale (il suo ruolo di "playboy professionista", come recitava la bio del suo profilo B-social, non poteva essere messo in discussione) o se fosse solo voglia di prendere in giro l'altro, ma sorvolò quando la luce della sua torcia si spense, lasciandoli al buio. Approfittò della situazione per togliersi quel sorriso che aveva forzatamente curvato le sue labbra per tutto il tempo, roteando gli occhi e trattenendo un respiro sconsolato per puro miracolo. Lo lasciò allontanarsi ed aspettò che fosse lui ad accendere la propria torcia, scoppiando a ridere poco dopo nel vederlo accecarsi nel momento in cui l'accese.
    «Risolvi enigmi intricati ma poi ti punti la torcia in faccia, sei troppo divertente!»
    Forse era la prima volta in tutta quella giornata che si era ritrovato a dire qualcosa sinceramente, senza la pretesa di recitare una parte che si era prefissato. Ma quella genuinità durò ben poco, piuttosto decise che forse sarebbe stato meglio concentrarsi sugli enigmi. Si mise seduto meglio, incrociando le gambe ed avvicinandosi al tavolino per controllare il foglietto uscito dalla scatola.
    «Ma tornando al gioco» mormorò, squadrando il foglietto e corrugando la fronte come se potesse aiutarlo a pensare, «come prima cosa dovremmo trovare ciò che ci aiuterebbe ad accendere le luci, altrimenti sarà a dir poco difficile andare avanti.»
    La batteria praticamente nulla della sua torcia lo aveva un po' agitato, ad essere del tutto onesti, ma cercava di non darlo a vedere. Lui era il tipo che l'agitazione se l'autoimponeva in quei casi in cui avrebbe ritenuto necessario fingersi agitato, non se la faceva venire sul serio. Per questo si stava un po' vergognando.
    «Ma ammetto che non ho la più pallida idea di che cosa potrebbero voler dire questi foglietti...»
    Lasciò il foglietto sul tavolo, poggiò entrambe le mani dietro di sé e portò la schiena indietro, come se volesse stiracchiarsi.
    «Il tuo grande cervello che cosa ha pensato?»
    "SE ha pensato qualcosa."
    Non voleva essere troppo duro, ma era anche vero che aveva seriamente difficoltà a capire che cosa intendessero dire quei fogli: una forma geometrica e un numero assieme cosa volevano dire? "Cerca nove triangolini, collezionali come le sette sfere del drago ed esaudisci il tuo desiderio di avere la corrente elettrica accesa"? Era lo stupido pensiero di qualcuno che sapeva di avere i tempi ristretti per fare qualcosa che non gli competeva. E se da una parte ciò lo metteva in agitazione, dall'altro lato era sinceramente divertito dalla difficoltà.

    «Parlato.»
    "Pensato."
     
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    L'abbiamo detto, Alexandre era quel tipo di persona che prima faceva le cose e poi si rendeva conto di averle fatte. Si notava anche dal fatto che, al di fuori del suo lavoro, fosse estremamente disordinato e pigro. Rivoltava interi cassetti per trovare quella dannata camicia che voleva indossare senza minimamente pensare alle conseguenze del dover mettere a posto dopo, e finiva sempre per non farlo o farlo controvoglia. Al di là di ciò, malgrado i pensieri di Darien, era anche sempre per questo motivo che Alex era quasi totalmente incapace di mentire: le sue reazioni lo tradivano sempre.
    Niente gli impedì di provare uno strano brivido, non di freddo, quando Darien gli mise le mani addosso. Strano, perché lui era stato il primo a farlo senza rendersene conto, ma per un momento aveva quasi avuto l'impressione di trovarsi fra i tentacoli di una piovra, piuttosto che fra le braccia di una persona.
    «Oh no, certo che non voglio. Mi stai ancora antipatico, per la cronaca. — commentò, non appena Darien gli rivolse quella frecciatina sulle manette. Il che in realtà non era del tutto vero, ma davanti agli occhi affamati di un predatore era la convinzione di riuscire a scappare di una preda che faceva la differenza. — Ti stavo solo regalando un po' di fanservice.» ribadì, le labbra curvate in un sorriso sornione e il mento appena sollevato come se si stesse atteggiando ad essere chissà chi.
    In una situazione normale Alex non avrebbe mai mai mai mai detto una cosa del genere. Per fortuna che quella non era più una situazione normale da ore. E insomma, diciamolo, quando si trattava di flirtare con qualcuno era... abbastanza un disastro, ma era comunque un uomo adulto e vaccinato, le battutine di un ragazzino sbarbato come quello che aveva davanti avevano smesso di fargli effetto quando lo aveva preso in giro per la stretta di mano. Ora si stava comportando così proprio perché Darien non gli interessava da quel punto di vista e non ci stava provando. Insomma, avrebbe avuto dei seri problemi altrimenti, e li aveva, ma non esageriamo.
    Bisognava ammettere poi, che aveva trovato abbastanza gratificante averlo steso, in chat, con la battuta sul cinema, e non gli sarebbe dispiaciuto farlo di nuovo.
    Sbuffò, scuotendo appena il capo, dopo il fattaccio della torcia, ancora con una mano sulla nuca, che aveva preso a passarsi fra i cappelli per tentare di cancellare, senza successo, quell'orribile sensazione di prima. «Sì, va bene. Sono impacciato, adesso che l'hai scoperto ho almeno guadagnato dei punti ai tuoi occhi?» fece, con del sottile sarcasmo che serviva più a punzecchiare sé stesso che altro. Tanto a quel punto di figuracce dalla dubbia natura davanti a Darien ne aveva fatte abbastanza, una in più o una in meno cambiava poco la sostanza.
    Per quanto riguardava il resto invece, aveva due possibili idee: tornato in possesso della sua libertà, Alex si rialzò in piedi e cominciò a scandagliare la stanza con la torcia, annuendo debolmente.
    «Uhm, beh... — borbottò, anche se non gli piaceva essere chiamato "grande cervello" perché, già detto, in una situazione di reale pericolo o una probabile apocalisse per fare un esempio, era sicuro al cento per cento che sarebbe stato uno dei primi a morire. — C'è sicuramente una cassaforte da qualche parte, non credi? Sarà una questione di far corrispondere simboli e numeri.» ipotizzò, cominciando ad aggirarsi per la stanza.
    A dire il vero Alexandre stava cominciando ad essere un po' stanco ed il suo unico desiderio era quello di stendersi sul divano e rimanere lì a poltrire. Non poteva farlo per decoro ed educazione, quindi per ingannare il tempo decise di usare la strategia di cui si era servito al museo. Fare domande random a Darien, visto che sembrava gli piacesse parlare di sé. Tanto non credeva avrebbero comunque fatto in tempo ad uscire incolumi da lì, e allo scadere del tempo la porta si sbloccava da sola.«Cosa pensi avresti fatto se ti avessero rapito veramente?» domandò, anche se non era sicuro la risposta gli interessasse davvero. Lui schifo, probabilmente.
     
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    ... oh cielo.
    Mai in vita sua avrebbe creduto sarebbe riuscito a sentirsi disgustato per una "battuta", eppure Darien in quel momento avrebbe pure pregato un qualche dio di farlo allontanare, anche solo momentaneamente, da quella situazione. Fanservice? Quello? Ma in che mondo viveva l'altro per reputare una roba del genere fanservice? Dovette pure trattenersi per evitare di diventare la rappresentazione vivente di un meme, con un sopracciglio talmente rialzato da sembrare di essere appena stato la vittima di un ritocco su Photoshop finito molto male.
    Mantenere il clima disteso e sicuramente intonso da quel profumo di cringe che si approcciava alle loro spalle era difficile, e frenare la voglia di rispondergli con un «il fanservice probabilmente era per te, sweetie» era, se possibile, ancor più difficile che scampare a quell'alone gaio che ormai li aveva travolti. Voleva solo raccattare della cena, non per forza ritrovarsi ad affrontare una situazione come quella. E il fatto di trovarsi dentro un'escape room con un timer sopra la loro testa che scandiva i secondi in maniera così lenta da desiderare di uscire di lì il prima possibile non era, di sicuro, il modo migliore per passare il tempo dopo quella sottospecie di freddura. Per la prima volta in quella giornata, nella mente di Darien era vigile un unico e potente pensiero: "vorrei andarmene via, in fretta."
    Chissà se sarebbe potuto cambiare qualcosa, ora che la sua voglia di darsela a gambe si era "finalmente" palesata.
    «Ci vuole molto di più perché io possa considerarlo fanservice» ammise ridendo, ignorando comunque la precisazione sul suo trovarlo antipatico, anche perché montato com'era Darien, di certo non credeva che fosse possibile risultare antipatico. Al massimo sbruffone, quello lo accettava perché lo riconosceva. Ma antipatico, lui... era fuori discussione.
    Dalla regia abbiamo sentito levarsi un coro di "sempre molto modesto", ci dissociamo.
    Fatto stava che, in ogni caso, c'era da sbrigarsi: quel timer non sarebbe bastato per risolvere tutti gli enigmi che si insidiavano all'interno di quella stanza, perciò tentare di risolverne un altro era il minimo che potessero fare per riuscire ad ottenere un po' di gloria. I valorosi guerrieri che non erano, alla ricerca di una via d'uscita da quella stanza.
    Si alzò da terra, quindi, tenendo a mente quanto detto dal suo compagno: cercare una cassaforte, o qualcosa di vagamente somigliante. Era la cosa più plausibile in fin dei conti, solo che la poca voglia di applicarsi lo aveva, in qualche modo, reso decisamente stupido al punto da non averci pensato per nulla. Un grande genio del male, già. Avrebbe anche voluto punzecchiarlo sulla questione del "guadagnare punti ai suoi occhi", commento che non riusciva a capire per quale motivo fosse uscito dalla bocca di Alexandre, tant'è che era arrivato nuovamente a domandarsi per quale motivo quel tipo fosse così strano, ma stette zitto. Non perché volesse risparmiarlo (o forse, chi lo sa, magari l'albino non era così cattivo come si poteva pensare), ma perché in fin dei conti voleva concentrarsi sulla ricerca di quella benedetta cassaforte.
    Andava a zonzo per la stanza sfruttando quella poca luce che rimaneva dal fascio della torcia, per cercare la cassaforte e trovare un modo per trovare, forse, un quadro elettrico per riaccendere le luci, fino a che Alex non gli porse una domanda che lo lasciò piuttosto spiazzato. In effetti non ci aveva mai pensato, e una parte di lui avrebbe voluto rispondere qualcosa come «tesoro, il rapitore sarei io», in una via di mezzo tra l'essere serio e il "sono troppo forte e carismatico per essere la vittima di un rapimento", ma si era trattenuto per non risultare un po' troppo creepy o qualcosa del genere. E se voleva ottenere la fiducia di quel ragazzo, che sembrava così difficile da ottenere, doveva dire qualcosa di normale.
    «Probabilmente ringrazierei chi mi ha rapito, è un po' come se mi volessero dire "sei figo, complimenti, per cui ti rapiamo".»
    ... si era detto qualcosa di normale, ma Darien non era affatto normale, perciò non era così difficile immaginare una risposta del genere.
    «Scherzi a parte, non saprei... credo che cercherei di liberarmi e farmi strada verso la libertà con la forza, non sono il tipo che riuscirebbe a starsene buono e tranquillo in una situazione del genere, senza fare nulla o almeno tentare la fuga. Detesto le costrizioni.»
    Dai, già meglio. Aveva cercato di risultare il più normale possibile, nel tentativo di mascherare quella che sarebbe stata la sua vera risposta, ovvero quella di scatenarsi e ammazzare gente, per usarla come propria cena. Ma non poteva permettersi di dire la verità, per ottime ed ovvie ragioni.
    «Tu che faresti, invece?»
    A questo giro, però, era seriamente intenzionato a sapere che cos'avrebbe fatto, e anche in questo caso le ragioni erano più che ottime. Dopotutto doveva pur tastare il terreno.
    Si accovacciò per terra quando trovò qualcosa di vagamente somigliante a ciò che stavano cercando: una cassaforte dalle dimensioni modeste, completamente sprovvista di lucchetto o codici vari da immettere per sbloccare l'apertura. Cercò di aprirla, riuscendo nel suo tentativo e scoprendo, poco dopo, che al suo interno conteneva una sottospecie di scatola, un po' più piccola della cassaforte che la conteneva, posizionata perfettamente al centro. Cercò di prenderla, ma come il quadro, anche questa era impossibile da spostare.
    «Ehi, vieni qui» tentò di richiamare l'attenzione dell'altro alzando un braccio per farsi notare, «forse ho trovato quello che ci serve.»

    «Parlato.»
    "Pensato."
     
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