Lone Tower in the West

[CONCLUSA] Ryūji Yamazaki & Makoto Hirase | Shinjuku, Underground - 19/10/2021 NIGHT

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    Gli esseri umani erano cibo. Minamoto Ryuji non avrebbe mai cambiato idea sull'argomento. Yamazaki Ryuji, a volte era costretto a farlo. Legare con loro era complesso. Alcuni esseri umani erano complessi.
    "...Corax! Ehi, Corax!"
    Izumi, ad esempio. Ryuji si voltò, riconoscendone la voce. Un ragazzo alto e con le spalle larghe, i capelli a spazzola corvini, troneggiò di fronte a lui, il sorriso spavaldo di chi la sapeva lunga. Aveva due piercing al sopracciglio destro, uno al centro del labbro inferiore, e lo stava scrutando con due profondissimi occhi neri, a braccia conserte. Eccolo lì, uno dei suoi idioti con la patente preferiti. Sembrava non aver paura di nulla e Ryuji sotto sotto odiava un po' questo suo lato. Non che il suo atteggiamento gli desse fastidio, era solo che talvolta faticava a capire perché una gazzella dovesse volontariamente scegliere di camminare in mezzo ai leoni. Ma Izumi era fatto così, e Ryuji era uguale a quel tipo di persona che difendeva i conigli dal macello perché ne aveva uno domestico. C'erano alcuni umani che non gli veniva proprio voglia di mangiare: era difficile stabilire se fosse perché la carne cruda non gli piaceva poi così tanto, perché Izumi usava un profumo che gli dava la nausea o perché applicasse una sorta di inconscia selezione come avrebbe fatto un bambino di dieci anni con i gusti di gelato che amava di più.
    Al di là dello strano funzionamento del suo appetito e del fatto che Izumi fosse un idiota che se ne andava a zonzo con i ghoul in modo fin troppo normale, Ryuji era anche sicuro che parte del merito fosse da attribuire all'ambiente che lo faceva sentire protetto. Già, l'ambiente. Insomma, non che la fantomatica ventiquattresima circoscrizione, con quel suo intricato labirinto di tunnel sotterranei, fosse chissà quale porto sicuro per gli umani, ma quell'area nello specifico aveva le sue regole e lui non avrebbe potuto mangiare Izumi nemmeno se avesse voluto.
    L'Underground Lagoon era un pub di Shinjuku.
    E aveva un segreto.
    Il suo proprietario era un ghoul, e gestiva un'intricata rete di combattimenti clandestini. Roba che avresti visto in un film, ma era tutto vero. Anzi, era persino peggio. Perché quel fight club si manteneva con i soldi delle scommesse, e comprendeva anche scontri fra umani e ghoul. Sottoterra, in un "pacifico" buco tutto loro dove nessuno badava più ai ruoli di preda e cacciatore, ci si arrivava dal locale e - una volta al mese - avevi una serata d'intrattenimento assicurata. Se ti piacevano quelle cose.
    A Izumi evidentemente piacevano. E Ryuji? Cosa ci faceva in un posto del genere? Semplice, se Izumi era il cliente, lui era uno di quelli che saliva sul ring. Da cui era appena sceso per altro, riportando una vittoria schiacciante. Izumi l'aveva interrotto mentre si stava togliendo le bende con cui era solito fasciarsi le dita. Non che ne avesse bisogno, ma attutivano un po' i colpi e diminuivano il rischio che graffiasse per errore qualche umano che si scontrava con lui. Il ghoul squadrò l'amico (tra molte virgolette), come se si aspettasse una sorta di continuo, e Izumi non se lo fece ripetere due volte. "Ho scommesso su di te."
    Ryuji inarcò un sopracciglio. In realtà credeva di aver finito per quella sera, erano quasi le tre di notte, c'era per caso qualche evento di cui non sapeva niente? O forse Izumi si riveriva agli incontri del mese prossimo? Non fece domande, magari sarebbe andato a scambiare due parole con il Boss prima di andarsene.
    «Quanto?»
    "Uh. Beh... centom...?"
    «Non intendevo quanti soldi, idiota.»
    "Ahhh. — si rilassò l'altro, e poi sogghignò divertito. — Heh. Quarantacinque secondi."
    «Ah?! Mi prendi per il culo?"
    Per Ryuji, che era abituato a mandare metaforicamente al tappeto i suoi avversari in un lasso di tempo compreso fra i venti e i trenta secondi era un vero affronto.
    "Hah! Sapevo che te la saresti tirata-! Guarda che Deepcolor è parecchio forte. Il suo record è 53."
    A quell'accusa, Ryuji si fece sfuggire uno "tch" sdegnato. Deepcolor. Sì, era un alias familiare, ma al momento non riusciva a ricollegarlo a nessuna faccia. Già, lì sotto tutti usavano alias. Anche "Izumi" non era mica il nome vero del ragazzo che aveva di fronte. Non lo sapeva quello, così come Izumi non sapeva il suo e lo chiamava Corax.
    «Allora lo farò in quarantasei, per farti perdere di proposito.»
    "Ehh, antipatico."
    «Come se ti servissero tutti quei soldi, poi.»
    Sebbene lo considerasse una sorta di amico, o almeno facente parte della cerchia di persone che sopportava, Ryuji sapeva poche cose di Izumi. Una di queste è che era ricco sfondato e poteva permettersi di venire a sperperare soldi in un posto simile.
    "Beh, ma vincerli è sempre bello, no?" gli sorrise infatti quello, sornione. "Ehi, ehi, facciamo così. Se ci riesci sul serio ti do metà della mia vincita. Basta che non lo dici a nessuno."
    Ryuji stava per dirgli di levarsi di torno poco dolcemente, ma quella frase lo prese un po' in contropiede e lo fece vacillare appena. I soldi erano il suo punto debole e Izumi lo sapeva. Ma non era colpa sua, era sempre stato abituato ad un tenore di vita piuttosto alto, ovvio che gli facessero gola. "Ci hai pensato, eh? Non mi tiro indietro, hai la mia parola, promesso." Il corvino ne approfittò per punzecchiarlo e gli circondò le spalle con un braccio. Ryuji si morse la lingua, giocherellando con il suo piercing, e si sforzò di trattenere tutte le male parole che gli erano venute in mente. Altro motivo per cui odiava essere basso: le persone credevano di aver diritto di trattarlo come un peluche. «Sì sì, adesso mollami.»
    "Nah, ehi, dovresti andare a parlarci."
    «Con chi?»
    "Deepcolor, ovvio. Guarda, è quello laggiù, capelli neri e cicatrici in faccia. Sempre pieno di lividi, ha l'aria di uno che vorrebbe essere mangiato da un ghoul e un po' ti fa chiedere che ci faccia qui, non sei curioso?"
    Ryuji lo guardò con un sonoro "decisamente no" scritto in faccia, ancora troppo impegnato a domandarsi perché quel cafone non lo aveva ancora mollato.
    "Beh, io ci andrei. Potresti scoprire qualcosa di interessante. Non sono mica tutti come lo scemo che hai affrontato oggi. Tieni, un piccolo anticipo, vedi di vincere." fece Izumi, gli schiaffò una banconota da diecimila yen fra le mani e si allontanò fischiettando.
    «Non sono mica la tua puttana.» gli ringhiò dietro il più basso, a denti stretti. Però la banconota se la prese lo stesso.

    ***

    Se vi state chiedendo perché Ryuji avesse deciso di cercare Deepcolor, questo era quello che era successo, all'incirca... cinque minuti prima. Non aveva niente di preciso in testa, aveva solo recuperato la borsa con le sue cose, si era messo di nuovo la canotta nera smanicata che era solito togliere durante gli scontri, e aveva cercato di non perdere di vista la figura dai capelli scuri che gli aveva indicato Izumi.
    Probabilmente prima avrebbe fatto meglio a controllare se era davvero destino che si scontrassero e quando, ma era tardi e di voglia di vivere ne aveva già poca.
    «Oi. Sei tu Deepcolor? — azzardò, approcciandolo di spalle, una volta che lo ebbe raggiunto, superata la marmaglia di persone che si affollava attorno al ring nella speranza di vedere meglio lo scontro in corso. — Non ho intenzione di andarci piano con te.»
    Bella minaccia. Un ragazzino di un metro e sessantasette contro uno che superava il metro e ottanta. Spaventoso.
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    L’anticipazione per quella particolare serie di match mensile era sempre molta, quasi palpabile nell’aria, e l’entusiasmo era addirittura maggiore rispetto ai tornei soli ghoul o per soli umani che si tenevano in altre serate. Come biasimarli, era stato il suo pensiero la prima volta che aveva partecipato ormai anni prima, in fondo non era cosa da tutti i giorni vedere prede e predatori competere l’uno contro l’altro.
    Makoto sbadigliò.
    Ormai faceva parte dell’Underground da qualche anno, per cui era diventato più che famigliare con tutte le persone, umani e non, che lo frequentavano. Di alcuni riusciva perfino a ricordare anche il nome. Per cui, ogni volta che delle facce nuove spuntavano, non poteva che fare a meno di notarle. E a fargli il resoconto con tutti i dettagli del caso ormai c’era il caro, per modo di dire, Rei.
    Lo stesso Rei che una volta aveva provato a mangiarlo. Ma questo non ditelo a nessuno, tanto meno al Boss! Che altrimenti finirebbero in guai grossi entrambi, Rei per averlo attaccato e Makoto per non aver detto niente, e nessuno dei due voleva perdere il legame che avevano con quel luogo o peggio, la stima del Boss, di questo se ne rendevano conto bene entrambi. A conti fatti era il loro piccolo segreto che, nonostante l’essere un po’ incompatibili l’uno con l’altro, li aveva portati ad essere amici. O, almeno, a tollerarsi e spalleggiarsi a vicenda. Per somma sorpresa di tutti quelli che li conoscevano, in fondo prima di quel fatidico momento facevano addirittura fatica a stare nella stessa stanza.
    «La lista questa sera non mi entusiasma» borbottò un arcigno Rei, comodamente seduto su uno dei rialzi dello spiazzo della 24° dove si teneva quel mensile torneo, in disparte dalla folla generale che si era condensata nei pressi del ring centrale.
    «A te non entusiasma mai nessuno» fu il pronto commento di Makoto, che stava facendo un po’ di stretching lì vicino. Frecciatina a cui Rei rispose con un irritato schiocco di lingua. Perché, insomma, non è che l’umano avesse poi così tanto torto.
    Ecco, Rei aveva circa una decina di anni in più di Makoto ed era uno dei dipendenti più di vecchia data del locale. Oltre che uno dei migliori combattenti ghoul del ring, nonostante non gareggiasse più così di frequente. La motivazione, in fondo, gli tornava solo quando notava del potenziale.
    C’era chi non riusciva a credere a questo fatto, il fatto che fosse tra i migliori in lista, dato che fisicamente sembrava tutto purché forte fisicamente: piccolino di statura e dai tratti quasi delicati, non era una sorpresa che molti che non lo conoscevano, lo sottovalutassero. Peggio per loro, era stato il suo commento vedendo che Rei sapeva essere davvero crudele se lo voleva e sotto i vestiti era tutto purché mingherlino. Molti ghoul presenti lì quella sera potevano attestarne. La sua reputazione era tutta fuorché rosea, e aveva ricevuto non pochi timeout.
    E se Rei non teneva molto conto di chi fossero i suoi avversari, reputandosi comunque più forte di quasi tutti loro, il poco interesse di Makoto nei confronti dei suoi di avversari era un po’ diverso: non gli importava chi fossero, con chi si fossero scontrati prima o quanto forti fossero effettivamente, a lui importava solo di quel momento in cui si sarebbero ritrovati l’uno di fronte all’altro nel ring. Voleva essere sorpreso, voleva sentire l’adrenalina in corpo. Non gli importava nemmeno veramente di battere il proprio record o ti guadagnare abbastanza, fin tanto che fosse divertente. Alcuni avevano interpretato il suo poco interesse come arroganza, nonostante fosse tutto l’opposto. Non era da lui, in fondo, sottovalutare nessuno ma non poteva farci molto delle opinioni o impressioni altrui, a parte parlare con i fatti.
    Makoto sospirò, sgranchendosi le spalle.
    Tornando a Rei, oltre ad essere uno dei vari lottatori era anche uno dei cosiddetti “buttafuori”, quelli che mantenevano la quiete e l’ordine durante i tornei, che tenevano un occhio su i loro simili, in special modo in serate come quella dove venivano coinvolti umani non solo nel ring ma anche nel pubblico. I cosiddetti buttafuori, o guardiani come alcuni li aveva soprannominati, erano tutti ghoul che avevano un grande controllo delle proprie capacita e dei propri istinti, oltre che avere parecchia esperienza. Tutti selezionati dal Boss, ovviamente, e la maggior parte erano i dipendenti del locale stesso o suoi colleghi o amici fidati.
    Poteva succedere di tutto la sotto e, nonostante anche la “clientela” venisse sottoposta a uno screening prima di unirsi, per questo esatto motivo il Boss (essendo non solo una persona molto coscienziosa e volendo portare avanti quella sorta di strana tradizione di combattimenti), anche in risposta ad alcuni inevitabili incidenti passati, aveva ben deciso di prendere alcune precauzioni. Nel bene o nel male.
    Comunque sia, fu quasi colto di sorpresa quando si sentì chiamare con il suo alias, se non fosse perché aveva notato con la coda dell’occhio la chioma bionda di Rei muoversi lateralmente per poi afferrare il borsone che aveva lasciato accanto a sé in modo da apparire occupato. Il tutto poteva venir interpretato con “qualcuno si sta avvicinando e non ho voglia d'interagire”.
    Makoto si girò dunque nella direzione della voce per poi abbassare leggermente lo sguardo come di consuetudine, in modo da poter osservare meglio il suo interlocutore. In fondo le persone più alte di lui, specialmente tra i suoi compatrioti, non erano poi molte e ormai si muoveva d’istinto.
    Considerando le sue parole, il ragazzo che aveva di fronte non poteva che essere un ghoul. Che a quanto pare doveva essere uno dei suoi avversari quella sera. Peccato non ne ricordasse l’alias. Beh, sarebbe stato più strano se effettivamente se lo fosse ricordato. Con tutti quei piercing e tatuaggi gli ricordava un po’ quei teppistelli da strada, anche se per le vibes nemmeno lui stesso era poi così tanto diverso. Anche se, beh, lui un teppista lo era stato veramente.
    «Ci conto, mi aspetto qualcosa» gli disse quindi, incrociando le braccia al petto e alzando un sopracciglio, con un tono di sfida «Mettici un po’ d’impegno che sennò non c’è gusto- Cobalt?» aggiunse poi, prima di fermarsi nel tentativo di ricordarsi l’alias giusto dalla lista che gli aveva elencato ore prima il suo collega. Ovviamente non è che ci avesse poi prestato tanta attenzione. E peccato fosse senza sorpresa l'alias sbagliato, però almeno c’era andato vicino? Vero? No? Okay.
    «Corax» borbottò con un tono seccato Rei in suo aiuto, dopo aver sollevato dalla sua posizione rannicchiata lo sguardo dal borsone e aver squadrato dalla testa ai piedi l’altro ghoul, per poi ritornare a fare quello che stava facendo finta di fare, sempre all’allerta nel caso dovesse intervenire.
    «Corax» ripeté dunque Makoto correggendosi e con più convinzione, non che gli importasse veramente di ricordarsi l’alias dell’altro ma almeno gli doveva la cortesia di chiamarlo con quello giusto per il momento «... ma poi che significa “Corax”? È inglese?» chiese dopo un attimo di silenzio, a nessuno degli altri due in particolare, genuinamente confuso. In fondo, era già tanto sapesse un po’ d’inglese. Non che fosse una cima anche nella sua lingua madre, siamo chiari.
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    Sarebbe mai svanito quell'odio viscerale e intrinseco che provava nei confronti delle persone alte? Probabilmente no. Forse l'essere nato in Giappone era la sua più grande condanna? No, quella era l'essere nato e basta. Ma al di là di discussione filosofiche pseudo-nichiliste, non capiva nemmeno perché fosse finita così, visto che nella sua famiglia, in quanto ad altezza, non se la cavavano poi tanto male. Almeno per il ramo paterno, suoi fratelli compresi. Lui doveva aver preso da quella nana di sua nonna - e poi sua madre - per ritrovarsi ad anelare attorno al metro e settanta, se si metteva delle scarpe rialzate.
    L'individuo da cui lo aveva mandato Izumi era un gigante, e Ryuji lo odiò per quello. Dover alzare la testa per guardare negli occhi qualcuno era fastidioso, per un piccolo concentrato di orgoglio come lui: gli sembrava di essere un chihuahua davanti ad un bulldog. E per un predatore, sentirsi un chihuahua era la peggior sensazione del mondo. Purtroppo però, ormai la fase della crescita l'aveva bella che superata e conclusa, e non c'era molto da fare a riguardo. Incazzarsi con madre natura non lo avrebbe fatto diventare più alto.
    Complessi a parte, si prese qualche istante per squadrare Makoto a sua volta, e si trovò abbastanza stranito dalla sua intera persona: era accompagnato da un ghoul (e in quello gli ricordò quella capra di Izumi), ma non un ghoul qualunque, uno degli uomini più fidati del Boss. Ryuji l'aveva visto combattere sul ring una sola volta, e il suo istinto da ghoul si era sentito minacciato come quello di un lupo di fronte all'alfa del branco. Aveva riconosciuto il fatto che fosse forte e bravo, quasi allo stesso modo in cui Ryuji-bambino aveva riconosciuto quella di suo padre la prima volta che gli aveva spiegato come usare la kagune: in modo del tutto inconscio, ma consapevole. Un bel controsenso, no? Considerato il suo ruolo, non fu stupito di sentire che quello conoscesse il suo alias, ad occhio, tuttavia, la sua relazione con Makoto gli sembrava assomigliare un po' meno a quella che aveva lui con il suo coniglio domestico, e quello stuzzicò vagamente il suo interesse. Che quel tipo fosse una persona in qualche modo importante? Ryuji non faceva parte dell'Underground ring da così tanto da poter dire di aver familiarizzato con tutti quelli che passavano lì sotto, ma non ricordava di aver mai affrontato qualche umano che gli avesse lasciato - per così dire - un'impressione degna di nota. Gli capitavano quasi sempre tozzi adulti nerboruti di ottanta chili convinti che la loro stazza bastasse a sopraffare la sua costituzione minuta anche se era un ghoul, e Ryuji non si era mai fatto problemi a smontare le loro certezze allo stesso modo in cui avresti distrutto un castello di lego con un calcio.
    Deepcolor invece era... un ragazzino. Da lontano, a vederlo di spalle, non l'aveva notato, ma a guardarlo in faccia adesso, sotto quella cascata di capelli corvini che gli ombreggiava il viso, i suoi lineamenti si scorgevano ancora molto giovani. Anche se un po' sciupati da... qualcosa. Forse quell'aria da cattivo ragazzo apatico che avrebbe attirato le ragazze (e probabilmente anche i ragazzi) a fiumi. Ma doveva avere la sua età, se non di meno. E a Ryuji bastò quell'occhiata per ritrovarsi a dare ragione ad Izumi. Non sprizzava proprio gioia di vivere da tutti i pori.
    Uh, interessante. Ovviamente Ryuji non era così folle da maturare un pensiero del genere, essendo a conoscenza delle regole, ma ci mise un attimo a realizzare che - se fosse stato fuori di lì - le probabilità di trovarsi a considerare quel ragazzo come un possibile aperitivo sarebbero state piuttosto alte.
    Di solito Ryuji non cacciava prede più giovani di lui. Riteneva la carne delle persone troppo giovani alquanto insapore, come un frutto ancor non del tutto maturo colto prematuramente dall'albero. E - a causa della sua natura - aveva una preferenza per le persone sole, isolate, o quelle che avrebbero destato pochi sospetti nello sparire all'improvviso. Motivo per il quale non aveva mai neanche ucciso nessuna delle persone con cui era stato a letto, anche se c'era andato molto vicino più di una volta, soprattutto in momenti in cui la fame aveva rischiato di avere la meglio su di lui. C'erano, tuttavia, delle eccezioni. Non riguardavano niente in particolare, se non la semplice voglia di provare il sapore del sangue di qualcuno, un po' quella sensazione che ti diceva "ehi, quella è una buona presa" e che, per metterla in termini umani, ti avrebbe fatto venire voglia di assaggiare un dolce dietro la vetrina di una pasticceria.
    «È latino. — ribatté, seccato, accantonando quei pensieri e sforzandosi di ricordarsi che aveva mangiato tre giorni fa, visto che riteneva che presentarsi sul ring a stomaco vuoto fosse una pessima idea. — Sta per "Corvo". Scusa tanto se non siamo tutti colori.» asserì, in riferimento al "Cobalt" menzionato dal moro, forse anche con troppa presunzione. Non che avesse idea di che colore fosse il Cobalto, chiaro.
    Ora, non che Ryuji fosse chissà quanto studiato. Sì, era andato a scuola come tutti ed aveva avuto anche diversi insegnanti privati perché doveva diventare una persona per bene secondo i genitori, ma non era mai stato capace di dar loro soddisfazione su quel fronte, non riportando mai un voto poco oltre il limite della sufficienza. Era sempre stato la pecora nera di famiglia. Sapeva il latino, quindi? Assolutamente no. Sapeva che fosse latino, quello sì. Sua madre aveva avuto l'abitudine di cacciarlo in punizione fin da piccolo per i suoi comportamenti da peste nera del 1300, e quello era sempre stato equivalente a confiscargli qualsiasi aggeggio elettronico e confinarlo nella biblioteca di casa loro a leggere. Il che per Ryuji era stata un'autentica tortura all'inizio perché in casa loro c'erano per lo più libri di storia, saggi di politica e poche letture adatte ad un ragazzino di nemmeno dieci anni. Eppure, leggere era sempre meglio di stare in biblioteca senza fare niente, e a forza di starci Ryuji aveva iniziato a scovare alcuni libri di mitologia, folkore e favole che aveva finito per trovare interessanti, e così era nata la sua passione per quelle materie. Non tutti i mali vengono per nuocere, si dice. «Comunque sei tu quello che dovrebbe impegnarsi, non io.» sottolineò, incrociando le braccia. Sì, okay. Normalmente avrebbe considerato la conversazione chiusa e se ne sarebbe andato, ma voleva proprio sentire cosa avrebbe risposto il ragazzo dei 53 secondi. Con chi l'aveva stabilito, uh? Una mezza cartuccia, scommetteva.
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    Edited by Ryuko - 29/10/2021, 13:10
     
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    Rispetto a molti riuniti lì sotto, Makoto era ancora considerato un novellino nonostante facesse ormai parte dell’Underground da qualche anno, anche se principalmente come dipendente del locale vedendo che bisogna tenere in considerazione, per essere più precisi, il fatto che aveva iniziato a gareggiare da meno tempo rispetto a quando era entrato effettivamente in contatto con quel gruppo.
    Questo “ritardo” era dato più che altro per il fatto che il Boss non se la sentiva di far partecipe letteralmente un ragazzino umano. Perché, ricordiamo anche ai cari lettori che il nostro caro Makoto aveva inizialmente mentito sulla sua vera età, essenzialmente al tempo era stato portato a credere che con quella bugia lo avrebbero preso più sul serio. Ovviamente era stato sgamato in poco tempo giacché, raggiunta la pubertà, era cresciuto parecchio in un batter d’occhio. Un po’ più grande lo era sembrato ma sempre un ragazzino rimaneva.
    Insomma, uno degli hobby del Boss dell’Underground era infatti raccattare casi umani (o ghoul, che dir si voglia), e Makoto e Rei erano due tra i tanti che negli anni avevano varcato quelle quattro mura, per motivi diversi e anche parecchio personali. Ognuno aveva la proria storia da raccontare. E, nonostante quella fosse una battuta, un fondo di verità ce l’aveva comunque, nonostante fosse una coincidenza. Un po’ come per la Coltre, al Boss interessava aiutare e dare una seconda possibilità ad alcune persone che incontrava e che catturavano la sua attenzione. O meglio, perlopiù per quelle in cui notava del potenziale. La storia dietro al come era nato il tutto, tra tradizione ed altro, era in realtà molto più profonda ma non andate a chiederla a Makoto, lui si era addormentato a metà quelle volte che gli era stato raccontato. Meglio cercare qualcun altro, si.
    Comunque sia, ignaro dei pensieri dell’altro, Makoto se ne stava lì tranquillo ad osservarlo, una mano nella tasca dei pantaloni in attesa che dicesse o aggiungesse qualcosa.
    «Ti devo dare ragione, chi li vuole fare i power rangers...» commentò lui alle parole dell’altro, un sorrisetto vispo sulle labbra. Quel pensiero lo fece ridere per quanto ridicolo fosse. Ecco, poi, quella era stata la conferma che l’alias lo aveva effettivamente sbagliato, come se la correzione di Rei non fosse bastata a farglielo notare.
    «Latino? Cos’è, si parla in America latina?» chiese diretto poi con un velo di ignoranza anche perché, a quanto pare, a differenza del ragazzo che aveva di fronte, Makoto il latino nemmeno sapeva cos’era. Per cui, almeno nella sua testa e con la sua poca cultura generale, quella deduzione gli sembrava un poco sensata. Insomma, la parola “latino” era compresa. In sostanza, si, Makoto non era mai stato una persona molto colta anche se con il tempo, specialmente negli ultimi anni, stava un po’ tentando di rimediare alla cosa. Anche se alcuni concetti erano difficili farglieli entrare in testa, specialmente se li trovava inutili.
    «Io mi impegno sempre» aggiunse poi incrociando le braccia al petto ed alzando le sopracciglia scure sotto la frangia. Sorrise poi di nuovo, inclinando un poco la testa di lato «Bah, non se pensare lo stesso di te». Non che avesse prestato molta attenzione agli incontri degli altri, non aveva un vero metro di giudizio ma a stuzzicarlo un poco non potevano di certo fermarlo prontamente. Che fosse una buona idea o meno, a Makoto non importava granché. In fondo, già l’essere lì era un bel rischio e fin tanto che non causava una così grande scenata, beh, tutto apposto.
    Accanto a lui, Rei alzò gli occhi al cielo ma prima che potesse aggiungere qualcosa, la sua attenzione fu richiamata da uno “Zero!” risonante lanciato nella sua direzione. Sbuffando, si alzò, considerando che, se gli altri lo avevano disturbato, doveva essere per qualcosa d’importante. Per cui si girò prima nella direzione di Makoto, additandolo dal basso per andare a pronunciare un «Tu, fai il bravo che sennò ti stacco la testa sul serio. Torno subito» quell’ultima parte fu detta lanciando un’occhiataccia a Corax, un avvertimento di stare al suo posto (per il momento, almeno), per poi avviarsi verso il duo che lo stava aspettando, lasciando il borsone con gli oggetti del primo soccorso nelle vicinanze dell’umano.
    Alle sue parole, Makoto alzò le mani per poi sventolarne una in segno di saluto, con aria beffarda, facendo poi tornare lo sguardo al ghoul con cui invece aveva interagito fino a quel momento.
    Che voleva ancora? Perché non se ne era andato? Era stato il suo pensiero, pensiero che lo aveva portato a pronunciare un «Cos’altro vuoi? Cos’è, una nuova tattica intimidatoria?» a sopracciglia alzate, il tono un pelino scocciato anche se non lo era pienamente. Ecco, non è che fosse così bravo ad interagire con gli altri e non gli sembrava ci fosse altro d’importante da dire. Forse.
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    Non io che mi faccio le paranoie come al solito sono poco convinta dei miei stessi post. Si, mi faccio i problemi... non dovrei lol posta e zitta alye!!!!

    "Sarebbe mai svanito quell'odio viscerale e intrinseco che provava nei confronti delle persone alte?"
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    Anyway, l'alias di Rei è un tristissimo e banale gioco di parole, vedendo che il kanji del numero zero (零) si legge anche come Rei.
     
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    Non abituato a quel genere di intrattenimento (Ryuji non aveva mai visto tanta televisione), ci mise qualche istante a comprendere cosa Makoto volesse dire con il commento sui power rangers. Ah, perché aveva detto dei colori. Ed effettivamente i power rangers se ne andavano in giro con un'imbarazzante calzamaglia colorata. Per l'amor del cielo, no. Decisamente nessuno voleva fare il power rangers lì. Comunque dubitava che ce ne fosse uno color cobalto. Erano rosso, rosa, blu, giallo e...? Sì, ora stava prendendo la cosa piuttosto seriamente, ma più ci pensava più si rendeva conto di non averne idea. Che poi, voi l'avete mai capito perché hanno fatto così tanto successo dei tizi che vanno a combattere il crimine in tutina colorata? Ryuji no. E non sapeva se era imbarazzante il fatto che non l'avesse capito o il fatto che avessero fatto successo. Solo ad immaginarsi un ghoul vestito da power ranger per andare a caccia lo faceva mentalmente sbellicare dalle risate, ma era abbastanza sicuro che a giro per il mondo qualcuno doveva averlo fatto. Gli idioti esistevano anche fra i ghoul, dopotutto. Appurato che, però, Deepcolor non avrebbe avuto corrispondenza con nessun colore preciso, essendo un aggettivo che indicava un generico colore scuro, non ritenne utile spendere altre parole sul quel discorso.
    Anche perché la successiva frase del moro ebbe lo stesso effetto di un Ice Bucket Challenge il quindici gennaio in Antartide. «No, non-- non si parla mica...» biascicò, boccheggiando appena per l'assurdità che aveva appena sentito. Beh, sì. Ryuji era quel tipo di persona che dava per scontato che se lui sapeva una cosa dovevano saperla tutti, ma a quel punto non era neanche sicuro di poter dire ad alta voce che fosse una lingua morta. Non è che poi quello gli chiedeva quando le avevano fatto il funerale?
    Fortuna che non era lì né per fare il power rangers, né per flexare la sua conoscenza sul latino, altrimenti ci avrebbe pensato due volte a lasciar credere a Makoto che fosse la lingua parlata in America Latina; per il momento credeva fosse meglio continuare a cercare di capire quanto fosse in alto nella gerarchia alimentare quel tizio.
    «È inutile impegnarsi quando non serve.» ribatté, infatti. Lungi da lui voler sminuire Deepcolor, non aveva alcun dubbio sul fatto che il moro si impegnasse sempre, e avrebbe voluto dire la stessa cosa per sé stesso, ma... era vero? Beh. Al massimo si impegnava a mandare al tappeto la gente senza far loro del male, ma... Ryuji era un atleta di kumite, di solito non ce ne metteva nemmeno tanta della sua forza da ghoul in quegli scontri sotterranei.
    Tuttavia, nemmeno Ryuji poteva dire di aver mai prestato così tanta attenzione agli scontri degli altri, altrimenti magari si sarebbe ricordato anche la faccia di Makoto: per quanto ne sapeva poteva essere un autentico mostro e da una parte ci sperava quasi; solo perché sapeva trattenersi non significava che ogni tanto non gli sarebbe piaciuta una sfida emozionante.
    Improvvisamente qualcuno chiamò Rei, e anche Ryuji - istintivamente - volse lo sguardo in direzione della voce. Non vide niente degno di nota, ma immaginò che per aver chiamato uno dei buttafuori dovesse essere successo qualcosa d'importante, per cui lasciò che si allontanasse, pur non riuscendo a fare a meno di sentirsi infastidito dall'occhiata che gli rivolse. Non era mica un bambino che aveva bisogno di essere tenuto d'occhio, ma si sforzò d'ignorare la faccenda.
    «Tranquillo, non te la rubo la preda...» mormorò a denti stretti, non appena "Zero" si fu allontanato. Non aveva la più pallida idea di che relazione avessero quei due, ma la cosa gli puzzava di marcio. Cos'era la guardia del corpo di quell'umano? Andavano a letto insieme e faceva il fidanzato geloso?
    Sì, Ryuji era più asociale che sociale e non aveva mai avuto dei veri amici, quindi non era un caso che per lui ogni cosa si riducesse sempre a quel tipo di relazione dove ognuno aveva qualcosa da guadagnare dall'altro. Nelle altre cose ci credeva poco, quasi tutte le persone che gli erano state accanto lo avevano fatto per la sua posizione sociale o per i suoi soldi. Insomma, non era proprio un caso che si fosse ritrovato da solo quando poi ne aveva avuto bisogno: per quello era finito lì, nell'Underground. Ad avere pietà di lui era stato un completo sconosciuto.
    Quando il pugile gli chiese cosa volesse e se quella fosse una nuova tattica intimidatoria, Ryuji si fece sfuggire uno sbuffo divertito. Figurarsi.
    «No.» replicò, schietto. Non vedeva motivo di mentire, né di inventarsi qualche storiella fasulla per giustificare la sua presenza lì. «In realtà mi hanno pagato per venire a parlarti.» "e avevo tempo da perdere", ma quello non lo disse. Infilò una mano in tasca e tirò fuori la banconota che gli aveva dato Izumi, sventolandola appena, prima di rimetterla dov'era stata. «Non so, magari sperava che diventassi tuo amico così da avere qualche genere di rimostranza a dartele di santa ragione quando t'incontrerò sul ring. Abbastanza divertente, non credi?»
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    CITAZIONE (alyë @ 4/11/2021, 18:18) 
    "Sarebbe mai svanito quell'odio viscerale e intrinseco che provava nei confronti delle persone alte?"
    Ryuji 🤝 Yuya

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    La reazione di Corax alla sua domanda non lo sorprese più di tanto, lo sarebbe stato di più se ci avesse effettivamente preso. Vederlo boccheggiare con quell’espressione sconcertata quasi lo fece ridere, anche se non gli era veramente chiaro il motivo della reazione. Insomma, poteva intuire che forse aveva pronunciato la più grande cazzata del secolo ma lui che poteva farci? Non era particolarmente colto in materia.
    A parte la sua lingua madre, grazie anche agli sforzi del suo amico Chihiro che lo aveva aiutato per il diploma, già era tanto se sapeva dire semplici frasi in inglese. Ed era sicuro che la parte della “famiglia” di suo padre (un nome gli era balenato subito in testa al pensiero) avrebbe avuto molto da ridire sulla cosa, non che ha sua madre Hanako importasse veramente così tanto erudito fintanto fosse felice lui. Dopotutto, sapeva di non essere un genio.
    «Ah, no?» replicò quindi, ancora inquisitorio anche perché non aveva capito se per “non si parla” Corax intendesse in senso letterale, ovvero che era una di quelle fantomatiche lingue morte, oppure che non era effettivamente l’America latina la nazione in cui si parlava il latino. Era davvero diventato un mistero. Almeno, c’era Google-sensei e nell’eventualità che l’altro non avrebbe elaborato altre, si sarebbe potuto togliere la curiosità così.
    «Vero» fu il suo commento in risposta al suo altro intervento. Davvero un uomo di poche parole lui.
    «Ma non sarebbe rispettoso per il tuo avversario» aggiunse poi. Makoto non era prone a sottovalutare nessuno e anzi, amava una sana sfida come si deve. Per le cose a cui teneva l’impegno ce lo metteva, poi il resto che gli fregava se non era impeccabile. Ecco, lui si era sempre accontentato del prendere il minimo a scuola anche se, ora che era entrato nell’Accademia della CCG, le cose erano un po’ diverse. Non si era infatti dimenticato del patto fatto con sui padre.
    Poi, non è che gli importasse veramente di perdere, a differenza di un ghoul di sua conoscenza. O il suo caro onii-sama ora che ci pensava. Per lui, il brivido dell’incontro era più importante.
    L’affermazione mormorata a denti stretti dell’altro, a differenza di Rei che ormai si era allontanato, non sfuggì a Makato «Simpatico, vero?» esclamò tutto sorridente per poi cambiare espressione con una più neutra andando ad aggiungere un
    «È serio però» seguito da un’alzata di spalle. Altri avrebbero scambiato quella farse per una battuta. In parte lo era ma allo stesso tempo era serissimo, aveva le prove sulla sua stessa pelle. Umano era, e preda per i ghoul lo sarebbe sempre rimasto nonostante ci potesse fare amicizia o meno. Era un rischio che comprendeva, che tutti i membri dell’Underground comprendevano bene. E per questo esatto motivo, era tutti un po’ più motivati a mantenere un certo grado di sicurezza. Nessuno di loro voleva vedere quel luogo chiudere, quel luogo dove ci si riuniva senza pregiudizi alcuni.
    Tra l’altro, se Rei o Makoto avessero saputo di quella insinuazione che il tipo che aveva di fronte aveva fatto mentalmente, uno avrebbe commesso seppuku dopo aver pestato a sangue il malcapitato, l’altro si sarebbe dissociato eternamente prima di commettere lo stesso atto. Fortuna che nessuno dei due sapeva leggere nel pensiero.
    Ecco, alla sua d'insinuazione, il ghoul non esitò a rispondere con un sonoro “no” perché a quanto pare, non era stato così fesso da andare da lui per provare a intimidirlo nel tentativo di ottenere una vittoria facile. E Makoto non aveva la minima intenzione di rendere le cose facili a nessuno.
    Makoto scoppiò dunque a ridere, una roca ma sonora risata, come se fosse la cosa più divertente che avesse sentito quella sera.
    «Chi è questo idiota? Fammi vedere questa faccia da pesce lesso» chiese quindi, un sorriso sornione sulle labbra, nel mentre con lo sguardo si era messo ad osservare la folla di ghoul e umani che si trovava intorno al ring in cerca di nessuno in particolare «Se da qualcosa anche a me, mi fa un favore» aggiunse infine, alzando entrambe le sopracciglia. Ah, farsi pagare da chi aveva fin troppo da sperperare, il suo hobby preferito.
    «Fosse così facile diventare amico mio...» aggiunse infatti con un fischio. Beh, va detto che le persone di cui si fidava e considerava perfino amici le contava su una mano sola, a differenza di quelle che poteva considerare più ostili con lui.
    Detto ciò, dunque, riportò lo sguardo sul moro Corax. Gli piaceva il suo taglio di capelli, nonché il colore strano degli stessi, anche se una spuntatina poteva servigli. Umm, caso mai poteva proporgli i suoi servigi se mai volesse. Trovare nuovi clienti per la sua piccola attività non sarebbe stato male.
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    Solo ad immaginarsi un ghoul vestito da power ranger per andare a caccia lo faceva mentalmente sbellicare dalle risate

    Oh no, ora lo voglio vedere sul serio lol
     
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    Errore, errore. Gravissimo errore. Assumere che Ryuji non rispettasse i propri avversari perché non aveva voglia di impegnarsi. Hah. È che prima di tutto doveva considerarli avversari. Sì, purtroppo da quel punto di vista era un po' una carogna: era il primo che rispettava gli umani quando ne riconosceva il valore, ma era una clausola di cui era impossibile fare a meno. Quando si allenava al dojo, per esempio, dava sempre il suo massimo, indipendentemente dalla situazione, e non aveva mai mancato di rispetto a nessuno dei suoi compagni, qualunque cintura portassero allacciata attorno alla vita. La natura gli aveva donato un po' di resistenza fisica, ma capirai, il karate non era solo questione di forza, ma di abilità, e non c'era volta che il suo maestro non lo surclassasse quasi completamente. Anzi, probabilmente era proprio grazie al suo essere un ghoul che riusciva a stargli dietro, da umano sarebbe stato semplicemente uno studente mediocre e quella verità gli bruciava più di qualsiasi altra cosa.
    Solo che questo non succedeva per tutti. Bene o male c'erano persone che gli restavano impresse, vuoi perché le vedeva più spesso, vuoi per qualche altro motivo, Ryuji era quel tipo di ragazzo che non faceva di tutta l'erba un fascio, ma quando si trovava un fascio di fronte lo falciava senza pietà, camminandoci direttamente sopra.
    Comunque non fece pesare la faccenda a Makoto. «Prima dovrei considerarlo un avversario.» si limitò a dire, tanto per fargli comprendere che le loro linee di pensiero erano abbastanza divergenti. Se gli voleva fare la predica su come avrebbe dovuto vivere le sfide per raggiungere il nirvana o sulla filosofia da adottare in un underground ring illegale aveva beccato la persona giusta: aveva da ribattere per cento uomini. Non aveva bisogno di trovare le sfide emozionanti. Almeno fino a quando non si sarebbe emozionato la prima volta. Dopo era tutta un'altra storia.
    "Simpatico, vero?"
    La domanda di Deepcolor lo riportò con i piedi per terra. Ryuji lo guardò in cagnesco. Simpatico? Chi, Zero?
    Ma assolutamente no.
    «Sì. — mentì spudoratamente. Non perché si sentisse al grande fratello e avesse angoscia di dire il contrario, ma Zero non gli stava né simpatico né antipatico. Chi lo conosceva, prima di tutto. Tanto valeva dar corda al suo amico. — Ma non stimoli particolarmente il mio appetito, quindi potete stare tranquilli, tu e lui.» ironizzò, sagace, per concludere in bellezza. Okay, anche quella era una bugia, perché quella cosa dell'appetito non era totalmente vera e l'abbiamo già detto, ma non era necessario che Makoto lo sapesse. Dopotutto anche Ryuji teneva decisamente troppo a quel posto per fare cazzate del genere e farsi cacciare. Il mare era pieno di pesci e il mondo pieno di umani, avrebbe mangiato qualcun altro, che problema c'era.
    In realtà, non sapeva perché ma Deepcolor gli dava una strana sensazione d'apatia, quasi fosse completamente distaccato dagli eventi che lo circondavano, quindi l'unica curiosità che aveva nei suoi confronti era quella di voler sapere se trovarsi un ghoul col fiato sul collo gli avrebbe strappato un'altra espressione. Ancora non lo conosceva abbastanza e non lo aveva inquadrato abbastanza bene da poterlo ipotizzare, probabilmente non avrebbe ricevuto nessuna reazione degna di nota da lui fino a quando non si sarebbero incontrati sul ring e... invece no.
    Makoto scoppiò improvvisamente a ridere, e Ryuji inarcò ambe le sopracciglia, sorpreso, schioccando la lingua sul palato e facendo tintinnare appena il suo piercing contro i denti, osservandolo con un velo d'interesse. Ma dai, allora la sapeva davvero fare una faccia diversa.
    «Non è un idiot... — fece d'istinto, ma si bloccò a mezzo prima di concludere la frase, e distolse un attimo lo sguardo con un'espressione confusa per metà. Gli aveva appena dato fastidio che l'altro si fosse riferito ad Izumi a quel modo? Ma era chiaramente vero. Che diavolo? — Rettifico, è un idiota. Magari se lo impressioni la prossima volta scommetterà su di te, che devo dirti. E non è mio amico precisò, dandosi fastidio da solo. Beh, Ryuji chiaramente sperava di no, perché avere Izumi come sugar daddy non gli dispiaceva affatto.
    Si voltò a cercarlo con lo sguardo, ma non lo vide. Non credeva fosse andato via, ma lui era basso, quindi... meglio chiudere il discorso qui. Bene, era giunto il momento di levare le tende. Ovunque fosse Izumi lui aveva fatto anche troppo. Si sarebbero visti il mese prossimo, lui avrebbe vinto la sua scommessa e tanti saluti, felici come prima. Fece per lanciare un ultima occhiata al moro, ma quando si voltò notò che lo stava... uhm, fissando? Aveva qualcosa in faccia? Sui capelli? Cosa? «Che... vuoi?» mormorò, un pelo preso in contropiede, e la voce gli uscì più titubante di quanto avrebbe voluto. Aiuto, disagio.
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    Una cosa di cui Corax probabilmente non si era reso conto, non conoscendolo o non avendoci parlato più di una volta, e di cui Makoto contava, era il fatto che fino a quel momento Makoto stesso era stato inusualmente loquace. Non che alla fin fine avesse sparlato, ma se si teneva conto come andavano le sue quotidiane conversazioni, la differenza era notevole. Insomma, tra rispondere con monosillabi o con frasi poco più lunghe di quattro parole era molto per lui. Sai che fatica!
    Il motivo di tale comportamento? Il fatto che fosse stato approcciato da una persona, in questo caso ghoul, con cui non era famigliare e testare le acque per vedere se c’era qualcosa sotto, ormai gli veniva naturale. Era diventata seconda natura essere diffidente e per questo doveva proprio ringraziare quelle “simpatiche” personcine nella sua vita che avevano continuato a portargli solo guai alla porta di casa.
    Non era cosa da tutti giorni, dopotutto, normalmente gli altri preferivano stargli alla larga. E a lui non dispiaceva affatto.
    Il fatto che fosse stato poi rivelato essere per una scommessa, per soldi, lo aveva trovato divertente sul serio. Qui si ironizza abbastanza, se non si fosse capito. Ed era sicuro che quella non sarebbe nemmeno stata l’ultima volta qualcuno lo approcciasse per parlare con lui, o peggio trovare una motivazione per fare a botte con lui e metterlo nei guai.
    Per quello che poteva confutare, almeno in quel contesto era tutto genuino. Non c’era nessuna motivazione losca sotto. Forse. Poteva anche sbagliarsi. E per quell’esatto motivo aveva seguito lo sguardo dell’altro in cerca della persona che lo aveva mandato da lui, senza successo. Beh, un occhio ce lo avrebbe tenuto, specialmente se avesse scoperto fosse effettivamente collegato al suo caro onii-sama.
    Odiava solo il pensiero che la sua presenza lo avesse raggiunto anche fino a lì.
    In risposta alle parole di Corax, Makoto alzò semplicemente le spalle. Era chiaro avessero idee diverse sull’argomento e di certo non aveva voglia di sprecare energie a fargli cambiare idea. Fin tanto era chiaro ad entrambi che le loro opinioni erano divergenti e non si creavano malintesi, gli andava bene comunque.
    «Mi dicono che posso far venire un indigestione» commentò quindi con un sopracciglio alzato che veniva quasi nascosto sotto la frangia. Ecco, nessuno trovava simpatico Rei (non a lavoro, a quanto pare), specialmente non di primo impatto, per cui gli sembrava ovvio Corax avesse appena mentito spudoratamente anche se non riusciva a capire perché. Che senso aveva acconsentire? Avesse detto di no, o anche ironizzato sulla cosa, a Makoto non sarebbe cambiato molto ne se la sarebbe presa, avrebbe perfino finito per dargli corda.
    Gli venne poi quasi da ridere di nuovo quando il ragazzo stava quasi per negare le sue parole, per poi correggersi e quasi assecondarle. Con quel suo “non è mio amico” gli ricordava proprio quell’altro ghoul che fino a pochi minuti prima era stato con loro. Per quanto negasse, che se ne rendesse conto o meno, era almeno a lui palese che quantomeno un po’ ci si era affezionato. In un modo o in un altro. Quel genere di persona che se non c’è ti manca, nonostante normalmente poteva anche non importarti.
    «Ti serve una spuntatina. Ai capelli» gli disse quindi Makoto dopo un attimo di silenzio, indicando la sua stessa zazzera di capelli mezzi scuri e mezzi biondi. Non che il suo taglio di capelli fosse il massimo dell’alta moda, ma almeno se li sistemava da solo abbastanza spesso per dare una parvenza di uniformità. Insomma, da quando era entrato in Accademia aveva iniziato a tenerci quel pelino in più per sembrare almeno un poco apposto. Non che aiutasse molto con la percezione degli altri, considerando il suo apparente atteggiamento brusco e ribelle. Ma almeno ci provava.
    Si portò dunque una mano al mento, inclinando leggermente la testa di lato «Chiedi al Boss il mio numero» aggiunse poi, con un mezzo sorriso sornione, senza intenzione di elaborare oltre. Che andasse effettivamente dal caro Boss a scoprire cosa intendesse, già rideva solo ad immagirnarsi la scena se mai il ragazzo avesse avuto il coraggio di andare a chiederglielo. Quella, tra l’altro, era una precauzione. Col cavolo che avrebbe dato i suoi contatti ad un perfetto sconosciuto, era sempre meglio quando qualcuno di più grosso faceva da garante. Era più sicuro così in quell’ambiente.
    Il discorso gli sembrava ormai concluso, anche perché Corax sembrava abbastanza intenzionato a ritirarsi prima del loro incontro. Non che, secondo lui, avessero molto altro da dirsi. Makoto stava facendo già abbastanza fatica così a mantenere una parvenza di conversazione. Poi, dovevano entrambi prepararsi per il loro match. Per cui, con una sventolata di mano e un bofonchiato “Boh, a dopo”, Makoto aveva raccattato il borsone da terra per poi dirigersi a grande falcate nella direzione dove era sparito Rei. Che guarda caso lo stava guardando in cagnesco sotto lo sguardo divertito della coraggiosa Yumie. Che tra l’altro era la moglie di quest’ultimo ma quello non lo sapeva quasi nessuno. Era strano solo a pensarci, conoscendolo. Che ci trovava in lui non lo avrebbe mai capito. Fosse in lei, lui lo avrebbe già mollato.

    Ed era proprio toccato a Yumie, alias Hoshi, essere l’arbitro del loro match. Ogni incontro non durava più di tanto, considerando le differenze fisiche tra un umano e un ghoul, tutto finiva in pochi ma intensi minuti, e il fulcro era per il combattente umano riuscire a rimanere in piedi il più a lungo possibile mentre per la controparte ghoul era fare di tutto e di più per buttarlo giù. E i limiti erano chiari a tutti, ripetuti fino allo sfinimento, ogni garro a quelle poche regole di quieto vivere avevano dell profonde conseguenze. Niente violenza fine a se stessa, in special modo in quella serie di match.
    Il Boss si era poi posizionato un po’ più in disparte ma i suoi occhi erano incollati al ring, nel mentre beveva con pigrizia da una bottiglia insieme ad alcuni avventori che lo circondavano. Dopo sarebbe toccato a loro pulire, pensò uno scocciato Makoto che si stava legando i capelli in modo che non gli oscurassero la visuale. Si era poi tolto la canotta, in favore di stare a petto nudo con tutte le sue cicatrici in bella mostra, si sentiva più libero di muoversi così. Ormai non era più così a disagio nel mostrarle, per lui erano segno che ogni volta ne era uscito vivo. Se la vita mordeva, lui avrebbe morso di rimirando.
    «L’ultimo match di questa sera è tra l’umano Deepcolor e il ghoul Corax! Le scommesse sono state chiuse, spero non vi pentirete della vostra scelta~» tuonò la voce di Yumie dalla sua posizione al lato del ring dopo che aveva richiamato l’attenzione di tutti, vicino al pulsante che avrebbe azionato l’orologio appeso al muro che avevano riadoperato come cronometro, in bella mostra. Intorno a loro, intorno al ring c’erano in varie posizioni sopraelevate o meno quegli altri ghoul pronti a intervenire per ogni evenienza. Uno di quelli era proprio Rei.
    Dal ring, che era sopraelevato da terra, Makoto poteva scrutare con chiarezza sotto le luci il pubblico che si era riunito intorno al ring, già apparentemente entusiasta per quell’incontro che sarebbe iniziato a breve. Il ring era rinchiuso all’interno di una gabbia in ferro che doveva fare più da barriera che altro, dividendo con chiarezza il ring dall’area direttamente fuori. L’importante era che nessuno si mettesse in mezzo o saltasse improvvisamente nel bel mezzo del ring. Era una sorta di protezione stata messa su più per la salvaguardia dei combattenti umani, vedendo che normalmente se ne poteva fare anche meno.
    Makoto scosse la testa, per stare sicuro che i suoi capelli rimanessero al loro posto, per poi posare lo sguardo sul ghoul dall’altra parte del ring. Era davvero curioso di vedere di che pasta era fatto Corax e quali sotterfugi avrebbe usato per vincere il più in fretta possibile contro di lui. Deepcolor non era più un novellino da diverso tempo, e di esperienza ne aveva accumulata anche stando semplicemente a contatto con i suoi colleghi ghoul quasi giornalmente.
    Sgranchendosi le spalle si mise dunque in posizione, non prima di aver lanciato uno sguardo beffardo proprio a Corax.
    «Al mio via-»
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    Non io che do un'occhiata ai miei post precedenti, noto tutti i miei typo che mi sono sfuggiti e piango-
     
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    Fortunatamente non spettava a Ryuji decidere se Makoto sarebbe stato indigesto, perché per come si era presentato fino a quel momento non avrebbe avuto alcuna difficoltà a crederci e non aveva alcuna voglia di provare. Dopotutto, nessuno meglio dei ghoul sapeva quanto potesse essere orribile la sensazione di star male dopo aver mangiato qualcosa che al tuo stomaco non andava proprio a genio.
    In realtà, meglio precisarlo, non provava nessun singolare astio nei confronti del moro, non da dire che gli risultasse pesante o insopportabile a primo acchito, così come non lo provava nei confronti di Rei; non li conosceva, e quindi preferiva assecondare il punto di vista degli altri o non esprimersi affatto a riguardo. Sempre restio a fidarsi delle persone, preferiva conoscenze superficiali rispetto a quei legami profondi e intimi da classic shonen manga: nella sua ottica avrebbe sofferto di meno se mai avesse dovuto abbandonarli. Nonostante la sua nota aggressività verbale ed il modo in cui interagiva con gli altri, anche lui era per lo più un lupo solitario e non lo disturbava che Makoto fosse poco loquace.
    L'essere scrutato con quella strana curiosità che gli era parso di scorgergli nello sguardo e l'udire quel commento sulla sua pettinatura, tuttavia, lo spiazzò e non poco.
    «I miei... capelli...?» borbottò, confuso, portandosi di riflesso una mano alla nuca, ad accarezzare i crini color petrolio che solo qualche ora fa sarebbero risultati decisamente più spinosi per via del gel che oramai aveva perso la sua presa, quasi stesse cercando di razionalizzare cosa gli aveva appena detto. E quando lo fece ebbe bisogno di tutto il suo autocontrollo per non esplodere in un sonoro "fatti gli affari tuoi" anche piuttosto imbarazzato. I suoi capelli non avevano niente, NIENTE che non andava!
    Ancora non erano così lunghi, erano come piacevano a lui e gli stavano bene, non c'era bisogno che li tagliasse. L'unica cosa su cui avrebbe potuto dargli ragione era che forse avrebbe dovuto rifarsi un po' di colore, ma... da dove veniva tutta quella confidenza, poi?! Non era un modo leggermente bizzarro di fare conversazione? Fino a due secondi prima stavano parlando di tutt'altro! Che diavolo era, un parrucchiere? Non voleva certo supporre che ci fossero lavori più o meno adatti per le persone che si riunivano lì sotto, cercando bene probabilmente avresti trovato anche l'avvocato che di giorno era tutto posato ed elegante e di notte aveva solo bisogno di sfogarsi, ma che avrebbe dovuto rispondere? Sì, certo, guarda, vado giusto un attimo a tagliarli prima del nostro incontro e torno?
    «Ah. Uhm. O..Okay..?» Fu tutto quello che riuscì a formulare in risposta, prima di osservare Makoto fargli un cenno mentre si allontanava. Che tizio strambo.
    Ci avrebbe parlato di sicuro con il Boss. E non solo per il suo numero.

    ***

    La scena quasi aveva del surreale: Deepcolor sembrava un lottatore di MMA, Corax un teppista delle medie; eppure il ghoul era il secondo.
    Al contrario di Makoto, la sua carne era immacolata. Non un singolo graffio, segno o cicatrice gli marchiava la pelle, eccezione fatta per il tatuaggio e il piercing dietro il collo. Era intatta ed attraversata solo dalle linee ben definite dei muscoli delle spalle e del petto. Ryuji non era mai stato un ghoul particolarmente bellicoso, raramente gli era capitato di aver dispute con degli altri suoi simili per questioni di territorio, ferite di quinque manco a parlarne e gli scontri sul ring non erano abbastanza da lasciare lividi a nessun ghoul. Non per questo si considerava un novellino.
    O meglio, sicuramente lo era, soprattutto in confronto a gente come Zero o anche Deepcolor stesso.
    Era un novellino, dell'ambiente, ma perché - come si dice - era uno degli ultimi arrivati, non perché non sapesse gestire uno scontro. Quello lo sapeva fare anche piuttosto bene, per questo lasciava sempre che i suoi tempi si diluissero un po' e cercava sempre di evitare i knockouts: sarebbero stati troppo brutali e non era quello che la gente veniva lì a vedere. Altrimenti sarebbero andati ad un incontro di pugilato e avrebbero trovato di meglio e anche senza ghoul. Ryuji credeva che il bello di quel posto fosse proprio vedere la resilienza umana all'opera, ed era l'unica cosa su cui si sentiva in grado di dar ragione al moro sul discorso precedente. Non aveva bisogno di trovare gli scontri emozionanti o divertenti, ma vedere un avversario che si rialzava dopo che lo aveva steso a terra gli metteva sempre addosso una certa... adrenalina, perché significava che avrebbe potuto farlo di nuovo.
    Niente violenza fine a sé stessa, si ripeté come un mantra, niente kagune e possibilmente poco sangue perché pulire poi era una scocciatura.
    La voce di Hoshi lo riportò ancorato a terra, e tutto tornò a prendere corpo attorno a lui. Le voci degli spettatori che già incitavano i due contendenti, la gabbia, Deepcolor e le sue cicatrici all'estremità opposta del ring, le luci, quella blanda sensazione di freddo dovuta al fatto che anche lui si fosse di nuovo tolto la maglia. Non si era legato i capelli, perché l'aveva presa sul personale andava benissimo così.
    Il suo sguardo scandagliò brevemente con espressione neutra quel formicaio di persone avvicendarsi là attorno – poi Ryuji chiuse gli occhi. E Corax riaprì i suoi.
    Ricambiò l'occhiata di Deepcolor e una sorta di sorriso compiaciuto gli affettò in due il viso. Conosceva quel tipo di sguardo. Stese un braccio in avanti, e fece un cenno con la mano al suo avversario invitandolo a farsi sotto. Lo stava provocando? Assolutamente sì, ogni tanto era bello fregarsene dei dogmi del bushido.
    Hoshi finì di presentarli e dichiarò le scommesse chiuse. Il ghoul si posò ambe le mani sulle ginocchia, molleggiando appena su di esse, come per sgranchirsi le gambe e poi raddrizzò la schiena. Il cronometro non fece neanche in tempo a battere il numero uno sul frame dei secondi che Corax scattò verso di lui in linea retta, tentando di chiudere rapidamente la distanza che li separava. Se non lo avesse evitato, Makoto avrebbe probabilmente ricevuto un pugno in affondo all'addome, sulla sinistra, circa una decina di centimetri sotto lo sterno; la forza sarebbe stata abbastanza distribuita, perché l'intento non era quello di farlo cadere in ginocchio e mozzargli il fiato come di norma ci si sarebbe aspettato da quella mossa - o meglio, anche -, ma soprattutto di sbalzarlo indietro a colpire la rete metallica della gabbia, per fargli prendere colpo e contraccolpo.
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    I muscoli rilassati, lo sguardo fermo sul suo avversario. Il sorriso di Makoto non si attenuò al gesto provocatorio dell’altro, anzi, si espanse quel tanto in più, portandolo a mostrare parzialmente i suoi denti. Makoto non aveva paura, anche se nei meandri della sua mente quella sensazione di celato timore rimaneva, era un istinto primordiale dopotutto, quello di una preda che aveva di fronte un predatore. In fondo, la scena di fronte agli occhi di tutti era propria quella, un ghoul e un umano, uno di fronte all’altro.
    Fosse stata una situazione diversa, Makoto probabilmente non sarebbe riuscito a sopravvivere, intrappolato in quel posto. In quella gabbia. Gli era stato rivelato che c’era un proprio un particolare ristorante per soli ghoul che metteva in scena proprio quello per un pasto.
    Ma al tempo stesso, gli importava poco della sua stessa incolumità.
    Si sgranchì di nuovo le spalle, lo sguardo sempre puntato sul ghoul in posizione a pochi metri da lui. Nel corso di quegli anni, Makoto aveva potuto appurare con i suoi stessi occhi il fenomeno della rigenerazione dei ghoul, per cui non fu sorpreso di vedere la pelle di Corax, rispetto alla propria, immacolata da cicatrici. C’erano davvero poche cose che potevano lasciare segni permanenti, quello glielo lo avevano spiegato i suoi colleghi dell’Underground e poi rinforzato dai professori in Accademia. Avere più punti di riferimento era davvero comodo.
    Il via fu dato e Corax non aveva assolutamente perso tempo a muoversi. Con uno slancio di gambe, infatti, si era buttato avanti pronto a colpirlo chiaramente all’addome.
    Okay, quindi è il tipo che si butta immediatamente” pensò dunque Makoto in quei brevi istanti in cui il suo corpo si mosse in automatico.
    Makoto sapeva bene che, a differenza dell’altro, con tutta probabilità lui non era così veloce e reattivo nei movimenti, infatti il suo punto forte era la forza bruta. Che in quel momento, in quell’incontro, non sarebbe servita a molto. Tuttavia, il suo altro asso nella manica era il fatto che fosse abbastanza resistente, era difficile infatti buttarlo giù facilmente e fin tanto che Makoto non fosse stremato e non avesse tutti gli arti rotti, si sarebbe rialzato facendo leva sulle sua stesse forze. Il punto dunque, era stancarlo. Tattica che anche l'umano usava con i suoi avversari. O meglio, dargli un bel colpo sufficiente a tenerlo giù i secondi necessari per vincere. In fondo quello era una sorta di torneo, non una rissa di strada.
    Farsi sballottare in giro, poi, sapeva che era una cosa che parte del pubblico avrebbe comunque apprezzato, insomma, creava una certa aria di hype. E perché non indugiarli un poco comunque? Non aveva molto da perderci.
    Makoto non fece dunque in tempo a schivare il colpo di Corax, ma riuscì almeno a riposizionarsi quel tanto che bastava per attutire il contraccolpo. Quella era stata una mossa ben assestata, precisa e calcolata, quel tanto che sarebbe bastato a farlo cadere all’indietro. Glielo doveva concedere, a Corax, il ghoul aveva un ottimo controllo delle proprie capacità. Non tutti erano così, questo lo sapeva bene. C’era chi se ne fregava delle regole, e metteva giusto quel tocco di forza in più che sarebbe bastato a ferire un umano, anche se non gravemente, spacciandolo poi per un incidente.
    Una volta si era rotto un braccio, non era stato bello. Makoto non aveva mai esitato a farlo sapere al Boss quando succedeva, però.
    La botta alla schiena quasi non la percepì, se non fosse stato per il respiro quasi mozzato dal colpo alla parte sinistra dell’addome. Non era così sensibile che botte del genere venivano registrate nella sua mente, ne l’ipotetico dolore. Ne avrebbe pagato poi le conseguenze, a match finito, una volta che l’adrenalina fosse scesa e i lividi si erano formati. Era sempre così, sul momento non si rendeva mai conto dello stato del proprio corpo ma sapeva che doveva stare attento, una mossa sbagliata, un singolo errore, e l’avrebbe pagata amaramente. Faceva solo pena a rendersene conto. L’unica cosa che gli importava era che se si fosse ferito, fosse in punti che poteva facilmente nascondere. Non voleva preoccupare troppo sua madre, dopotutto.
    Makoto si riprese dunque in fretta, non perdendo tempo invece a buttarsi anche lui contro l’altro, con l’intenzione di afferragli entrambi gli avambracci. Era una mossa avventata, ma ora era curioso di vedere cosa l’altro avrebbe fatto, se era una cosa che si era aspettato. Non era contro le regole ma allo stesso tempo era un’azione insolita, attuata con al sola intenzione di mettere in contropiede il suo avversario e fargli perdere del tempo in uno stato di momentanea confusione. Nel caso ci sarebbe riuscito, avrebbe comunque lasciato la presa dopo poco ma dipendeva tutto da cosa l’altro avrebbe fatto.
    Incrociando lo sguardo ambrato dell’altro, Makoto andò quindi a mormorare un «Buh» sottovoce, ignorando bellantemente il baccano che li circondava, concentrato invece su di lui.
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    Ryuji capì all'istante che Makoto sarebbe stato un ottimo sacco da boxe. Uh, non che fosse sua abitudine usare le persone come sacchi da boxe, intendiamoci. Almeno, non fisicamente. Verbalmente anche anche. Quello che voleva dire era che aveva... la consistenza giusta? Sì, qualcosa del genere. Gli aggettivi che affibbiava agli esseri umani non dovevano sempre avere senso.
    Al di là della sua potenziale attitudine come punching ball, l'averlo colpito quasi in pieno lo fece fremere, e il clangore metallico della sua schiena contro la rete della gabbia lo eccitò alquanto. Se si voleva parlare di istinti primordiali ognuno aveva i suoi, lì dentro. E anche poco fuori: subito, infatti, qualche grido d'incitamento per entrambi si levò fra gli spettatori che circondavano il ring; chi aveva scommesso soldi tifava per il proprio favorito, chi non lo aveva fatto voleva solo vedere uno come sarebbe finito lo scontro per farlo la, magari, la volta successiva. Ryuji li sentiva e chiaramente apprezzava il sostegno del pubblico, pur rimanendo concentrato sullo scontro. Era sicuro di vincere. Almeno la scommessa fatta con Izumi, l'unica di cui era a conoscenza. E sperava che nessun'altro avesse scommesso meno del suo "amico" perché... sì, avrebbe blandamente potuto tirare un cazzotto in faccia a Makoto rompendogli il setto nasale e facendolo svenire sul colpo, così da concludere lo scontro in meno di dieci secondi, ma... ad essere stronzi c'erano dei privilegi.
    E Ryuji aveva appena spontaneamente deciso che avrebbe tirato lo scontro fino a raggiungere trentacinque secondi minimo, giusto per farlo sudare un po'. Almeno imparava a scommettere tutti quei soldi.
    Senza contare che non voleva rompere il naso a Deepcolor. Non ancora.
    Il ghoul gli diede qualche istante per rimettersi dritto in piedi, ed alzò la guardia. Era già pronto a scattare di nuovo all'attacco, quando... il suo avversario lo fece al posto suo. Se fosse stato ad allenarsi al Dojo con uno dei suoi kohai probabilmente il suo primo istinto sarebbe stato quello di tirarsi indietro ed evitarlo visto il contesto competitivo, ma lì al ring gli era raramente - per non dire mai - capitato qualche umano abbastanza coraggioso da attaccarlo, per cui intrigato da quella nuova situazione non fece alcunché.
    Makoto gli afferrò entrambi gli avambracci cercando di "spaventarlo" come un adulto vestito da fantasma avrebbe fatto con un bambino in una casa stregata, e Ryuji si ritrovò a puntare le proprie iridi ambrate dritto negli occhi color nocciola del suo rivale. Gli venne da sorridere.
    Audace, ma la cazzata l'aveva fatta lui. Non appena percepì le sue intenzioni di mollarlo, Ryuji gli afferrò la testa con entrambe le mani, arpionandosi lateralmente ai suoi capelli in modo che avesse più difficoltà a divincolarsi e che, seppur legati, gli fornivano un appiglio piuttosto decente, e tentò di assestargli una decisa ginocchiata nello stomaco. L'addome non era protetto da ossa come i polmoni dalle costole e così via, colpire in quella zona poteva essere pericoloso perché poteva provocare danni agli organi interni senza incontrare molta resistenza, ma era anche possibile farlo con criterio limitandosi a far sì che l'avversario finisse solo per piegarsi in due dal dolore. Non a caso era una delle prime mosse che insegnavano ai corsi di autodifesa sul topic "cosa fare se il tuo aggressore ti blocca le braccia". Faceva cedere le gambe e allentare le prese perché i muscoli si contraevano improvvisamente da un'altra parte. Era la reazione naturale del corpo umano.
    Beh, lì la situazione era un po' diversa, ma il denominatore comune era lo stesso.
    Se ci fosse riuscito, infatti, Ryuji avrebbe approfittato del fatto di averlo in pugno anche per spingerlo verso il basso, facendo pressione nella zona delle spalle, e farlo cadere prono sulle proprie ginocchia. Erano passati nove secondi. Solo a quel punto lo avrebbe mollato, pur rimanendo un pochino curvo con le spalle per osservarlo, con tutte le intenzioni di ricambiare il suo saluto. «Buh. Halloween è la prossima settimana, campione.»
    Dodici secondi.
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    CITAZIONE (alyë @ 11/12/2021, 20:12) 
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    Una cosa che si doveva sottolineare del percorso di vita di Makoto, era il fatto che in tutti quegli anni, fino a pochi mesi prima in effetti, non aveva mai seguito un corso su una arte marziale o di autodifesa qualsiasi. Infatti, le prime nozioni tecniche le aveva ricevute proprio dai vari istruttori dell’Accademia. Il punto, dunque, era che Makoto era da sempre stato una persona molto istintiva, colpa anche l’essersi immischiato in passato nella vita di strada, dove tutto era lecito. Non basava le sue reazioni solo su preconcetti, no, invece imparava dai propri errori, rialzandosi ogni volta e riprovando fino a quando non riusciva a prevalere.
    Nell’istante in cui aveva lasciato la presa, senza batter colpo, Corax si era invece apprestato ad arpionargli la testa con le mani, mossa che Makoto stesso non gradì particolarmente, alzando poi una gamba pronto ad andare a colpirgli l’addome con quella che doveva essere una precisa ginocchiata allo stomaco. Il suo spazio di reazione era dunque ridotto e se non voleva perdere preziosi secondi, o peggio finire accasciato a terra, Makoto si mosse dunque d’istinto senza stare a pensarci troppo su.
    Come si dice, le vecchie abitudini erano dure a morire.
    Un tempo, se gli si fosse stato detto che i ghoul fossero duri come delle statue, Makoto ci avrebbe probabilmente creduto. Ma aveva appurato con i suoi stessi occhi che dopotutto erano fatti di pelle e ossa come lui. Più semplicemente, avevano un potere rigenerativo superiore e quasi sovrumano, gli sembrava quasi magia. Se una bella pugnalata allo stomaco avrebbe stesso un essere umano, lo stesso non sarebbe successo ad un ghoul. Per loro servivano mezzi speciali.
    Svuotando la testa da pensieri superflui, un sorriso sbieco in volto alla battuta dell’altro, Makoto si mosse dunque di scatto prima che l’altro potesse compiere qualsiasi altra azione, pronto a tirargli un bel calcio di rimirando all’altra gamba che non aveva sollevato da terra, con tutta l’intenzione di provare a fargli perdere l’equilibrio, possibilmente evitando così anche di essere colpito. Tra l’altro, poi, voleva proprio lasciasse la presa della sua testa, gli stava dando non poco fastidio, anche perché altrimenti sarebbe pure lui finito nel possibile capitombolo. Volendo recuperare qualche secondo senza dare all’altro qualche altro spiraglio di azione, Makoto si mosse di nuovo nel mezzo dell’azione, decidendo di provare a ricambiare quella ipotetica ginocchiata. Nel caso fosse riuscito ad atterrarlo quel tanto che bastava, non avrebbe tuttavia esitato a mettere immediatamente un po’ di distanza tra loro due.
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    ...avevo il post mezzo pronto da un po' (anche se è un po' cortino, non volevo stare ad allungare troppo essendo l'azione molto tesa/ristretta lol) ma mi ero completamente dimenticata di postare, rippini x__x
     
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    Poteva essere sorprendente, eppure Ryuji aveva una presa piuttosto salda. Era probabile che c'entrasse il suo stile di caccia, uguale a quello della sua famiglia da generazioni, ma quando uno di quei ghoul ti stringeva le mani o un arto attorno a qualcosa dovevi solo sperare che avesse voglia di farla finita in fretta, perché avrebbero potuto cominciare a mangiarti vivo lasciando morire la malcapitata preda fra atroci sofferenze, senza minimamente mollare la presa.
    Non aveva importanza quanto il soggetto si dimenasse.
    Avere mai visto un cuoco ammazzare un calamaro dopo averlo tirato fuori dal suo acquario? Ecco, solo con meno delicatezza, e non era proprio che chi ti preparava il sushi si risparmiasse.
    Makoto si sottrasse alla sua offensiva con la stessa rapidità con cui uno scoiattolo sarebbe sgusciato via da una rete con le maglie troppo grandi, provando a contrattaccare e a colpirlo nel punto nevralgico che teneva in piedi il ghoul.
    Tuttavia, Ryuji era anche allenato e non avrebbe mai perso l'equilibrio a meno che qualcuno non gli avesse fatto uno sgambetto ad uncino. Anzi tutta quell'audacia da parte dell'umano lo infastidì alquanto. Cosa credeva, fossero lì a ballare il tango?
    Il piccolo nobile aveva pure preso qualche lezione di danza da piccolo, ma non era finita granché bene. Aveva fatto esasperare gli insegnanti al punto tale che i genitori si erano convinti che il tiro con l'arco fosse meglio. Un fiasco pure lì. Ad ogni modo, il ghoul si fece sfuggire un ringhio poco accomodante. Voleva che mollasse la presa?
    Oh, sì. Lo avrebbe fatto.
    Ma gli piaceva molto il contatto fisico, anche se la norma era diversa, Makoto avrebbe dovuto un attimino adattarsi al suo stile di combattimento. Non poteva mica metterlo fuori combattimento guardandolo negli occhi. Per quanto gli spiacesse ammetterlo, ancora non si riteneva così sexy.
    Questa volta non ebbe pietà.
    Tese gli addominali e si prese la ginocchiata in pieno.
    Deepcolor era forte, ma non abbastanza forte.
    O meglio, magari lo era, ma Corax non aveva la minima intenzione di farsi atterrare da un essere umano. Ryusei lo avrebbe preso in giro per sempre se fosse successo fuori dal Dojo. E il trucco era lì.
    "Se non pensi di esserlo, convinciti di esserlo".
    Matrix era uno dei suoi film preferiti. Ed era convinto che Makoto non fosse più forte di lui. Più che convinto.
    Non appena il ginocchio del suo avversario impattò contro la sua pelle, Ryuji lo lasciò andare e gli afferrò la coscia, circondandola con le braccia come una piovra.
    Non si risparmiò in quanto a forza, strinse e lo tirò verso l'alto, per dargli la stessa sensazione di quando si è sugli scii e si cade all'indietro. Vuoto. Ansia. Chiaramente nei suoi buoni propositi non c'era quello di fargli male, ma c'era da sperare che agli allenamenti alla CCG avessero insegnato a Makoto come cadere o schivare una mossa del genere, perché a battere la testa era un secondo.
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    Va detto che Makoto il tango non lo sapeva ballare minimamente, già era tanto sapesse cos’era. O meglio, non è che fosse un così grande ballerino in generale, tranne se si poteva contare come danza il dondolare al ritmo della musica. Ma non è di certo questo il punto della situazione attuale.
    Il ringhio che si era fatto scappare l’altro, non gli sfuggì e quasi lo fece sorridere, mostrando i denti bianchi in un ghigno sbilenco. Nonostante il suo colpo alla caviglia non sembrava averlo smosso particolarmente, doveva avere una presa ben salda a terra, era stato il suo pensiero, Makoto non si scoraggiò anche perché la ginocchiata Corax se la prese in pieno. Non era stupido, gli sembrava abbastanza ovvio non l’avesse evitata per un chiaro motivo.
    E non appena aveva sentito la presa sulla sua testa allentarsi, Makoto si preparò mentalmente a un suo possibile contrattacco. Corax non lo deluse affatto, perché subito dopo, prima che potesse reagire in qualche altro modo, andò ad afferragli la coscia della gamba che aveva alzato, sbalzandolo poi in aria. Non poteva fare altro che seguire le sue azioni.
    La sensazione di vuoto in quei brevi istanti in aria era famiglia, non era stata la prima volta fosse stato lanciato in aria in quel modo. Quello che Corax non poteva di certo sapere, non era solo che stese venendo allenato da alcuni dei ghoul presenti, ma anche dalle persone che li combattevano giornalmente. Le conoscenze che aveva acquisito dalle due diverse prospettive erano utili, ma allo stesso tempo, conoscere come potevano muoversi o come agivano in base ai pattern, poteva essere uno svantaggio.
    Sapeva bene che non sarebbe mai stato forte quanto un ghoul ben allenato, e per tale motivo gli umani dovevano giocare d’astuzia per sopravvivere. O cercare qualche sotterfugio per prevalere, come un punto debole o cieco. Non importava quanto fosse pesante o massiccio come umano, un ghoul sarebbe riuscito a sollevarlo manco fosse stato una principessa disney.
    Ma in quel momento, a Makoto, non importava niente di tutto ciò. Atterrò d’istinto, come gli era stato insegnando e mostrato varie volte, stando attento a non colpire punti fragili del suo corpo nella caduta, rotolando lateralmente per smorzare l’impatto. Tuttavia, doveva stare attento, se non recuperava immediatamente l’orientamento si sarebbe messo in difficoltà da solo.
    Sapeva bene che in quel ring, almeno per la controparte sovrumana, c’erano limiti ben definiti che se infranti avrebbero avuto non pochi ghoul infuriati alle calcagna. Dopotutto, nessuno voleva smuovere il Boss dalla sua postazione, quando tutto quello che voleva fare era godersi lo spettacolo amichevole. Makoto doveva quindi andare “solo” a rubargli il più tempo possibile, l’obbiettivo non era mai stata una vittoria ma sopravvivere il più a lungo possibile.
    Di nuovo in piedi, non perse dunque tempo, l’espressione ampiamente divertita. Con qualche falcata si lanciò dunque nuovamente contro Corax, una mano stretta a pugno con l’obbiettivo il naso dell’altro. Se lo avesse beccato, era sicuro avrebbe lasciato il segno momentaneamente, ricordava bene in fondo che la cartilagine dei ghoul fosse comunque sempre molto fragile. Ma allo stesso tempo sapeva che quello sarebbe stato un enorme azzardo, l’altro poteva afferralo con facilità e contrattaccare, e sapendo questo Makoto si preparò ad ogni evenienza. Per il momento avrebbe applicato forza dietro quel pugno che tanto gli sapeva di quelle lotte di strada con sui era sempre stato coinvolto in passato. Era quasi nostalgico.
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    "Non poteva mica metterlo fuori combattimento guardandolo negli occhi. Per quanto gli spiacesse ammetterlo, ancora non si riteneva così sexy."
    Ecco, volevo solo dire che leggendo questo pezzo sono quasi morta dal ridere lmao tvb ryuji, per me sei sexy già così
     
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    C'era qualcosa, in Makoto, che continuava a destabilizzare il giovane ghoul dai capelli color petrolio. La sua tenacia? La sua sfrontatezza? Forse, ma... no. Era qualcosa di più sotteso, e Ryuji lo capì quando lo vide scattare in piedi con fulminea rapidità dopo essere stato atterrato: erano i suoi movimenti. Che fosse abituato a combattere contro i ghoul era ovvio, infatti non era quello che lo confondeva; lì sotto tutti erano abituati a farlo.
    Era qualcosa che avevano i suoi movimenti, standard, ma - di una frazione infinitesimale - diversi da quelli di una normale persona abituata a quel tipo d'intrattenimento.
    D'improvviso credette di capire quello che Izumi aveva voluto dirgli prima che cominciasse l'incontro, con il fatto che Deepcolor non fosse come tutti gli altri. Anche se così sembrava una frase uscita da un romanzo rosa di un litigio fra ex, Ryuji non credeva che Makoto e Izumi avessero mai avuto qualche intercorso romantico fra di loro in passato, quindi il significato doveva per forza essere l'altro.
    E chiaramente non poteva sapere neanche quello, ma il tassello mancante che lo infastidiva era nient'altro che l'allenamento di Makoto alla scuola della CCG. Questo perché Ryuji non si era mai scontrato con la CCG in vita sua. Politiche familiari, se così volete chiamarle. Qualche volta aveva osservato qualche scontro da lontano, ma si era ben guardato da mettere le mani in pasta ad affari che non lo riguardavano, quindi non aveva la più pallida idea di come si muovessero gli investigatori o futuri tali. E da una parte per fortuna - perché se avesse saputo della carriera scolastica di Makoto non sarebbe stato per nulla contento. Ciò che era riuscito a comprendere per ora era il fatto che Makoto fosse allenato in modo simile al suo. No, non in un arte marziale. Nell'arte del sopravvivere.
    Tch. Deepcolor rotolò sul ring anche in maniera fin troppo elegante per i suoi gusti, e si rialzò meno ammaccato di quanto lui avrebbe voluto, cosa che lo portò a sbuffare appena, sottilmente seccato. Si era preso una ginocchiata nello stomaco per niente, praticamente. Sapeva che non gli sarebbe rimasto nessun livido, e - sebbene non facesse così male - non era stata nemmeno una carezza con un ventaglio di piume. Il corvino non perse tempo, e subito si lanciò di nuovo verso di lui con un braccio teso, probabilmente con tutte le intenzioni di tirargli un pugno in faccia.
    Un sorriso da vipera si allargò sul viso del ghoul.
    «Oi, oi. Dove siamo, in una rissa da bar? Un po' di eleganza.» mormorò, a denti stretti. Nel caso ve lo steste chiedendo, no, non era un gran chiacchierone, ma a volte non sapeva proprio stare zitto. Avrebbe potuto prendere la sua cintura, usarla come frusta, e non gli avrebbe dato più soddisfazione del vedere una mossa del genere. Non lo avrebbe ammesso manco sotto tortura, ma era innegabile: si stava divertendo.
    Ryuji riacquistò rapidamente la sua guardia, avanzò a sua volta, e parò semplicemente il colpo, sollevando il braccio destro dal basso verso l'alto e facendo slittare il braccio di Makoto sopra la sua testa; una mossa abbastanza basilare facente parte del primo kata. Inutile, ogni tanto ci godeva proprio a flexare le sue capacità in certi modi.
    Eppure in quel momento, un urlo di incitamento più forte, chiassoso e rumoroso degli altri lo strappò dalla frenesia del combattimento, facendogli volgere gli occhi gialli verso i numeri scarlatti del cronometro.
    Segnava trentacinque secondi.
    Per un momento Ryuji percepì un brivido assolutamente per nulla positivo attraversargli la schiena. Non si era reso conto di quanto tempo fosse già passato dall'inizio dello scontro! Si era lasciato prendere e se ne era dimenticato alla grande! Cioè, in realtà non ne era passato così tanto, era che - su quel ring - ogni secondo aveva la possibilità di estendersi all'infinito, come se stessero attraversando l'orizzonte degli eventi di un buco nero, e adesso la scommessa con Izumi era improvvisamente tornata a reclamare la sua parte di attenzione.
    Okay, okay, aveva dieci secondi. Ovvero tutto il tempo del mondo per stendere anche un'energumeno allenato come Deepcolor. Ryuji lo fulminò con lo sguardo, parzialmente offeso che avesse provato ad attaccarlo con una mossa così semplice immediatamente dopo avergli mostrato che era capace di fare molto meglio.
    «Hai smesso di prendermi sul serio, principessa? — ghignò, giusto per fargli comprendere che aveva finito il tempo da perdere e che era pronto anche ad assecondare la sua voglia di rissa da strada, se era quello che voleva. — Direi che è il caso di finirla qui, allora.»
    Ryuji decise di sfruttare la loro vicinanza, un'occasione troppo succosa per lasciarsela sfuggire. Inspirò, concentrando la propria forza e optò per un'apertura semplice, ma non per questo da sottovalutare; un calcio dritto portato facendo scattare la sinistra in avanti e spostando, nel farlo, il peso dalla destra alla sinistra: il calcio avrebbe quindi colpito sia con la forza stessa dell'impatto, sia con la forza del peso corporeo del ghoul, diretto all'addome del giovane pugile, dove l'aveva già colpito ad inizio scontro.
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