CHRONOS ROSE

Ryūji Yamazaki & Nobu Kanai | Shibuya, STREETS - 15/11/2021 Afternoon

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    Ultimamente a Tokyo stava succedendo un gran casino. Casino da cui Ryuji aveva pensato di tenersi ben lontano. Anche volendo girarci attorno, le voci si erano sparse a macchia d'olio ed erano giunte persino alle orecchie di uno che giocava a fare il signor nessuno come lui, durante le rare e solitarie battute di caccia in cui si avventurava: un cospicuo numero di ghoul, folli, pareva volersi riprendere i territori della seconda circoscrizione dalle mani CCG, che li controllava da ormai troppo tempo.
    Molto romantica come idea di libertà, fortuna che a Ryuji non importava un fico secco. Non sarebbe andato a farsi schedare. Non aveva voglia di immischiarsi con altri ghoul, meno che mai con la CCG, quindi aveva deciso di barricarsi in quella che ormai chiamava casa da un anno a questa parte - la sua stanza al Dojo - mettersi le cuffie e fare come se nulla fosse. Anche perché se si metteva a pensare che uno dei suoi fratelli potesse finire coinvolto in quel caos gli veniva un po' il mal di stomaco: credeva che nessuno dei due fosse così stupido da rovinarsi la propria vita tranquilla, soprattutto quando la tenuta principale dei Minamoto era situata in mezzo al verde dell'area di Tama, lontana dal rumoroso centro della metropoli, ma Ryusei ce l'aveva sempre avuta a morte con la CCG e non si poteva mai stare troppo rilassati.
    Certo, per risolvere i suoi dubbi avrebbe semplicemente potuto mandar loro un breve messaggio, ma così facendo sarebbe sembrato preoccupato e lui non era preoccupato.
    Quindi insomma, mentre scorreva i feed dei social facendo del suo meglio per non pensarci perché, come abbiamo detto, non era affatto preoccupato, si era imbattuto in un annuncio che lo aveva fatto sussultare come un dodicenne alla sua prima cotta.
    Era stato lo status di un ragazzo con cui Ryuji aveva una lunga serie di vicissitudini... a senso unico.
    Tanto che era probabile che il ragazzo in questione non ne fosse nemmeno a conoscenza.
    Non sapeva il suo nome, o meglio, sapeva che si chiamava Yuki, ma non aveva idea se quello fosse il suo vero nome oppure un nome d'arte. Yuki era il frontman di una piccola band che lo aveva inconsapevolmente aiutato a risollevarsi da un oblio in cui si era trovato a sprofondare mentre la vita gli stava sfuggendo di mano. Non era difficile capire perché il ghoul si sentisse in debito con loro.
    Li aveva trovati su B-social grazie ad un volantino che si era intascato dopo essere fuggito dal locale la sera in cui li aveva sentiti la prima volta e li seguiva da allora. A dire il vero, circa una settimana dopo l'avvenimento aveva pure mandato un messaggio sul profilo ufficiale del cantante scrivendogli, con il suo solito indefinibile tatto, quanto odiasse il genere di musica che facevano e che però aveva trovato comunque decente la loro esibizione.
    Perché, insomma, facevano della buona musica, però a lui non piaceva, chiaro?
    Nel suo gergo significava che gli erano piaciuti molto.
    Non si era aspettato una vera risposta - perché chi avrebbe mai risposto ad una persona così scortese? - per cui quando il cantante lo aveva ringraziato lo stesso... mh, sì beh, diciamo che gli aveva fatto piacere. Aveva persino ricevuto un implicito invito ai loro prossimi "concerti", cosa a cui non si era mai azzardato ad andare, troppo in imbarazzo anche solo per pensarci, ed era rimasto per un'ora con la testa piantata in un cuscino solo per poi lasciare un dannatissimo visualizzato a quel messaggio.
    Pazienza, i kami lo avevano fatto tsundere a metà, non era colpa sua.
    Ma, tornando al discorso principale, sì, Ryuji si era imbattuto in un annuncio in cui proprio Yuki, il cantante della suddetta band che rispondeva al nome di CHRONOS ROSE, annunciava che avevano bisogno di un batterista perché il loro li aveva piantati in asso qualche mese fa e non avevano ancora trovato un buon sostituto.
    E il corvino, che provava una sorta di riverenza mistica per quei ragazzi che manco conosceva, si era sentito come se un reggimento di bufali indemoniati avesse deciso di passargli ripetutamente addosso fino a che di lui non fosse rimasta solo poltiglia. Perché lui sapeva suonare la batteria. Era decisamente fuori allenamento, ma... l'aveva suonata per anni e... per Ebisu, quanto sarebbe stato bello ricominciare a farlo per loro?
    Non sapeva da dove avesse tirato fuori il coraggio, ma si era fatto forza e aveva deciso di provare a rispondere all'annuncio, con un misto di speranza e disillusione nel sapere che non avrebbe mai ricevuto una risposta positiva. E invece.

    Era quello il motivo per cui in quel momento si ritrovava a camminare per le strade di Shibuya, sneaker nere ai piedi, un giaccone dello stesso colore sopra dei jeans strappati che a novembre facevano solo venire i brividi, e i capelli color petrolio al vento, mentre scrutava le persone nei paraggi giochicchiando nervosamente con il piercing che aveva sulla lingua, passandolo sui denti e fra le labbra come un antistress.
    Aveva appuntamento davanti alla statua del cane Hachiko con uno dei loro membri, il bassista per la precisione, indice che di musica un po' se ne dovevano davvero intendere; si diceva che bassisti e batteristi dovevano essere come i mochi e il sakè: non che Ryuji avesse mai mangiato o bevuto anche solo uno dei due, ma un suo amico una volta gli aveva detto che andavano d'accordo insieme e dato che il basso e la batteria costruivano la base di praticamente ogni canzone credeva fosse un paragone azzeccato.
    Non sapeva bene come avrebbe fatto a riconoscere Nobu, così si chiamava il bassista, Yuki gli aveva risposto che era alto e allampanato, con i capelli lunghi, nerissimi e che "lo avrebbe riconosciuto di certo", ma Ryuji non lo vedeva da nessuna parte.
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    La sua vita senza la musica la ricordava a malapena, Nobu. Il modo in cui i suoni comunicavano tutto quel che non aveva una parola corrispondente, una forma o una definizione, era ciò che lo spingeva ad avvicinarsene sempre di più, quasi fosse un magnete. Per Nobu, tutto era riconducibile a quella serie prestabilita di frequenze. Per lui, da quando aveva imparato quello strano ed astratto linguaggio, non c’era niente di più coinvolgente o esplicativo delle vibrazioni che risuonavano dalle casse fino all’interno del suo corpo. Si era scoperto a voler suonare il basso proprio per questo: il basso faceva vibrare con forza persino il pavimento e le pareti, da solo, guidava gli armonici e costruiva la base degli accordi, rinforzava, cupo e quasi nascosto, le armonie, rendendole complete e dando loro la forma giusta. Una componente spesso ignorata e nascosta nell’ombra che non sfuggiva però alle orecchie più accorte, agli spiriti più coinvolti, ed allo stesso tempo la corrente stessa a cui i brani erano sottoposti.

    Nobu amava suonare. Per conto suo, con la cuffia collegata al DAC, il volume al massimo, la testa scossa dalle vibrazioni e le dita impegnate e precise. Ma amava soprattutto abbinarsi ad altri strumenti, mescolare le melodie, farle danzare, riempire ogni gamma di frequenza. Era stato felice quando Yuki gli aveva proposto di formare una band con degli altri ragazzi. Li aveva conosciuti ad un festival, avevano passato la nottata a scambiarsi opinioni e suonare insieme. Aveva accettato quasi immediatamente l’invito, poiché era raro per lui sentirsi al suo posto all’interno di un gruppo.

    Dell’abbandono del batterista sapeva poco. Un giorno era giunto nella stanza dove provavano e la sua roba non c’era. Yuki si era pronunciato a malapena, a riguardo. Avevano litigato, aveva spiegato il cantante, senza aggiungere le motivazioni, e poi più nulla. Nessuno dei membri rimasti aveva più notizie di lui, si era dissolto nel nulla. E la loro band era rimasta senza percussioni, come se non fossero una parte fondamentale dei loro brani, del rock in generale e di qualsiasi genere Nobu conoscesse. E come se non bastasse, i batteristi erano rari da trovare. Erano rimasti per diversi mesi senza un sostituto che non fosse un raccatto disposto ad accompagnarli per una o due sere, e la situazione si faceva incontenibile.

    Nobu sapeva perché Yuki gli avesse chiesto di incontrare il nuovo candidato come batterista. Una delle ragioni era la scottatura ancora bruciante per aver perso un compagno, la quale aveva portato a pomeriggi di sessioni compositive prive di nuovi testi, forse ancora troppo dolenti per essere scritti ed uniti alle note, e un atteggiamento lievemente evitante da parte del cantante verso i batteristi con cui fino a quel momento avevano arrangiato qualche prova, qualche concerto veloce per non sprofondare nel silenzio stampa e nella rovina professionale. La seconda ragione, nonché quella esplicitata dal compagno, era di tipo tecnico. I Chronos Rose erano una band con un suono distintivo e un genere a sé stante, influenzato da diverse correnti e supportato principalmente dall’affinità artistica e privata dei membri. Non solo la batteria e il basso componevano la base ritmica e melodica e dovevano a tutti i costi essere sulla stessa lunghezza d’onda, ma Nobu aveva un certo intuito, nel leggere le persone. Era uno difficile da avvicinare, a causa del suo aspetto e del carattere silenzioso, ma con cui al contempo si poteva andare facilmente d’accordo. Era inoltre una frana totale nel comprendere le persone sul piano sociale, ma sapeva percepire quando qualcuno metteva passione nelle proprie attività.

    Di Ryuji non aveva che l’immagine che gli aveva inviato Yuki sul cellulare, ma il suo aspetto sembrava abbastanza particolare da poter essere notato senza troppe difficoltà. In Giappone, in effetti, non erano in tanti a colorarsi i capelli, anche se sperava in una manifestazione un po’ più ovvia, tipo un paio di bacchette attaccate ai pantaloni o uno magari un cartello, come si faceva per attirare l’attenzione in aeroporto. Poté tirare un sospiro di sollievo però, poiché il parco non era affollato e, quando raggiunse la statua dal lato posteriore, riuscì a notare in attesa un ragazzo con delle sfumature azzurrognole sulla testa. Ricontrollò rapidamente la foto e si avvicinò.
    «Salve,» salutò a bassa voce, «Tu devi essere Yamazaki, giusto? Sono Nobu Kanai, il bassista, scusami il ritardo, sono saltato giù dal treno convinto che fosse quello sbagliato.»
    Cercò di sorridere più del normale, perché si notasse nonostante la bocca fosse coperta. A pensarci bene, dire ad un estraneo di non saper minimamente riconoscere il proprio treno era imbarazzante, ma ormai lo aveva già detto.

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    Ryuji non si ricordava perché aveva iniziato a suonare la batteria. Forse era colpa dei My Chemical Romance.
    O forse, più probabilmente, era stata colpa di un rifiuto.
    Era imbarazzante doverlo ammettere, soprattutto se ci si fermava a confrontarsi con altri musicisti, ma il suo primo approccio con la musica era stato disastroso.
    Non ricordava nessuna astratta sensazione di gioia o muta comprensione, solo... ansia. Un'ansia senza bordi né fine, mentre sotto le sue dita scorrevano, stonati, i tasti neri e bianchi di un pianoforte; uno dietro l'altro, senza, tuttavia, riuscire a comporre la di turno melodia impressa sulle note dello spartito, frattanto che i suoi insegnanti - sconsolati - scuotevano la testa ripetendo come una nenia che alla sua età i suoi fratelli sapevano già suonare quello o quell'altro pezzo.
    Ma Ryuji non era mai stato un ragazzino prodigio. E le lezioni di pianoforte avevano cessato di esistere nella magione dei Minamoto con lui, quando pur di non andarci si era rintanato nel magazzino degli attrezzi di suo padre e a trovarlo era stato uno dei domestici cinque ore dopo.
    La batteria l'aveva scoperta a scuola, a dodici anni, quando - incuriosito - si era fermato a guardar suonare un gruppo di ragazzi più grandi in una delle aule di musica, perché gli era parso strano udire un miscuglio di risa e battute di dubbio gusto intervallarsi alle pause fra la musica. La sua crociata in incognito non era durata chissà quanto: quel gruppo di gente si era accorta in fretta del suo muso ad origliare dietro la porta socchiusa e non ci avevano messo nulla a trascinarlo dentro con l'energia tipica dei "senpai" che cercano giovani innocenti reclute per il proprio club e a chiedergli se volesse provare qualcosa. E così era finito davanti alle percussioni ed aveva scoperto che la musica rock poteva anche suonarla.
    Macinando quei pensieri e spiando il suo riflesso distorto nella sagoma di metallo lucido della statua di Hachiko, Ryuji registrò la presenza di qualcuno che gli si stava avvicinando solamente grazie ai suoi affinati sensi da ghoul, che gli impedivano di dissociarsi dal mondo anche provandoci intensamente. Stava dando le spalle al mondo e sulla schiena portava solo un marsupio di media-grandezza, indi per cui si voltò giusto in tempo, trovandosi di fronte l'uomo nero.
    Cioè, no.
    Perché in realtà il ragazzo era piuttosto pallido, ma di colpo capì il significato di quel "lo avrebbe riconosciuto per forza" blaterato da Yuki nella loro chat improvvisata su B-Social. Capelli neri, lunghi (e s'intende molto lunghi), e una mascherina color pece sul viso. Lo superava di una dozzina di centimetri buoni. Ecco, un altro motivo per cui gli piaceva la batteria era che non si doveva suonare in piedi.
    Per qualche motivo, non appena lo vide, pensò che l'aura da bassista non gli mancava affatto. Ma la cosa che lo stupì maggiormente fu il suo odore. Quel tipo non era umano. Il che da un lato era ottimo, non avrebbe dovuto chiedere se voleva andare a bersi qualunque schifezza umana diversa dal caffè solo per cortesia. Che fossero una band di ghoul?
    «Uh. Sì, sono io. Ciao.» salutò, di riflesso, suonando leggermente più impacciato di quanto aveva previsto nel trilione e mezzo di prove che aveva fatto per prepararsi nelle tre ore antecedenti l'incontro. Pessimo inizio.
    «Solo Ryuji va bene. – mormorò, dandogli implicitamente il permesso di utilizzare il suo nome. Non ebbe nemmeno bisogno di pensarci, che so, se davanti avesse avuto... quel tipo dell'underground ring, Makoto, probabilmente gli avrebbe riso in faccia per la storia del treno. E invece si trovò stranamente cortese. Per rimanere in tema musica, probabilmente al momento una corda di violino era meno tesa di lui. – Tu invece... Kanai-san, suppongo? E non fa niente, sono arrivato adesso anche io.»
    Fece una piccola pausa, non sapendo bene cosa dire o fare, e infine, optò per scusarsi. Una vera epifania.
    «Scusa se non ho portato molto con me, ma sono venuto in metro e l'attrezzatura è... abbastanza ingombrante.»
    La verità era una via di mezzo. Ryuji la sua batteria non avrebbe potuto portarsela dietro nemmeno volendo, perché si trovava a casa dei suoi genitori e lui non smaniava proprio dalla voglia di andare a prenderla. Nella sua modesta odierna sistemazione ne aveva solamente una elettronica, anche se non era proprio la stessa cosa, perché ad essere sincero in quella stanza non c'entrava altro. Sicuramente se quell'incontro fosse andato a buon fine avrebbe trovato il modo di scendere a patti con uno suoi fratelli, magari Ryusei che faceva meno domande, affinché gliela portassero.
    «Comunque immagino che Yuki avesse ragione, quando ha detto che ti avrei riconosciuto senza problemi.»
    Da che pulpito.
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    Nobu offrì un sorriso, sebbene nascosto dalla mascherina che indossava. Fortunatamente, non aveva sbagliato persona. Il ragazzo gli sembrava un po’ impacciato, ma tutto sommato gentile. Non gli era sfuggito che fosse un Ghoul, riusciva a sentirlo chiaramente. Si chiese se fosse abituato a comportarsi così anche con gli umani, se dovesse allarmassi. Non voleva dover rimpiazzare altri membri della band per problemi fastidiosi, e se i Chronos si fossero sciolti, avrebbe fatto fatica a trovare qualcun altro con cui suonare, data la sua scarsa propensione all’iniziativa.

    Non faceva particolarmente freddo, eppure si era portato dietro il solito cappotto lungo. Tirò un sospiro, ed afferrò la custodia nera in tela morbida del basso, per rimuoverla dalla sua spalla destra, per poi sistemarla al lato opposto, attento a non farla sbattere o farle prendere movimenti bruschi.

    «Non c’è problema per la batteria,» rassicurò intanto. «La tecnica su strumento è secondaria».

    Così lo aveva istruito Yuki: gli era stato detto di cercare di capire se il batterista avesse la stoffa giusta per sposarsi con la band, non se sapesse suonare. Suonare era qualcosa di semplice da imparare meccanicamente, ma componeva solo una piccola parte. Probabilmente, a Nobu sarebbe bastato decidere se suonare con lui gli avrebbe dato qualunque tipo di stimolo positivo. Questo cercavano i Chronos Rose.

    «Hai almeno delle bacchette con te?» domandò intanto. Già solo con quelle, avrebbero potuto testare le acque arrangiando il basso scollegato e le percussioni contro una superficie a caso. Si pentì di non aver chiesto le chiavi a Yuki, ma intrufolarsi in casa d’altri mentre non ci sono pareva comunque la scelta sbagliata. Forse quella prova era un po’ troppo arrangiata, ma qualcosa ne avrebbe cavato fuori. In fin dei conti, doveva solo vedere se il ragazzo fosse in grado di tenere un ritmo e di andare d’accordo con lo stile degli altri.

    Portò la mano destra a sistemarsi una ciocca di capelli annodata, e si chiese intanto se avrebbe dovuto menzionare la natura degli altri membri, se Ryuji si fosse accorto a sua volta di avere un Ghoul davanti a sé. Forse no, non era il caso. Qualcuno avrebbe potuto sentire, oppure sarebbe potuta finire male, con un conflitto non voluto. Nobu si morse la lingua e decise di farlo solo se il ragazzo fosse risultato idoneo a incontrare gli altri. Diamine, odiava avere responsabilità.


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    «Oh.» La risposta di Nobu quasi lo spiazzò. La tecnica su strumento era secondaria....? In che senso? Ryuji credeva che cercassero un batterista, non un social manager.
    Non che se la cavasse male sui social, eh. Però non potevi esattamente fare pubblicità ad una band a grugniti. Inarcò un sopracciglio e, confuso, si trovò a fissare la custodia del basso passare da una spalla del ragazzo a quella opposta.
    Ah. Fomentato dalla fantasia, un pensiero gli corse alla mente, tagliando di netto in due la linea del traguardo. Aspetta... quello voleva dire che avrebbe conosciuto anche gli altri due membri della band? Dal vivo? Quello stesso giorno? Per carità divina. Sperava proprio di no. Non si era preparato ad un'evenienza simile.
    Fortunatamente non sembrava essere il caso. Il suo nuovo compagno gli impedì di perdersi troppo nei propri pensieri, chiedendogli se avesse portato con sé almeno delle bacchette.
    Ryuji annuì, e indicò appena lo zaino che teneva allacciato attorno alle spalle. Le aveva.
    «Nello zaino. La metropolitana per Shibuya era troppo affollata e ho avuto paura che avrei finito per cavare un occhio a qualcuno se le avessi tenute fuori.» mormorò, ricordando di essersi sentito costipato come una sardina in scatola. Per quanto gli occhi non gli dispiacessero, Ryuji preferiva usare le bacchette da cucina o le posate per mangiare, piuttosto che quelle della sua batteria. Probabile che se non fossero stati in mezzo alla fiumana di esseri umani di un pomeriggio qualunque a Tokyo si sarebbe pure concesso quella battuta, considerando che aveva di fronte a sé un altro ghoul, ma dovette rinunciare.
    Ryuji era molto affezionato alle sue bacchette dall'aria vissuta: erano delle vic firth nere con la punta in legno, probabilmente le ultime che aveva comprato prima di scapparsene di casa e che non aveva rotto. Suonare lo aiutava a sfogarsi, e non aveva memoria che delle bacchette gli fossero mai durate più di sei mesi: solo che da quel momento le aveva usate meno e non su una batteria vera, avendo problemi più importanti di cui occuparsi, in sintesi quelle le aveva quasi da due anni, era ovvio che ci fosse legato. Probabile non le avrebbe buttate nemmeno quando si sarebbero sfasciate del tutto, come un cimelio di un rito di passaggio. Anzi, se quella sottospecie di audizione fosse andata bene le avrebbe trattate proprio così.
    «S-Se vuoi conosco qualche negozio di musica nei paraggi dove danno anche la possibilità di provare gli strumenti.» azzardò, portandosi la mano con cui aveva indicato lo zaino dietro il collo e passando a giochicchiare con le proprie ciocche corvine alla base della nuca. Probabilmente era una mezza idea del cavolo, e con quell'atteggiamento titubante si diede fastidio da solo. Da quando si preoccupava di quello che pensavano gli altri? Era lui che stava facendo un favore a loro che cercavano un batterista, non il contrario!
    Ad ogni modo, ricordava alcuni negozi in cui era stato da adolescente con i membri del suo vecchio gruppo. La scelta di uno strumento per un musicista era una vicenda sacra in cui vi erano soltanto il suddetto soggetto ed il suono prodotto dalle stringhe o dalle percussioni: si confrontavano in una lunga conversazione comprensibile soltanto a chi apparteneva al loro stesso dominio e infine si decretava di mutuo accordo se facessero l'uno per l'altro oppure no. Per questo non era raro che i negozi di musica consentissero di provare gli strumenti che vendevano. Anche per quelli prodotti in serie c'erano alcuni criteri, e molto spesso offrivano delle salette apposta in cui poter accordare le chitarre o regolare le percussioni senza alcun problema.
    Ryuji tentò di sorridere a sua volta. Il che, per lui, era traducibile nel sollevare le labbra di due millimetri e sperare che l'altra persona capisse che non era di cattivo umore.
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    Qualche negozio di musica che lasciava provare degli strumenti. Sì, in effetti n0n era una novità. Sembrava, anzi un’idea molto più brillante della sua, che senza collegare il basso a qualsiasi cosa non poteva fare granché anche se avesse potuto far picchiare un ritmo su qualsiasi superficie al batterista. Senza perdersi in pensieri eccessivi, e considerando di dover anche acquistare un paio di corde di riserva, decise di annuire e di lasciarsi trascinare dagli eventi come al solito.
    «Sì, pare una buona idea,» confermò. Le mani si impegnarono immediatamente a recuperare il cellulare e cercare un posto, era sicuro ce ne fossero un paio nel quartiere.
    «Migliore della mia idea iniziale di testarti facendoti picchiettare su superfici a caso e accompagnarti con il basso staccato, in effetti», ammise poi, senza pensarci troppo.
    Digitò velocemente ‘negozi di musica’ sulla propria applicazione mappa, e osservò i punti indicati. Uno di quei negozi sembrava particolarmente vicino, giusto due o tre strade di distanza, e sembrava concedere la prova degli strumenti, quantomeno quelli esposti. Con un po’ di fortuna, avrebbe potuto farsi prestare anche un cavo e collegarsi ad un DAC pre-settato o qualcosa di simile. Sperava di poter usare il proprio basso, comunque, con cui aveva stretta affinità. I prodotti troppo commerciali avevano scarsa manualità, specie per chi faceva rock o suonava linee melodiche più complesse di una nota continua per battuta. Comunque avrebbe solo dovuto chiedere, alla peggio sarebbe stato scomodo per un paio di brani.
    «C’è un posto qui vicino, saranno dieci minuti scarsi di camminata,» informò, gentile.
    A vederlo dalla presentazione, il negozio era piccolino e un po’ stipato, privo di chissà quale servizio accessorio, ma c’erano degli strumenti esposti e fotografie di gente che li suonava. Forse, tuttavia, l’altro aveva in mente un posto un po’ più specializzato o qualcosa.
    «O hai in mente un posto preciso? Per me è indifferente, ma credo Yuki mi urlerebbe dietro se non facessi in modo di metterti a tuo agio». Ed era inteso principalmente come uno scherzo, ma non particolarmente lontano dalla realtà. Il frontman, in effetti, ci teneva a rendere l’ambiente comodo per tutti, quando c’era da avere a che fare con la musica.

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    Per poco, Ryuji non rimase interdetto per la seconda volta di fila. Che poi, era così strana la proposta di Nobu? No, certo che no. Ryuji era stato il primo che se ne andava a giro a battere i tempi su qualsiasi cosa gli capitasse a tiro, con o senza bacchette. Quando aveva iniziato a suonare la batteria se ne era davvero appassionato e ogni occasione era buona per indossare le cuffiette e cercare di discernere le strategie del batterista di turno.
    Il giovane Minamoto rimase a guardare il corvino estrarre di tasca il cellulare e mettersi a cercare qualche negozio di musica nelle vicinanze, e - per snellire il disagio di essere quello che se ne stava fermo senza far niente - si ficcò le mani nella giacca a sua volta. Nobu era strano. O almeno, gli dava quella sensazione: all'apparenza sembrava una di quelle persone schive che piuttosto che parlarti sarebbero state disposte a farsi murare vive in casa, e invece poi era piuttosto amichevole. E anche simpatico, per quel che poteva dire, avendocelo davanti da meno di dieci minuti contati. Chissà, forse era l'aspetto cupo, la mascherina scura o quei lunghissimi capelli neri, che gli mandavano quei segnali contrastanti. Ad ogni modo, era meglio così. Non gli dispiacevano le persone tranquille, non era tipo da interrogarsi sulla compatibilità degli individui, però di solito erano quelle con cui andava più d'accordo. Perché non si sentivano sempre in dovere di ribattere a qualsiasi argomentazione come faceva lui, rendendolo un ottimo soggetto con cui litigare.
    «Possiamo fare entrambe le cose.» scherzò, dunque. Nel senso, un po' ci sarebbe comunque voluto ad arrivare al negozio di musica, qualunque avessero scelto, quindi se nel mentre voleva testarlo a battere le mani o le dita a ritmo che si facesse avanti.
    «Ne conoscevo qualcuno.» mormorò, quando Nobu gli mostrò la scelta sulla quale era ricaduto, chiedendogli se avesse qualche preferenza migliore. Si lasciò sfuggire un lieve sorriso, chinando lo sguardo verso terra, nel sentire che il "capo-banda" volesse fosse a suo agio. Piccolezze che facevano piacere, specie se si considerava il modo in cui Ryuji era venuto a conoscenza del loro gruppo: prima di essere interessato ad unirsi, era un loro fan a tutti gli effetti. «Ma in realtà è parecchio che non suono in un gruppo.» ammise, con una punta di rammarico, sperando che l'altro non la prendesse alla stregua di una macchia sul suo inesistente curriculum. Qualcuno, da qualche parte, lo avrebbe definito un batterista selvatico, il che rendeva vano anche il suo bisogno di negozi di musica o locali in cui suonare. Non poteva sapere se tutti i negozi che aveva frequentato tempo addietro fossero ancora aperti o se avessero mantenuto la stessa sede di allora, fatti del genere erano insolitamente frequenti in quel tipo di business.
    Con un velo di curiosità, allungò appena il collo indirizzando gli occhi ambrati verso il display del cellulare di Nobu. Ryuji passava metà del suo tempo libero nei dintorni di posti come Shibuya o Shinjuku, concentrazione della vita notturna per adolescenti e ragazzi della sua età, quindi non appena vide il negozio il suo cervello mappò la strada per arrivarci con un'accuratezza del novantotto per cento. «Direi che questo va più che bene. Dovrei sapere la strada, è vicino ad un karaoke dove vado spesso. Andiamo?»
    E se l'altro ghoul non avesse avuto obiezioni, si sarebbe incamminato senza tergiversare oltre, lasciando le restanti sue trentamila domande per l'avanzo del tragitto.
    GHOUL
    21 Y.O.
    RANK C
    NERGAL
    KOUKAKU
     
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