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Tsugio Dobashi & Ryūji Yamazaki @Ueno - 04/07/2022 mattina, nuvoloso

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    TSUGIO DOBASHI
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    Il momento del trasloco era stato pianificato nei quarantacinque minuti precedenti al sonno, la sera prima, in ogni minimo dettaglio. Le scarse competenze in ambito lavorativo rendevano difficile classificare quest'operazione come deformazione professionale, tuttavia, contro ogni aspettativa, Tsugio era stato in grado di architettare un piano per minimizzare possibili problemi in fase di trasferta. Per eludere l'inconveniente numero uno, nonché la possibilità che i suoi genitori lo scoprissero, aveva deciso di agire in un orario sconveniente, poiché se per lui era scomodo per loro sarebbe stato peggio. Alle sette di mattina, di un lunedì, il baldo fuggitivo avrebbe già finito di vestirsi e preparare le valigie, sarebbe poi sgattaiolato fuori di casa con furtività e circospezione, sollevando un trolley con una mano e uno scatolone con l'altra per evitare di produrre rumore eccessivo. Trovò giusto il tempo di sgraffignare un lecca-lecca da una bacinella straripante di altre caramelle dai gusti più disparati, prima di confinare e sigillare anni di spiacevoli ricordi con due giri di mandata. Al fine di superare la seconda sfida, avrebbe dovuto raggiungere il nuovo appartamento con indiscrezione e nel minor tempo possibile, tutto sommato fattibile se non fosse per alcuni rilievi sul tessuto della valigia a rendere arduo il proposito di non farsi notare. Ebbene, questi erano il diretto risultato della foga dell'ultimo minuto, nel quale Tsugio aveva afferrato una manciata di calzini appallottolati e li aveva infilati nella tasca frontale, in una valigia che, date le dimensioni, era pensata più per un soggiorno di una notte che per un trasloco. Lo scatolone, d'altra parte, ricordava gli imballaggi usati dai corrieri di Amazon per le numerose scritte nere e sbiadite stampate su ogni lato. Grazie al tipico stordimento mattutino, che affliggeva lui tanto quanto i passanti, riuscì a prendere la metro di Shinjuku senza difficoltà, sarebbe poi sceso alla fermata di Shin Okachimachi e avrebbe proseguito a piedi per una decina di minuti verso la nuova casa. Il successo dell'operazione dipendeva dal superamento del terzo e ultimo ostacolo: entrare in appartamento. Ecco, purtroppo nel pianificare tutto ciò, con tanto di orari esatti dei trasporti salvati sulle note del telefono, dimenticò di informare il suo nuovo inquilino circa il momento in cui sarebbe arrivato. Si presentò di fronte alla porta del condominio con i capelli scompigliati, una t-shirt bianca, utilizzata con furbizia come surrogata del pigiama in periodo estivo, dei pantaloncini corti blu in tessuto sintetico e un paio di scarpe da ginnastica, conciato così, un secolo prima, l'avrebbero scambiato per il fattorino del latte. Immaginava che a quell'ora, come qualsiasi persona sana di mente, Ryūji stesse ancora dormendo beato, ignaro del fatto che, di lì a poco, il suo nuovo inquilino avrebbe premuto il pulsante del citofono accanto al cognome Yamazaki.

    ' Se non mi apre suono un'altra volta. '

    Durante l'attesa pensò bene di scartare e gustare il lecca-lecca, che fino ad allora aveva tenuto con il mignolo stretto attorno al bastoncino di plastica. A giudicare dalla sua espressione compiaciuta e dalle fossette incave, il sapore doveva essere molto dolce, il tipico grado di dolcezza che avrebbe portato un adulto a sputarlo, gettarlo e deglutire più volte per togliersi il sapore dalla bocca. Mentre giochicchiava con quella caramella, realizzò di aver dimenticato l'oggetto più importante per quel trasloco, e avendo, di contro, perso tempo a rubare il lecca-lecca. Un'ora dopo, alle otto e mezza, un elettrodomestico rotondo avrebbe avviato il suo ciclo di pulizia, preceduto dal suono metallico di una voce registrata, il Roomba, ch'era rimasto a casa dei suoi genitori. Il povero robottino, abbandonato al suo destino, non avrebbe avuto modo di navigare tra le mura del nuovo appartamento. Dopotutto si sa che, per loro, il primo spigolo su cui sbattono è quello più memorabile.

    Narrato
    - Parlato -
    ' Pensato '

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    Assistente Investigatore
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    I could be so much worse and I don't get enough credit for that.
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    RYŪJI YAMAZAKI
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    "Traslochi? Vuoi dire che torni a casa dai tuoi genitori?"
    La voce incredula di Ieyasu lo aveva additato con la stessa enfasi di chi non vuol credere alle proprie orecchie. Quasi come se non si aspettasse che quelle parole sarebbero mai uscite dalla bocca di Ryuji. Ma certo che non tornava dai suoi genitori, aveva risposto il ragazzo impettito, mentre continuava a rassettare guantoni e tatami del Dojo sotto lo sguardo indulgente del sensei. Ormai era più di un anno che viveva a scrocco da Ieyasu e anche se l'uomo era una persona gentile, e incapace di fargli pesare la sua presenza in quello stanzino di fianco al Dojo che un tempo doveva essere stato uno sgabuzzino di fortuna ed ora era il suo modestissimo appartamento, era lui stesso che si sentiva una palla al piede: Ryuji non si era mai fatto problemi ad approfittarsi degli altri, ma con il sensei era... diverso.
    L'adulto aveva sempre fatto per lui più di quanto ritenesse si meritarsi e senza chiedere nulla in cambio che non fosse l'impegno a prendersi cura di sé stesso e non ridursi uno straccio come aveva fatto l'ultima volta. E il giovane ghoul voleva tornare a prendere in mano le redini della sua vita per dimostrargli che ci stava riuscendo. Per quanto ogni tanto gli mancasse la tranquillità della sua vecchia camera e l'immenso giardino della tenuta di famiglia, tornare dai suoi sarebbe stato uguale ad ammettere di non farcela e - parole sue - sarebbe stato meglio morire.
    E quindi eccolo lì, a parlare di trasloco dopo un'estenuante sessione d'allenamento, ancora con il karategi indosso e lo sguardo fiero, mentre gli altri studenti già si defilavano negli spogliatoi. Aveva passato gli ultimi tempi a sfogliare disperatamente riviste e annunci fino a farsi venire il mal di testa; la considerava la sua personale conquista.
    Non aveva bisogno del supporto di quei ricconi snob dei suoi parenti: si sarebbe trovato una nuova casa e avrebbe cominciato a vivere con il rispettabile cittadino giapponese che non era.

    ***

    Ryuji aprì gli occhi, il sonno guastato da un suono che ancora non aveva imparato a riconoscere e ci mise non uno, non due, bensì tre squilli a capire che fosse il citofono di quella che poteva finalmente chiamare casa propria.
    La camera immersa nel buio, l'afa dei primi di luglio si faceva strada imperterrita fra i sottili fori della tapparella abbassata, entrando lenta e greve dalla finestra spalancata - assieme ad un'ombra di luce fin troppo leggera per poter svegliare anima viva. Ryuji era tornato alle quattro di notte, i match sul ring della ventiquattresima si erano protratti più a lungo del previsto e in quel momento gli pareva di non avere neanche un muscolo funzionante per alzarsi. Aveva l'impressione di aver dormito troppo poco.
    In catalessi, fissò il soffitto per qualche altro minuto e poi riordinò i pensieri. Aveva bisogno di caffè.
    Con ben poca grazia, agguantò il cellulare schiantato sul comodino accanto al letto sfatto e accese il display: le sette e trentotto di mattina.
    Quindi non era un'impressione.
    Chiunque avesse suonato alla porta era sulla buona strada per diventare la sua colazione.
    La faccia funerea e i capelli su un altro pianeta, decise di alzarsi solo quando il citofono squillò per la quarta volta. Grugnì una colorita offesa ai kami della fortuna, acchiappò una canottiera nera e si trascinò davanti allo specchio, ove tentò di sistemarsi alla meno peggio un paio di ciocche dello stesso verde petrolio dell'aggressivo tatuaggio tribale che campeggiava sul suo braccio sinistro, giusto per non presentarsi alla porta come un completo selvaggio. Uscì dalla camera, realizzò che forse poteva essere il caso di indossare anche un paio di pantaloni corti sopra i boxer, tornò indietro ad indossare anche quelli, neri come la sua anima in quel frangente, e finalmente si diresse verso l'ingresso dell'appartamento. Schiuse la porta, già pronto a esagerare e a dire che non importava suonare più di due volte, evidentemente l'inquilino non c'era, e che non gli importava di nessuna delle offerte-barra-pubblicità di surgelati o aspirapolveri che avevano da proporre, ma la sagoma che si ritrovò di fronte gli fece ritrattare la sua lista di priorità. E gli fece pensare di essere ancora nel mondo dei sogni.
    Capelli chiari, arruffati quanto i suoi, gli occhi color nocciola e i suoi quasi quindici centimetri d'altezza in più che Ryuji aveva già imparato ad odiare pur avendolo visto una singola volta prima di quel giorno. Tsugio Dobashi, il suo nuovo coinquilino. Non c'era alcun dubbio, ma il ghoul assottigliò lo stesso le iridi dorate, quasi stentasse a considerarlo reale.
    Cioè, sapeva che sarebbe dovuto arrivare quell'oggi, ma... erano le sette di mattina? Memore di tutte le storie che aveva fatto due giorni fa per presentarsi al parco alle dieci inoltrate... «...ho l'orologio indietro di tre ore?»
    Istintivamente si fece indietro di qualche passo per farlo entrare, ma - ancora mezze impastate dal sonno - le prime parole di Ryuji vennero pronunciate con lo scetticismo tipico di chi pensa di essersi perso un pezzo di vita.
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