Posts written by Antoil69

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    Roselyn Charlotte Applegarth
    Studentessa/Vocalist
    16

    QomOIgC
    Magari Evelyn non aveva contribuito al regalo, ma senza di lei Roselyn non si sarebbe mai spinta così lontano. Probabilmente, un giorno, se ne sarebbe fatta spedire uno giusto per averlo, ma quello che la piccola Applegarth aveva in mano adesso avrebbe avuto un altro significato.
    «I bet this is going to suit you amazingly.»
    Sicuramente. Dopotutto, con un corpo come il suo che cosa avrebbe potuto starle male? Certamente non un kimono che faceva un adorabile contrasto coi suoi capelli e che sembrava perfetto per lei. Tuttavia ricambiare quell’attenzione con un sorriso non sarebbe stato male. Dopotutto, era pur sempre un complimento della sua Evelyn.
    Tra le due non si era creata troppa tensione. Nonostante la distanza spaziale e temporale tra le due, Roselyn si sentiva come se lei e la sorella non fossero mai state separate. Quello che le teneva insieme era ben più di un semplice rapporto interpersonale. C’era di più, una connessione che la più piccola sentiva di non avere con nessun altro, un amore diverso da quello che l’aspettava al suo ritorno, ma comunque da sperimentare. Erano l’una dell’altra ed esistevano l’una per l’altra. Nonostante gli anni di separazione, le sorelle Applegarth si capivano benissimo nei minimi dettagli.
    Fu infatti proprio Evelyn a congedare la sua serva, dopo aver sicuramente intuito che cosa stesse per succedere. Perché sì, sarebbe successo. Chi non avrebbe approfittato della prima occasione per un momento da soli con chi è stato così lontano? Sumire probabilmente si sarebbe allontanata o avrebbe sentito, ma era un rischio calcolato. Magari anche lei, come Vincent, avrebbe taciuto sulla vicenda. In quel momento, a Roselyn non poteva importare di meno.
    L’unica cosa importante sarebbe stata godersi il momento e sorridere a sua volta alla sorella, che aveva appena chiuso la porta. Ormai le due erano sole e no, Roselyn non era in imbarazzo.
    Evelyn inizialmente suggerì d'indossare prima le calze e mettere i geta. Magari avrebbe preferito andarci piano e testare le acque molto cautamente prima di avventarsi in qualcosa di così estremo. Roselyn la capiva e, per quanto desiderasse un approccio più diretto, si sarebbe accontentata per non imbarazzare sua sorella.
    La sorella minore si sedette sul letto e si tolse le calzature, per poi indossare quelle appena regalatele. Non sembravano male, nonostante la forma un po’ inusuale. Roselyn non riuscì a concepire come mai tali scarpe potessero piacere, ma trattenne questo pensiero sperando che, una volta indossato il resto dell’abito, esse si abbinassero magicamente a qualcosa. Dopotutto, il kimono era bello e l’idea d’indossarlo con gli stivali che aveva usato durante il volo non le sembrava un granché.
    Incredibile ma vero, le scarpe erano proprio della sua taglia. Come aveva fatto il loro nonno a indovinarla? Era stato incredibile, proprio come si aspettava da un suo antenato. Tuttavia avrebbe comunque chiesto. Quel trucchetto avrebbe potuto tornarle utile in futuro.
    Armata della confidenza datale da scarpe nuove della sua taglia, Roselyn si rialzò, decisa a sentire come si comportassero sotto i suoi piedi. Anche senza scattare in avanti, la ragazza sentì i suoi piedi inclinarsi in avanti. Le fu necessario riaggiustarsi per tornare in equilibrio, ma ci riuscì abbastanza in fretta. Camminare sui tacchi le aveva insegnato l’equilibrio, ma avrebbe dovuto abituarsi alla nuova sfida.
    «If you find it hard to walk with them, I don't think grandpa and grandma will be disappointed if you switch to a comfier pair of shoes.»
    Quelle parole un po’ la colpirono. Sembravano dette con nonchalance, ma forse la sorella aveva già notato la sua difficoltà nell’usare i geta. Aveva cercato di non darlo a vedere, ma Evelyn aveva capito. Era contenta che le due si capissero, ma avrebbe preferito evitare la figuraccia appena fatta.
    «I can do it!» Disse, in maniera un po’ infantile. «I just need more practice.»
    La ragazza fece un passo, poi un altro. Le gambe le tremavano e l’istinto di tirar fuori due tentacoli per aiutarsi era forte, ma, lenta come non mai, procedeva da sola. Si sentiva fortemente in imbarazzo. Forse le gambe non le sarebbero durate fino all’ascensore, ma teneva a utilizzarle, non tanto per sé quanto per il completo e per non provocare un dispiacere a Evelyn e ai suoi nonni, che avrebbero preferito vedergliele indosso.
    Magari quello sarebbe bastato a fare bella figura con sua sorella, ma un po’ d’imbarazzo sarebbe rimasto. Eppure, strano ma vero, Roselyn non voleva che quel momento finisse quanto prima. Quel tentativo quasi infantile le aveva riportato alla mente i giochi di Villa Applegarth nei tanti anni spensierati che le due sorelle avevano passato insieme, prima di conoscere la distanza. Era passato tanto tempo, ma sicuramente anche la maggiore avrebbe dovuto ricordarsene. Ormai la minore aveva sedici anni. La loro madre già da un anno le ricordava quanto lei fosse già una giovane donna. Era troppo cresciuta per abbandonarsi a giochi del genere ed Evelyn, più grande di lei di ben cinque anni, sicuramente la pensava allo stesso modo. Eppure era stato quasi naturale per la minore abbandonarsi così. La maggiore l’aveva sempre capita fin dal primo istante. Le due avevano condiviso proprio quegli anni di gioco e il perché di quella scenata sarebbe stato chiaro a entrambe. Sì, sicuramente Evelyn avrebbe apprezzato e capito. Le due erano troppo connesse per lasciare spazio ad altre interpretazioni.
    Quel ritorno al passato, però, sarebbe durato ancora per poco. Roselyn avrebbe raggiunto la poco distante Evelyn a tentoni, per poi sorriderle e dirle «See?», quasi aspettando un segno di divertimento per ridere di gusto… o per farla ridere di gusto.
    «What’s next?»



    «Parlato»
    "Pensato"
    «Parlato di Evelyn»

    We’re finally together again, dear sister

    Ghoul
    Rinkaku
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    Whisper

  2. .
    Astrid Nyström
    Studentessa / Cameriera
    21

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    Era incredibile, anzi, impensabile che quel Krieger fosse riuscito a scampare anche a quel colpo. Di che cosa era fatto quell’uomo per avere così tanta fortuna? Sì, era senza dubbio fortuna. Non poteva essere così bravo da tenermi testa, non lui. Eppure si era rivelato un avversario notevole anche da solo. Perché continuava a non morire? Era riuscito a pararsi con un’arma che non avevo visto, facendo scivolare via la mia kagune quanto bastasse affinché non lo uccidessi. Non avrebbe resistito per sempre, ma l’idea che fosse ancora combattivo iniziava a non piacermi.
    Un ringhio si levò da quella bestia, seguito da uno scatto all’indietro e da una sensazione di calore in una delle mie code. L’odore che si diffuse poi, sempre più forte, mi confermò che l’avessi almeno ferito. Eppure era riuscito a rialzarsi. Era addirittura scattato all’indietro e, ancor prima che potessi raggiungerlo per finirlo, sentii un sommesso sparo provenire da lontano.
    Essendomi fermata in tempo, il colpo non riuscì a raggiungermi, ma il messaggio era chiaro: stavano arrivando altri combattenti. Nessuno si era annunciato, ma il rumore delle sirene, che notai solamente in quell’istante, si fece assordante tutto in una volta. Era la CCG.
    Non c’era più tempo da perdere. Per quanto mi sarebbe piaciuto staccare la testa a Krieger, rimanere in vita era la mia priorità. Avevo troppi piani per il futuro per farmi uccidere in quel vicolo e non ero abbastanza forte da eliminare da sola i rinforzi. Non ancora. Notte dopo notte, preda dopo preda, lo sarei diventata. Tuttavia, non era quello né il tempo né il modo.
    Non lo salutai quando me ne andai: avevo individuato la direzione da cui il cecchino stesse sparando e sapevo che avrebbe sparato ancora. Certamente, però, non mi avrebbe colpita.
    Mi voltai e procedetti a zig-zag. Sarei entrata nel primo vicolo e sarei uscita dalla visuale mantenendomi adiacente all’edificio che mi avrebbe separata da lui. Non sarei stata un bersaglio se lui non avesse potuto vedermi. Avrei comunque continuato a correre. Entrare in qualche edificio mi avrebbe messa in pericolo, dato che la CCG avrebbe potuto bloccare le vie d’uscita. Non avrei avuto il tempo di far niente, dato che i rinforzi erano lì.
    Corsi alla cieca finché non riuscii a seminare i miei inseguitori, poi tornai dove avevo lasciato il mio cambio d’abito. Avevo sopportato il dolore lancinante delle ferite senza fermarmi ed ero stata ricompensata: si erano rigenerate tutte. Avrei potuto tornare a casa senza farmi notare, quindi decisi di farlo. Avrei ripreso la caccia l’indomani.
    Il resto della notte mi sarebbe servito per riposarmi e riflettere sull’accaduto. Il fatto che un umano fosse riuscito a tenermi testa non mi era piaciuto, quindi, oltre a ucciderlo, avrei dovuto continuare ad allenarmi e a rafforzarmi. Io e lui ci saremmo rincontrati e, la volta successiva, gli avrei fatto rimpiangere tutto quanto.


    «Parlato»
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    I'm a natural born huntress

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    Astrid Nyström
    Studentessa / Cameriera
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    Era stato troppo facile. Sarei riuscita comunque a strappargli quello scudo, ma ciò non m’impedì di capire che lui non stesse ponendo resistenza. Non solo: aveva tolto un braccio, che in quel momento rappresentava il maggior pericolo. Ci misi poco a capire dove stesse andando: un riflesso metallico e un rapido movimento del braccio mi avvertirono della presenza di una pistola. Dovevo assolutamente bloccarla.
    Riuscii ad aggrapparmi allo scudo, spingendolo verso di me con le braccia. Tagliare il braccio destro dell’agente sarebbe stato facilissimo, ma la pistola aveva la priorità. Per questo la kagune sinistra andò dritta verso la pistola, cercando di avvolgere o la canna o il polso di Krieger, per poi tirare via tutto ciò che fosse riuscita a prendere. Dovetti agire fulmineamente per evitare che il colpo partisse o mi prendesse. Se fossi riuscita a prendere la pistola, probabilmente l’avrei lanciata via: la presa sullo scudo era troppo preziosa e la mia coda non sarebbe stata in grado di sparare. M’interessava più che non l’avesse lui.
    Lo sforzo sulla pistola, però, m’impedì di concentrarmi sul resto: quel cretino decise di lanciarsi verso di me e riuscì in qualche modo a farmi perdere l’equilibrio. Caddi a poca distanza da lui, ricevendo tutto il peso dello scudo che ancora tenevo in mano.
    Un ghigno si dipinse sul mio volto quando lo realizzai. Avevo perso le tracce della pistola e lo scudo era in mano mia. Krieger aveva appena fatto il suo più grosso errore. Senza nessuna possibilità di difesa, ora sarebbe stato in balia del mio volere.
    Senza perdere tempo, lanciai lo scudo lontano da me, nella direzione opposta nella quale, se ci fossi riuscita, avrei lanciato la pistola poco prima. Ancor prima di sentire il tonfo della quinque, mi lanciai sull’umano. Sentii un brusio provenire da lui, ma non me ne curai. Avrebbero potuto essere i rinforzi e, per quando sarebbero arrivati, l’avrebbero trovato morto. Ormai era arrivato il mio momento.
    Mi lanciai verso Krieger il più velocemente possibile, cercando di lasciargli il minor tempo possibile per realizzare l’accaduto. Avrebbe potuto avere altre armi con sé, soprattutto delle temute pistole, quindi sarebbe stato necessario agire con rapidità. Con la kagune puntata verso il mio obiettivo, avrei puntato al suo busto, cercando di avvicinarmi per non sbagliare il colpo, bloccarlo e piantargli una coda su un fianco, per poi scavare fino a farla uscire dall’altro. Se ci fossi riuscita, l’avrei finito subito dopo, infilzandolo in modo che, nei suoi ultimi istanti, potesse vedere la mia kagune spuntargli dal petto. Non sarebbe sopravvissuto. Non avrebbe dovuto sopravvivere. Era stato un allenamento decente e una valvola di sfogo nella media, ma era arrivato il momento di farla finita.



    «Parlato»
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    Roselyn Charlotte Applegarth
    Studentessa/Vocalist
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    Anche Evelyn sistemò i propri vestiti. Forse la voglia di apparire al meglio in una foto, soprattutto con l’altra, era reciproca. Quanti anni fa era stata scattata la loro ultima foto insieme? Sicuramente molti prima che venisse incisa nel cammeo che Roselyn indossava e che aveva esposto con cura sopra la sua camicia. Avrebbe dovuto vedersi benissimo. Quel ciondolo aveva un valore immenso per la ragazza, per via di ciò che vi era inciso. Le migliaia di foto che pullulavano il profilo social della ragazza erano andate e venute. A Roselyn piaceva vedersi in foto, ma molte di quelle erano state messe in un hard drive e dimenticate. Forse avevano esaurito la loro funzione una volta scattate e pubblicate. Tuttavia non tutte le foto erano effimere. Tutte quelle fatte con le sue conoscenze di scuola o con quelle dei genitori avevano lasciato il tempo che trovavano, così come tutte quelle in qualche evento o serata di gala a cui i genitori avevano iniziato a portarla. Tuttavia, le varie foto di famiglia fatte nel corso degli anni, prima e dopo Evelyn, erano state speciali.
    Per molto tempo, infatti, le foto che ritraevano le due piccole Applegarth e i loro genitori erano state più visibili alla piccola Roselyn rispetto agli adulti ritratti in esse. Mum e Dad passavano poco tempo con le loro figlie, troppo impegnati a costruire il loro successo e il loro paradiso. Dopo la partenza di Evelyn, i coniugi Applegarth si erano avvicinati parecchio alla piccola Roselyn, cercando di colmare il vuoto lasciato dalla sua anima gemella, che aveva lasciato solamente delle foto dietro di sé. Solamente poche foto, rispetto al mare contenente solo Evelyn o solo i genitori, ritraevano Roselyn insieme alla sua famiglia. Troppo poche. Il cammeo che la bionda portava al collo era una delle poche prove del fatto che la sua famiglia, anni or sono, si fosse riunita in un unico luogo. L’unione che un giorno sognava di rivedere era esistita e presto altre foto sarebbero state scattate con tutta la famiglia Applegarth riunita. Per il momento, altre sarebbero state aggiunte agli album con solo le due sorelle. Non era quello che avrebbe preferito, ma sarebbe stato comunque importante. Evelyn esisteva ancora, voleva la sua compagnia e celebrare il momento con una fotografia. Forse anche quella avrebbe potuto essere incisa in un cammeo. Magari le sarebbe piaciuto. O avrebbe preferito averne uno con una foto di famiglia? Sicuramente, quando sarebbe tornata a Londra, ne avrebbero fatta una e Roselyn l’avrebbe fatta trasformare in un ciondolo commemorativo. Dopotutto, il momento da immortalare l’avrebbe meritato.
    Click

    ***


    Quanto era durata la sessione fotografica? Se fosse stato per Roselyn, sarebbe continuata in eterno. Tuttavia, dopo un giro dei giardini e un paio di foto fatte in ogni punto meritevole, Evelyn decise di porre fine al momento e chiedere che le due venissero accompagnate in camera. Roselyn non si oppose. Aveva fatto immortalare al loro accompagnatore il momento in maniera sufficiente, almeno per ora. Inoltre, l’idea di rimanere da sola in stanza con Evelyn e scoprire che cosa fosse la sorpresa che l’attendesse una volta arrivata non aveva smesso d’intrigarla. Quando la macchina fotografica venne riposta, Roselyn, prima occupata a trovare il modo di apparire più bella possibile accanto alla sorella, poté riprendere a fantasticare su quest’ultima e su ciò che sarebbe potuto succedere una volta varcata la soglia della sua suite.
    «Mum and Dad will love our pictures!», disse la ragazza, con un tono e un’espressione innocenti che nascondevano quanto l’avvicinarsi del momento anticipato stesse intensificando le immagini nella sua mente.
    Le due arrivarono in fretta nella suite numero 102, una delle cinque nell’edificio. Sumire, che non aveva mai smesso di seguirle, aprì la porta prima di dare la chiave della stanza alla sua legittima proprietaria, che la prese elegantemente, porgendo un sorriso di cortesia a costei. Che cosa non avrebbe fatto pur di sembrare perfetta e desiderabile agli occhi di Evelyn…
    Invece di sparire e lasciare le due sorelle finalmente da sole, la tuttofare interruppe l’atmosfera spiegando l’esistenza di una seconda chiave a disposizione di un altro membro dello staff di Evelyn, per ogni evenienza. Buono a sapersi, sì. Roselyn avrebbe usato quella comodità quanto avesse ritenuto opportuno, ma nel frattempo aveva altro a cui pensare.
    La suite era composta da due stanze: un salotto e una stanza da letto, ben arredate e sufficienti per ospitare una persona come la giovane ghoul. La porta scorrevole, già aperta, dava su un letto matrimoniale, verso il quale Evelyn s’incamminò per prima, come per fare gli onori di casa degni di una Applegarth. Roselyn, invece, rimase nel salotto, guardando la stanza con la coda dell’occhio e concentrandosi sulla sorella che si allontanava, chiedendosi quale potesse essere la sua prossima mossa. Sì, la ghoul era impaziente ma non voleva essere troppo brusca: voleva conoscere meglio sua sorella, capire che cosa le piacesse, come preferisse essere trattata o che cosa la-
    «Rose, come on in! There's your surprise right on the edge of the bed~»
    Sui bordi del letto, però, si trovava anche Evelyn. Quale delle due sarebbe stata la sorpresa? «I can’t wait to see it!» disse Roselyn, pensando che, in fondo, qualcosa del tono della loro madre fosse rimasta in sua sorella quando parlava di sorprese.
    La ghoul sorrise genuinamente a Evelyn, poi, posizionandosi accanto alla sorella, aprì la scatola con delicatezza. Non appena il suo contenuto fu svelato, la ghoul prese il primo abito, sentendo immediatamente la morbidezza del tessuto sulle mani, lo estrasse e lasciò che la gravità lo aprisse e svelasse uno yukata. Guardò poi i ricami, perdendosi nella loro trama sui toni del blu senza proferire parola. La ghoul, nella sua breve vita, aveva indossato abiti di tutti i tipi, incluso qualche lavoro di sartoria. Era in grado di riconoscere un ottimo abito e quello era di fattura eccezionale. Il tessuto era così morbido, i ricami così perfetti, i colori così vivi… Sarebbe stato bellissimo e comodissimo, adatto a una ragazza del suo calibro.
    Riprendendosi dall’espressione assorta che aveva assunto, Roselyn decise di ammirarne la parte posteriore solo per un attimo, per poi spingerla contro di sé, immaginando come quell’abito le sarebbe stato addosso.
    «It’s perfect, Eve. Thank you so much! And it’s so soft...» Aggiunse, genuinamente contenta, un altro sorriso e uno sfregamento del tessuto contro la sua mano più tardi. «I had only seen one in Mum’s old pictures, before.» e in quel momento ne aveva uno vero in mano.
    La ragazza posò il suo nuovo yukata sul letto, prestando altrettanta attenzione al resto del regalo e trovando il resto del set, che rimase ad ammirare esattamente come fatto prima. Tutto il contenuto della scatola venne riversato sul letto, con l’eccezione dei genta, che finirono a terra perfettamente appaiati.
    «These are amazing! I can’t thank you enough.» Disse la ghoul, incapace di contenere un sorriso euforico. «I want to try them all out!» L’aver visto una volta uno yukata in foto non aveva certo insegnato a Roselyn come indossarlo. Sarebbe stato un bel problema per una ragazza mezzo-giapponese che di giapponese aveva poco o niente. O forse sarebbe stato meglio così, data l’alternativa? La ghoul non aveva dubbi quando, subito dopo, chiese alla sorella: «Will you help me?»



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    «Parlato di Evelyn»

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    Ghoul
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    Eliminiamo quanto dovuto

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    Ward: The 4th one
    Data: 13/03/2020
    Status: Inattiva




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    Ward: 6
    Data: 21/07/2020
    Status: Inattiva




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    Ward: the 1st one
    Data: 30/04/2020
    Status: Inattiva




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    Ward: Elsewhere (Sanrio Puroland, Tama City)
    Data: 14/02/2021
    Status: Inattiva




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    Ward: the 3rd one
    Data: 20/05/2020
    Status: Inattiva





    Dulcis in fundo, qualcosa di davvero concluso che mi sembra strano non aver segnalato

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    [URL=https://tokyomemoir-gdr.blogfree.net/?t=6140815]Fuyuko Enaga[/URL] & [URL=https://tokyomemoir-gdr.blogfree.net/?t=5967490]Tsukiko Kurosawa[/URL]

    Ward: The 8th one
    Data: 06/02/2020
    Status: Conclusa
  6. .
    Roselyn Charlotte Applegarth
    Studentessa/Vocalist
    16

    QomOIgC
    «I'm not that good with poses...»
    O forse no? I social media di Evelyn erano pieni di fotografie che la ritraevano così bene da farla sembrare il modello di tante opere d’arte fatte con scrupolo. O forse era lei così bella da far sembrare capolavori degli scatti ordinari? Solo una foto insieme avrebbe potuto dirlo.
    «Maybe we should just sit here and let the centre of the fountain being right between me and you.» Roselyn staccò per un istante gli occhi da sua sorella, guardando nuovamente la fontana e immaginando come potesse uscire una tale foto. Sicuramente sarebbe uscita bene: nessuna foto con lei o sua sorella avrebbe potuto essere brutta, quindi una con entrambe sarebbe stata certamente un capolavoro. La fontana avrebbe diviso le due, creando un distacco e una certa formalità. Non l’ideale per loro, che volevano sicuramente entrambe recuperare l’intimità perduta, ma avrebbe fatto un’ottima figura nei profili social della ragazza, fino a quel punto occupati solo da foto di lei da sola o da qualche scatto di una famiglia incompleta.
    «Sounds great.» Rispose la bionda, passandosi la mano destra sui capelli per riordinarli. La posa era stata decisa. Ora l’importante era importante mettersi in ordine per apparire al meglio. Nel mentre, la ghoul tornò a guardare sua sorella maggiore, rivolgendole un sorriso mentre, in maniera disinvolta, si raddrizzava la camicia e controllava che i suoi pantaloni non avessero strane pieghe prima di sedersi sul bordo della fontana.
    «We can start taking pictures when you’re ready.» Disse Roselyn, quando ebbe finito. Ovviamente aveva visto il cenno della mano del loro accompagnatore e non aveva reagito. Ovviamente si sarebbero girate loro quando fossero state pronte. A quella nullità non era chiaro il fatto che non le dovesse disturbare se non fosse stato interpellato prima? Essere spartito tra le due sorelle Applegarth come regalo di benvenuto per la minore non sarebbe stato male. In fondo, nessuno aveva detto che la sorpresa dei nonni delle due non fosse una ragazza dell’età di Roselyn legata e imbavagliata, in attesa di due ghoul giocose e affamate.
    “I’ve never had a japanese human before...” La stessa ghoul era per metà giapponese, ma tutte le sue conoscenze nipponiche erano state esclusivamente ghoul. Persino sua madre, totalmente giapponese, era una ghoul. Roselyn conosceva il suo sapore, ma non quello delle umane. Sicuramente avrebbe dovuto provarlo prima di andarsene. Non aveva con sé una maschera, ma avrebbe trovato un modo per scoprire se il sapore di una giapponese fosse diverso da quello di un’inglese.
    Roselyn si appuntò mentalmente di chiederlo a Evelyn in un momento d’intimità. Era sicura che costei lo sapesse molto bene, dato tutti il tempo che aveva speso in entrambi i Paesi. Chissà che cosa preferisse tra donne o uomini, inglesi o giapponesi, e quale fosse la sua parte del corpo preferita. Chissà come preferisse mangiare e giocare col proprio cibo. Chissà quante altre domande avrebbe sempre voluto chiedere alla sua Evelyn, per molto distante e sicuramente con molte storie che avrebbe potuto raccontarle a partire da quella stessa notte, per allietare il sonno di entrambe come un tempo avevano fatto le favole di Vincent.
    Tutto ciò, però, avrebbe aspettato. Roselyn aveva atteso per cinque lunghi anni: per quanto fosse difficile, avrebbe aspettato anche qualche minuto in più. Quello era il momento di fare le foto e sicuramente la sua Evelyn le avrebbe risposto o detto di mettersi in posa. In tal caso, la sorella minore non si sarebbe fatta trovare impreparata. Tuttavia decise di far strisciare la mano più vicina all’altra lungo la fontana, sorridendo a sua sorella e chiedendole implicitamente con lo sguardo se la volesse ancora stringere. Per quanto le foto davvero intime dovessero ancora arrivare, a Roselyn sarebbe piaciuto che la formalità della foto non prescindesse dal loro affetto reciproco. Tuttavia neanche un no sarebbe stato un problema. Dopotutto, la foto sarebbe comunque venuta bene e le due avrebbero avuto tutto il tempo per recuperare anni di carezze mancate. Dopotutto, non avrebbero dovuto impiegare troppo a scattare quelle foto, giusto?


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    We’re finally together again, dear sister

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    Astrid Nyström
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    Quell’umano era esattamente come lo ricordavo: sfacciato, sicuro e un gran coglione. Avrebbe potuto scappare, magari coprendosi con la sua arma. Non sarebbe stato nobile, ma in quel mondo i nobili d’animo erano i primi a morire. Invece no: aveva scelto di nuovo di sfidarmi. Quella volta, però, ero io quella in vantaggio.
    «Quindi non scappi.» Il pensiero era stato reciproco. Forse entrambi ce lo saremmo aspettati dall’altro. A quanto pare, lui voleva morire. Quella notte gli avrei fatto pentire di essere nato. Non gli risposi: le mie azioni avrebbero parlato per me. Mi sarebbe piaciuto farlo, ma il fiato mi sarebbe servito per combattere.
    A differenza del suo collega, lui era riuscito a evitare uno dei miei colpi. Non male per un umano, ma non gli sarebbe andata sempre così bene. Mi stavo solamente scaldando e presto, una volta persa quella pistola, se ne sarebbe accor-
    “Vad?”
    L’unica possibilità che quel cretino avesse di darmi fastidio sarebbe stata la sua pistola e il suo piano geniale era stato riporla per prendere lo scudo del suo collega? Non volevo crederci: finalmente avrei potuto avvicinarmi. Era troppo bello per essere vero e presto anche lui avrebbe capito perché.
    Come se non bastasse, l’ennesima idea geniale di Krieger era stata attaccarmi con la parte appuntita dello scudo. Incredibile. Stava davvero cercando di uccidersi. Si era avvicinato e mi aveva colpita di striscio, caricandomi con lo scudo e tutto il suo peso. Quella bestia non aveva fegato solamente contro le ragazzine, pareva. Presto gli avrei strappato anche quell’organo, se avesse continuato così. Se la quinque in mano a quel gigante fosse stata un’altra, gli avrei volentieri mostrato che cosa significasse lasciare scoperte le gambe alle mie code, ma quel colpo non sarebbe stato semplice da parare, quindi preferii spostarmi di lato. Lo scudo colpì di striscio il mio avambraccio destro, producendo lo stesso suono della stoffa squarciata. Un rivolo caldo mi annunciò il fatto che lo scudo avesse tagliato più del mio vestito, ma non troppo in profondità. Ritrassi l’arto istintivamente, accorgendomi di poterlo ancora utilizzare. Mi avrebbe fatto molto male una volta finito l’effetto dell’adrenalina, ma mi sarei consolata col corpo del mio sfidante.
    «Fatti sotto, puttana.» Aveva fiato da sprecare, il tipo. Io non ne avevo. “Parlano quelli le cui mani non parlano.”, gli avrei detto in un’altra occasione. Me lo ripeteva sempre mia madre, ma io non ero lei e non lo stavo allenando. Quel cretino aveva sfidato una delle migliori cacciatrici di Stoccolma, sia di umani sia di ghoul. Gli avrei presto fatto vedere di che cosa fossi capace, ma, per il momento, quello scudo avrebbe dovuto sparire.
    La forza bruta non sarebbe bastata: quello scudo sembrava molto resistente e non sarei riuscita a romperlo in tempo utile. Avrei dovuto colpire altrove. Tuttavia quell’arma era abbastanza pesante, soprattutto per un umano. Un ottimo vantaggio per me.
    Approfittando del mio spostamento verso sinistra, cercai di aggirare Krieger. Non avevo intenzione di spingermi fin dietro di lui: arrivare a prendergli il bordo dello scudo sarebbe stato sufficiente. Mossi entrambe le code all’unisono, chiudendole su quel gorilla. Quella destra avrebbe probabilmente colpito lo scudo, forse con abbastanza forza da farsi sentire, ma sarebbe stata una semplice distrazione. La sinistra avrebbe cercato di divincolarsi dietro la quinque, mentre la mano destra, seguita poi dalla sinistra, avrebbe fatto il possibile per guadagnare una solida presa sullo scudo, possibilmente in alto, lontano dalla punta. Se ci fossi riuscita, rendere inoffensiva quella colomba sarebbe stato un gioco da ragazzi: mi sarebbe bastato poco per tagliargli gli arti di netto e guardarlo dissanguarsi. Non che per lui potesse finire diversamente, dato che aveva scelto di combattere...



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    "Pensato"
    «Parlato di Victor»

    I'm a natural born huntress

    Ghoul
    Bikaku
    RANK B
    Fyra Cross

  8. .
    Nickname: Antoil69
    Tipo: Aggiornamento EXP
    EXP: +10 (Mensile di Luglio)
  9. .
    Roselyn Charlotte Applegarth
    Studentessa/Vocalist
    16

    QomOIgC
    Un sorriso raggiante illuminò il volto di Evelyn. Era la risposta che Roselyn avrebbe voluto, quindi anche lei non poté che ricambiare. La più piccola sapeva bene quanto molte emozioni e dettagli sottili potessero essere tralasciati dai semplici messaggi in chat. Per anni il loro mezzo di comunicazione era stato unicamente quello. Vedere sua sorella maggiore, uno dei suoi punti di riferimento, così contenta dal vivo aveva tutto un altro sapore.
    Inutile dirlo, Evelyn era davvero contenta. Perché mai avrebbe dovuto nascondere qualcosa a sua sorella o mentire proprio a lei? Non era forse il modo di fare degli Applegarth essere sempre sinceri, anche se solo coi propri familiari? Evelyn conosceva sua sorella minore come le sue tasche: Roselyn non aveva segreti con lei. La maggiore aveva saputo dei biglietti subito dopo la minore, ancor prima che questa ringraziasse i loro genitori. In fondo, a Rose andava bene così. Le piaceva l’idea che la sua Eve potesse conoscerla nei minimi dettagli. In un mondo in cui l’informazione è potere, come le avevano insegnato suo padre e Vincent, avere qualcuna di cui fidarsi e a cui poter parlare di tutto era quasi un privilegio. Lo stesso sarebbe valso anche per Evelyn, ovviamente. La stessa persona che avrebbe venduto i segreti di molti esseri inferiori per un minimo vantaggio avrebbe custodito i suoi gelosamente. Solo una cosa non era stata detta. Solo una cosa meritava la cautela di un incontro personale e solo di quella cosa Roselyn avrebbe voluto parlare. Col tempo, però, anche quel segreto sarebbe stato svelato.
    «Sumire will lead us to the hotel's garden»
    Aveva sentito anche la tuttofare della sorella, ma aveva preferito rimanere concentrata su quest’ultima.
    A Roselyn non interessava viaggiare: tutto ciò che voleva era all’interno di villa Applegarth o nella casetta dei suoi in mezzo al nulla. Inoltre, era troppo abituata al lusso dentro le mura di casa per stupirsi davvero di ciò che ai suoi occhi era solo una struttura appena sufficiente per una persona come lei. Era più interessata alle persone e, in quel momento, a una in particolare. Il sorriso di sua sorella maggiore era molto più bello di qualunque albergo o prato che le due potessero vedere. Era vero, era una bella struttura, ma niente di troppo importante.
    Tutti i pensieri di Roselyn furono occultati da un semplice sorriso. Forse all’esterno sarebbe parsa anche lei meravigliata, ma semplicemente non voleva mostrarsi indifferente con sua sorella. Tutto ciò che sarebbe successo in quei giorni nella stanza di Roselyn e nel giardino sarebbe stato molto più importante. Nonostante fosse abituata al lusso, però, si trovava in quella struttura solamente grazie a sua sorella e ai suoi nonni. Pur di rivedere Evelyn, se il suo letto non fosse stato abbastanza grande, si sarebbe accontentata di un divano o di un futon, ma loro avevano voluto trattarla meglio e di ciò era loro grata.
    “It’s not as amazing as you.” Avrebbe detto la bionda, se non avesse ritenuto che «Yes, it really is.» fosse un’opzione migliore.
    «Thank you so much for all of this, Eve.»
    La tuttofare della sorella si era data da fare, trovando un inserviente che potesse portarle alla loro destinazione. Evelyn aveva deciso di condurla personalmente al giardino sul retro, seguendo la guida del loro nuovo accompagnatore. Roselyn, ovviamente, l’aveva seguita come se fosse la sua ombra.
    Il giardino era esattamente come se l’aspettava: bello. Era visibilmente molto curato ed esteso e aveva delle decorazioni niente male, inclusa una fontana. Non si sarebbe emozionata troppo, se fosse stata da sola, ma la compagnia di Evelyn rendeva quel posto già carino di suo ancora più gradevole.
    «There!» Disse quest’ultima, una volta arrivata,«We should sit there and take some photos with the fountain, what do you think?»
    «That’s a great idea!» Roselyn le avrebbe fatto scegliere il posto anche se lei non avesse preso l’iniziativa, ma ciò aveva reso il tutto molto più veloce. La fontana sarebbe stata un’ottima location e la loro prima foto insieme dopo cinque anni sarebbe stata fantastica. Tutto ciò che rimaneva da fare era prendere l’iniziativa per la prima volta. Era il suo turno di prendere per mano Evelyn e portarla dove entrambe volessero, sempre che l’altra l’avesse seguita. Sarebbe stata un po’ soft come prima volta, ma un’ottima preparazione per quelle che sarebbero venute dopo, nonché un ottimo modo per rendere ancora più eccitante l’attesa.
    «Do you have a particular pose in mind?» Di certo non una domanda da fare a Roselyn. Di certo una sorta di piccolo test per la loro sintonia. Chissà se anche Evelyn stesse pensando a qualcosa del genere in quel momento...


    «Parlato»
    "Pensato"
    «Parlato di Evelyn»

    We’re finally together again, dear sister

    Ghoul
    Rinkaku
    Rank B
    Whisper

  10. .
    Sparirò del tutto fino ai primi di luglio per via degli esami
  11. .
    Roselyn Charlotte Applegarth
    Studentessa/Vocalist
    16

    QomOIgC
    Chissà che sorpresa le avevano preparato i suoi nonni... Per quanto riguardava Roselyn, qualunque oggetto materiale, per quanto bello, non sarebbe stato comparabile con sua sorella, ma proprio costei sembrava voler vedere che cosa si trovasse nella suite. Lo stava facendo per lei, per la sua compagna d’infanzia e di vita, ma non si poteva dire che lei stessa non fosse curiosa.
    Roselyn non aveva mai incontrato i suoi nonni, quindi in parte si chiedeva che regalo potesse trovarsi nella sua suite ad aspettarla. Certo, con loro si trovava Evelyn, la sua confidente per eccellenza insieme a sua madre, ma ciò rendeva il tutto ancora più interessante. A Roselyn piaceva ricevere regali e quello sarebbe stato sicuramente gradito.
    Il tragitto verso l’hotel non fu lungo. Presto il mistero sarebbe stato svelato. Roselyn annuì alle indicazioni della sorella e sorrise alla tuttofare di costei quando le aprì la portiera. Farlo era il suo dovere, ma sorridere un’altra volta a quella plebea avrebbe permesso alla bionda di non sfigurare con Evelyn. Il tutto sarebbe andato a suo vantaggio alla fine. Perfino un «Arigatō gozaimasu» non sarebbe stato sprecato, se Eve l’avesse sentito, quindi perché non tentare?
    Roselyn si guardò intorno per un attimo. Nonostante non le importasse un granché del posto in cui avrebbe alloggiato, sarebbe stato bene riconoscerlo o trovare un angolo abbastanza carino per una foto con sua sorella. I suoi profili social non avrebbero di certo fatto passare in sordina il fatto che lei si fosse ricongiunta con la sua dolce metà. Avrebbe immortalato centinaia di momenti con lei, pubblicandone alcuni e tenendo per sé i più importanti, come mangiare qualcosa di buono insieme o giocare col braccio appena staccato di qualcuno… Foto delle due intente a fare di tutto sarebbero finite o sui social o su un SSD comprato per l’occasione come posto sicuro per conservare quelle che, pur troppo belle per non essere cancellate, non avrebbero mai dovuto diventare di dominio pubblico. Presto anche quelle sarebbero state scattate. “Molto presto...”
    «We should go now, right?»
    La giovane Applegarth venne riportata alla realtà da sua sorella maggiore. Costei le si era avvicinata e le si stava avvinghiando al braccio destro affettuosamente. Lungi da Roselyn pensare di scacciarla.
    «I can't wait to see the surprise!»
    Una volta finito l’effetto sorpresa, la ghoul strinse a sua volta il braccio di sua sorella.
    «I can’t wait either!» Rispose allegramente. «Let’s get there!»
    Tuttavia, la ragazza non si mosse. Non sapeva dove andare, né avrebbe voluto essere altrove in quel momento. Ci sarebbero stati posti migliori in cui condividere il proprio tempo con sua sorella, ma già il fatto di essere con lei era abbastanza, per il momento.
    Roselyn non sarebbe andata da nessuna parte, ma avrebbe seguito Evelyn docilmente ovunque, sempre con lo sguardo perso a guardare sua sorella, la strada e tutto ciò che avesse avuto intorno, alla ricerca del posto perfetto per immortalare quel momento così bello.
    «We should take a picture, Eve.» Avrebbe detto la sorella minore, sia che le due si fossero mosse sia che fossero rimaste dov’erano. Roselyn sapeva già di dover assolutamente mandare la prima foto a sua madre. Chissà quanto sarebbe stata contenta di rivedere le sue due figlie insieme dopo anni. La mente della ghoul deviò di nuovo, immaginando la faccia di sua madre una volta ricevuto il dono. Sarebbe stato bello vederla, ma si sarebbe accontentata della festa in stile Applegarth che costei aveva promesso al suo ritorno, quella organizzata come scusa per non aver potuto seguirla da Evelyn.
    Sì, sarebbe stato bello vedere per una volta tutti insieme, ma il suo sogno sarebbe stato solo rimandato. Per il momento era necessario concentrarsi su un altro suo sogno, che si stava realizzando.
    Chissà se Evelyn avrebbe accettato di farsi una foto prima di vedere la sorpresa dei nonni. Per Roselyn, qualunque cosa avesse deciso la sorella sarebbe andata bene. In fondo, non era lei a conoscere quel luogo. Evelyn sicuramente conosceva i posti più belli per immortalare le due donne più belle e più importanti ora in Giappone. Sicuramente conosceva anche i posti migliori per trovare qualche ragazza da sgranocchiare insieme e per rimanere appartate per un po’. Sì, la sua meravigliosa sorella era la migliore anche per cose del genere. Lasciar fare tutto a lei sarebbe stata la cosa migliore. In fondo, se avesse voluto, Evelyn avrebbe potuto farle di tutto.



    «Parlato»
    "Pensato"
    «Parlato di Evelyn»

    We’re finally together again, dear sister

    Ghoul
    Rinkaku
    Rank B
    Whisper

  12. .
    Benvenuto tra noi, Jacopo! Io sono Antonio.

    Alla fine TG ha lasciato un po' a desiderare per il finale (leggo che anche tu hai resistito fino alla fine e letto il manga per intero), ma l'ambientazione rimane comunque spettacolare (nonché perfetta per GDR come questo. Vedrai).

    Ti lascio al tuo modo d'interpretare quello che già conosci e le modifiche apportate dallo staff. Non vedo l'ora di leggere il tuo primo personaggio. See you around!
  13. .
    Ti sei presentato come una persona abbastanza interessante (e non solo perché, se sostituissi l'arte figurativa alla musica, avresti descritto me con una buona precisione. Tuttavia non mi lamento dei prof che arrivano in ritardo, in quanto forse ho molta fortuna al riguardo). Ho apprezzato molto l'idea del timer: è originale.

    Sono Antonio, ho vent'anni, ho iniziato a ruolare quando ne avevo quattordici e qui dentro c'è qualcuno che conosce le mie figuracce di allora. Benvenuto nel club di chi riflette molto sui propri PG anche fuori dalle role e dal GDR fino anche a descrivere tutta la tecnologia che usano. Studi ingegneria anche tu, per caso?

    Ho detto anche troppo, considerando che questo dovrebbe essere un messaggio di benvenuto, quindi... welcome aboard! Seguirò la tua carriera (e i tuoi PG) con attenzione.

    See you around!
  14. .
    Kimiko Takeda
    Investigatrice di Ghoul alla CCG
    21

    KdanYk1
    Un altro caricatore era terminato. Quanti ne avevo utilizzati fino a quel momento? Erano un numero considerevole, ma, sapendo quanto la CCG tenesse ad avere agenti al massimo della forma e viste le poche spese che avevo fuori dal lavoro, dubitavo che quello fosse un problema. Avrei dovuto essere più parsimoniosa sul campo, dato che i proiettili Q erano costosi e difficili da reperire, ma quell’allenamento mi sarebbe servita a far sì che ogni colpo andasse dove avessi voluto, limitando i miei sprechi.
    Avevo fatto qualche tentativo con bersagli statici, poi avevo chiesto agli assistenti di metterli in moto. Non ero ancora nel poligono di tiro operativo, ma quello sarebbe stato un buon allenamento per ciò che sarebbe venuto nei giorni a venire. I bersagli potevano muoversi solamente rispetto a un asse, ma sarebbe stato meglio di niente.
    Saper sparare in entrambi i casi, contro un ghoul che attacca o uno che fugge, sarebbe stato il minimo per un’investigatrice di Primo Grado. Sarebbe dovuto diventare istintivo.
    Avevo perso la cognizione del tempo a furia di sparare, quindi guardai l’orologio, rimediando a quella lacuna. Chiusi gli occhi, scossi gli arti e mi rimisi le cuffie, per poi inserire un altro caricatore e tornare a concentrarmi sul bersaglio.
    Il cartonato che stavo prendendo di mira si era riempito di buchi, ma era rimasto abbastanza spazio per colpirlo ancora. Farlo sarebbe stato un buon allenamento, ma un’altra parte dell’esercizio, quella che mi premeva di più, non sarebbe stata realizzata in quel modo. Sarei andata anche al poligono di tiro operativo, ma prima avevo preferito concentrarmi di più sul tiro, per poter arrivare a utilizzarlo al meglio. Lì sarei stata davvero immersa in un ambiente il più vicino possibile a ciò che avrei potuto fare sul campo. Magari lì sarei riuscita a colmare le mie lacune e a capire meglio come posizionarmi o sparare.
    Avevo capito, però, che anche quello non fosse abbastanza. Non sarei mai scesa in campo da sola contro un ghoul, quindi era importante che capissi bene come posizionarmi sul campo, al riparo dagli attacchi ostili e abbastanza vicina per fare fuoco. Avrei dovuto anche preoccuparmi di come i miei colleghi fossero posizionati, in modo da riuscire a eliminare la minaccia senza rischiare di ferirli. Era questione di vita o di morte e, se fosse stato solo per i miei meriti, la missione di sorveglianza al gala sarebbe stata un fallimento ancora più grande. Magari con un paio di bersagli nemici e amici dalla distanza sarei stata in grado di colmare qualche lacuna. Avevo sentito anche che le piattaforme per i bersagli mobili fossero state sostituite con modelli più avanzati, quindi avrei potuto allenarmi anche meglio rispetto a prima. Tuttavia avevo deciso di ricominciare dalle basi, come se non avessi mai tirato prima di quel giorno, per togliermi il maggior numero di lacune possibili.
    Tenni conto di tutti i proiettili di quel caricatore, sparandoli a uno a uno sul bersaglio fino a quando la mia arma si scaricò di nuovo. Fu solo allora che notai che, bossolo dopo bossolo, i segni del fatto che mi stessi allenando da un po’ in quella stessa postazione fossero evidenti. Avrei avuto da pulire prima di andarmene, ma non era quello il momento di farlo.
    Mi presi una piccola pausa prima di riprendere i miei esercizi: avevo le cuffie anti rumore indosso da abbastanza tempo da sentire le orecchie scaldarsi sotto di esse, ma non era ancora il caso di smettere. Avrei dovuto rimanere concentrata nonostante quel fastidio. Se non ci fossi riuscita, di che utilità avrei potuto essere sul campo?
    Posai l’arma scarica per un istante, facendo sempre attenzione a puntarla in direzione dei bersagli, per poi mettermi nuovamente a ricaricare il caricatore. Osservai, anche per sciogliere i muscoli del collo, l’ambiente circostante. Molti degli investigatori presenti quando avevo iniziato la sessione di tiro se n’erano andati e qualcuno era anche stato sostituito da altri colleghi, investigatori più o meno esperti che volevano migliorare la loro efficienza sul campo. Molti di questi erano facce sconosciute o viste solo una volta e poi mai più, colleghi con cui avevo collaborato tempo addietro o che ancora non sapevo se fossero investigatori o assistenti. In fondo, al poligono erano tutti uguali. Fu in quell’occasione che notai l’unica persona esterna al gruppo che avevo appena nominato.
    Non avevo ancora visto la mia caposquadra al poligono di tiro. Chissà come avrebbe scelto di allenarsi e come se la sarebbe cavata contro i suoi bersagli.
    A dire la verità, non avevo avuto interazioni significative con lei da dopo gli avvenimenti di qualche giorno prima. Dal giorno del mio fallimento più grande era come se tutto si fosse spento.
    La Prima Classe Shimizu aveva dimostrato eccellenti doti di leadership e sul campo. Aveva dimostrato di poter essere una figura di riferimento, ma non per quello il nostro rapporto era diventato meno professionale. In fondo, lei era il mio caposquadra e io una sua sottoposta: qualunque storpiatura di quel rapporto non sarebbe stata consona al nostro lavoro.
    Fu per quello che decisi di non disturbarla. Mi limitai ad accorgermi della sua presenza, ricaricare l’arma col caricatore che avevo appena finito di riempire e tornare a esercitarmi. Ormai la stanchezza iniziava a farsi sentire, ma quello non era ancora il momento di smettere. Sarei rimasta lì finché avessi avuto abbastanza forza da poter sparare in sicurezza. Non sarei stata pigra, né avrei dimostrato di esserlo di fronte alla mia caposquadra. Ormai continuare era un mio dovere.


    «Parlato»
    "Pensato"
    «Ricordi del parlato di Victor»

    It wasn't enough. I need to try harder

    CCG
    Prima Multorum (Bikaku)
    Primo Grado

  15. .
    Astrid Nyström
    Studentessa / Cameriera
    21

    jpg
    La colomba scattò all’indietro mentre il suo scudo si formava. Aveva evitato il mio attacco per pura fortuna, ma la dea bendata aveva deciso di voltargli le spalle subito dopo. Che cosa credeva di fare quell’umano? Credeva davvero di riuscire a battere un ghoul in velocità? Di fatto, quello scudo lo aveva rallentato parecchio. Raggiungerlo e metterlo al tappeto fu facile, ma sapevo che, da bravo investigatore, non sarebbe mai uscito da solo.
    Tentare di scattare in avanti per finirlo sarebbe stata l’opzione migliore. Se fossi stata io quella con la pistola, l’avrei sistemato molto volentieri per concentrarmi sul suo compagno, ma sarebbe stato stupido non agire con cautela in quell’istante. Infatti, come per mostrarmi quanto avessi ragione, il compagno in questione attirò la mia attenzione con qualche sparo.
    Scattai all’indietro quasi istintivamente. I proiettili sarebbero stati più veloci di me, ma riuscii a evitare che mi colpissero in punti vitali. Un dolore al braccio destro mi avvertì di una ferita superficiale. Un proiettile non mi aveva mancata, ma la rigenerazione avrebbe sistemato quel danno in poco tempo. La manica, però, non si sarebbe riparata da sola.
    Con mia grande sorpresa, quel cretino smise di sparare. Sfortunatamente per lui, mi diede tempo di osservare meglio tutto ciò che avevo intorno. La cosa più interessante, stando a una rapida analisi, si rivelò lui. La sua arma non sembrava una pistola d’ordinanza: non ne avevo ancora vista una con un coltello innestato. Probabilmente era la sua quinque, il che voleva dire un’ukaku. In uno scontro a distanza avrei sicuramente avuto la peggio e probabilmente lui si aspettava un mio scatto verso il suo compagno per prendere lo scudo. Avrei dovuto coglierlo di sorpresa e avvicinarmi. Una volta abbastanza vicina, sarebbe stato alla mia mercé.
    L’altezza di quell’umano era notevole. Avrebbe potuto far paura a qualcun altro, ma non a una ghoul. La sua pistola era tutto ciò che lo separava dal diventare una bistecca, nonché tutto ciò che avrei dovuto toglierli. Tuttavia, quando sollevai lo sguardo all’altezza del suo, trovai qualcosa d’inaspettato ad accogliermi.
    Era raro trovare umani così alti anche per chi veniva dalla gelida Svezia, ma trovare lo stesso due volte era quasi uno scherzo del destino. Non appena riconobbi quel gorilla dell’Hanami, la mia bocca si curvò in un sorriso sardonico.
    «Primo Grado Krieger. Ota-City, 3 Chome 5-2. Ghoul sconosciuto. Agente ferito, ho bisogno di rinforzi.»
    Avrei voluto scattare direttamente verso di lui, ma decisi di lasciarlo finire non appena sentii il suo nome. Non gli sarebbe servito, dopo quella notte, ma decisi di tenerlo a mente.
    “Trevligt at träffas.” Pensai, divertita “Jag heter Astrid.”
    Aveva chiamato i rinforzi, come mi aspettavo. Avrei potuto scattare e fermarlo prima che indicasse la sua posizione, ma anche il mio stare ferma aveva un significato. Lui era la mia preda, il mio antistress del giorno, che non avrei lasciato andare fino a quando non fossi stata soddisfatta. Niente avrebbe potuto salvarlo, nemmeno i suoi rinforzi. Ero sicura di me, di tutte le volte che avevo combattuto loro o i miei simili e del fatto che non avessi di certo paura di lui. “Chiamali pure. Sei comunque già morto.”
    Krieger aveva una pistola e, probabilmente, sapeva come usarla. La mia kagune, invece, aveva un raggio molto più corto. Avrei dovuto avvicinarmi.
    Utilizzai la mia kagune come una molla per spingermi il più possibile verso il muro alla mia sinistra, cercando di prepararla a rifare lo stesso ancora e ancora. Muovendomi a zig-zag sarebbe stato più difficile per lui prendere la mira. L’unica cosa rimasta da fare, quindi, sarebbe stata avvicinarmi attraverso scatti a destra e a sinistra. Una volta abbastanza vicina, l’avrei fatto pentire di essere nato con un rapido affondo nell’addome, cortesia di una delle mie code. Se ci fossi riuscita, il divertimento sarebbe appena iniziato, in quanto avrei subito pensato a bloccargli il braccio con cui teneva la pistola con le mie mani per poi strapparglielo via. Solitamente agivo in fretta e puntavo subito a uccidere, ma con lui sarebbe stato diverso. Avevo passato una pessima serata, qualche mese prima, per colpa sua. Era più che giusto che in quel momento fossi io a divertirmi.


    «Parlato»
    "Pensato"
    «Parlato di Victor»

    I'm a natural born huntress

    Ghoul
    Bikaku
    RANK B
    Fyra Cross

941 replies since 29/4/2015
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