Votes given by Antoil69

  1. .
    Era impensabile che fosse riuscito a scampare anche a quel colpo. Beh, in realtà no.
    Primo, non era totalmente scampato, come dimostrava la sua ferita sull'addome; secondo, non era affatto una cosa incredibile, era tutto allenamento. Al massimo era degno di nota il fatto che il cecchino avesse mancato la ghoul, ma di questo si sarebbe preoccupato più tardi.
    Non appena la ghoul gli diede le spalle Victor imbracciò la pistola ancora una volta e finì di svuotarle il caricatore addosso, cercando di sincronizzarsi il più possibile con il cecchino per renderle più difficile la fuga. Purtroppo non era in condizione di correre, anche se lo squarcio non era profondo con ogni probabilità avrebbe richiesto un paio di punti di sutura, quindi la sua unica scelta fu quella di lasciarla andare, proprio come aveva ipotizzato all'inizio.
    «Primo grado Krieger! S-Secondo grado M-Mikiya a rapporto! Dov'è l'agente ferit-- ma è ferito anche lei!» Una voce alle sue spalle lo avvisò del fermarsi di uno dei veicoli medici della CCG nei pressi del marciapiede. Era scesa una ragazzina che sembrava avere vent'anni.
    Seriamente, quella cosa che incontrava soltanto ragazzini doveva finire. Victor fece un cenno verso le transenne, indicando ciò che rimaneva di Tooru, ancora svenuto.
    «Sto bene.» asserì, osservando altri due soccorritori scendere dall'auto e lanciarsi subito in direzione del suo compagno. Non era del tutto vero, la ferita faceva male, e il sangue che si era raccolto ai suoi piedi confermava che ne aveva perso abbastanza da aver probabilmente bisogno di una trasfusione per sicurezza.
    E non fu l'unico ad accorgersene. «A-Assolutamente no! Ha bisogno di cure immediate!»
    «Sto bene, ho detto. C'è un deceduto in quel vicolo, vada a confermare la sua identità piuttosto e mandi degli agenti ad inseguire la ghoul.»
    «H-Ho già mandato tre agenti all'inseguimento! E-E sta arrivando il resto della mia squadra! A-Anche se non credo lo prenderanno... Lei n-non si preoccupi e si faccia curare!» Victor inarcò un sopracciglio stupito, quasi non si aspettasse tutta quell'efficienza da una donna.
    «Non importa. Cercate negli archivi. Maschera nera con quattro graffi dorati sulla sinistra. E una lacrima, rossa.»
    Un sospiro decisamente esasperato proruppe dalle labbra della giovane. «Signore, la prego...»
    «Sto. Bene
    Probabilmente sarebbero andato avanti così per un po'.
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  2. .
    Evelyn Tiffany Applegarth
    studentessa
    24 anni

    27bPwJl
    Non immaginava che aperto l'enorme pacco poggiato sul letto, sarebbe venuto fuori fosse proprio un kimono realizzato dal loro nonno materno. Sapeva che la sorpresa sarebbe stata incredibile, e che si trattava di qualcosa che probabilmente nessuno aveva mai regalato a Roselyn, ma quando la vide scartare il regale, aprire la scatola, e ritrovarsi davanti tutto quello, una forte emozione pervase Evelyn.
    Anche lei ricevette un kimono fatto su misura proprio dal nonno. Anche lei in passato, come Rose in quel momento, si era ritrovata una scatola enorme sul letto della sua nuova camera da letto, tutto perfettamente impacchettato, tutto semplicemente perfetto. Forse era proprio l'idea di vedere Roselyn scartare un regalo simile che l'aveva fatta emozionare a quel modo. Si avvicinò al letto, per poter osservare più da vicino ciò che era presente dentro quella scatola, rimirando con interesse la stoffa azzurra, le calzature poggiate poco prima sul pavimento, e tutto ciò che costituiva quel meraviglioso set.
    «Oh, I'm surely not the one you should give your thanks to.» commentò divertita, ma comunque rivolgendo alla sorella minore un sorriso piuttosto contento e sereno. «Grandpa is amazing, I think he completely find the perfect match for you, I bet this is going to suit you amazingly.»
    Non era un segreto che a Evelyn fosse interessata ai vestiti e alla moda in generale, ma da quando aveva messo piede sul suolo giapponese, aveva scoperto un modo completamente diverso, ricco di cose ancor più belle di quelle che aveva avuto modo di osservare a Londra. Ed era sicura che Rose l'apprezzasse al suo stesso modo, ora che poteva stringere tra le mani la morbida stoffa di un kimono fatto a posta per lei.
    «Yeah sure» così rispose al suo invito, allontanandosi qualche istante soltanto per affacciarsi alla porta che separava la zona notte dalla zona giorno, facendo cenno a Sumire che si sarebbero chiuse in camera per far provare tutto bene a Rose, e che non si sarebbe dovuta preoccupare di nulla.
    Una volta chiusa la porta, per mantenere una certa privacy e non mettere in imbarazzo la sorella, si voltò verso di lei e le sorrise.
    «I think you should put on your geta with this pair of socks, first.»
    Temeva un po' per la sorella, che non aveva mai avuto occasione di indossare dei geta prima di allora. E sapeva quanto fosse complicato rimanere in piedi su quel genere di calzature. «If you find it hard to walk with them, I don't think grandpa and grandma will be disappointed if you switch to a comfier pair of shoes.»

    «Parlato.»
    "Pensato."

    I might be disappointing, but at least I followed my heart.

    ghoul
    bikaku
    rank b
    masked flower

  3. .
    Ryoga Hasegawa
    pycH7T4
    “Ti chiedo scusa, e ti prometto che comincerò ad essere più obiettiva.”
    «Non dimenticherò questa promessa.» sollevati le sopracciglia e gli angoli delle labbra in un’espressione eloquente, Ryoga indirizzò verso Evelyn l’indice destro, come a rimarcare quanto appena detto.
    Quella era una conclusione importante. Una conclusione che aveva sinceramente sperato di vederla raggiungere, ma per cui non avrebbe messo la mano sul fuoco. Convincere una persona abituata ad autoflagellarsi a maturare un po’ di amor proprio era un’impresa tutt’altro che semplice, che, durante quella breve mezz’ora di conversazione, Ryoga non si era neanche illuso di poter compiere.
    Neanche ora, davanti a una promessa che avrebbe potuto rivelarsi la carta vincente in un futuro momento di crisi, ci credeva del tutto. Non per mancanza di fiducia in Evelyn, ma perché sapeva quanto facile fosse lasciarsi sopraffare dalla negatività. Avrebbe dovuto lavorare duramente giorno dopo giorno, arrivando a remare contro qualunque demotivante sussurro della sua stessa mente, per trasformare in convinzione quelli che all’inizio le sarebbero forse parsi imbarazzanti tentativi di giustificare se stessa.
    Dopotutto si trattava di cambiare, e cambiare non era mai semplice.
    Ma anche per questo ci sarebbe stato lui, un amico, pronto a dimostrarle da una prospettiva esterna che non poteva essere sempre nel torto. Nel mondo esisteva solo una cosa ad essere sempre nel torto: la CCG, ma questa era politica e di certo quello non era il momento adatto a parlarne.
    Fu felice - e in una certa misura anche fiero - di notare già un primo passo avanti, ovvero l’accettare di buon grado la sua offerta. Avrebbe potuto tentare di tirarsi indietro, incolpandosi per l’ennesima volta di averlo fatto uscire di casa a un orario infelice, ma evitò.
    Procedette dunque a fare strada verso il fast food, del quale ricordava più o meno bene la posizione. Ci era stato in realtà giusto un paio di volte, in quanto ghoul non aveva troppi motivi per frequentare posti del genere, se non per godere della compagnia di qualcuno davanti a una bevanda innocua. In quel caso cominciava a sentire anche il bisogno di riscaldarsi un po’.
    Percorsi appena pochi metri, la sua attenzione fu di nuovo catalizzata dalla ragazza che gli camminava accanto.
    «Non parlarne con nessuno?» abbozzò un sorriso sardonico, ovviamente era solo un’ipotesi con ogni probabilità errata, ma non si sarebbe stupito se Evelyn avesse voluto mantenere quella conversazione privata.
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    «Parlato.»
    "Pensato."
    Ghoul
    What do you live for?


    Edited by Yukari - 7/11/2021, 13:09
  4. .
    Evelyn Tiffany Applegarth
    EW6sGru
    La prospettiva da cui era inizialmente partita Evelyn era quella di riuscire a tranquillizzarsi anche solo momentaneamente, in previsione di un futuro dialogo piuttosto turbolento che si sarebbe potuto manifestare anche solo via chat, con sua sorella minore Roselyn. Forse proprio perché un prospetto positivo non era mai esistito nemmeno nei sogni più profondi e nascosti di Evelyn, ma aveva soltanto bisogno di vedere la propria vita e tutta quell'assurda situazione da un'angolazione diversa, mettersi in un punto di vista che non le apparteneva per analizzare al meglio la situazione e prepararsi ad un dialogo serio, che l'avrebbe forse portata a stare meglio.
    Ma non si aspettava che quella conversazione potesse prendere una piega del genere, infondendole un senso di pace e sicurezza che non aveva mai sentito propri. Era da sempre una persona insicura, che preferiva chiedere conferme a chi le stava attorno prima di dire anche solo «a», o mettere il becco in questioni spinose.
    Ryoga però era stato in grado di agire nella maniera più indicata, pur partendo da un tentativo di rassicurarla che avrebbe potuto dimostrarsi fallace. Eve, d'altro canto, non aveva mai pensato di guardare la situazione con occhi diversi, né tantomeno pensava di non potersi colpevolizzare. Aveva passato una vita intera a crucciarsi ed autoinfliggersi i più severi dei giudizi, scaricando la colpa per situazioni spiacevoli sempre e solo su se stessa, perché troppo impegnata a pensare che gli altri meritassero più di quanto meritasse lei.
    Aveva passato un'intera vita a sentirsi inadeguata, a sentirsi sempre sbagliata, a proiettarsi sempre dalla parte del torto senza analizzare con la massima attenzione le cose che le si paravano davanti. Era come se, quando c'era di mezzo il suo benessere, Evelyn indossasse costantemente dei paraocchi, imponendosi di non guardare mai nella direzione che l'avrebbe potuta giustificare, o scagionare dalle infondante accuse che si autoinfliggeva.
    Ma era bastata una mezz'oretta di chiacchiere con Ryoga per cambiare completamente punto di vista.
    Per quasi ventiquattro anni aveva passato il tempo con una frusta immaginaria tra le mani, che schioccava violenti colpi soltanto sulla propria schiena. Era una vita sprecata. Aveva rinunciato a tante cose pur di essere sempre quella che subiva il suo critico ed insindacabile giudizio, sempre fin troppo aspro se era indirizzato verso se stessa.
    Scoppiò a ridere quando l'altro la rimbeccò sui ringraziamenti, e di conseguenza avrebbe annuito una volta sfumata la risata. Doveva cominciare a comportarsi in maniera meno sottomessa, dandosi più valore come persona.
    «Hai ragione, hai ragione» esordì poco dopo, seguito da un sospiro rilassato, che fece apparire una piccola nuvola di condensa, un po' più fitta delle precedenti. Le temperature si stavano abbassando sempre di più con il benvenuto della notte. «Ti chiedo scusa, e ti prometto che comincerò ad essere più obiettiva.»
    Dopodiché accettò il suo invito: per la prima volta non contestò le parole altrui, anche se dovette fare uno sforzo non indifferente per evitare di dirgli «ma ti ho fatto uscire a quest'ora della sera, con questo freddo, dopo una giornata di lavoro!» come motivazione al sensatissimo volere di ribattere, ma ingoiò il rospo e rispetto il suo punto di vista. Si era momentaneamente messa nei panni di chi faceva l'offerta, ed aveva realizzato che se mai una sua offerta spontanea venisse rifiutata, ci sarebbe rimasta male. Probabilmente era lo stesso per Ryoga?
    «Va bene, accetto di buon grado.»
    Dopodiché fu in piedi, aiutata dalla mano di Ryoga, che lasciò poco dopo essersi sistemata ed aver cominciato a camminare verso lo Starbucks che aveva citato il biondo.
    «Non vorrei risultare indelicata» Evelyn interruppe quell'attimo di silenzio, continuando a guardare davanti a sé, «ma posso chiederti un altro favore? Non è niente di impossibile o esagerato, solo una piccola richiesta un po' egoista.»
    Non sapeva se «egoista» fosse la parola più consona per quel che stava per chiedergli, ma ci teneva che questo piccolo capriccio venisse accolto ed eseguito.

    «Parlato.»
    "Pensato."
    ghoul
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    masked flower
    student
  5. .
    Ryoga Hasegawa
    pycH7T4
    Era una serata di realizzazioni per Evelyn, ed essere fautore della nuova angolazione da cui guardare la vita era per Ryoga motivo d’orgoglio. Era davvero triste sapere che Evelyn fosse così concentrata sui lati negativi e sui problemi che la angosciavano da non riuscire a godersi il presente, per questo reputò ancor più provvidenziale la richiesta d’aiuto che lei gli aveva inviato quella sera. Adesso aveva la conferma di aver fatto bene a seguire l’istinto e uscire nonostante l’ora infelice.
    “Forse mi sono concentrata troppo sui miei problemi da non rendermi conto che le persone che ho conosciuto mi stanno realmente aiutando.”
    «Te lo meriti, ti impegni al massimo per gli altri e si vede.» ribatté prontamente, enfatizzando l’affermazione con un deciso cenno del capo.
    Forse non avrebbe dovuto parlare con tanta sicurezza, dopotutto si conoscevano da qualche mese e non avevano avuto tantissime occasioni per vedersi o uscire insieme, tuttavia Evelyn era riuscita ad entrargli nel cuore con inaspettata facilità, con la delicatezza e la premura che erano un po’ la sua firma, unite ad una carenza di amor proprio che rendevano inevitabile volerla proteggere. Forse era il suo istinto di fratello maggiore a parlare, o forse era semplicemente un idiota che quando trovava un nuovo amico finiva per affezionarsi troppo.
    Di certo c’era però che non avrebbe lasciato che Evelyn si facesse del male crogiolandosi nei suoi pensieri cupi. Conosceva troppo bene quella caduta libera nella negatività e le sue conseguenze, l’aveva vissuta sulla propria pelle e la vedeva ancora troppo spesso negli occhi di Risa. Doveva esserci almeno una persona a cui poteva evitarla.
    «Basta ringraziamenti!» si intromise appena possibile in quello che si stava rivelando uno tsunami di gratitudine; tanta sincera gratitudine lo commuoveva, ma Evelyn doveva capire che era serio quando diceva di non volere ringraziamenti. «Te l’ho detto, ho solo fatto quel che tu avresti fatto per me. Perché ti voglio bene e ho a cuore la nostra amicizia.»
    Ryoga Hasegawa continuava a riconfermarsi il giapponese meno giapponese del Giappone con quelle uscite tanto sentimentali. Fortunatamente però non c’era nessuno ad ascoltarli, dunque non aveva motivo di vergognarsi se si concedeva di essere un po’ cringe pur di far capire ad Evelyn quanto era importante.
    «Non so come avresti passato la notte, ma so come passerai la prossima mezz’ora.» incalzò infine, protendendo le braccia per stiracchiare i muscoli intirizziti dal freddo; non sembrava, ma il tempo era proprio volato. «Qui vicino dovrebbe esserci uno Starbucks, ti offro qualcosa di caldo e poi ti riaccompagno a casa. E non accetto un no, se proprio vuoi prendilo come un modo per ripagarmi di aver fatto il mio lavoro di amico.»
    Si sarebbe quindi messo in piedi, porgendo all’amica un sorriso e una mano protesa per aiutarla a rialzarsi.
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  6. .
    Evelyn Tiffany Applegarth
    studentessa
    24 anni

    27bPwJl
    Le due ragazze si sistemarono sul bordo della piscina, sistemarono i propri vestiti e, dopo che Evelyn fece un cenno del capo, partì un servizio fotografico.
    ... oh beh, così sembra un po' esagerato, però il loro accompagnatore s'impegnò molto affinché le ragazze potessero trovare la foto con lo scatto, la prospettiva e, di conseguenza, le luci migliori. Non era semplice fare il fotografo, ma ahimé era una cosa che si era abituato a fare quando all'hotel venivano ospiti importanti, ai quali non poteva rifiutare qualche scatto. Ormai non era neanche per ricordo, ma proprio per mostrare sui social dove fossero stati, cosa stessero facendo, o per mostrare al mondo intero che avevano abbastanza soldi per permettersi viaggi in terre lontane e soggiorni in hotel di lusso.
    Fortunatamente per lui, Evelyn e Roselyn non si erano scattate quella foto per il puro piacere di ostentare. Evelyn, al contrario, era una persona a cui piaceva conservare i ricordi, e la prima giornata assieme a sua sorella dopo cinque anni era un ricordo decisamente importante, di cui avrebbe voluto gelosamente custodire ogni minimo particolare, dalla fotografia sulla fontana alla ricevuta degli acquisti vari che avrebbero sicuramente fatto. Roselyn aveva solo una decina d'anni quando lei fu costretta a lasciare il Regno Unito, e questo equivaleva a dire che non avevano mai sperimentato quello che poteva significare fare shopping insieme, tra le "commerce streets" più all'avanguardia.
    Fortunatamente Tokyo era una megapoli che ospitava la qualunque, dalle cose più gettonate a quelle più di nicchia, così come quelle un po' fuori dagli schemi, sopra le righe. Avrebbe sicuramente portato Roselyn a fare un giro per negozi, più tardi.

    [ ... ]

    La sessione fotografica ebbe una fine dopo che le due sorelle scarrozzarono il povero malcapitato in giro per i grandi ed adorabili giardini della struttura: un posto sicuramente magico e suggestivo, Evelyn scommetteva che durante il tramonto quel posto avrebbe assunto colori da sogno, rendendolo ancor più bello.
    Ma avevano sfiancato abbastanza il loro accompagnatore, tanto che ad un certo punto fu Evelyn stessa a scusarsi con lui, chiedendogli di accompagnarle gentilmente alla suite che avevano deciso di prenotare per Roselyn: a detta del nonno, quella era la più bella che quell'hotel avesse da offrire. Ed essendo ilproprietario e loro nonno molto amici, gli aveva pure fatto un ottimo prezzo, insistendo contro i vani tentativi del nonno di voler pagare a prezzo pieno.
    Salirono per l'ascensore, dove le attendeva una Sumire sempre in guardia, che rivolse alle ragazze un tenue sorriso, facendole entrare nell'ascensore prima di chiunque altro. Era abbastanza spazioso, oltre che costruito in vetro per permettere una panoramica sulla capitale giapponese durante la corsa verso i piani designati.
    Arrivarono al quinto piano e ad attenderle c'era un lungo corridoio, con poche porte: le stanze di quel piano erano tutte suite ed erano semplicemente cinque.
    Seguirono la guida di Sumire che le accompagnò fino alla porta d'ingresso della stanza numero 102; lo stesso accompagnatore di prima aprì loro la porta tramite la key-card che era stata affidata loro, porgendola umilmente a Roselyn poco dopo, in quanto la stanza era a tutti gli effetti sua.
    «Per sicurezza» le seguì Sumire, «hanno affidato una seconda chiave anche ad uno dei nostri uomini, così da intervenire qualora la signorina Roselyn abbia bisogno di qualcosa.»
    Evelyn annuì, mentre si guardava attorno: varcata la soglia d'ingresso, la stanza si apriva in un'enorme salotto, provvisto di un lungo divanetto e due poltrone, con tanto di tavolino da caffé in vetro, il tutto sistemato comodamente sopra un grande tappeto rosso borgogna. Più avanti vi si trovava la porta finestra che si affacciava ad un balconcino, che dava verso il giardino della struttura; la finestra era coperta da delle tende bianche, dorate e rossicce, drappeggiate ai lati in maniera tale che solo le tende bianche coprissero la finestra, ma senza togliere la luminosità adeguata alla stanza. Poco prima della finestra, vi era un tavolo rotondo, con due sedie imbottite, perfettamente al centro tra la parete che ospitava la porta per la stanza vera e propria e il muro che ospitava un mobile con la tv, una scrivania ed un frigobar, con annesso bancone per prepararsi qualche bevanda al bisogno.
    La porta che dava alla stanza era scorrevole, ma già adeguatamente aperta. S'intravedeva il letto matrimoniale, con sopra un'enorme scatola che dava tutta l'aria di essere il regalo.
    Evelyn s'addentrò nella camera, guardandosi attorno, prima di affacciarsi di nuovo verso il salottino, con un sorriso entusiasta.
    «Rose, come on in! There's your surprise right on the edge of the bed~»
    Roselyn avrebbe ben presto scoperto che la sorpresa dei suoi nonni era un kit completo di yukata e kimono, geta, kanzashi e kinchaku, tutti realizzati proprio dal nonno stesso, realizzati completamente in seta, con una particolare trama sui toni dell'azzurro, ricamata completamente a mano.

    «Parlato.»
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    ghoul
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  7. .
    Evelyn Tiffany Applegarth
    EW6sGru
    Fu immensamente felice di scoprirsi capace di tirare fuori qualcosa di positivo da quella disastrosa vita. Evelyn, per quanto nel suo quotidiano non avesse fatto altro che cercare di cospargersi di una positività che non le apparteneva, era quel genere di persone che probabilmente si concentrava troppo sulle proprie disgrazie per apprezzare al meglio anche solo le piccole cose. Questo faceva di lei una succube di quella negatività, come se il pessimismo di cui si armava fosse l'unica barriera che potesse difenderla dalle delusioni e dalle situazioni più spiacevoli. E quel pessimismo aveva, da sempre, schermato ciò che di bello poteva esserci, in quella vita costellata di sofferenze.
    Forse era un po' troppo esagerata e il suo modo di pensare fin troppo melodrammatico, ma stava di fatto che sapere di aver aiutato a rendere Risa una persona un po' più felice era, per lei, un'enorme soddisfazione. E non ci mise tanto per dimostrare quanto le parole di Ryoga, che l'accertavano di quanto bene avesse fatto (pur non capendo come fosse possibile), avessero sortito un effetto profondamente positivo: sorrise, come forse non aveva mai fatto prima di allora. Non era più uno di quei sorrisi di cortesia, quelli composti ed eleganti che indossava per fare bella figura con il pubblico o su internet, ma era il sorriso più sincero che avesse da offrire, probabilmente uno di quelli che non apparteneva al suo repertorio da fin troppo tempo.
    «Sono così felice di saperlo che non sento più la tensione sulle spalle.»
    Un'ammissione importante, la sua, che fino a qualche istante prima ancora era attanagliata da quell'invisibile peso.
    «Forse mi sono concentrata troppo sui miei problemi da non rendermi conto che le persone che ho conosciuto mi stanno realmente aiutando» proseguì poco dopo, rendendosi conto che il discorso di Ryoga aveva perfettamente senso. Aveva realizzato soltanto in quel momento che non esisteva solo lei e la sua famiglia esasperata, che era circondata di persone meravigliose e che, forse, doveva cominciare a trovare la felicità senza più focalizzarsi sul passato, ma piantandosi in quel presente che non aveva mai vissuto con la giusta grinta, troppo concentrata sul proprio passato tragico.
    Questo, però, non voleva dire che sarebbe stato semplice superare i propri traumi. Ryoga non sapeva quale oscuro segreto nascondevano gli Applegarth al mondo intero, e per Evelyn quello non era il momento adatto per raccontarglielo... ma le sue parole, per quanto non fossero mirate a risolverle il problema, proprio perché non era quello per cui lo aveva chiamato Evelyn, avevano sortito un effetto decisamente positivo.
    Aveva realizzato quanto Ryoga fosse una luce importante nella sua vita, e che grazie a lui avrebbe potuto migliorare. Ed era tanto desiderosa di farlo.
    «Perciò, anche se per te non è nulla di che, ringraziarti è doveroso. Ammetto che la mia vita è decisamente meglio da quando conosco te e Risa-san, per questo insisto.»
    Una lieve brezza soffiò tra i rami semi-spogli degli alberi, causandole un brivido di freddo. Era effettivamente diverso tempo che stavano lì seduti senza muoversi, e cominciava a percepire le gelide temperature novembrine più di quanto volesse ammettere.
    Scoppiò a ridere quando Ryoga tentò di smorzare la tensione: tentò di trattenersi, proprio perché non era il caso di ridere a crepapelle, ma dentro di sé sapeva che il suo tentativo di smorzare la tensione era riuscito egregiamente. Forse non era abbastanza espressiva per dimostrarlo, e probabilmente la compostezza a cui si era costretta non le avrebbe mai permesso di dimostrare le sue emozioni al cento percento, ma era sicuramente molto più tranquilla.
    «Sicuramente tu e i tuoi agganci mi avete aiutata tanto, e conoscere te mi ha fatto realizzare di non essere più la quindicenne spaesata che ero quando approdai in Giappone... anche per questo ti ringrazio.»
    Forse un po' troppi ringraziamenti, che dici Evelyn? Però era nella sua natura: mostrare gratitudine quanto più riuscisse.
    «Ti devo davvero un grosso favore, se non ci fossi stato tu non so come avrei passato questa notte.»

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  8. .
    Ci sono situazioni che gli uomini colgono per istinto senza riuscire a commentarle a parole; in casi del genere, il più grande poeta è chi lancia il grido più violento e naturale. La folla scambia quel grido per un racconto, e a ragione se ne accontenta, trovandolo sublime nella misura in cui è vero. Era ciò che stava avvenendo. Non vi erano parole, solo respiri, affanni, ghigni malevoli, passi sdrucciolevoli sull'asfalto, colpi e percosse: era la lingua dei cacciatori, e i due avversari stavano conversando in un dialetto che nessun altro avrebbe potuto comprendere.
    Victor aveva il suo modo di fare le cose, e non tollerava che qualcuno gli dicesse di comportarsi in modo diverso. Per questo gli piaceva lavorare da solo, ma - in quel momento - si ritrovò a ringraziare il collega riverso a terra per avergli procurato una controparte così tenace. Erano quei brividi, quelle scariche d'adrenalina, che lo tenevano in vita. Lui era una macchina da guerra. Una macchina da guerra perfettamente integrata nella società moderna, per questo la maggior parte del tempo era costretta a stare sopita in quel silenzio che gli altri chiamavano civiltà. Era solo quando quest'ultima veniva meno che era libera di fare ciò per cui era stata progettata, e non c'era momento più bello.
    Astrid era convinta di essere in vantaggio, Victor pensava la stessa cosa. Che si stessero suicidando a vicenda?
    Probabile, ma il vantaggio dell'investigatore non era fisico. Era qualcosa di mentale, che lo distingueva dalla maggior parte dei suoi altri colleghi. Victor non aveva paura di morire. La morte, l'oblio eterno, il freno comune alla vita umana. Quante cose sarebbe portato a fare un essere umano se non dovesse avere paura della morte?
    Ve lo siete mai chiesto?
    Victor no. Non ricordava un singolo giorno in cui avesse mai avuto paura della morte. Se ne teneva lontano per puro istinto di autoconservazione, ma paura? No. Forse aveva smesso di averla nell'esatto momento in cui l'aveva accettata, a dodici anni, con un coltello puntato alla gola, quando aveva sputato in faccia ai poveri stronzi che lo stavano minacciando. Fatto stava che non aveva il freno comune che fermava le persone normali dal fare pazzie scellerate. Come quella.
    Sfiorata di striscio, la ghoul schiantò la propria kagune sullo scudo con forza. Victor percepì le suole delle sue scarpe slittare di qualche centimetro sull'asfalto, ma la quinque era piantata nel cemento, e non cedette. L'odore del sangue era abbastanza per tenerlo in forze, manco il ghoul fosse lui. Poi la intravide, una di quelle code rosse, muoversi sinuosa per afferrare l'arma. Troppo vicina.
    Per lui, ma anche per lei stessa.
    ...si era mica dimenticata delle sue pistole?
    Un ghigno malsano si dipinse sul volto dell'investigatore. Fortuna che Toruu era privo di sensi, o lo avrebbe preso per pazzo. Non fece in tempo a impedirgli di afferrare lo scudo: per quanto allenato e veloce era pur sempre un uomo adulto di un metro e novanta per ottanta chili di puri muscoli che stava affrontando una ghoul altrettanto rapida e dalle forme molto più sottili delle sue. Quando capì che voleva prendersi lo scudo per disarmarlo e con ogni probabilità tranciargli di netto le braccia era già troppo tardi per avere ripensamenti. Non poteva batterla in uno scontro di mera forza fisica probabilmente.
    Ma Victor sapeva meglio di chiunque altro che quando non puoi fare nulla contro un avversario più forte di te, l'unica soluzione era ritorcergli tale forza contro.
    Sfruttando il suo punto cieco e il fatto che lei fosse alla sua destra, fece slittare una mano sul fianco sinistro ed estrasse la pistola gemella di quella che prima aveva riposto. Non appena vide la kagune tentare di allacciarsi attorno allo scudo e percepì la ghoul fare forza su di esso, piantò la canna dell'arma nel muscolo cremisi e fece fuoco, poi inclinò appena lo scudo verso di lei, mollò le cinghie, schiacciò la suola della scarpa destra sul suo interno e la usò come leva per schiacciarla a terra.
    Nel farlo, se ci fosse riuscito, sarebbe probabilmente caduto a sua volta, visto che l'intento era usare i pesi di entrambi e la mastodontica forza della ghoul come trampolino per farli rovinare entrambi a terra. Cosa sarebbe successo allo scudo da quel momento in poi... solo il fato poteva deciderlo.
    In quell'esatto istante si udì un brusio disturbato provenire dalla radio appesa sua cintura, quella usata per comunicare con il quartier generale. Victor non lo capì all'istante, troppo concentrato sulla ghoul, probabilmente avrebbe automatizzato dopo, ma erano i rinforzi: tra meno di cinque minuti sarebbero stati lì. Fine dei giochi.
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  9. .
    Ryoga Hasegawa
    pycH7T4
    Strano. Chi mai si sarebbe aspettato che rivangare quella brutta storia potesse avere un effetto liberatorio? Molto strano.
    Appena terminato il racconto, mentre attendeva un responso di una meditabonda Evelyn, Ryoga avvertì un inaspettato flusso di sollievo diffondersi nel suo corpo. Era senza dubbio rilassatezza, quella, ma perché provare un’emozione del genere dopo aver fatto l’elenco - come una lista della spesa - dei problemi e delle tragedie di casa Hasegawa?
    L’aveva fatto con analitica freddezza, come se niente di ciò che aveva rabbuiato i suoi giorni passati influenzasse più il presente. Ovviamente la verità era ben diversa: Ryoga combatteva ancora un’eterna battaglia coi suoi scheletri nell’armadio, sempre pronti ad accusarlo di non aver fatto abbastanza per Risa. Ma erano, appunto, battaglie così all’ordine del giorno da averlo spinto ad impugnare la sua vita e non lasciarsi seppellire dalla negatività; se anche lui fosse caduto, a pagarne le conseguenze sarebbero infatti state la madre e la sorella.
    Perciò andava avanti, coi pugni chiusi e la cocciutaggine di chi combatte una battaglia personale. Ma stavolta aveva fatto uno strappo alla regola, aprendosi con qualcuno come non era mai accaduto: Evelyn aveva compiuto un piccolo miracolo, ma non l’avrebbe mai saputo.
    Forse condividere un briciolo dell’ansia e dell’inadeguatezza in cui era sprofondato per anni lo aveva inconsciamente portato a credersi compreso, senza avere alcuna assicurazione che Evelyn avrebbe empatizzato con lui piuttosto di sprofondare in un silenzio imbarazzato come qualunque giapponese. I giapponesi non apprezzavano simili esternazioni di emotività - uno dei tanti motivi per cui Ryoga si sentiva la persona meno giapponese del mondo.
    Al contrario, ancora una volta la ragazza diede prova di grande sensibilità, convincendo una volta per tutte Ryoga di aver fatto bene ad aprirsi con lei.
    «Non hai idea di quanto la tua presenza abbia fatto bene a Risa, non la vedo spesso così ben disposta verso le persone appena conosciute. Si è sforzata molto di fare amicizia con te, mi rende così orgoglioso. Ed è tutto grazie a te.» un gran sorriso sciocco si impadronì del volto del biondo.
    Risa era tra le persone meno propense alla socializzazione che conoscesse, ma con Evelyn aveva sin da subito dato il meglio di sé - probabilmente dando per scontato che se suo fratello la considerava un’amica allora dovesse per forza essere una brava persona, cosa che Evelyn senza dubbio era.
    Ma non era per parlare degli Hasegawa che si erano trovati su quella panchina.
    Ryoga non immaginava in che modo il racconto potesse averle dato lo spunto che le mancava, ma fu sinceramente felice di aver contribuito. La domanda di fondo rimaneva: valeva la pena di darsi tanto da fare per questa sorella, o sarebbe stato uno sforzo unilaterale? Forse lui non l’avrebbe mai scoperto, ma l’importante era che a saperlo fosse Evelyn.
    «Non voglio ringraziamenti, ho fatto solo quello che tu avresti fatto per me.»
    Ryoga scrollò le spalle con disinvoltura; ne era più che convinto, al suo posto Evelyn avrebbe attraversato Tokyo per aiutarlo. Non avrebbe fatto pressioni per sapere che cosa accadeva a casa Applegarth benché lo desiderasse, non per frivola curiosità ma perché avere un chiaro prospetto delle dinamiche familiari lo avrebbe aiutato a dare un consiglio più oculato.
    Augurandosi di non infastidirla, si permise di metterle con delicatezza una mano sulla spalla; un abbraccio sarebbe stato più adeguato, ma non avevano ancora toccato un tale livello di confidenza, e soprattutto non si sarebbe mai permesso in pubblico.
    «Non so che cosa tu abbia passato e se sei mai rimasta da sola, ma cerca di ricordare che ora non lo sei. Hai una famiglia che ti ama e un amico un po’ idiota, ma tutto sommato decente, e con gli agganci giusti! ... Come se tu non ne avessi di migliori.» provò a smorzare la tensione con una risata, riportando quindi la mano sulla seduta della panchina.
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  10. .
    Evelyn Tiffany Applegarth
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    Evelyn era già abbastanza grata di quell'incontro. Anche solo poter uscire di casa e allontanarsi dalla sua famiglia, a cui non voleva donare più pene di quante non gliene avesse date anni e anni prima, presentandosi a casa loro con tanto di lettera in giapponese (che lei ai tempi non comprendeva), firmata Maki Chihiro... tutto era meglio che distruggere ancora una volta il cuore dei suoi nonni, che oramai cominciavano a voler cercare solo ed esclusivamente tranquillità. E la mente incasinata di Evelyn, piena di sofferenza e dubbi, non era quello di cui loro, a cui voleva probabilmente più bene di quanto ne avesse mai potuto provare per se stessa, avevano bisogno.
    Essere quindi lì con Ryoga, con cui aveva decisamente meno difficoltà ad esporre i suoi problemi, pur mantenendoli in forma censurata, era già stato di per sé liberatorio.
    Parlare con una persona fidata era ciò di cui aveva bisogno e non avrebbe mai chiesto a Ryoga se, nei suoi pensieri, Evelyn non avesse pensato che lui fosse la sola persona in grado di donarle conforto o anche solo darle dei consigli.
    Sentirlo parlare del suo passato, ponendo una situazione diversa, si dimostrò proprio quello di cui Evelyn aveva più bisogno. Per quanto sentire quella storia aveva inevitabilmente procurato dei sentimenti spiacevoli, ammutolendo la ragazza, in realtà era grata per quel che Ryoga le aveva detto.
    Aveva chiesto aiuto proprio a Ryoga perché sperava di avere il parere di una persona che, come lei, doveva interfacciarsi con una sorella più piccola. Non dava per scontato che Risa avesse problemi, ma vivere una vita da ghoul comportava inevitabilmente avere dei problemi: affrontarli o assecondarli era una decisione che spettava solo al singolo. Ma sapeva che vivevano in una situazione problematica e sperava, in qualche modo, di trarre consigli utili da una persona che come lei doveva affrontare cose spiacevoli.
    C'erano enormi differenze tra le loro situazioni, ma fu comunque "illuminante" ascoltare la sua storia. E quelle parole per lei furono un enorme sollievo.
    Prese un profondo respiro, decidendo quindi di parlare.
    «Mi dispiace tanto sapere ciò che avete passato e dal mio canto spero di aiutarvi e farvi stare bene, anche se in porzioni molto piccole.»
    Come sempre, Evelyn non mancò di sfoggiare la sua enorme sensibilità, il groppo in gola a dare un accento di tristezza nelle parole che pronunciò. Era difficile rimanere impassibili di fronte a racconti del genere, e lei non era il genere di persona che sapeva separare le proprie emozioni dal fare da spalla a qualcun altro. Per riflesso, Evelyn era quel genere di persona che, trascinata dalla sua fragile sfera emotiva, e dalla gran mole di empatia che spingeva ogni sua azione, avrebbe sicuramente pianto vedendo qualcuno piangere, riso se l'altro rideva, o anche alterandosi se il suo interlocutore si dimostrava innervosito.
    Forse proprio perché Ryoga non stava versando mezza lacrima nel raccontare ciò che era successo loro, Evelyn riuscì a trattenersi dallo scoppiare a piangere, abbracciare l'altro e dirgli che andava tutto bene.
    ... ma anche perché forse avrebbe oltrepassato un limite che, seppur autoimposto, le permetteva di mantenere integra quella cosa chiamata dignità.
    «Ma ti ringrazio per avermene parlato: sembrerà stupido, ma è come se mi sentissi più vicina a voi, e questo mi sprona a fare del mio meglio per assicurarmi che siate più tranquilli.»
    Si fermò per qualche istante, stringendo con la mano destra alcune delle dita della mano sinistra, allentando ed irrigidendo la presa ad intervalli regolari, come se stesse cercando un modo per sfogare quella tensione che, fortunatamente, stava abbandonando le sue spalle doloranti.
    «Anche se, oltre a questo, mi ha aiutato a vedere la mia situazione da un punto di vista che non avevo mai considerato prima di adesso.»
    Si percepiva dal tono di voce, leggermente più risoluto, che Evelyn si sentiva più tranquilla e che era bastato quel racconto per fare mente locale ed analizzare la situazione con più lucidità: che colpa ne aveva lei, se i suoi genitori avevano stroncato ogni possibilità di prevenire che Roselyn venisse irrimediabilmente plagiata dalla loro visione?
    ... o che poteva farci lei se, nel caso in cui i suoi genitori non l'avessero allontanata da Roselyn, fosse stata la sua stessa sorella a dirle che in realtà quel mondo creato dai loro genitori la incuriosiva, e voleva scoprirlo?
    Sembrava un modo sciocco per cercare di scaricare le sue colpe a qualcun altro, ma era indubbiamente vero: se Roselyn non fosse stata incline ad accettare tutto quello che i loro genitori avevano costruito, l'avrebbe contattata e avrebbe trovato un modo di fuggire.
    Probabilmente, per anni, aveva trattato Rose come se fosse incapace di pensare con la propria testa, come se fosse tutta una questione di "quale partito avesse l'abilità di influenzare maggiormente la mente della più piccola degli Applegarth". Il che era assurdo: era come dire che Roselyn fosse stupida o incapace di formulare un pensiero autonomamente.
    Era stata un po' stupida. E realizzare tutto quello le aveva messo addosso un senso di vuoto enorme, che cercò di nascondere quanto più riusciva. Ora non si sentiva più come se avesse fallito, ma come se avesse trovato la peggior risposta di sempre.
    Si aggrappava alla possibilità di potersi sbagliare, ora. Forse era un'illusione, ma avrebbe avuto modo di sfogare quei sentimenti negativi in un secondo momento. Se non fosse che si era accorta di essere rimasta in silenzio per troppo tempo, mentre era intenta a fare "due più due" nella sua testa.
    «... q-quindi ti ringrazio.»

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  11. .
    Ryoga Hasegawa
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    Tra una battuta e l’altra vigevano lunghe pause, indice della serietà con cui Evelyn stava prendendo quella conversazione. Bene da un lato, perché dava senso ad un incontro imprevisto ad un orario infelice; non troppo bene dall’altro lato, perché implicava che Ryoga avrebbe dovuto scegliere con oculatezza le sue parole.
    Era come camminare sull’orlo di un abisso, inteso non come una metafora edgy che avrebbe usato sul lavoro, ma come reale pericolo di ferire una persona a cui voleva bene. E lui, che già per inclinazione naturale si prodigava per il bene altrui anche a discapito del proprio, non se lo sarebbe perdonato.
    Scoprire che Evelyn fosse troppo confusa per analizzare la situazione con fredda logica non lo stupì; era stato chiaro sin dal principio quanto nel profondo fosse dilaniata da quel dilemma, e il principio non era stato l’attimo in cui si era accomodato su quella panchina, ma quello in cui sul display dello smartphone era comparsa una notifica firmata Evelyn. Vederla così in pena era triste, ma Ryoga era conscio di non poter fare più di tanto: intromettersi in faccende di famiglia sarebbe stato irrispettoso.
    Tutto ciò che poteva fare era annuire lentamente, cambiando intanto posizione per non dare l’impressione di essere troppo rilassato. Fece quindi scivolare i gomiti giù dallo schienale ferroso e si strofinò i palmi delle mani sulle maniche; pochi minuti di immobilità erano riusciti ad acuire la sua sensibilità al freddo, il quale ora sembrava insinuarsi sotto la protezione dei vestiti con maggiore insistenza.
    «È un dubbio legittimo.»
    Non voleva diventare il giudice del comportamento altrui, ma neanche evitare di esprimere qualunque tipo di giudizio. Al posto di Evelyn, anche lui avrebbe avuto lo stesso dubbio.
    «Ma non conoscendo l’intera situazione non posso aiutarti a dissiparlo, mi dispiace.»
    Avrebbe potuto dire che la conosceva abbastanza da sapere che forse si stava solo preoccupando troppo, oppure che stava facendo la sua parte già solo mettendo in dubbio se stessa e cercando attivamente una soluzione. Ma non sarebbe stato un reale aiuto, solo un palliativo momentaneo alla preoccupazione che la divorava.
    Fu, in un certo senso, grato alla domanda successiva, non solo perché lo strappò a una catena di ragionamenti che rischiava di ammutolirlo troppo a lungo, ma soprattutto perché gli fornì l’occasione di dimostrare ad Evelyn che un po’ la capiva. Erano sulla stessa barca: quella di chi ha delle responsabilità nei confronti di una sorella minore.
    Si schiarì la gola, un gesto che sembrava annunciare un lungo monologo, ma serviva solo a prendere tempo per organizzare i pensieri; non sarebbe stato il più allegro dei discorsi.
    «Fare i conti con le conseguenze di una mancanza passata, hm? Ne so qualcosa.»
    Ryoga abbozzò un sorriso amaro, direzionando lo sguardo sulla strada pervasa da foglie rinsecchite; nella penombra della sera, persino una città frenetica come Tokyo sembrava più clemente. Si premurò di abbassare notevolmente la voce per continuare il discorso, lasciando intendere quanto private fossero quelle informazioni.
    «Da piccola Risa era un vulcano di energia, una peste insopportabile che mi perseguitava dalla mattina alla sera.» si lasciò andare a una risata passeggera, recuperando poi la placida tranquillità che lo caratterizzava. «E poi, quando lei aveva tre anni e io sei, nostro padre è morto… puoi immaginare per mano di chi. Eravamo soli, con le spalle al muro... così io e mia madre non abbiamo avuto altra scelta che seppellirlo con le nostre mani. Da quel giorno Risa è cambiata, ha sviluppato un disturbo facciale chiamato ipomimia, in parole povere non sa più esternare emozioni… poi si è aggiunta la depressione, in una forma leggera per fortuna.»
    Un nodo di senso di colpa lo costrinse al silenzio: che diritto aveva di parlare dei problemi personali di Risa, anche davanti a una persona fidata come Evelyn? Meglio tornare alla domanda, si disse, rivolgendo di nuovo gli occhi e un sorriso consolatorio all’amica.
    «Quando penso che è colpa mia, che non ho fatto abbastanza in quel periodo, cerco di ricordarmi che anche io ero un bambino appena rimasto orfano. Ho cercato di essere un fratello e un padre per Risa, ma è fuori dalle mie possibilità. È piuttosto illogico biasimarmi per qualcosa che non ho fatto perché impossibile, non credi?»
    Concluse con una lieve scrollata di spalle, pronto a darle tutto il tempo di cui aveva bisogno per processare la travagliata storia degli Hasegawa. Ryoga sperava solo che le fosse in qualche modo d’aiuto.
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  12. .
    Evelyn Tiffany Applegarth
    EW6sGru
    Parlare era difficile. Essere onesti era difficile. Vivere serenamente in un mondo di famelici lupi era difficile.
    In quella vita disastrata, era difficile tutto. Ma se c'era una cosa che aveva imparato, era che difficile non voleva dire che era impossibile. Il punto era uno: perché era difficile fare tutto questo? Una piccola parte di sé sapeva che la colpa era solo sua. Si era limitata tanto, si era nascosta fino allo sfinimento, abituandosi a passare il più inosservata possibile. Ad un occhio esterno, guardandola, nessuno direbbe che la vita di Evelyn sia costellata di problemi giganteschi come quelli che affronta ogni giorno, tutto questo perché non è più capace di mostrare ciò che c'è veramente dietro quel falso sorriso che indossa sempre.
    Con Ryoga, però, parlare è più semplice. E non perché lo veda come la perfetta valvola di sfogo su cui contare, Evelyn non è capace di vedere le persone come oggetti. Tutto questo proprio perché il loro primo incontro fu peculiare e non riusciva ad immaginare nessun altro che potesse aiutarla, se non lo sconosciuto che le aveva dato una mano pur potendosi rifiutare.
    Poteva decidere di lasciarla lì a marcire da sola e non aiutarla per il panico, ma aveva deciso di tenderle una mano.
    Le aveva teso una mano lui, che non sapeva nemmeno chi fosse, e non lo avevano mai fatto i suoi conoscenti.
    Forse perché, a tutti gli effetti, era stata Evelyn stessa ad allontanare tutte le persone che conosceva dal turbine di negatività che la seguiva ovunque andasse. Ryoga però aveva deciso di finire dentro quel tornado incasinato, e ad ogni sua chiamata rispondeva quasi sempre.
    Era per questo che si fidava così tanto di lui. Era per questo che con lui parlare era meno difficile del solito.
    Lo ascoltò, assorta, guardando davanti a sé mentre cercava di assimilare quanto dicesse. Un flebile sorriso curvò le sue labbra al menzionare di quel buffo episodio. Era normale essere gelosi dei fratellini più piccoli, che si guadagnavano l'attenzione di mamma e papà.
    ... lei non ricordava assolutamente se fosse stata o meno gelosa di Roselyn. Probabilmente lo era stata, come tutti del resto.
    «Eri un bambino, è normale... suppongo.»
    Gli rivolse un sorriso cordiale, che sfumò poco dopo, non appena Ryoga espose il suo "dubbio". In quel momento non solo il sorriso scomparve, ma distolse lo sguardo per puntarlo nuovamnte al sentiero insolitamente pulito del parco. Giusto qualche foglia posava sul sentiero, ma era spoglio di cartacce o di terra.
    Metabolizzare le parole di Ryoga non fu affatto semplice: per lei, che si assumeva la responsabilità di ciò che nemmeno aveva causato, si prendeva la colpa di ogni cosa possibile, era difficile ammettere quanto avesse ragione. In cuor suo sapeva che la colpa non era sua, che non era vero che non era riuscita a proteggere Roselyn, piuttosto le era stato proibito di farlo. E vietarle di farlo l'aveva costretta a fare i bagagli e a volare in Giappone senza se e senza ma: non poté contestare, dovette semplicemente annuire e fare come le era stato detto. Perché il volto arrabbiato di suo padre era decisamente più spaventoso di quello che si poteva credere ed era ancora un forte trauma.
    Ma non credeva fosse nemmeno colpa di Roselyn. E quando finiva con il pensare a questo, i suoi pensieri planavano tutti verso un'unica direzione: era lei quella sbagliata. Mamma e papà si erano casualmente trovati ed avevano interessi comuni, che Roselyn con il tempo sviluppò a sua volta. Lei era l'unica che non seguiva quella corrente di pensiero, quindi perché, soltanto perché lei era traumatizzata e spaventata, non doveva essere lei quella sbagliata? Se parlasse a Ryoga della sua situazione famigliare, quanto poteva giurare che non le dicese "in effetti ad essere sbagliata sei tu?"
    ...
    ...
    ...
    "No, Ryoga-san non lo penserebbe mai."
    Era un tentativo di autoconvincersi che la sua era solo una paura infondata, quando in realtà il suo corpo la stava tradendo: i tremolii che scuotevano il suo corpo, indice di ansia e paura, parlavano più di quanto la sua mente cercasse di distoglierla dalla possibilità che il mondo fosse un ingiusto covo di avvoltoi.
    Ma Ryoga era troppo buono.
    ... o forse era lei ad idealizzarlo troppo.
    «Ammetto di essere confusa, in questo momento.»
    Furono parole quasi balbettate, tutta colpa dei lievi tremolii che la scuotevano. Cercava di avere la meglio e si imponeva di non farsi cogliere dall'ansia, era l'ultima cosa che voleva, mettere Ryoga di nuovo in quella situazione non le piaceva. Per una cosa del genere, poi... si sarebbe sentita un mostro.
    «Perché una parte di me crede che tu abbia ragione, e che dovrei smetterla di colpevolizzarmi... l'altra invece non riesce proprio a smetterla di pensare che potrei essere io a sbagliare.»
    Era un casino. La situazione era un casino, lei era un casino. E i casini non si risolvevano con la sola volontà. Non esisteva la bacchetta magica che, neanche il tempo di battere le ciglia, aveva rimesso al loro posto tutte le situazioni scomode che infestavano le vite delle persone. Fosse stato possibile, quello sarebbe stato un modo ideale e perfetto.
    Ma il mondo ideale e perfetto non esiste.
    «Perciò vorrei chiederti: tu cosa faresti se avessi potuto proteggere Risa-san da una situazione orribile, ma ti è stato impossibile farlo, e adesso ne stai pagando le conseguenze?»
    Messa così sembrava più seria di quello che era. Non che non fosse una situazione grave, ma sembrava come se la situazione fosse irrimediabile.
    Irrimediabile come lo era la morte.

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    ghoul
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  13. .
    Evelyn Tiffany Applegarth
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    24 anni

    27bPwJl
    Era una fortuna che i ghoul non possedessero il potere di leggere nel pensiero, perché se così fosse stato probabilmente Evelyn si sarebbe pentita di avere persino quella capacità.
    Evelyn non era più una persona che riusciva ad essere trasparente e sincera di fronte alle persone, al 90% il suo atteggiamento era una menzogna, mascherata dalla voglia che tutto scorra liscio e senza il minimo intoppo. Era più facile a dirsi che a farsi, in ogni caso: era troppo emotiva per mantenere stabile una facciata e mentire tutto il giorno era esasperante, anche se con gli anni ci aveva fatto l'abitutine.
    Ma quel sorriso non era vero e no, Roselyn sbagliava a pensare che Evelyn non potesse nasconderle nulla: era quello che aveva fatto dal momento in cui i loro sguardi si erano incrociati per la prima volta dopo cinque lunghi anni.
    Pensare di non essere più capace di dire le cose senza peli sulla lingua, pensare di aver fatto affidamento alle bugie per così tanto tempo da trovare impossibile essere sincera, perché toglierle la menzogna era come toglierle l'ossigeno per continuare a respirare e, di conseguenza, vivere.
    Il solo pensiero era terrificante, ma fortunatamente Evelyn era troppo impegnata a guardare la fontana, a prendervi posto dopo esser stata accompagnata da Roselyn, che la guidava tenendola per mano, e a pensare ad una posa per perdersi in tutta quella miriade di pensieri che potevano, in qualche modo, rovinare il mood.
    Aveva spento il cervello, o almeno lo aveva fatto in parte: voleva solo rilassarsi e godersi una giornata fuori dalla routine, accanto alla sua sorella minore da cui era rimasta lontana per davvero troppo tempo. Teneva accesa solo quella parte che le consentiva di comportarsi nella maniera più genuina possibile, quella parte che la bloccava dal provare ansia, quella parte artefice della maschera dal bel sorriso che indossava ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette, senza mai una tregua, o del riposo. Forse soltanto chiusa nella sua stanza poteva smettere di indossarla, tornando a mostrare il viso solcato dalle lacrime, gli occhi spenti e vacui e i capelli neri che non scostava nemmeno dalla propria visuale, tanto più nascondeva meglio era.
    In quel momento era solo la Evelyn a cui chiunque era abituato: gentile e disponibile, posata e tranquilla, che non si toglieva quel sofisticato e delicato sorriso dal volto.
    «I'm not that good with poses...» commentò, portando una mano sul mento per pensare, alzando lo sguardo al cielo. Sfilò gli occhiali, che tenne con la mano libera (odiava lasciarli sopra la testa), socchiudendo gli occhi che incontravano la luce del sole.
    «Maybe we should just sit here and let the centre of the fountain being right between me and you.»
    Non aveva idea di quali fossero i pensieri della sorella, né tantomeno quale posa volesse: lei ormai era abituata semplicemente a stare ferma e composta, sorridere verso l'obiettivo finché la foto non fosse scattata e poi passare ad altre pose, che differivano veramente poco le une dalle altre, per poi tenere solo le foto migliori. Non era chissà quanto pratica di queste cose, le piaceva risultare il più normale possibile, proprio perché la normalità non faceva parte della sua vita, ed era come se la cercasse con disperazione.
    «What do you think? It should go, right?»
    Il loro accompagnatore cercò di guadagnarsi la sua attenzione alzando una mano, chiedendo ad Evelyn se fossero pronte; lei alzò una mano per segnalargli di aspettare un po', così da permetterle di consultare Rose. Non avrebbero dovuto impiegarci molto a scattare delle foto, no? ... no?

    «Parlato.»
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    I might be disappointing, but at least I followed my heart.

    ghoul
    bikaku
    rank b
    masked flower

  14. .
    Ryoga Hasegawa
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    Era abituato ad avere a che fare con le persone, principalmente le liceali, e ad essere usato a mo’ di psicologo. Per quanto reo di strafalcioni clamorosi, Ryoga ci aveva fatto l’abitudine e aveva cominciato a far tesoro di quelle che, in fin dei conti, erano esperienze che nel loro piccolo l’avevano fatto maturare. Continuava a non essere uno psicologo, ma aveva imparato alcune piccole premure che aiutavano il prossimo a sentirsi meno a disagio, sopperendo così all’empatia di cui per inclinazione naturale non abbondava.
    Per questo motivo non intendeva forzare la mano finché non fosse stato necessario; la notte era giovane e lui, nonostante le levatacce giornaliere, non andava mai a letto presto, quindi era perfettamente vigile. Se Evelyn non avesse trovato il coraggio di intavolare la conversazione sarebbe subentrato lui, ma fino ad allora le avrebbe dato tutto il tempo che voleva.
    Il primo tentativo di smorzare la tensione era andato a buon fine, e in risposta all’espressione rasserenata di Evelyn continuò a sorriderle. Era comprensibile che si sentisse in colpa per averlo tirato fuori di casa a quell’ora, quasi chiunque avrebbe chiesto scusa, ma se gli fosse stato impossibile l’avrebbe detto chiaro e tondo, magari organizzandosi per il primo ritaglio di tempo disponibile.
    Ci volle un po’, ma Evelyn vuotò finalmente il sacco: in parole povere aveva problemi con sua sorella e voleva qualche consiglio. In effetti era un motivo alquanto singolare, di base debole per chiamare qualcuno a quell’ora, ma Ryoga la conosceva abbastanza da sapere che se era arrivata a tanto non si trattava di un capriccio, ma di un problema che la stava realmente assillando. Evelyn era attenta ai sentimenti altrui, non a caso si era immediatamente scusata per l’orario e il disturbo che credeva di aver arrecato agli Hasegawa.
    Per questo motivo Ryoga non se la prese, sebbene sulle prime fu ben visibile nei suoi occhi chiari un lampo di sorpresa. Ma, dovendo essere sincero, tra problemi alimentari e problemi familiari i secondi erano meno drammatici e forse più semplici da risolvere. Ad ogni modo, la vita di Evelyn sembrava tristemente più ricca di problemi di quanto si sarebbe detto a una conoscenza più superficiale. E dire che esisteva gente convinta che una ragazza abbiente e affascinante non potesse che avere una vita perfetta…
    La prima reazione di Ryoga alla domanda diretta fu un sorriso alquanto imbarazzato. «Stai chiedendo a uno che a quattro anni ha fatto la valigia e ha detto ai genitori che se ne sarebbe andato, perché ormai avevano un’altra bambina.»
    Non poteva nascondere di vergognarsi di episodi come quello, ma non c’era niente di male nel condividerli con qualcuno che aveva vissuto la stessa tragedia del figlio unico che diventa fratello maggiore. Magari le avrebbe anche strappato una risata mentre rivolgeva lo sguardo alla strada poco trafficata, alla ricerca di una risposta che potesse dissolvere i dubbi di Evelyn. Tuttavia, prima di ciò avrebbe voluto che ad essere dissolto fosse un suo dubbio, motivo per cui tornò a guardare l’amica con espressione rinnovatamente seria.
    «Però, Evelyn-san, c’è una cosa che vorrei capire. Non è che non intenda aiutarti, mi sentirei in colpa e mi reputerei un pessimo amico in questo caso. Però, se c’è una cosa che credo di aver capito di te, è che ti prendi cura più degli altri che di te stessa. Mi sembra strano che tu non abbia buoni rapporti con una sorella di cui non mi hai mai parlato, perciò mi chiedo se la colpa di questa situazione tesa sia davvero tua e se valga la pena di stare così male. Essere fratelli non implica andare tassativamente d’accordo-»
    Solo dopo aver parlato Ryoga si rese conto di essere entrato decisamente troppo nella sfera personale di Evelyn, tanto che si interruppe e, come a prendere le distanze dall’invasione di campo, scosse la testa.
    «Perdonami se sono stato inopportuno e non rispondere se non vuoi. Vorrei solo che ci pensassi su.»
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  15. .
    Evelyn Tiffany Applegarth
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    Evelyn contava sul fatto che fosse Ryoga ad aiutarla a vuotare il sacco. Pur essendo stata lei a chiedergli di uscire, la pressione che tutta la situazione le gravava sulle spalle la stava, purtroppo, relegando a tenere la bocca chiusa, parlare solo quando necessario e non cennando minimamente a ciò che l'aveva spinta a contattare il ragazzo.
    Aveva bisogno di un volto amico da guardare, e grazie al quale anche solo uno sguardo sarebbe stato di conforto. Ryoga, per puro caso, era diventato quel genere di amico in relativamente poco tempo. Era strano potersi fidare di qualcuno, ma essere ritornata a farlo, contanto sulla fiducia che riponeva in Ryoga, era stata una ventata d'aria fresca in una calda e afosa giornata estiva, qualcosa di essenziale e che le aveva ridato la voglia di impegnarsi in qualcosa.
    Sembrava davvero assurdo, eppure era accaduto. A pensarci ora, col senno di poi, se mesi e mesi prima le fosse stata detta una cosa del genere, non ci avrebbe messo troppo a rispondere con un secco e cinico «non prendetemi in giro.»
    La risposta di Ryoga alla sua domanda, comunque, la rilassò al punto da avergli rivolto un sorriso disteso e tranquillo, letteralmente nulla a che vedere con ciò che gli aveva riservato prima. Forse poteva sembrare idiota, ma quelle uscite un po' "fuori luogo", per così dire, erano ciò che la facevano stare meglio.
    Ci voleva, ancora, esattamente come quella boccata d'aria fresca in una calda e afosa giornata estiva.
    «Mi fa piacere saperlo, sono già più tranquilla ora.»
    Il fatto che non stesse scherzando era così sorprendente da aver lasciato per un attimo Evelyn sorpresa a sua volta. Era bello sentirsi finalmente tranquilli, dopo anni passati a temere la propria ombra e a fingere sorrisi pur di non mostrare quanto, in realtà, si stesse soffrendo. Non che avesse smesso di farlo, ma con Ryoga aveva la possibilità di lasciarsi andare, cosa che non riusciva a fare nemmeno coi nonni, a cui non voleva dare preoccupazioni. Conoscendo sua nonna sicuramente aveva intuito qualcosa, però avrebbe giustificato la sua uscita di casa come una segretissima nuova fiamma da cui sgattaiolare quando più ne avesse bisogno. Il che era abbastanza divertente, visto che era esattamente il contrario di quel che stava accadendo realmente.
    Quando l'amico, però, rigirò la domanda a lei, fu il momento in cui sentirsi tranquilli non era più concesso. Non poteva mentirgli, o avrebbe reso vana la sua presenza lì, su quella panchina, seduto accando a lei. E, a dirla tutta, vuotare il sacco non l'avrebbe fatta sentire più in colpa di quanto non si sarebbe potuta sentire se a quella domanda avesse risposto con un «tutto bene, non è successo niente di che.»
    A conti fatti era vero che non era successo niente di che, almeno per quella giornata. Aveva lavorato in ufficio aiutando l'amministrazione del nonno, ma tutto sommato aveva passato una giornata tranquilla e, anche se si era svegliata presto quella mattina, aveva riposato abbastanza per non ritenersi stanca a quell'ora della sera.
    Era il resto della sua vita a turbarla, e quel messaggio che sua sorella le aveva inviato pochi giorni prima, che l'aveva tenuta bloccata pur essendo qualcosa di estremamente banale.
    «... non lo so.»
    Ed era la verità. Non sapeva dire se stesse bene o male, sapeva solo di essere turbata dalla situazione che si era venuta a creare con sua sorella, a cui non riusciva a non volere bene, ma che al tempo stesso la terrorizzava. Emozioni soffocanti che non le permettevano di pensare lucidamente.
    «Credo di avere problemi con mia sorella e... lo so che sembra stupido averti chiamato a quest'ora della sera per una cosa del genere, ma sono preoccupata di non riuscire a comportarmi come una brava sorella maggiore farebbe.»
    Era il minore dei problemi, in realtà. Non gli stava mentendo, perché in fin dei conti tutto quello che aveva detto era reale, aveva parlato su come si sentisse realmente nei confronti di Roselyn, ma aveva omesso dei particolari che rendevano la sua preoccupazione qualcosa di molto più fitto ed intricato di quello che, in quelle parole, sembrasse.
    «Ho timore di fare passi falsi e rovinare tutto... e quando ho visto che bel rapporto avete tu e Risa-san, mi sono detta "vorrei poter essere come loro".»
    Non sapeva nemmeno se quelle parole lasciate andare in maniera del tutto improvvisata potessero rendere abbastanza l'idea, Evelyn ci stava provando più di quanto si potesse immaginare... ma era difficile esprimere le proprie emozioni e parlarne apertamente, soprattutto dopo aver passato un'intera vita a nascondere come si sentisse realmente.
    «Quindi mi domandavo» s'interruppe solo per prendere un respiro profondo, preparandosi a volgergli quell'importante domanda. Si sentiva stupida, davvero, ma per lei era un problema ben più serio di quanto potesse sembrare all'apparenza, per cui volse lo sguardo in direzione dell'amico. «... come fai ad essere un così bravo fratello maggiore per Risa, Ryoga-san?»
    ... nella sua testa quella domanda suonava migliore. E pensare che lo sguardo di Evelyn fosse così serio mentre pronunciava quelle parole...

    «Parlato.»
    "Pensato."
    ghoul
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    student
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