Beautiful Trauma

[CONCLUSA] YOKO FUJIWARA & VICTOR KRIEGER - Shinagawa(viLLA fujiwara)- 17/03/2021 (SERA, dalle 21.30) - TEMPO NUVOLOSO

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    «È ora che tu ti prenda le tue responsabilità e porti onore a questa famiglia»

    Quelle parole che sperava non fossero mai pronunciate, ma doveva saperlo che suo padre non avrebbe mai rinunciato a quel progetto per lei, paradossalmente da quando era nata non era che una merce di scambio.
    Lo aveva capito da tempo, eppure, non lo aveva mai accettato: non importava quanto scalciasse, o quanto si rifiutasse, il suo destino non sarebbe cambiato. E per quanto sarebbe voluta fuggire a gambe levate, era consapevole che non le sarebbe stato permesso.
    C'erano stati furiose giornate di litigi, ma nulla era cambiato da quando le era stato annunciato il suo stesso fidanzamento, con chi, non lo sapeva neanche lei.
    Lo odiava, e anche tanto: chi mai avrebbe potuto accettare condizioni simili? Aveva ben altri progetti, vedere il mondo, lavorare e conseguire le sue passioni. Tutto le sembrò strappato violentemente dalle mani: era in balia di un futuro che sembrava non poteva controllare.
    E gli ordini di suo padre non si discutevano, neanche sua madre era dalla sua parte quella volta: se ne restava in silenzio, cercando di addolcirle la pillola, e rassicurandola che era un bel "giovanotto" come diceva lei.
    Ma di queste cose, non poteva che infischiarsene. Poteva essere bello quanto voleva per sua madre, ma ciò non toglieva che quel matrimonio combinato rovinava, o poteva potenzialmente ,qualsiasi suo progetto.
    Sapeva che i suoi studi per suo padre erano sempre stati una barzelletta, un palliativo per lui di tenerla occupata mentre cercava il buon partito, o meglio, chi più gli conveniva per i suoi affari.
    Non aveva la più pallida idea di chi fosse lo sfortunato che suo padre aveva convinto, e per quanto aveva iniziato ad arrendersi alla prospettiva , una parte di sè non aveva finito di lottare: se era la moglie trofeo perfetta che cercavano, non lo sarebbe stata.
    Poteva essere fortunata e trovare dall'altra parte una persona buona che avrebbe imparato ad amare come diceva sua madre, o totalmente il suo opposto. L'ignoto non le piaceva, e sopratutto non aveva ancora mandato giù la storia del suo fidanzamento.
    Magari sarebbe sembrata così insopportabile da farsi lasciare e far scappare il poveretto?
    Sarebbe stato un sogno, ma si rendeva conto che in qualche modo si sentiva ancora incatenata a quella famiglia e a quegli obblighi morali che usavano contro di lei.
    Non aveva avuto modo di replicare, sopratutto alla festa di fidanzamento in cui avrebbe finalmente conosciuto il disgraziato che aveva accettato quell'assurda situazione.
    Con un fidanzamento tra capo e collo, quella sera non aveva proprio voglia di divertirsi, tutti gli invitati invece sembravano farlo: che avevano da ridere lo sapeva solo lei.
    Pensava che quel giorno sarebbe stato difficile, e invece si ritrovava davanti allo specchio con un bellissimo vestito lungo e nero. In parte perchè credeva che il nero fosse un bellissimo colore e sopratutto elegante, ma anche perchè era ufficialmente il funerale della sua vita quella sera.
    Niente fronzoli, niente cose appariscenti, un semplice vestito in velluto nero, i capelli sciolti e giusto una sottilissima collana di piccoli brillanti leggermente allungati sul davanti, accompagnati da un paio di piccoli orecchinicircolari.
    Almeno se doveva fare qualche scenata sarebbe stata elegante: anche se dubitava avrebbe potuto farla. Sostanzialmente, suo padre l'aveva praticamente ricattata ad accettare quel matrimonio, e non avrebbe permesso che qualsiasi idiota di turno portasse via il suo futuro.
    Dopo essere stata chiamata più di una volta dalle domestiche, uscì da camera sua, totalmente impreparata ad affrontare il suo destino di lì a poco: si ritrovò nel salottino più piccolo, con i suoi genitori ad attendere il famoso futuro sposo, mentre il resto degli ospiti era nel salone più grande ad iniziare già quei festeggiamenti.
    Si era chiesta e aveva rimuginato, su che tipo di persona fosse quella che avrebbe incontrato.
    Non sapeva che il destino le avrebbe riservato una spiacevole sorpresa.


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    Victor era incazzato. Ma Victor era sempre incazzato, quindi non che ci fosse chissà quale grande novità su quel fronte. Avere a che fare con le persone non era una cosa che lo aveva mai entusiasmato più di tanto, ma al momento si trovava ad una festa in suo onore - non ironicamente - e non aveva altra scelta che fare buon viso a cattivo gioco, per sopportare e convincersi che lo stava facendo per il bene di sua sorella minore. D'altronde non l'aveva mai vista così felice come quando gli aveva detto che si sarebbe sposato, quindi forse un fondo di verità c'era. Era il primo a trovare ridicola l'idea, ma per spiegare come si fosse ritrovato in quella situazione che aveva del paradossale, bisognava necessariamente tornare indietro di un consistente numero di mesi, quando Victor si era visto rifiutare la sua richiesta di promozione da parte dei piani alti.
    E lo capiva, per carità, d'altronde chi era lui se non un signor nessuno arrivato dalla Germania con fin troppe pretese? Alla fine i giapponesi erano uguali ai tedeschi, solo un po' meno rumorosi, e non ti servivano niente su un piatto d'argento. Ma solo perché capiva, non significava che accettava e perdonava, perché - inutile girarci intorno - lui aveva fretta. Stando nell'esercito si era abituato ad un certo tenore di vita e ad un certo status sociale in cui la maggior parte delle cose gli erano dovute e in cui la gente obbediva ai suoi ordini senza fiatare, era ovvio che non potesse prendere di buon grado l'aver dovuto ricominciare praticamente tutto da capo. Perché quando a trentadue anni non hai ancora fatto carriera forse c'è qualche problema di fondo, Victor era cresciuto con quel pensiero. E... beh, lui in realtà carriera l'aveva fatta eccome. Solo non lì, e se trovava naturale l'idea che non lo volessero promuovere dopo a stento un anno e mezzo di servizio, formazione esclusa, al tempo stesso non gli andava di essere scavalcato da ragazzini di vent'anni con il muso ancora sporco di latte. Non era scontento della sua situazione attuale, Reynolds era un bravo caposquadra e proprio per questo Victor desiderava andarsene il prima possibile. Lui non era adatto a stare alle dipendenze di una persona falsamente gentile e dalla doppia faccia come quella, preferiva le persone oneste e, come sempre, gestiva bene l'ubbidire agli ordini, ma gestiva meglio darli.
    Victor non l'avrebbe chiamata così, ma la sua salvezza aveva poi assunto la forma di una persona. Forse, antistress era più corretto.
    Aveva conosciuto il Signor Fujiwara molto tempo addietro, per una mera casualità, al Gala della CCG, durante il quale l'uomo, rimasto senza, gli aveva chiesto se avesse un accendino da prestargli. A seguito, uno strano disegno del destino aveva deciso di farli incontrare ben più di una singola volta. Ora, Victor non comprendeva appieno il concetto della parola amicizia, ma non era difficile che si ritrovasse ad apprezzare la compagnia di determinati tipi di persone. Il signor Fujiwara rientrava fra queste. Forse era il vizio del fumo che li accumunava, forse il fatto che l'uomo continuasse a scambiare la sua rigidità con un flemma tipico di pochi e non sembrasse disturbato dalla sua avarizia verbale, il Signor Fujiwara era un'importante finanziatore della CCG, per cui passava spesso al quartier generale e Victor si era trovato ben più di una volta a scambiarci qualche parola.
    Forse quando si erano incontrati, una di quelle mattine di parecchi mesi fa, mentre Victor si accingeva a tornare a casa propria, l'uomo aveva avuto abbastanza spirito d'osservazione per notare che l'investigatore fosse più irritato del suo solito ed aveva ben pensato di offrirgli da fumare. Un fumatore una sigaretta gratis non la rifiuta mai per partito preso, così aveva fatto anche Victor e fra una cosa e l'altra aveva anche finito per dirgli cos'era che lo aveva reso nervoso. Sorpresi? Victor che si confidava con qualcuno? Sì, beh, non era un fenomeno da poter osservare tutti i giorni, ma la nicotina lo rendeva più docile.
    Era stato in quel frangente che quella proposta da parte dell'uomo in sua compagnia lo aveva colto talmente tanto impreparato che per poco non gli era caduta la sigaretta di bocca. E sorprenderlo era di per sé già molto difficile, quindi fate voi i conti, ma anche la domanda era stata molto irreale di per sé.
    Perché non si sposava?
    Già. Ottima idea. Perché non si sposava? Ovvio, che stupido. Perché non ci aveva pensato prima? Era chiaro che quello avrebbe risolto il problema, visto che era strettamente collegato alla sua carriera, no? Per qualche lungo istante Victor aveva pensato che lo stesse prendendo in giro e si era dovuto trattenere per non scoppiargli a ridere in faccia, però il suo interlocutore aveva dimostrato di saperla leggermente più lunga di lui sulla questione. Alle volte una piccola raccomandazione mica faceva male, no? Soprattutto se si voleva procedere in fretta nel fare qualcosa: in Giappone poi, era tutto una raccomandazione continua. Lui aveva una figlia proprio in età da marito, e poteva certamente aiutarlo a farsi strada fino ai vertici della CCG, se aveva da guadagnarsi un genero ben inserito in quelle complesse meccaniche dell'organizzazione.
    Quando aveva capito che non era uno scherzo, Victor aveva istantaneamente rifiutato, ma il Signor Fujiwara aveva insistito sul fatto che non era una decisione che doveva prendere all'istante e che poteva benissimo pensarci. Da parte sua c'era interesse soprattutto perché gli sembrava proprio la persona giusta per sua figlia che aveva decisamente bisogno di qualcuno che sapesse metterla in riga, oltre che i classici motivi che di solito spingono due persone a prendere accordi per un matrimonio combinato.
    Fatto stava che Victor lo sapeva come funzionavano quelle cose perché già una volta suo nonno aveva provato a raccomandagli la nipote di un suo vecchio amico della marina, anche se come risultato aveva ottenuto solo quello di essere stato sonoramente mandato a farsi fottere, e si era anche accorto che al capofamiglia Fujiwara lì, i soldi non mancassero affatto. Non che a Victor mancassero, i soldi, ma erano... diciamo su un piano dimensionale piuttosto diverso, quindi, per la prima volta in vita sua la sua mente era stata attraversata dal dubbio. E si sa, che i dubbi sono la condanna dell'essere umano, per questo Victor era restio a concederseli. Eppure, una cosa tira l'altra, dopo un paio di mesi di riflessione, quando si era di nuovo sentito rifiutare la richiesta di avanzamento di grado, aveva prima accennato la cosa a sua sorella - che aveva voluto sapere tuuuutti i dettagli, che non esistevano, per cui Victor se li era inventati - e, alla fine, si era fatto convincere anche dallo sguardo furbo dell'uomo che per primo gli aveva fatto quella strana offerta.
    Il che, ci riporta al giorno odierno.
    Come dicevamo, Victor era incazzato. Era appena arrivato e neanche aveva fatto in tempo a riconoscere qualche faccia familiare della CCG, che era stato assaltato da manipoli di persone curiose manco fossero ad un raduno di nobili inglesi nel milleottocento.
    Fortuna che dopo una ventina di minuti il signor Fujiwara lo aveva salvato, perché beh... erano ad una festa per il suo fidanzamento e almeno conoscerla sta tizia doveva.
    A Victor non importava granché di chi fosse, anzi era pronto a giurare che fosse una racchia e per questo suo padre stesse provando a rifilarla a lui, ma pazienza. Gli era importato così poco che manco si era informato sul suo conto. Onestamente vedeva tutta quella farsa come un gradino in più da salire per la sua carriera.
    La porta del salottino si socchiuse, Victor si lisciò il completo rosso e nero e fece il suo ingresso, seguendo Fujiwara.
    «È un piacere conoscervi, signore.» esordì, con tutta l'educazione che riuscì a trovare, e chinò appena il busto, secondo usi e costumi giapponesi, per presentarsi, pur rimanendo abbastanza sorpreso nel notare che la moglie del Signor Fujiwara fosse probabilmente europea o comunque occidentale. Beh, questo gli rendeva le cose estremamente più facili.
    Ricevuto il permesso di alzarsi, poi passò in rassegna con le iridi ambrate anche la figura della giovane.
    Che era... uhm, molto giovane.
    Forse anche troppo.
    Pazienza, contento suo padre.
    E aveva una faccia abbastanza familiare.
    L'aveva già vista da qualche parte?
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    Edited by Ryuko - 8/11/2021, 18:21
     
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    Il momento era arrivato: era nervosa, ma non perchè fosse felice. Sua madre sembrava più felice di lei: perchè non si sposava lei si chiedeva, e la costrinse ad alzarsi da dove era seduta per farla avvicinare.
    I saluti furono ricambiati con estrema educazione da parte di entrambi i genitori, ed era arrivato il momento delle presentazioni.
    La voce fu già un campanello dall'allarme...le era tremendamente familiare, e le suonava spiacevole, ma perchè?
    Non ci mise molto a scoprirlo, quando i suoi occhi incontrarono la figura dell'uomo davanti a lei...dire che era rimasta senza parole e freddata era un eufemismo.
    ''No''
    La sua mente non voleva proprio accettarlo: doveva essere un'allucinazione per forza.
    ''NoNoNoNo...NO''
    Lui forse non si ricordava, ma lei perfettamente: come dimenticarsi di quel burbero maleducato che le aveva rotto il suo bracciale! Quel narcisista che aveva sperato di non rivedere più.
    «Tesoro, coraggio dii qualcosa» Sua madre pensava che era stata senza parole perchè abbagliata da quanto fosse affascinante l'altro, o chissà quale altra cavolata, lei invece aveva solo un mare di imprecazioni da vomitare in quel momento.
    «Ma stiamo scherzando?! Ancora tu?!»
    I volti dei genitori furono piuttosto sorpresi.
    «Vi conoscete?» Avrebbe voluto strangolare suo padre se non fosse stato omicidio e in galera non ci teneva ad andare.
    «Tu sei l'idiota di Ginza!» Sua madre a quel punto non rischiò di svenire visto il suo colorito modo di accogliere il suo futuro sposo, e si beccò di certo un'occhiata furente di suo padre, oltre che sua madre quasi non gli stritolò il braccio.
    «Morditi quella lingua Yoko» Il solito commento carino di suo padre, e sua madre che le sussurrava di stare calma.Ma lei calma non lo era proprio per niente. «Non diamo spettacolo, ci sono un sacco di ospiti importanti...e sono sicura che qualsiasi equivoco abbiate avuto si possa attenuare. Adesso siamo ad una festa e non è il caso di essere così tesi»
    Era sconvolta: tra tutte le persone del pianeta, proprio lui. LUI! Ora si che si sentiva morire, e avrebbe voluto che un ghoul la aprisse in due, tutto tranne quello. Con quel tipo si era scontrata dal primo momento... non avevano forse niente in comune, o almeno lei ancora non lo sapeva, nè ci teneva a scoprirlo in quel momento.
    «Fammi fare una brutta figura e te ne pentirai amaramente, hai capito?»
    Fu il sussurro di suo padre, che le gelò il sangue: sapeva essere spietato quando voleva, e non era diventato così ricco facendo beneficenza. Dopotutto, ai suoi occhi non era altro che una seccatura di cui liberarsi, un altro affare che non intendeva far andare a male.
    Non poteva crederci, avrebbe dovuto fare buon viso a cattivo gioco anche se era chiaro che non voleva farlo per niente, e avrebbe voluto mangiarsi viva sua madre quando l'aveva appena spinta verso il figlio di Dracula.
    Voleva che un fulmine la colpisse in quel momento.

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    «Tu sei l'idiota di Ginza!»

    A quelle parole, Victor si accigliò appena. Lui era cosa? Sicuramente non idiota, ma neanche abitava a Ginza o nei dintorni, se doveva essere onesto e sincero. Tuttavia, avere una buona memoria era davvero una fregatura, alle volte. Perché gli bastò raddrizzare la schiena ed incrociare quello sguardo irritato per esser capace di tirare le somme da solo e capire da dove avesse avuto origine quella vaga sensazione di familiarità, perché i posti che frequentava nei pressi del suddetto quartiere erano già estremamente limitati dal fatto che Victor lo considerasse un posto pieno di snob, tanto che si potevano contare sulla punta delle dita.
    Non era quella tipa che aveva rischiato di fargli cadere una libreria addosso nel modo più incosciente possibile?
    Beh, che dire, era ovvio che Victor non si ricordasse di lei. Almeno, non così tanto da riconoscerla a primo impatto, truccata e tirata a lucido com'era ora. Era passato quasi un anno, e... perché mai avrebbe dovuto ricordarsi di un incontro così futile e marginale ai fini della sua vita?
    Già, non doveva affatto. Piuttosto, era strano il contrario, ma era anche vero che aveva abbastanza autostima da poter supporre che il loro incontro gli fosse passato meno in sordina del previsto.
    E se quello serviva a ricordargli quanto il mondo sapesse essere piccolo e stronzo, Victor era pronto a ricordare al mondo di essere più stronzo di lui.
    Ormai aveva fatto pace con sé stesso: in quel momento si sarebbe potuto trovare davanti letteralmente chiunque, aveva preso la sua decisione e nessuno sarebbe stato capace di spostarlo da essa se non i genitori di lei, che - per fortuna della sua futura carriera - non sembravano averne l'intenzione.
    La voce del padre della ragazza, infatti, fu sufficiente a ricordargli il motivo per cui era lì ed a fargli accantonare tutto il resto.
    Victor assottigliò appena le iridi ambrate e fissò la giovane per qualche istante, con uno sguardo che chiaramente diceva che l'aveva riconosciuta eccome, solo che non gliene importava un bel niente.
    Lei, d'altro canto, pareva molto ben poco contenta di vederlo, ma Victor non se ne stupì affatto: da che aveva memoria c'era solo una persona che era contenta di vederlo ed era sua sorella, figurarsi.
    Quindi, si conoscevano?
    Sì e no, dipendeva dai punti di vista.
    Il suo era piuttosto semplice.
    «No. – ammise, spostando lo sguardo sul Signor Fujiwara e non battendo ciglio. – Deve avermi scambiato per qualcun altro.»
    Ironicamente, non poteva nemmeno dire di aver mentito, perché a conti fatti aveva appena scoperto il suo nome.
    «Non è un problema, non mi offendo per così poco.» continuò, affrettandosi ad aggiungere quelle parole, rivolto verso la madre della ragazza, che sembrava ben più sbigottita della figlia. Nemmeno quella era una bugia: offendere qualcuno che ha in corpo più orgoglio che acqua era un'impresa in cui si imbarcavano in pochi.
    Non era tanto diverso dal parlare con un muro, perché era esattamente il tipo di persona a cui non importava proprio niente di quello che gli altri pensavano di lui, meno che mai una donna che sarebbe dovuta diventare sua moglie.
    L'unico esempio di famiglia che aveva per le mani era la sua, e non era esattamente una cosa positiva. A dire il vero non sapeva neanche se i suoi genitori si erano sposati, pensandoci con il senno di adesso ne dubitava fortemente.
    Inoltre, era una persona a cui tergiversare piaceva ben poco. Era un individuo pratico e quando c'erano delle faccende da svolgere cercava di passare al dunque il più in fretta possibile. E siccome quella per lui era una faccenda da svolgere, a non voler sentire i capricci di quella ragazzina erano in tre, non in due.
    «Fujiwara Yoko, ho capito bene? – domandò, di seguito, senza scomodarsi a fingersi cortese, perché in un modo o nell'altro le buone maniere le conosceva: era solo che di solito non le usava. E no, aveva sentito suo padre pronunciare il nome, ancora non era veggente. – Victor Krieger. Tuo Padre mi ha parlato molto di Te, è un onore conoscerti finalmente di persona.» mormorò, e le tese una mano guantata di nero. Sì, si era già presentato alla maniera giapponese, ma - scoperta occidentale la madre di Yoko - si era detto che forse era meglio accontentare anche quest'ultima.
    Forse Yoko se lo ricordava diverso Victor, più rude e scortese, e beh... lo era. Ma più che impressionare lei stava cercando di ingraziarsi i genitori, del resto gli importava ben poco. Anche perché non aveva la più pallida idea di cosa doveva succedere ad un incontro di un matrimonio normale, figurarsi uno combinato.
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    Doveva essere una presa in giro, per forza.
    Non doveva essere lui. Non poteva.
    Esistevano più di 6 miliardi di persone su quel pianeta...perchè ? Aveva l'impressione che chiederselo così spesso non avrebbe cambiato il fatto che quell'incubo sembrava prendere forma ogni secondo di più.
    Lo sguardo che le lanciò era piuttosto chiaro: sapeva perfettamente chi era, l'aveva riconosciuta, eppure, aveva intenzione di far passare lei per la maleducata! Di certo, era stata una mossa molto furba, doveva dargliene atto.
    Tanto che la faceva arrabbiare, e avrebbe voluto pestargli i piedi di proposito...forse in effetti dopo avrebbe potuto farlo se fossero stati costretti a ballare.
    Una cosa piuttosto infantile certamente, ma almeno le avrebbe sollevato il morale da quella che sembrava preannunciarsi la serata peggiore della sua vita.
    «Certo, perchè è proprio difficile dimenticare caratteristiche come le vostre»
    Sussurrò tra se e sè, ma ottenne una leggera spinta dalla madre che l'aveva chiaramente sentita stando accanto a lei, e fu costretta a fare un sorriso di circostanza, piuttosto forzato.
    Non vedeva l'ora di restare da sola con lui, ma non di certo per conoscere meglio il suo futuro sposo. Mai come in quel momento avrebbe voluto fare la scenata della principessa viziata che scalciava irritata dalla situazione, peccato che l'uomo davanti a sè non era un regalo che poteva rifiutare.
    Guardò l'altro per qualche istante: capì di essere con le spalle al muro, in trappola. Se voleva fare quel gioco doveva essere più brava di lui: l'impressione pessima che aveva avuto di lui però continuava a frenarla parecchio.
    Per quanto non volesse far trasparire ciò che pensava, era chiaro che fosse diffidente: pensò che era diverso dal tipo che aveva conosciuto a Ginza...ma aveva imparato spesso a sue spese che l'apparenza ingannava, e in quel mondo, nel suo mondo, fatto di soldi e luccichii, l'apparenza era tutto.
    Si sforzò immensamente di allungare la mano per stringergliela: ma non volle mostrarsi debole o intimidita, di conseguenza, la sua stretta fu più salda di quella che sarebbe stata di solito.
    «Lui invece non mi ha detto nulla di te»
    Ed era una verità inconfutabile, non stava mentendo: non sapeva nulla di lui, se non quel poco che aveva appreso in quel breve incontro più di un anno fa.
    Lo sguardo di suo padre torreggiava in maniera pressante su di lei, sebbene non lo stesse guardando negli occhi lo sentiva quasi trapassarla: piuttosto non aveva mai abbassato lo sguardo con Victor, come se volesse tenere d'occhio ogni sua mossa.
    Il brutto di non conoscere il tuo avversario, era che poteva essere imprevedibile qualsiasi cosa, e quello per lei era un terreno minato.
    «Be' direi che la parte più tesa sia andata meglio del previsto»
    Sua madre la risvegliò dai suoi pensieri e questo le fece lasciare la mano di Victor Krieger pochi istanti dopo: in parte voleva stemperare la tensione e l'imbarazzo che aveva provocato, in parte voleva passare oltre e andare avanti con la serata.
    «Perchè non andiamo nella sala principale? Così potete parlare un po', conoscervi meglio e salutare gli ospiti quando arrivano!»
    Quella era chiaramente un'imposizione a cui non sarebbero potuti scappare, una gogna pubblica che avrebbero dovuto affrontare insieme: erano sulla stessa barca, e purtroppo per entrambi, dovevano collaborare.
    L'idea non le piaceva neanche un po', e quando vide i suoi avviarsi, sapeva che li dovevano seguire, e stare probabilmente vicini per farsi vedere dagli invitati: lo sguardo di Yoko però tornava quasi sempre all'altro, doveva approcciarlo di petto?
    «Che brutto scherzo del destino»
    gli disse, con voce più bassa, ma sapendo che poteva sentirla standogli accanto...«Spero che tu sappia mentire meglio di così, perchè là fuori non vedono l'ora di farci a pezzi» Commentò: forse lui non era abituato a quell'ambiente, ma l'apparenza contava più di tutto, e dovevano essere perfetti, apparire come una coppia felice e innamorata, cosa che non era. Dovevano far credere che andava tutto bene, che era tutto perfetto. Per chi non viveva in quell'ambiente erano tutte sciocchezze, ma per persone come i suoi genitori era tutto...il denaro, il potere, le apparenze. Il resto, non contava poi granchè, e sapeva che lei rientrava tra queste cose, almeno per suo padre.
    Da una parte, sperava che questo potesse spaventare l'altro e farlo correre via, ma temeva che non sarebbe bastato quello a fermarlo dall'andare avanti con la sceneggiata.

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    Ebbene sì, la situazione aveva del paradossale. Era bello parlare di libero arbitrio o di come il destino fosse tutta un'invenzione umana fino a quando non ti ritrovavi a frotteggiare un caso del genere. Beh, non che Victor avesse mai creduto in anche una sola delle due cose. Il libero arbitrio forse esisteva quando avevi abbastanza soldi da farlo esistere e al destino, che tu lo volessi o meno, ti ci ritrovavi incatenato fin dalla nascita. Bastava pensarci con un briciolo di cognizione di causa, lo dicevano persino la matematica e la fisica: nell’universo non domina la Casualità, ma vige la Legge della Causalità; quel che la gente tende a chiamare caso, non è altro che un modo per designare delle cause e delle regole così complesse da non poter essere afferrate da una mente limitata come quella umana.
    In fin dei conti, non c'era niente di male nell'accettare che ci fosse un percorso predestinato per ogni persona e probabilmente Victor l'aveva inconsciamente fatto da tempo. La differenza fra le persone stava tutta lì: uno poteva accettarlo passivamente facendosi trascinare dagli eventi della vita, come un morto in mare, oppure, poteva prenderlo per un braccio ed essere lui a trascinare il destino. Victor, nel caso ve lo steste chiedendo, apparteneva alla seconda categoria.
    Tu pensa, si disse infatti l'investigatore, non solo quella donna si ricordava di lui, sembrava anche provare dell'astio ben nutrito nei suoi confronti.
    E come biasimarla. Era così difficile dimenticarsi di lui?
    Oh, ci poteva scommettere. Non che per lui fosse una sorpresa, dopotutto era uno di quegli individui convinti che il mondo girasse attorno al proprio ego e credeva fosse improbabile che esistesse una persona, fra le migliaia che aveva incontrato, che non si ricordasse di averlo fatto. Per i motivi sbagliati chiaramente, come l'odio, ma l'odio era un sentimento forte ed a Victor piaceva essere odiato: era una sensazione piacevole per uno della sua razza e la preferiva di gran lunga a quella data dall'indifferenza.
    Per cui, impassibile e stoico, ricambiò la stretta di mano e si limitò a squadrare la ragazza.
    Sovrapponendola ai suoi ricordi la rammentava diversa, forse più magra e con i capelli più scuri, ma erano ricordi di quasi un anno fa e non ci aveva prestato così tanta attenzione, con ogni probabilità era normale. Si ricordava d'aver desiderato che lei provasse a tenergli testa e, anche se poi la cosa si era risolta con un nulla di fatto, a ripensarci un velo d'interesse guizzò nelle sue iridi ambrate, scintillando come una pepita d'oro fra le fauci di un coccodrillo.
    "Certo che non ti ha detto niente." pensò, quando la ragazzina gli rispose con quel tono piccato da vittima della situazione. "E anche se ti avesse detto qualcosa con ogni probabilità non saresti stata a sentire o non avresti capito, ottusa come sei."
    Già, l'opinione di Victor sulle donne non era molto alta. Ne esistevano alcune che rispettava o aveva rispettato, ma per lo più le vedeva tutte come delle stupide creature inutilmente frivole e capricciosa (le bionde in particolare), cosa di cui Yoko aveva dato ampia dimostrazione esattamente qualche attimo prima. Chiaramente non aveva voce in capitolo sulla questione, visto che l'unico parere che importava lì era il suo, ma sentirla dimenarsi come uno scoiattolo in gabbia era oltremodo imbarazzante. Non fraintendiamoci, Victor non voleva affatto sposarsi: fosse stato per lui sarebbe rimasto scapolo tutta la vita, ma al momento si era imposto di trattare quella scocciatura come avrebbe trattato una scocciatura di lavoro qualsiasi. Del resto, per lui era lavoro. Aveva accettato la proposta del signor Fujiwara unicamente perché aveva qualcosa da guadagnarci. E di scocciature lavorative nella sua vita gliene erano capitate un discreto numero, ma Victor era proprio il perfetto esempio di come la forza di volontà fosse in grado di far smuovere anche le montagne se lui doveva passare, quindi non c'era chissà quale differenza.
    La vita sentimentale di Victor era meglio non raccontarla, perché c'erano talmente tante cose sbagliate da far accapponare la pelle, basti sapere che aveva avuto qualche relazione più duratura in passato, una volta persino con una sua superiore, ma dal suo punto di vista si riduceva sempre tutto all'utile e al concreto, appena l'aveva scavalcata di gerarchia e si era reso conto che lei non aveva alcun interesse nella carriera, aveva troncato i rapporti senza alcun rimpianto.
    Niente gli impediva di farlo anche con Yoko, una volta ottenuto quello che voleva, ma ci avrebbe pensato a tempo debito. La sua preoccupazione corrente riguardava guadagnarsi il favore dei suoi genitori, motivo per il quale quando la madre della giovane prese parola, Victor volse appena il busto in sua direzione ed annuì, abbozzando un'espressione cortese per dimostrarsi d'accordo.
    «Volentieri.» disse, e li lasciò procedere verso il salone, prima di tornare a posare lo sguardo su Yoko, che si era messa a borbottare qualcosa.
    Si perse la prima frase, ma la seconda la capì benissimo e per poco non gli venne da ridere.
    Ora, chiaramente Yoko non poteva saperlo, ma Victor aveva partecipato ad un discreto numero di ricevimenti nutriti di gente importante e sapeva come comportarsi e fare, come si dice, la sua porca figura. Sì, lasciava a desiderare su moltissimi fattori, ma se c'erano due cose che non gli mancavano affatto quelle erano il portamento e l'eleganza. Ci sarebbe stato da chiedersi dove avesse imparato, visto com'era venuto su, ma la risposta era ovvia e sentirla ci piacerebbe ben poco.
    «Mentire?» rispose, inarcando un sopracciglio, un attimo prima di sollevare ambe le mani davanti al petto e passare a sistemarsi i guanti di pelle nera, assicurandosi che aderissero alla perfezione. «Non ho bisogno di mentire.» aggiunse, come se avesse detto una cosa ovvia, riportando la sua attenzione sul viso della bionda.
    Beh, d'altronde quello era vero. Stava prendendo la situazione estremamente sul serio. Che ci provassero gli altri a farlo a pezzi, si sarebbero ben presto accorti che sarebbe stato come tentare di scalfire una statua di marmo con le unghie. Non aveva intenzione di fare scenate sul "lavoro" ed era bene che lei non lo facesse sfigurare, perché cose come vedere il suo onore sfigurato le tollerava ben poco.
    «Ho bisogno del tuo status, non di te.» ribadì, esponendo sul viso un sorriso perfido che non faceva altro che confermare ciò che aveva appena detto. Al momento, non considerava Yoko nemmeno come una persona e quello era il suo modo di dirgli "stare buona".
    Victor le tese un braccio, implicitamente invitandola ad afferrarlo con il proprio. Dovevano seguire i genitori di lei, no? La festa in maschera cominciava ora.
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    Yoko Fujiwara
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    «Sei piuttosto sicuro di te per essere un novellino»
    Sapeva perfettamente che la stava usando, era evidente, così come tutto quello fosse una grande farsa: se c'era una cosa a cui i suoi erano molto legati erano le apparenze e il potere, e di certo significava che quella serata doveva andare completamente liscia.
    Dovevano agire come piccioncini innamorati, e per quanto questa cosa le desse ribrezzo in quel momento non sembrava avere la forza di ribellarsi: perchè non andarsene e lasciarli lì? Più di una volta aveva pensato di andar via, era una persona adulta, poteva cavarsela da sola, eppure eccola ancora lì, accanto ad una persona che non sopportava e che la stava chiaramente sfruttando.
    Aveva però visto un vantaggio: poteva essere anche lei libera.
    Libera di andarsene da quella casa, e poter fare finalmente ciò che voleva...forse non aveva ben chiaro il tipo di persona che fosse Victor, ma in quel momento pensò che poteva essere a modo suo il suo biglietto per la libertà.
    Ad un tratto non fu tutto troppo insopportabile, vedendola in quella prospettiva poteva quasi farsi andare a genio quella cosa...no ok, non era proprio vero, avrebbe voluto evitare di sposarsi, ma da una parte non voleva deludere neanche la sua famiglia, per quanto invece una parte di sè voleva allontanarsi e scappare.
    «Oh lo so, solo che la differenza è che io non ho bisogno di te in nessun modo»
    Chiaramente una menzogna, ma non voleva dargli la soddisfazione di dirgli che anche lei voleva sfruttarlo palesemente per andarsene da casa, o meglio non voleva dirgli che aveva bisogno della sua presenza per poterlo fare.
    Significava ammettere di aver bisogno di lui come persona, perchè non poteva darle altro.
    Con riluttanza, prese il braccio di Victor per appoggiarsi...se proprio dovevano fare la coppia felice, tanto vale iniziare a recitare bene la parte.
    «Vedi di sorridere in maniera che possa far credere che tu sia felice»
    Perchè quel sorriso perfido sembrava tutto furchè di un uomo innamorato e felice di quella situazione o del suo matrimonio in generale, e se volevano ingannare tutti dovevano purtroppo collaborare.


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    VICTOR KRIEGER
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    Era in sua compagnia da meno di cinque minuti e già aveva mal di testa. Possibile che le donne non sapessero fare altro che parlare senza dire nulla di utile? Victor non si sforzò nemmeno a capirla. Novellino? Chi, lui? Ma che diavolo stava dicendo? L'unica che sembrava fuori posto in quel contesto, con la sua attitudine da contessa capricciosa era lei. Lui era perfettamente a suo agio, esattamente come lo sarebbe stato in qualsiasi altra situazione. Il fatto che la sua personalità fosse interamente costruita sul suo desiderio di vendetta contro il genere umano, non lo rendeva comunque un animale privo di raziocinio: sapeva comportarsi. E sapeva lasciare la sua rabbia per quando ce n'era bisogno.
    Almeno su una cosa aveva ragione: Victor era molto sicuro di sé; aveva un ego capace di fare ombra a quello di chiunque, il vittimismo di Yoko non lo avrebbe infastidito più di un moscerino che va ripetutamente a sbattere contro il vetro di una finestra. Inoltre non c'era bisogno che si comportasse come un ragazzino con gli occhi a forma di cuore alle prese con la sua prima cotta per dimostrare quanto fosse innamorato, perché - a conti fatti - non lo era. Del resto l'aveva appena conosciuta, la sua fidanzata, quindi era normale. Era piuttosto sicuro che in quell'ambiente cose come un matrimonio combinato fossero all'ordine del giorno. Al massimo al momento doveva far finta di essere interessato a conoscerla, cosa che chiaramente non era, ma Victor era un buon ascoltatore e adesso si trovava lì proprio perché aveva fatto la stessa cosa con il signor Fujiwara (seppur non di proposito) per tutti quei mesi addietro. Del resto almeno la compagnia di suo padre la apprezzava.
    «E quindi?» rispose semplicemente, quando Yoko gli fece notare che lei non aveva bisogno di lui. Gli pareva evidente che il suo parere lì non fosse minimamente importante. O magari avrebbe avuto voce in capitolo riguardo allo scegliersi il futuro marito. Gli sembrava sciocca esattamente quanto la prima volta che l'aveva incontrata in quel negozio di Ginza. Sciocca e senza un briciolo d'istinto di autoconservazione.
    Seguendo i genitori di lei, Victor lasciò che si appoggiasse al suo braccio e, solo a quel punto, volse appena il viso in sua direzione, squadrandola dall'alto in basso: le sue iridi dotate si soffermarono sul profilo del suo collo per una frazione di secondo, allacciato al quale pendeva un'elegante collana di cristalli. Gli fu sufficiente guardarla per un istante che una memoria che era rimasta seppellita insieme alle altre gli si sbloccò come un ricordo al quale manca un piccolo tassello per diventare un puzzle completo. Il ghigno perfido che lo aveva decorato fino a quel momento scomparve dal viso dell'investitore, lasciando il posto ad un'espressione più neutra, ma seria e autorevole. Superata la soglia del salottino, Victor si fermò e si prese un istante per scrutare di nuovo l'ambiente e le facce vuote degli invitati. Parassiti.
    Sarebbe dovuto essere felice, uh.
    Molto divertente.
    Davvero, molto divertente.
    Era impossibile che provasse un'emozione del genere. Odiava troppo la malizia e l'irrazionalità che distinguevano il genere umano per essere in grado di pensare ad altro.
    Tornò a guardare Yoko e poi la sua collana. Come se nulla fosse, sollevò la mano guantata del braccio non occupato e si girò verso la donna al suo fianco, cogliendo fra le dita il gioiello che indossava. Sì, Victor si era ricordato del suo braccialetto.
    «Vogliamo riprendere da dove eravamo rimasti?» mormorò, a voce talmente bassa da poter essere udito soltanto da lei. Ad un occhio esterno sarebbe solo parso che Victor le stesse sistemando la collana perché storta, con gentilezza, ma Yoko avrebbe potuto chiaramente sentire la filigrana argentata in tirare conficcarsi nella pelle del suo collo.
    Era una provocazione? Nì, come sempre. Forse più una dimostrazione di potere. Qualunque cosa avesse atteso Yoko dopo quella serata non sarebbe stato un rapporto sano e positivo, Victor era più che pronto a soffocare la sua personalità schiacciandola fra le sue mani.
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    Yoko Fujiwara
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    ''E quindi perchè non te ne vai...'' Sebbene avrebbe voluto dar voce a quei pensieri, il fatto che ora fossero in pubblico le fece mordere la lingua, e così avrebbe dovuto rimandare a dopo quel suo pensiero sincero.
    Tutto il suo incubo sembrava prender forma attorno a lei, che non si sarebbe mai immaginata in quel contesto...o meglio, aveva sempre rifiutato l'idea, sebbene era conscia che aveva fino a quel momento solo rimandato l'inevitabile sorte che pendeva sulla sua testa.
    Non si rese conto subito della mano che si avvicinava alla collana, che ora per come l'altro lo tirava sembrava più un guinzaglio e questa cosa non poteva che farle rivoltare lo stomaco per il nervoso.
    Cercò di mantenere la calma, sebbene la sua reazione istintiva fu quasi conficcare le unghie smaltate dentro la giacca, o meglio, il braccio di Victor a cui era appoggiata.
    Quel sussurro, che sentì solo lei, sembrava un vero e proprio guanto di sfida: quindi se lo ricordava, e faceva il finto tonto prima. Certo, gli conveniva farla passare per l'isterica della famiglia, tanto già lo pensavano probabilmente, ma sarebbe stato anche chiedere troppo vista la considerazione che avevano di lei.
    Avrebbe proprio dovuto voltargli le spalle e non tornare, eppure, si sentiva scioccamente legata a tutto quello.
    Sorrise leggermente, sebbene prima fosse stato uno spasmo intenzionale quella della sua mano, adesso era piuttosto volontario il volergli fare male il braccio, dopotutto nessuno avrebbe potuto notarlo, così come non potevano notare della collana. Sarebbe sembrato tutto stranamente naturale, gentile, irreale.
    «Fatti sotto»
    Se pensava che avrebbe abbassato la testa, aveva preso proprio un granchio: non avrebbe avuto vita facile, così come aveva la sensazione che Victor avrebbe ricambiato altrettanto il favore.
    Se voleva uno scontro, lo avrebbe avuto.
    «La tua zucca vuota dovrebbe proteggerti dagli urti, se ricordo bene l'abbiamo già constatato»
    Oh, quanto avrebbe voluto tirargli un libro in testa per davvero quella volta, insieme a tutta la libreria insieme. No, non poteva...e non c'era una libreria a portata.


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    VICTOR KRIEGER
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    Patetico. Victor non poteva definire l'atteggiamento di Yoko in altro modo che quello. Gli sembrava di avere a che fare con una ragazzina poco più che adolescente e probabilmente, in fin dei conti, non aveva tutti i torti. Yoko sembrava giovane, lo era, e la differenza nella loro linea di pensiero era troppo distante, lo percepiva. In più, aveva già ampiamente constatato come fosse carente il modo in cui la giovane cercava di emergere alla ricerca d'aria, quasi mancasse di polso. Ora che ci pensava, anche durante il loro piccolo diverbio quel giorno a Ginza aveva provato pressappoco le stesse sensazioni. Fortuna che non era venuto lì con delle aspettative, o sarebbero state ampiamente disattese. Al momento non vedeva nemmeno la prospettiva di potersi divertire sperando che si arrabbiasse e rispondesse a tono alle sue provocazioni, visto che apparentemente, oltre al polso, le mancava anche la forza nelle braccia.
    «Quanti anni hai?» gli venne spontaneo chiedere, lasciata la collana, mentre abbassava le ciglia biondo platino dal suo viso indignato al braccio nel quale la giovane gli stava affondando le unghie con veemenza.
    Voleva vedere se aveva ragione. E sapeva di averla.

    ***

    Svariate ore più tardi, occhi socchiusi, con il busto appoggiato ad una delle balconate del piano superiore della villa Fujiwara, la schiena rivolta al giardino sottostante, le braccia semi-incrociate ed un calice di cristallo stretto nel guanto della mano destra, tirando le somme, Victor era riuscito soltanto a confermare una cosa che sapeva già: gli alcolici giapponesi gli facevano schifo. Non era solo la birra, come aveva avuto modo di constatare nel corso degli anni da quando si era trasferito, qualunque cosa su sui avesse messo le labbra quella sera mancava di sapore. Il che, per il suo sangue da europeo nordico, era inammissibile. Il suo orologio da polso segnava l'una di notte passata e, finalmente, la maggior parte degli invitati aveva cominciato ad andarsene. Victor aveva perso il conto di quanto tempo avesse consumato a parlare con persone mai viste prima, fra inchini e frasi di cortesia, mentre spiegava a destra e a sinistra chi era e riportava i suoi vecchi successi militari agli snob interessati, tanto per far capire che non era il primo stronzo spuntato da una curva. Amici di famiglia, uomini e donne d'affari, prominenti membri della CCG, l'abitazione della famiglia di Yoko era stata ghermita da individui di un certo rango sociale, decorata con uno sfarzo al quale - per lo più - Victor era estraneo. Nonostante ciò, non lo trovava affatto sgradevole, anzi, perfettamente a suo agio, niente gli faceva pensare che non ci si potesse abituare. Finto anche d'interessarsi alle sorti di quella che da quel giorno, per un periodo indefinito, sarebbe stata la sua fidanzata, era certo di poter dire che la serata fosse trascorsa tranquilla e senza incidenti di sorta. Era lecito supporre che nel silenzio che si era instaurato fra lui e la giovane, per qualche motivo, fosse stato compreso un tacito accordo di non far sfigurare l'un l'altro agli occhi della gente. Il che era senz'altro positivo.
    Quando poi l'ora aveva cominciato a farsi tarda e i primi invitati avevano cominciato a raccogliere le loro cose, Victor - scorta la sua occasione - aveva avanzato la richiesta di poter fumare di Victor e i genitori di lei si erano offerti di accompagnarli al piano superiore, sulla terrazza, unicamente per lasciarli soli poco dopo, con lo scopo e la scusa di poter finalmente concedere un po' di spazio ai due "festeggiati" per conoscersi meglio.
    Inutile dire che Victor non era per nulla interessato alla cosa, ed appena signore e signora Fujiwara erano spariti dalla sua vista aveva mollato Yoko per avvicinarsi alla balaustra, valutando il da farsi.
    Il suo comportamento fino a quel momento non era stato una farsa, ma era comunque stufo e i suoi pensieri ora erano rivolti unicamente a Momo, sua sorella, che aveva sempre la pessima abitudine di aspettarlo sveglia, anche quando Victor la avvisava che sapeva avrebbe fatto tardi.
    Certo, sapeva che quel giorno aveva anche il doppio fine, perché avrebbe voluto sapere com'era andata la serata per fila e per segno. Al pensiero, un lieve sorriso gli increspò le labbra. Mah, si sarebbe inventato qualcosa. Risollevando le palpebre stanche, cercò con lo sguardo la figura di Yoko per vedere cosa stesse facendo e posò il bicchiere, ormai vuoto, sul bordo dell'elegante ringhiera della terrazza. Poi lasciò perdere, si frugò in una tasca interna della giacca del suo completo rosso scarlatto e tirò fuori le sue sigarette. Se ne accese una e la portò alle labbra. Erano già quattro ore circa che era senza nicotina, era dura.
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    Yoko Fujiwara
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    «Grazie al cielo molto meno di te, matusa» Borbottò, se pensava che gliel'avrebbe data vinta si sbagliava: se c'era una cosa che la ragazza non sopportava era arrendersi, era quel tipo di persona che lottava e rispondeva, anche se spesso era controproducente.
    Quella serata stava andando verso la fine, e stava diventando davvero pesante continuare a fingere, l'altro invece sembrava comunque tranquillo e a suo agio, cosa che l'aveva un po' stupida doveva ammetterlo.
    Li avevano lasciati soli, e per quanto Yoko aveva quasi supplicato con lo sguardo la madre di non lasciarla sola con quel tipo, non c'era stato verso. Ora si ritrovava appoggiata al muro fuori quella balconata, a non perdere di vista Victor, come se stesse analizzando ogni sua mossa, e cercasse di capire quale fosse quella successiva da fare.
    Non si fidava, col cavolo. Non lo conosceva, e quel poco che aveva visto in superficie non le faceva presagire nulla di buono, nulla che le piacesse.
    Aveva lo sguardo fisso su di lui, tanto che Victor avrebbe potuto sentire la nuca perforata dallo sguardo della ragazza, che a braccia conserte, ogni tanto sorseggiava il suo calice di vino.
    L'alcol decisamente l'avrebbe aiutata a digerire quella serata.
    «Dovresti toglierti quel vizio, ti accorci drasticamente la vita» Per quanto trovasse la sigaretta tra le mani molto elegante e particolare come gesto, ammettere una cosa del genere con un tipo così sarebbe sicuramente stata una condanna a morte. Non poteva negare che ne era però sempre rimasta affascinata, fumandone qualcuna ogni tanto, sebbene in modo assai raro, non voleva prendere il vizio, nè farlo sapere in giro. Erano cose che si facevano per provare, ma dubitava comunque che a Victor importasse qualcosa di quello che aveva da dire, pure suo padre dopotutto non la ascoltava sul fumo.
    «Ma immagino che ne sei perfettamente consapevole» Non le era sembrato un tipo che tenesse particolarmente alla sua vita, magari voleva farla diventare molto presto la vedova Krieger.
    Sarebbe però stato farle un favore, quindi dubitava fosse così.
    Sorseggiò il suo vino nuovamente, restando in silenzio per altri minuti: odiava quella situazione, sapeva di non poter scappare ed era una sensazione opprimente.
    «Ti sei mosso bene stasera, sembravi snob quanto loro...devi aver fatto i compiti per casa»
    Dubitava che non si fosse informato, o un minimo preparato, alla fine si era mosso bene in quell'ambiente doveva concederglielo. Era pronta però ad un'altra sparata delle sue, nella sua testa lo aveva già inquadrato: nonostante ciò però, sentiva che c'era qualcosa di non detto, ma era così inviperita con lui e con tutta la situazione che stava passando, che al momento non riusciva a vedere oltre il suo naso, nè voleva farlo. In quel momento, lei non voleva conoscere la persona che aveva davanti, per quanto suo biglietto per la libertà, era ai suoi occhi solo apparante, perchè significava passare da una prigione all'altra.


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    VICTOR KRIEGER
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    La notte risplendeva di un verde cupo. Non tirava un filo di vento. Lì, sulla terrazza, Victor stava soppesando quanto gli desse fastidio quell'assenza di temperatura. Non faceva né caldo né freddo, e persino l'atto del respirare pareva esser stato sostituito dal fumo che si allontanava, graduale, dalla sigaretta fra le sue labbra.
    Yoko lo stava guardando.
    O no, forse lo stava osservando.
    Sì, lo stava fissando con una diffidenza e un'intensità degna di pochi. La stessa intensità dedicabile ad un soggetto mistico di cui si è impossibilitati a comprendere la natura.
    Ora, Victor non credeva di essere chissà quanto enigmatico, ma - ad onor del vero - quello era uno sguardo che gli dedicavano molti. Vuoi la sua natura schiva che lo rendeva a tratti inavvicinabile, vuoi i suoi pochi sforzi per farsi comprendere dalle persone, era innegabile che la caratteristica del "mistero" fosse ormai impressa a fuoco nella sua anima (sempre ammesso che ne avesse una) come un timbro in ceralacca. Che lui lo volesse o meno. Certo era che sicuramente la sua figura non ispirava fiducia e conforto, ma d'altronde Victor non voleva essere capito.
    Per questo non capiva che avesse Yoko da fissarlo. Non è che facendolo sarebbe cambiato qualcosa.
    «Meglio per te, allora.» sbuffò, in risposta alla frase delle sigarette. Purtroppo per i suoi polmoni, Victor aveva iniziato a convivere con il vizio del fumo sin da molto piccolo: sua madre aveva fumato, suo padre e suo nonno altrettanto, lui aveva provato la sua prima sigaretta a tredici anni, e pur senza cominciare a fumare davvero a quell'età, aveva capito subito cosa ci fosse di attraente.
    In realtà ci aveva provato a smettere, per sua sorella, perché lo sapeva che faceva male e non voleva che lei facesse lo stesso, ma era... complicato. Soprattutto quando Momo continuava a ripetergli che l'odore delle sue sigarette le piaceva, perché le dava un senso di familiarità. Victor non era neanche incoraggiato a provarci, a togliersi quell'odore di dosso. Ormai era certo che se avessero potuto prendere e strizzare i suoi polmoni ne sarebbe uscito soltanto un nero fiume di catrame.
    Non aveva certo bisogno che Yoko glielo ricordasse. Che le importava, poi?
    Già intenzionato a chiudere lì il discorso (sì, fra i suoi propositi vi era quello di stare lì immobile come un coccodrillo in una palude fino a che non fosse passato abbastanza tempo da autorizzarlo a chiudere baracca e burattini ed andarsene a casa), non aggiunse altro, motivo per il quale quando la donna prese di nuovo parola, dapprima si stupì perché non l'aveva vista propensa a fare conversazione e poi si ritrovò ad aggrottare le sopracciglia, truce.
    Non capiva il senso del suo discorso: compiti per casa? Di che stava parlando? Ancora una volta, Victor non aveva giocato per niente a fare la persona snob. Non ne era minimamente capace. Non era chissà quanto espressivo, ma esistevano diversi modi per far capire alla gente che poteva andarsene al diavolo, e Victor li conosceva tutti.
    «Mi hai preso per uno che non sa stare al mondo?» replicò, una punta - nemmeno troppo lieve - di scherno nella voce. Reclinò appena indietro la schiena, sostenendosi con il braccio sinistro poggiato alla balaustra, e sollevò l'altro, portandosi di nuovo la sigaretta alle labbra per soffiare via l'ennesima nuvola di fumo. Da lì a poco l'avrebbe finita ed era già in procinto di accendersene un'altra.
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    Yoko Fujiwara
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    Si, lo stava osservando, voleva capire cosa gli passasse per la testa, e per quanto forse non sarebbe stato neanche troppo difficile da comprendere, almeno ad una prima occhiata superficiale, non voleva neanche sforzarsi di comprendere troppo.
    Cos'altro poteva aspettarsi da quel tipo di diverso da ciò che aveva visto da quel breve incontro? Le prudevano le mani al solo pensare che avrebbe dovuto passarci il resto della vita, e il suo cervello ancora faticava ad elaborare l'informazione.
    Molti dicevano che ci si abituava a sopportarsi, ma lei non ci credeva neanche un po'...allo stesso modo, non aveva intenzione che per lei le cose andassero come a tutti gli altri.
    «Assolutamente si»
    Commentò lapidaria, senza neanche girarsi attorno: non aveva senso , ora che erano soli, trattenersi, o fare la brava fidanzata. «Sopratutto in questo» Peccato che probabilmente la prima a non saper stare al mondo fosse la stessa Yoko a detta di suo padre, secondo lui lei si circondava di fantasia e cose improbabili, quando avrebbe dovuto stare al suo posto.
    Una cosa che non le era mai andata giù, si chiedeva come sua madre avesse mai potuto accettare simili condizioni.
    Anche lei avrebbe ceduto? Anche lei sarebbe diventata così? No, non ci credeva, nè voleva arrendersi alla vita che l'attendeva.
    «Ma almeno per stasera devo in parte ricredermi»
    Questo glielo concedeva, si era mosso bene, per quanto gliene fregasse realmente qualcosa: in quel momento voleva solo scappare, e non sapeva neanche il perchè stesse facendo conversazione.
    Perchè avrebbe dovuto? Forse nel suo subconscio sperava di sbagliarsi su Victor ? Temeva invece che la prima impressione invece fosse quella giusta.


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    I could be so much worse and I don't get enough credit for that.
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    VICTOR KRIEGER
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    Uno sbuffo di fumo accompagnò le sue successive parole. La povera sigaretta non ebbe mai l'onore di essere finita. Fu spiaccicata sul cornicione bianco come il marmo della terrazza di quella villa, esalando il suo ultimo sospiro e spegnendosi con la tristezza tipica di un mozzicone che viene calpestato.
    «Forse sei tu che non ci sai stare.»
    Victor ne aveva abbastanza.
    E la sua voce tradiva tutta l'impazienza e la rabbia che gli stava salendo in corpo.
    Stare a sentire una ragazzina con quasi dieci anni meno di lui sindacare su cosa o che impressione faceva non era ciò per cui aveva firmato, anche se cominciava a capire cosa aveva inteso il signor Fujiwara quando gliel'aveva descritta la prima volta: ea solo una delle tante donne che non sapevano tenere la bocca chiusa e che credevano di avere qualche diritto quando avevano un uomo davanti, e doveva mettere la testa a posto.
    Abbandonata lì la sigaretta, si avvicinò a Yoko con due grandi falcate. Aveva una voglia incredibile di prenderla per il collo, sollevarla da terra con un braccio e guardarla dimenarsi come un animale in cerca d'aria. Non lo fece, ricacciò indietro i suoi istinti animali che lo volevano guerriero, e si limitò a puntarle un dito contro: tristemente, a causa del vestito scollato, non aveva nemmeno un lembo d'abito per il quale poterla afferrare.
    «Il mondo gira intorno ai soldi e al potere, questo dovrebbe capirlo anche un cervello come il tuo, no? — ringhiò, troneggiando su di lei, come un cane rabbioso avrebbe fatto guardando un gatto che non vede l'ora di sbranare. — Il tuo cognome ha entrambe le cose e a me servono, proprio come io servo a te per toglierti da questa situazione di merda. Credevi che non me ne fossi accorto? Lo vedo, mi stai guardando esattamente come io guardo te: uno strumento. La differenza è che a me non importa, mentre tu stai continuando a fare la puritana del cazzo!» continuò.
    Precisazione: Victor non aveva mai sognato di essere ricco da bambino. Ne di avere del potere per le mani.
    Non gli era mai importato. Il suo unico desiderio era sempre stato quello di farsi una vita semplice e normale. Le cose, tuttavia, erano cambiate in quel lungo periodo di prigionia, fra i ranghi dell'esercito tedesco, che aveva completamente annientato tutto ciò che di innocente rimaneva nell'animo di un ragazzo appena diciottenne che ancora poteva vantare delle aspirazioni che non fossero servire un paese che era suo solo per metà. Victor era maturato troppo, troppo in fretta aveva capito come funzionava il mondo: e per esso aveva cominciato a covare rancore.
    Infine, quando la vicenda di sua sorella l'aveva tirato fuori di lì, quel rancore si era trasformato in un'altra emozione ancora: vendetta. La sua voglia di vendicarsi contro il mondo, contro il sistema, contro qualunque cosa che virtualmente avrebbe potuto far male alla sola cosa a cui ora teneva.
    Non aveva mai sognato di essere ricco, ma il lusso era un fattore che aveva cominciato ad affascinarlo quando aveva inteso che fosse sinonimo di potere. Era ovvio che si fosse "mosso bene", come diceva Yoko, perché Victor si sentiva nato per quello. Si sentiva nato per essere una persona potente. E sebbene non avesse mai desiderato il fattore del denaro, nella sua giovinezza, ora che vedeva la miriade di possibilità che gli si apriva proprio lì davanti agli occhi, sentiva di doverla afferrare. Yoko era soltanto il mezzo attraverso il quale lo avrebbe fatto.
    «Quindi sarai mia moglie, che la cosa ti piaccia o meno, accetta l'idea e finiscila di fare la puttana. Non m'importa di te finché ho lo status della tua famiglia, puoi anche fare i bagagli e levarti dai coglioni per quanto mi riguarda, chiaro?» concluse, senza smettere di fissarla con i suoi severi occhi d'ambra. «Abbiamo finito, adesso?» aggiunse poi, prima che la donna potesse intervallare il suo discorso con qualche stupida frasetta femminile.
    Victor ne aveva abbastanza.
    Era tardi, sua sorella lo stava aspettando probabilmente sveglia, e lui voleva chiaramente tornare a casa propria.
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    32 Y.O.
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    Yoko Fujiwara
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    Dire che in quel momento aveva l'omicidio che saliva vertiginosamente era un eufemismo: se avesse avuto la forza e il potere di farlo, probabilmente era così che sarebbe andata, con lei che malmenava Victor Krieger...peccato che non era in grado di poterlo fare.
    Era visibilmente più abile di lei in questo, dopotutto già lo vedeva che aveva molta più forza di lei, ma non per questo voleva abbassare la testa.
    Non smise di guardarlo negli occhi, nonostante quelle parole furono peggio di una doccia gelida o di un pugno dentro lo stomaco, che al momento le si era completamente chiuso.
    «Puttana lo dici a tua madre, stronzo»
    Quello però, non potè controllarlo: se c'era una cosa che non sopportava era quell'atteggiamento del cazzo che si ritrovava davanti. E se proprio dovevano giocare a carte scoperte, allora neanche lei si sarebbe tirata indietro.
    Tra l'altro neanche sapeva quanto inconsapevolmente ci era andata vicino.
    «Ti piacerebbe che mi levassi dalle palle, ma fino a prova contraria ti servo e non otterrai ciò che vuoi così su due piedi, purtroppo» Se lui aveva il biglietto di sola andata per lei per uscire da quella vita, lei aveva ciò che serviva a lui per migliorarla, ed era consapevole che se avessero mandato tutto a puttane subito, nessuno dei due avrebbe avuto quello che voleva.
    Era il problema dei matrimoni combinati, troppo facile avere tutto subito, e la cosa che le girava lo stomaco era che erano legati a doppio filo in quella situazione.
    «Ma stai tranquillo, questo desiderio è reciproco» prima di sentenziare un «Tu non mi piaci» odiava quel tipo di modo di porsi, ma allo stesso tempo sapeva che non avrebbe avuto scampo dalle sue parole, Victor in quel frangente sembrava una persona schietta, almeno nel privato ...non doveva illudersi che fosse meglio di come appariva, e per quanto quella flebile speranza fosse sfumata, almeno poteva capire con chi aveva a che fare.
    Immaginava che non gliene fregasse nulla della sua opinione, ma almeno aveva avuto modo di sputare il rospo in modo altrettanto schietto.
    «E si, ora abbiamo finito»
    Se lui aveva intenzione di fare lo stronzo, anche lei gli avrebbe reso la vita impossibile se le girava. Si, se lo era ripetuto in quell'esatto momento, non aveva intenzione di farsi sovrastare completamente da quell'essere odioso.
    Inoltre, era chiaro che volesse avere l'ultima parola.

    «Parlato Yoko»
    ''Pensato Yoko''
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    24 Y.O
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15 replies since 8/11/2021, 15:25   281 views
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